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Autore: Deruchette    08/01/2021    3 recensioni
[La storia segue lo svolgersi degli eventi dall'epilogo di "Hunger Games" all'epilogo di "Mockingjay"]
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Katniss e Peeta, gli Innamorati Sventurati del Distretto 12, i vincitori della 74esima edizione degli Hunger Games.
La loro storia è sotto gli occhi di tutti ma solo in pochi sanno che, in realtà, si tratta solo di finzione. La mossa strategica che li ha portati via dall'arena è costretta a continuare anche adesso che il sipario inizia a calare sull'ultima edizione dei giochi.
E se ad un certo punto la finzione si trasformasse in realtà?
Cosa succederebbe se gli Innamorati Sventurati fossero realmente innamorati?
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Dal capitolo 6:
"È evidente, chiaro come il sole, che è tutto cambiato. Che il ragazzo che all’inizio di quest'avventura consideravo un semplice amico, un alleato, adesso è diventato qualcos’altro. Per settimane mi sono chiesta se non fosse sbagliato nei suoi confronti recitare la parte della brava fidanzatina conoscendo la reale portata dei suoi sentimenti, sapendo che io non provavo la stessa cosa. Non sarebbe tutto più semplice se ti amassi?, la domanda che ronzava costantemente nella mia testa.
Ora lo so. Non solo è più semplice, più normale. È diventato anche necessario. Necessario come l’aria che respiro."
Genere: Drammatico, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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In The Still Of The Night - 31

In the still of the night

 

 

 

31.

 

Trascorriamo tre giorni interi all’interno del rifugio/caverna, nell’attesa che l’attacco cessi definitivamente. Non è stato intenso, o costante: in tutto non avranno lanciato più di cinque missili, ma erano potenti. Potentissimi. Erano missili fabbricati apposta per raggiungere e danneggiare sotterranei e unità abitative come quelle del 13. Ecco perché i livelli superiori sono rimasti danneggiati… ma tutto il resto no. Il Distretto 13 è vastissimo. Per distruggere tutto, Capitol City avrebbe dovuto continuare l’attacco fino a terminare gli armamenti. Ma non lo ha fatto.
Ho trascorso questi tre giorni stando quasi tutto il tempo insieme a Prim e a Finnick. Sono stati tre giorni lunghi, carichi di attesa e di tensione. Tre giorni in cui il mio pensiero è stato fisso su Peeta e sulle parole che mi ha rivolto per dare l’allarme, che hanno iniziato ad assumere sempre di più la forma di un messaggio di addio. Avevo davanti agli occhi il suo volto ferito, e l’immagine dei Pacificatori che lo picchiavano per portarlo via dallo studio. Lo hanno picchiato ancora, dopo? Lo hanno torturato per ciò che ha detto? Lo hanno…
Nessuno ha saputo darmi nessuna certezza. Nessuno sapeva niente. I tre giorni nel rifugio sono stati pieni di attesa, e di domande senza risposta.
Il terzo giorno siamo di nuovo fuori.
La prima cosa che mi chiedono di fare, appena ho l’opportunità di uscire da quella sorta di stanzone claustrofobico, è raggiungere la Difesa Speciale, che si trova a livelli di profondità maggiori rispetto al Comando, dove andiamo di solito. Boggs scorta me, Finnick e Gale fino ad una stanza identica al Comando, già piena delle solite facce, alcune a me già note, altre invece sconosciute. Non mi sono mai presa realmente la briga di chiedere di chi si tratti.
- Abbiamo un enorme debito nei confronti di Peeta Mellark – dice la Coin, appena la porta si chiude dietro l’ultimo arrivato. – Ha corso un grosso rischio, avvertendoci, ed è qualcosa che non dimenticherò molto presto.
La Coin guarda verso di me, mentre fa il suo discorso, e annuisce appena col capo. Non ricambio, limitandomi a fissarla dritta negli occhi gialli.
- Adesso, però, dobbiamo rispondere. Vi voglio pronti per girare un nuovo Pass-Pro, in cui farete sapere all’intera Panem che Capitol City non è riuscita a scalfirci neanche questa volta. Siamo ancora vivi, operativi, e la Ghiandaia Imitatrice è qui con noi per dimostrarlo. Chiaro e forte!
- Più chiaro di così, si muore – commenta Gale, un sussurro solo per le mie orecchie.
- Seguite le indicazioni che vi dà Cressida, lei sa già tutto – continua la Coin.
- Gireremo in superficie – dice quest’ultima. – Faremo una bella panoramica dei danni che sono stati inflitti al 13 e sarete proprio voi a mostrarli al pubblico – indica me, Finnick e Gale.
- Anche loro saranno nel Pass-Pro? – chiedo, rimarcando l’ovvio.
- Panem conosce bene le vostre facce. Dovete esserci tutti e tre.
Dopo essere stati riforniti delle nostre armi, e dopo che Effie ha terminato di donare al mio viso un aspetto ed un colorito più sano grazie ai suoi cosmetici, siamo liberi di procedere. Risaliamo i tanti livelli che ancora ci separano dalla superficie attraverso scale ed ascensori, e passiamo attraverso una botola che Boggs ha aperto, spingendo con forza. Dobbiamo farci largo tra i cumuli di macerie e i ferri di sostegno che le bombe hanno fatto crollare, prima di vedere di nuovo la luce del sole e sentire il vento contro il viso.
È uno spettacolo desolante, quello che ci si pone davanti, ma non il peggiore che abbia mai visto fino ad ora. Temo di aver già visto fin troppi orrori nel corso della mia breve vita, ma finché questa guerra andrà avanti, anche gli orrori continueranno ad arrivare. Percorro lentamente, a piccoli passi, il bordo dell’enorme cratere che ho davanti, il massimo del danno che Capitol City è riuscita ad infliggerci durante questo round.
- Katniss, puoi anche restare qui. Gale, Finnick, voi spostatevi più in basso – dice Cressida, invitando i due ragazzi a scendere un po' all’interno del cratere. – Questo ci aiuterà a far capire l’entità del danno.
- Devo dire qualcosa?
- Quello che vuoi. Hai solo una battuta già scritta per te: “Il 13 è vivo e vegeto, come me”. Puoi inserirla nel discorso a tuo piacimento.
Stringo le labbra: non si sprecano di certo, ad inventare le battute. Se soltanto non sembrassero così forzate…
- C’è qualcosa, quaggiù! – urla Gale.
Scendiamo tutti fino al centro della fossa, dove si trova già lui; osserva un mucchietto di oggetti colorati, in netto contrasto col grigiore delle macerie. Verde, bianco, rosa e rosso si mischiano insieme, a formare uno strano cuscino. Quando sono abbastanza vicina da vedere meglio, mi rendo conto che ciò che ho scambiato per oggetti non sono altro che foglie, steli, e petali. Petali colorati.
Insieme alle bombe, sono arrivate anche le rose.
Come congelata, osservo il mazzo di rose che mi è stato consegnato – a chi altri potrebbero mandarle, qui? – ed il loro profumo dolciastro, artificiale, mi giunge alle narici. Questo profumo… l’ho già sentito. È lo stesso profumo che ho sentito in camera mia, l’ultima volta che ci sono stata. È lo stesso profumo delle rose che circondavano me e Peeta durante l’intervista del Tour della Vittoria insieme a Caesar.
È lo stesso profumo che ha addosso il presidente Snow.

