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Autore: Fireflie    24/08/2009    0 recensioni
"Ron si rende conto per la prima volta che Percy lo conosce davvero bene e che la guerra l’ha cambiato tanto, ma lui non si è mai fermato a rifletterci sopra, non gli ha mai concesso un’altra chance."
[Percy Weasley/Ron Weasley]
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Percy Weasley, Ron Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Note: Se devo essere sincera non so che dire. Queste note mi colgono impreparata, perché ancora non ho realizzato di aver finalmente completato questo progetto.
Arrivare dopo tanto tempo – quattro anni – a concludere una fic con tanto di revisione generale dei capitoli precedenti è qualcosa che ti toglie l’aria dal polmoni e, trattandosi di questa in particolare, mi svuota dentro.
La amo come se fosse mia figlia; anzi, lei è mia figlia, e lasciarla andare mi uccide, ma è arrivata la pioggia, e non c’è nulla che la possa tenere ancora legata a me.

Spero sia per voi ciò che è stata per me, almeno in parte.




Capitolo VI ~ Wishing The Summer Will Never End



Percy torna a notte fonda, col viso stanco e due profonde occhiaie sotto gli occhi. Accende la lampada del salotto, e una luce cremosa illumina fiocamente la stanza.
Ron è sveglio, ma finge di dormire, il volto nascosto nell’incavo dell’avambraccio; sente il fratello aggirarsi per la cucina, il tintinnio di un bicchiere preso dalla credenza, acqua che scivola via, leggera, e poi il tocco della sua mano sulla propria spalla.

“Cosa ci fai qua?”, domanda il maggiore, bisbigliando, anche se non ce n’è un reale bisogno – ci sono unicamente loro due per miglia intere.
“Ti aspettavo”, risponde solo Ron, gli occhi appiccicati dal sonno, ma Percy non lo ascolta già più, la sua attenzione è del tutto focalizzata sulla scatola posata sul tavolino di fronte al divano.

“E quella?”, chiede, leggermente spaventato nel riconoscere il contenuto.
“L’ho trovata fuori”, mente allora Ron, perché gli pare l’unica cosa da fare, perché non vuole affrontare un discorso simile – perché Percy non vuole affrontarlo –, perché non vuole ritornare al punto di partenza con lui. “Ho sentito dei rumori e quando ho aperto la porta era lì, sulla soglia.”

La spiegazione sembra quietare il più grande dei due; guarda Ron, ma tutto ciò che incontra è il suo sguardo azzurro ancora appannato dal torpore del dormiveglia, e le sue difese calano come sono arrivate, in fretta.
Non dice nulla su chi può aver lasciato di fronte alla porta quelle cose, né Ron chiede nulla.
C’è questo tacito accordo tra di loro, che si è creato in queste settimane trascorse insieme, di non fare domande e non dare giustificazioni. Il silenzio sa ripagare tutto.

“Com’è andata al Ministero?”, si informa allora Ron, tranquillo.
“Bene”, risponde Percy con un sorriso, “sai, ne tireranno fuori una legge. Dalla mia relazione, dico”, e lo guarda, negli occhi blu tutta la speranza che ciò avvenga. Mentre il fratello si congratula, lui sorride imbarazzato e inizia ad allentare il nodo alla cravatta scura – anche quella un regalo di Audrey. Ron si rende conto per la prima volta che nella vita di suo fratello ci sono state delle persone importanti, persone di cui porterà sempre con sé il ricordo, che di tanto in tanto riaffioreranno alla mente e lui penserà a ciò che ha perso con malinconia, forse persino una punta di rammarico.

Così lo bacia, per fermarlo lì, con lui, perché non vada mai più via, nemmeno con il pensiero.
Il maggiore lo afferra per le spalle e cerca di spingerlo lontano, ma pone fine alla sua resistenza dopo pochi secondi, e infine lo abbraccia, con delicatezza, facendo aderire i loro corpi, e il ragazzo lo lascia continuare, desiderando quel contatto.
C’è solo confusione ora nelle loro menti, quando prima sembrava tutto logico e sensato, ma permettono che il momento si porti via tutto.

“Basta”, mormora Perce, mettendo fine al bacio.
“Perce…”, tentenna Ron, con una voce che esce insolitamente lamentosa.
“Basta, ho detto”, e si alza dal divano, passandosi una mano tra i capelli in un gesto nervoso, per poi farla scivolare sulla nuca fino alla base del collo.
Scompare in cucina, in un angolo buio che non permette a Ron di decifrare l’espressione che ha sul viso.

“Perce?”, prova ancora una volta, ma il richiamo cade nel vuoto. Allora si alza e lo raggiunge nella stanza; cercando un contatto allunga la mano verso di lui, ma l’altro si scansa prima che possa toccarlo.
Lo osserva, e ha il viso di un uomo – un uomo distrutto.
“Non possiamo”, dice, e in quella frase c’è racchiuso tutto il loro rapporto, il loro avvicinamento, il bacio di poco prima.
“Fa niente”, risponde Ron, sorride e si avvicina, prendendo il volto dell’altro tra le proprie mani, sollevandolo appena. “Fa niente”, ripete ancora, e lo bacia come se fosse un bambino, come se stesse piangendo, come se fossero due innamorati.
E il più grande si lascia baciare, non respinge le labbra di Ron sul proprio volto, sulle proprie labbra, e ricambia, come se Ron lo stesse salvando, come se stesse ridendo, come se fossero due innamorati.

E forse, solo forse, lo sono.


