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Autore: NPC_Stories    06/01/2021    1 recensioni
Sequel di "Vampier's Diaries - Libro primo: la mia morte"
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Sono sempre io, Erika Lesmiere, l'adorabile ragazza che avrebbe dovuto avere davanti a sé un brillante futuro. Avrei potuto fare una vita da nobildonna, o intraprendere una carriera militare, oppure avrei potuto ribellarmi alle tradizioni della mia famiglia e scegliere un percorso accademico come alchimista.
E invece no, mai una gioia. Mi sono ritrovata a diventare un vampiro.
Ma forse anche la non-vita mi riservava qualche sorpresa, dopo tutto. Forse finché siamo al mondo possiamo sempre trovare un po' di felicità.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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Capitolo 4: La sua puttana


Mattoni rossi, porta gialla. Mattoni rossi, porta gialla…
Questo pensavo, mentre mi aggiravo lungo la Strada della Luna quella sera. Ricordo benissimo che era il tramonto, la luce del sole calava da ovest e le case gettavano lunghe ombre… ma quelle che riuscivano a essere illuminate dal sole, che dire, sembravano tutte rosse. Quella che cercavo io avrebbe dovuto essere sulla destra, quindi a ovest, e avere la facciata in ombra. Mi fermai davanti a uno stabile con i muri di un profondo color mattone. La porta sembrava gialla.
Non c’era alcuna insegna, né per indicare la Casa della Fenice né per… l’altra attività commerciale… ma un paio di uomini di mezza età s’infilarono nella porta proprio davanti ai miei occhi, calcandosi bene il cappello sulla testa, come se volessero nascondere il viso dietro le falde flosce. Capii di essere nel posto giusto.

La porta si aprì in perfetto silenzio. Davanti a me un corridoio si incuneava in profondità nell’edificio, e questo mi fece ricordare che ai due lati della porta c’erano le vetrine di un panettiere e di una modista. Quindi le scale che cercavo dovevano essere sul retro, o qualcosa del genere.
Il corridoio mi condusse a un cortile interno su cui si affacciavano diversi palazzi. Accanto alla porta d’uscita partiva una scala in legno dall’aria solida e affidabile, con il corrimano in metallo. Salii una rampa. Un balconcino permetteva una breve sosta prima di riprendere le scale, vidi che i due uomini erano già quasi alla fine della seconda rampa. Dovevo salire anch’io? Qual era il piano mediano? Ero un po’ dubbiosa, ma poi mi accorsi che c’era una porta che dava sul balconcino. Era dello stesso colore del muro, come se volesse nascondersi.
Be’, o era la Casa della Fenice, o era lo stanzino dei rifiuti del palazzo. In ogni caso non avevo nulla da perdere.
Bussai alla porta. C’era qualcosa, nel modo in cui la sottile lastra di legno vibrò sotto le mie nocche, che mi fece pensare a una stanzina povera che in inverno doveva diventare una ghiacciaia. Era solo un’impressione, però…
“Avanti, prego” mi invitò una voce maschile da dentro. Una voce che aveva qualcosa di familiare.