Me le ha mandate lui, queste rose.
Deglutisco, mentre mi chino per prenderne una. Lo stelo è lungo, senza spine, ed il bocciolo socchiuso che vi è in cima è bianco. Bianco, come la rosa che Snow ha sempre all’occhiello della sua giaccia.
- Perché le rose? – chiede Gale.

Oh, Gale, non puoi saperlo. Come può? Non ho mai detto a nessuno della rosa in camera mia. Non ho mai detto a nessuno dello strano modo che ha il presidente di comunicare con me tramite le sue rose.
- Sono… sono per me – dico, deglutendo di nuovo.
Stringo il bocciolo nel pugno chiuso, e non mi importa se in questo modo non faccio altro che rovinarlo. Devo rovinarlo, così come il presidente Snow ha rovinato la mia vita. Mi ha portato via ciò che ho di più caro a questo mondo: la mia casa, la mia città, lei, Peeta…
Il fiato mi si mozza nei polmoni, pensando a Peeta. Riesco, finalmente, a scovare il messaggio che è nascosto tra le rose, messaggio che le lega a doppio filo con il mio fidanzato.
E capisco che non posso fare niente, niente, per lasciarlo vivere. Le mie azioni lo porteranno alla morte, se non è già successo. Può essere già successo, in questi tre giorni di bombardamenti e di isolamento.
- Ricorda, Katniss: “Il 13 è vivo e vegeto, come me” – ripete Cressida. Stanno per cominciare a girare. Non posso lasciarglielo fare.
- No – ansimo, scuotendo la testa. I petali della rosa che ho ancora tra le mani cominciano a cadere a terra, strappati dalle mie dita. – Non posso farlo.
- Certo che puoi. Sei brava, Katniss. Dai, è una sola battuta, poi ti lascio andare via.
- Non posso farlo – dico, un po' più forte ed in tono lamentoso. Lascio cadere la rosa ormai distrutta e porto le mani sulle orecchie, sulle tempie. Sento una voce, un suono, che mi rimbomba nella testa e non riesco a collegarlo a nulla che abbia già ascoltato in precedenza. – Non posso farlo, non posso farlo…
- Katniss? – mi chiama Gale.
- Katniss – questo, invece, deve essere Finnick. Non riesco a capirlo. Non riesco più a riconoscere le voci.
Mi accascio davanti al mazzo di rose e le fisso, con gli occhi sbarrati. Ho le guance bagnate. – Non posso farlo, lo ucciderà. Lo ucciderà – pigolo. Inizio a tremare.
- Ehi, Katniss – dice un’altra voce, più vicina rispetto alle altre. Le mani della persona a cui appartiene la voce mi accarezzano le spalle e la schiena, che sono diventate rigide. – Ehi, respira, dolcezza. Respira.
- Lo ucciderà. Lo ucciderà – continuo a ripetere.
- Che le succede?
- Ha un attacco di panico. Portate via quelle rose, subito!
- Ha paura di due stupide rose?
Le voci cominciano a mescolarsi tra di loro e diventano troppo veloci, troppo confuse da poterle seguire con chiarezza. Non riuscirei lo stesso a seguire nulla. Tutto ciò che sento, e tutto ciò che conta, è il messaggio che Snow ha voluto imprimere con chiarezza nella mia mente. Inviandomi quelle rose, ha voluto farmi capire le sue intenzioni. Ha voluto farmi sapere cosa accadrà se continuerò ad essere la Ghiandaia Imitatrice per i Ribelli del Distretto 13.

Continua così, e vedrai morire l’uomo che ami.

 

Haymitch mi ha fatta alzare e mi ha accompagnata tra le braccia calde e sicure di Effie, affinché mi scortasse di nuovo all’interno del Distretto 13. Non sarei stata in grado di effettuare alcuna ripresa, figurarsi di recitare qualche battuta, nello stato confusionale in cui mi aveva fatta scivolare l’attacco di panico. Non sarei stata di nessun aiuto per nessuno.