*


“Dimmi”, dice Percy il mattino dopo, a disagio, seduto di fronte al fratello al tavolo della colazione. Ha ricordi simili a flash della notte precedente, che arrivano in sprazzi di colore vivido e movimenti rapidi, troppo veloci perché fossero reali.
“Niente”, risponde Ron con un sospiro stanco. In verità vorrebbe dire un sacco di cose, ma non è bravo con le parole, gli rimangono incagliate in gola e, comunque, sono tutte le parole sbagliate, quindi non fa differenza.
Si porta una mano al capo, dopo, premendo sulle tempie, proprio dove il sangue gli pulsa con più violenza.
“Stai male?”, e Percy è al suo fianco in un attimo, la mano posata sulla fronte pallida.
“È solo un mal di testa”, dice il ragazzo, “sarà la stanchezza.”
“Sicuro?”, chiede ancora, un filo di preoccupazione che non accenna ad andarsene.
“Sicuro”, risponde Ron, e poi si protende verso il fratello, in cerca di un abbraccio che trova. Chiude gli occhi, la guancia poggiata contro la spalla dell’altro, il respiro che muore leggero contro il suo collo.

“Ron…”, inizia Percy, con un tono che il ragazzo conosce troppo bene.
“Non adesso”, dice, “non ora.”

E il più grande tace, rilassato nell’abbraccio. Restano così per quella che sembra una vita, ma sono solo una manciata di minuti, e in quel momento la pioggia inizia a cadere, dapprima lentamente e poi con sempre più forza. Si va alzando anche il vento, che scuote le finestre e le porte nei cardini.
Il temporale dirompe in un attimo, e li obbliga a separarsi.

“Piove”, dice Percy.
“Già.”
“Chiudiamo.”

Ron non è certo di cosa intenda il fratello, se si riferisca agli infissi o ad altro, anche se non c’è nulla da chiudere ancora, tra loro due si può al massimo aprire qualcosa. Ma chiudere no, mai.
“Di sopra è aperto”, e la sua voce si perde nella giostra di suoni violenti che accompagnano il temporale. Corre al piano superiore, lasciando a Percy il salotto e la cucina.

Con calma serra tutte le finestre; il cielo è scuro, e il suo volto si riflette nelle gocce di pioggia sui vetri. Ripulisce con un colpo di bacchetta l’acqua entrata.
Nell’avviarsi di sotto, incrocia Percy sulle scale.

“Chiuso tutto?”, domanda il maggiore, e il suo viso sembra galleggiare nell’improvvisa oscurità che è scesa, anche gli occhi appaiono più scuri seppur conservino la solita sfumatura verde.
“Sì”, risponde il ragazzo.
“Sai, credo che entro breve torneranno. Ormai l’estate è andata”, una nota di malinconia nella voce stanca.

Sono ancora fermi sulle scale, Ron svetta sul gradino più alto, in una posizione di vantaggio rispetto a Percy, ma è quest’ultimo ad avvicinarsi e a baciarlo.
E Ron ricambia, perché non c’è nient’altro che possa – o voglia – fare.

Il minore aveva scordato che tra loro c’era questa cosa, questo sapersi capire senza bisogno di spiegazioni, anche in situazioni strane, complesse. Sanno andare avanti, e non tornare indietro.
Il ricordo di lui bambino, sdraiato sul divano con Percy accanto, che lo culla e gli deposita piccoli baci sulle guance e sulla fronte gli affiora alla mente.

“Siamo sempre stati noi due”, dice Ron, tenendo lo sguardo basso, “solo noi due”.
“Lo so.”


*


L’aria è fresca il mattino successivo, e profuma di terra bagnata ed erba.
Percy è fermo sulla soglia, la spalla appoggiata allo stipite della porta che dà sul retro, quando Ron lo raggiunge.

Spero che quest’estate duri ancora tanto.”
Spero che quest’estate non finisca mai.





Fine.





Note conclusive:
Mi vien male a guardala lì, due spazi sopra, finita. Mi vien male a dirle addio, ma tant’è.
Già che ci sono, approfitto di questo spazio per qualche ringraziamento:

In cima a tutti ci sono Cialy ed Eowie, che si sono sobbarcate il lavoro di beta per tutti e sei capitoli. Probabilmente le ho fatte diventare pazze a furia di domande sulla congruenza, coerenza, sensatezza, realisticità, ICness dei personaggi, ecc…; ma loro sono state pazienti e mi hanno sempre rincuorata. Sono adorabili. ♥
Inoltre le voglio ringraziare anche per avermi sempre chiesto di finirla, quasi ad intervalli regolari, perchè sapevano quanto io ci tenessi e perchè volevano sinceramente vederla conclusa, riuscire ad arrivare alla fine di questo viaggio.

Poi, per bissare ciò che ho detto nella premessa, ringrazio coloro che hanno commentato la fic, quei commenti mi hanno fatto davvero piacere, lo devo anche a voi se ho deciso di concluderla. Ringrazio anche coloro che l’hanno semplicemente letta, messa nei preferiti e/o nelle storie seguite, perché è indubbio che faccia piacere anche questo, il solo sapere di essere letti, anche quando si ha in mano una coppia come questa, che è tutto tranne che comune, sdoganata. È qualcosa di unico ciò che mi avete dato, quindi grazie.


Arrivati alla fine, non posso che sperare di avervi lasciato qualcosa, e spero ricorderete la mia piccola Summer positivamente, con lo stesso amore che le porto io.


Grazie di essere arrivati fin qua.


   
 
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