“Signor Smith!” Esclamai con sorpresa, appena varcata la soglia.
Lo stesso ragazzo che mi aveva aiutata a orientarmi per l’iscrizione al Collegio si trovava ora davanti a me, dietro un’altra scrivania. Questa era più grande, ma anche molto più ingombra di roba. Intorno a lui lo stanzino scoppiava di scatoloni e faldoni, tutti pieni di carta; c’erano perfino alcuni libri e rotoli di pergamena.
“Buonasera, saer Lesmiere” si alzò in piedi e mi rivolse un leggero inchino, piegando appena il busto. Era il modo corretto per rivolgersi alla nipote di un nobile, eppure mi sembrava fuori luogo.
“Non occorre essere così formale” mi mossi verso di lui - dopotutto mi aveva invitata ad entrare - e presi posto sulla sedia di legno dall’altra parte della scrivania. “Stamattina non mi avete detto che eravate voi il funzionario.”
“Cerco di non portarmi il lavoro dove studio, e vice versa” si spiegò con un sorriso di scuse.
In quel contesto, in un piccolo ufficio che sembrava sul punto di sfondare il pavimento di legno sotto il suo peso, dietro una scrivania enorme e con un paio di grossi occhiali sul naso, aveva un’aria molto più umana e meno intimidatoria.
“Allora in questo momento non devo considerarvi uno studente più anziano?”
“In questo momento sono un funzionario generico, al vostro servizio.” Si spostò un ciuffo di capelli castani dalla fronte, e in quel momento decisi che era davvero carino.
Stavo per chiedergli quanto mi sarebbe costato il suo servizio, quando la piccola porta del suo ufficio si spalancò di botto.
Rea dell’effrazione era una biondina slavata che sembrava più vicina ai trenta che ai venti, avvolta in un manto di profumo al gelsomino di scarsa qualità. La sua forte personalità odorosa assaltò i miei sensi: sapeva di sesso, di fiori, di alcol - l’alcol contenuto nel profumo, ma forse anche alcol che aveva bevuto - di sangue e di malattia.
“Johnny!” Gridò, con un’impostazione melodrammatica. “Oh, Johnny, devi aiutarmi…” praticamente mi scavalcò e si gettò sulla scrivania, piegandosi in avanti come se volesse mettere in mostra il seno. “Il signor Deversh non vuole riconoscere la paternità del suo bambino, Johnny. Ci dev’essere un qualche sistema… medico o magico… per accertare che è suo, e poi costringerlo legalmente a prendersi le sue responsabilità!”
Quell’intrusione mi stava nauseando, mi stava logorando i nervi e mi stava facendo venire sete, tutto insieme. La parte di me che era un vampiro avrebbe preferito afferrare quella donna come il frutto troppo maturo che era, attaccarmi al suo collo e prosciugarla. Non avevo mai bevuto sangue umano, ma la tentazione c’era, oh se c’era. Specialmente quando qualcuno mi stava così vicino.
La parte di me che era un vampiro la stava anche odiando per come anteponeva i suoi stupidi problemi ai miei. Chi diamine credeva di essere?
La sua vita per me appariva come un bruscolino insignificante. Un umano nasce e muore nel giro di pochi decenni, perché credono di essere così importanti? “Levati dai piedi, stupida oca!” La afferrai per un braccio e la strattonai via dalla scrivania, lanciandola verso la porta. Non ero ancora forte come lo sono ora, ma di sicuro ero più forte di quanto il mio fisico lasciasse supporre.
La bionda venne quasi lanciata via e faticò a restare in piedi. Si appoggiò alla parete vicino alla porta; come ho accennato, l’ufficio era piuttosto piccolo.
“Ma come osi…” cominciò a protestare, ma io le tagliai la voce.
“Come osi tu, pensi di potermi passare davanti solo sventolando le tue belle forme?”
“Sono incinta!” Protestò a gran voce.
“Non sei incinta, imbecille, hai un cancro!” Le sbottai in faccia. Non per cattiveria e non per soddisfazione, volevo solo che se ne andasse.
La donna sbiancò di colpo, come se avesse visto un fantasma. Il signor Smith uscì finalmente da dietro la scrivania e corse verso di lei, per sorreggerla prima che svenisse.
“N-non ho… cosa puoi saperne…” balbettò la donna, ma la sola ipotesi l’aveva davvero gettata nel panico. Una cosa che sul momento mi sorprese: era umana, quanto si aspettava di vivere in ogni caso?
“Odette, calmati” lui le prese una mano fra le sue, perché la prostituta non smetteva di tremare. “Non sappiamo se sia vero, non sappiamo niente. Come potrebbe capirlo una ragazzina solo guardandoti? Ma torna da me domattina presto… all’alba. Preparerò degli incantesimi per capire che cos’hai e per guarirti, se ce ne fosse bisogno.”
“I-incantesimi? Ma non posso pagarti, Johnny, gli incantesimi sono costosi…”
“Non per chi li lancia” lui si strinse nelle spalle, mantenendo un atteggiamento calmo che riuscì a tranquillizzare un po’ anche la donna. “Non devi credere alla propaganda dei chierici.”
“Oh… Johnny…” la biondina slavata sbatté le lunghe ciglia, ma l’effetto fu un po’ rovinato dal trucco intorno agli occhi, ormai sciolto dalle lacrime. “Posso ricambiare in qualche modo?”
“Puoi chiedere alla signora Merble di farmi una torta” propose con slancio. “Le serate di lavoro sono lunghe e noiose.”
“Niente… niente di più personale?” Il modo in cui lei lo guardò, bleah, mi diede i brividi.
“Puoi farle scrivere il mio nome sulla torta, magari.” John Smith si passò una mano dietro la testa, dissimulando; ma poi tornò serio, perché aveva capito i messaggi sottintesi che lei gli stava lanciando. “Sai che non amo il contatto fisico.”