Sono sfuggita al suo abbraccio appena ho potuto. Sono corsa via, cercando rifugio in uno dei miei posti sicuri in cui isolarmi in pace. In cui poter soffrire in pace. Sono strisciata all’interno di un vecchio condotto dell’aria pieno di ragnatele e, una volta raggiunta la fine, mi ci sono rannicchiata, seppellendo il viso tra le ginocchia. Credo di esserci rimasta per ore, consumandomi gli occhi a forza di piangere e la voce, a causa dei singhiozzi troppo alti che la mia gola produceva. Ho ignorato i morsi della fame e la sete, che il pianto ha reso più intensa. Ho ignorato tutto, concentrandomi solo sulle rose. Quelle rose che erano state recise dalla pianta che le aveva prodotte, così come la vita di Peeta avrebbe potuto essere recisa dal suo corpo.
È buio, nel condotto, quindi non si riesce a distinguere bene lo scorrere del tempo qui dentro; da nessuna parte al 13 si riesce a distinguere lo scorrere del tempo, perché i livelli sono situati troppo in profondità per riuscire a vedere i raggi del sole. Sono gli orologi a darti le informazioni necessarie, ed io non ne ho uno qui con me. Quando una luce mi si avvicina, ho come l’impressione di vedere il sole sorgere, ma non è il sole, naturalmente. È solo Haymitch che mi si avvicina, col fiatone e con una torcia tra le mani.
- Davvero un bel posticino, dolcezza. Comodo – mi prende in giro, appena è abbastanza vicino da essere sicuro che possa sentirlo. – Cristo santo, sono troppo vecchio per mettermi a strisciare come un verme!
Dovrei ridere, vedendolo così conciato, ma sembra che io non sia più capace di riuscirci. Così rimango in silenzio e lo osservo mentre si siede sbuffando.
- Dovresti venire fuori da qui, Katniss. È quasi ora di cena, e mettere qualcosa sotto i denti non può farti altro che bene – tenta di convincermi.
- Non posso più farlo, Haymitch – dico, invece. – Non posso più essere la Ghiandaia Imitatrice.
Haymitch mi guarda, annuendo piano. – Lo so.
- Lo uccideranno se non smetto. Peeta potrebbe essere già… - non riesco a terminare la frase. Le mie labbra tremano, e sono costretta ad usare le mani per asciugare di nuovo le mie guance.
- Non è ancora morto, Katniss. Lo avremmo già saputo, altrimenti – sussurra, afferrandomi una mano. La stringe forte. – Stanno per liberarlo.
L’ultima frase che ha aggiunto mi fa sobbalzare e mi costringe ad incrociare i suoi occhi.
Annuisce. – Hai sentito bene. Hanno organizzato una squadra di recupero per lui e per gli altri vincitori. Cercheranno di salvare anche Annie e Johanna.
- Ma come-
- Le difese di Capitol City sono deboli, grazie al crollo della diga di pochi giorni fa, e la Coin ha deciso di approfittarne adesso che abbiamo un vantaggio da poter sfruttare. Sappiamo dove si trovano – il Centro di Addestramento – grazie ad alcuni infiltrati che Plutarch ha ancora all’interno, e li aiuteranno come possono cercando di non farsi scoprire. Le loro coperture potrebbero saltare, ma non abbiamo una chance più ottimale di questa. È l’occasione migliore per agire.
- Quando…
- Quando accadrà? Tra diverse ore, credo – continua Haymitch. – Bisogna contare il viaggio in hovercraft, e Capitol City non è poi così vicina. Dovranno agire in fretta e molte cose potrebbero andare storte, ma lo faranno lo stesso, Katniss. Proveranno a tirarli fuori di lì.
Ciò che Haymitch mi sta dicendo porta di nuovo un briciolo di speranza nel mio cuore pieno di amarezza.
- Voglio andare anche io! Voglio andare a Capitol City.
- No, dolcezza, tu non vai da nessuna parte – mi ammonisce. – Sei vulnerabile e troppo coinvolta per poter essere lucida. Ed è pericoloso. La Coin non vuole rischiare la tua incolumità per una missione di salvataggio. Ti troveremo qualcosa da fare mentre Boggs e gli altri agiranno.
- Chi sono gli altri?
Haymitch stira le labbra in un sorriso piatto.

 

Molto probabilmente, Haymitch è ancora impegnato a strisciare all’interno del condotto nel tentativo di uscirne fuori mentre io sono già all’Hangar, dove si sta riunendo la squadra di volontari che andrà nella capitale. Poco prima dell’alba: è l’orario che è stato stabilito per la partenza. Sarebbe facile, nascondersi da una parte ed attendere solo il momento giusto per sgattaiolare dentro l’hovercraft, ma sicuramente si aspettano qualcosa del genere da parte mia. Non mi lasceranno partire, e cercheranno di evitare qualsiasi mio sotterfugio.
Gale mi impedirà di partire.
Haymitch ha detto che è stato il primo a farsi avanti come volontario. Non posso credere a ciò che sta per fare. Non posso credere che stia cercando di mettere a repentaglio la sua vita per salvare quella di Peeta. Cercherà di salvare la vita del fidanzato della ragazza di cui è innamorato… e lo sta facendo per me. Per me, perché sa che morirei anche io, se Peeta perde la vita.
L’Hangar è enorme e non riesco ad orientarmi come si deve in mezzo ai velivoli, alle armi e ai soldati che vi girano intorno. C’era sempre qualcuno insieme a me quando dovevo prendere un hovercraft, e non mi sono mai dovuta preoccupare dell’orientamento in quelle occasioni. Adesso, invece, mi sto perdendo all’interno di un enorme labirinto. Quando vedo Boggs, però, sospiro di sollievo.
- Dov’è Gale? – gli chiedo appena lo raggiungo.
- Non dovresti essere qui, soldato – mi ammonisce in risposta.
- Dov’è? – ripeto.
Boggs alza gli occhi al cielo; anche lui ha finalmente imparato che sono una causa persa? Fa un cenno con la testa e mi indica la direzione da seguire, capendo che non mi toglierò di torno finché non avrò parlato con Gale. Lui lo trovo seduto su una cassa di metallo nero, intento a studiare il fucile di precisione di cui lo hanno rifornito. Alza la testa quando sente i miei passi, e sospira. Si alza in piedi.
- Non verrai con noi – dice subito, ma smette di protestare quando mi getto su di lui per abbracciarlo. Mi cinge la schiena con le braccia e seppellisce la faccia nei miei capelli.
Rischio di rimettermi a piangere, ma lotto con me stessa e con la mia forza di volontà che si è indebolita drasticamente nelle ultime settimane. Non voglio mostrare a Gale quanto tutto questo mi spaventi: nelle prossime ventiquattr’ore, o poco più, potrei ritrovarmi senza Peeta e senza Gale. Tutto potrebbe andare storto, ed io mi ritroverei a non avere più niente per cui vivere. Ho paura che possa accadere il peggio, come è successo fino ad oggi.
- Ti prego, non morire laggiù – dico in maniera stridula. La mia voce è l’unico punto in cui si riflette la mia paura.
- Te lo prometto, Catnip – mormora. Mi scocca un sonoro bacio tra i capelli. – Torneremo entrambi, sani e salvi.