Quando finalmente la fastidiosa donna da conio ebbe inforcato la porta, lasciandosi dietro una nube di profumo maleodorante, il mio funzionario di fiducia chiuse l’uscio con un chiavistello e mi rivolse un’occhiata gelida.
“Ma si può sapere che ti passa per la testa? ‘Hai un cancro’? Ti sembra una cosa da dire a una povera donna, così dal nulla?”
“Giusto, meglio non dirglielo, così quando il suo fisico cederà e lei morirà, non saprà nemmeno il motivo” beccai, molto infastidita.
L’uomo si calmò leggermente.
“Ma… dicevi sul serio, allora? Pensi davvero che sia malata? Non l’hai detto solo per cattiveria?”
“Non è che lo penso, signor Smith, io lo so.”
“E come lo sai?”
Dal suo odore, pensai, ma non potevo rispondere in questo modo.
“Ognuno ha i suoi segreti.”
Per qualche secondo regnò un silenzio pesante.
“Molto bene. Vogliamo tornare a parlare della tua pratica legale, dal momento che abbiamo rotto il ghiaccio e ora ci diamo anche del tu?”
Lo fissai dall’alto del mio silenzio algido mentre tornava a sedersi alla sua scrivania, come se non fosse accaduto nulla.
“Quella è la tua puttana?”
Non so perché lo domandai. Lo trovavo carino, è vero, ma niente di più. Forse perché era il primo umano con cui avessi interagito per più di qualche minuto, da quando ero diventata ciò che ero. I vampiri sviluppano presto un senso di possessività verso le persone che gli piacciono, come avrei scoperto a breve.
Rispose alla mia freddezza con uno sguardo di sufficienza. Si appoggiò allo schienale della sua poltrona e fece un gesto aprendo le braccia, come se volesse indicare l’intera stanza.
“La burocrazia è la mia puttana. Ora vogliamo procedere?”

Quella risposta era così sfacciata che mi fece quasi ridere. C’era qualcosa in lui che mi divertiva da matti. Forse era l’idea che qualcuno potesse essere così fiero della sua competenza in un lavoro tanto noioso.
“Benissimo.” Appoggiai la mia borsa sulla scrivania e cominciai a estrarre i documenti che avevo recuperato nel corso della mia fuga. “Ma prima dimmi, è vera quella cosa che detesti il contatto fisico?” Lo chiesi sporgendomi apposta verso di lui, china sulla scrivania. Non avevo - e non ho - un davanzale ben fornito come quello della signorina Odette, però i vampiri hanno una sorta di magnetismo soprannaturale.
Non volevo arrivare fino in fondo, con lui. Non avevo alcuna fretta di toccare un uomo, dopo i miei trascorsi con Yao Taman. Però mi sarebbe piaciuto tormentarlo, farmi desiderare, fargli ammettere che ero meglio della donna che se n’era appena andata.
“Ognuno ha i suoi segreti” replicò John, imitando le mie parole di poco prima.
C’era un sorrisetto incerto sul suo volto che non mi convinceva del tutto. I suoi occhi grigi avevano ceduto, per un attimo, e mi avevano guardata con desiderio. Ma c’era ancora tempo, e in quel momento avevo bisogno di un burocrate, non di un servo da irretire.

   
 
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