 

Le parole di Gale sono come un’ancora per me, nel corso delle ore successive.
Cercare di dormire, di mangiare, di ignorare l’ansia e la paura è una vera e propria agonia. Mi sento elettrica e piena di stimoli, ma allo stesso tempo provo la sensazione di non voler fare nulla, di sedermi in un angolo ed aspettare nell’apatia che il resto del giorno passi in fretta. Vorrei che fosse già domani. Sarebbe bello avere il potere di far scorrere il tempo a proprio piacimento, in modo da gestirlo per evitare questi momenti morti.
Ed invece, i momenti morti li subisco tutti quanti, dal primo all’ultimo.
La mattina, almeno, è stata impegnata grazie a Finnick, che ha accettato di farsi riprendere mentre parla dei suoi trascorsi a Capitol City; Beetee userà poi le sue immagini come diversivo per quando giungerà il momento, per la squadra, di procedere.
Finnick ha vinto gli Hunger Games quando aveva soltanto 14 anni: è stato il campione più giovane in assoluto. Il più piccolo, in un mondo di pazzi. Pazzi che osannano la morte, che adorano vedere ragazzini della sua età, e anche più piccoli, massacrarsi a vicenda. La sua giovane età lo ha tenuto al sicuro per qualche anno, gli ha permesso di restare lontano dalle grinfie di coloro che bramano i vincitori come se fossero tesori preziosi, meri oggetti da sfoggiare… ma ha cominciato a crescere, a diventare più grande. Non puoi evitare di crescere, non puoi sperare che non succeda e restare, per sempre, piccolo come quello strano ragazzino delle favole1. E quando cresci, Capitol City ti costringe a fare ciò che vuole. Devi sottostare ai suoi ordini, se non vuoi veder morire chi ami.
Finnick è stato costretto a prostituirsi. Essere un giovane vincitore lo ha sottoposto alle mire di persone influenti e vuote, pericolose, che avrebbero pagato a peso d’oro trascorrere una notte intera, o anche solo un’ora, insieme a lui. E come se essere giovane e vincitore non bastasse già, c’era anche un altro fattore a pesare su di lui: la bellezza. Finnick è bello. A nessuno, in una città che vive di apparenze come Capitol City, poteva sfuggire la sua bellezza.
Finnick era costretto a farlo: non cercava i soldi, o la sussistenza. Non hai bisogno di sussistenza quando hai vinto gli Hunger Games, ne avrai più che a sufficienza per una vita intera. Forse anche due. Ha così cominciato ad usare un diverso tipo di pagamento per chi cercava la sua compagnia: un pagamento che non lascia tracce, come monete o ricevute, un pagamento che potresti solo dimenticare, alla più brutta delle ipotesi. Ma chi ti paga in segreti, non si aspetta di certo che tu li dimentichi dopo poche ore.
Finnick ha raccontato alle telecamere di Cressida tutti i segreti che ha accumulato negli ultimi otto anni. Segreti che farebbero cadere molte teste, che farebbero passare per criminale anche la persona più rispettabile di questo mondo. Molti di questi segreti riguardano persone che Plutarch conosce molto bene, stando a quanto ci ha mormorato a mezza bocca durante le riprese. E Finnick ha un sacco di roba da raccontare anche per quanto riguarda una persona in particolare. La persona che nell’ultimo anno, e negli ultimi mesi, ha infestato di continuo i miei incubi.
Il presidente Snow.
Un presidente che si è ritagliato una strada, lungo l’ascesa per il potere, uccidendo i suoi collaboratori più fidati e chi meritava più considerazioni e prestigio di lui. Li ha avvelenati tutti, strada facendo, ma si è avvelenato lui stesso per non destare sospetti. Le piaghe sanguinolente che ha in bocca, che non si rimargineranno mai, sono la conseguenza dell’abuso di questi veleni. Snow camuffa l’odore del sangue grazie alle rose dal profumo penetrante che hanno modificato geneticamente allo scopo e che porta sempre all’occhiello. Sono le stesse rose che ha inviato a me.
Beetee ci assicura che questi Pass-Pro distoglieranno completamente l’attenzione dalla missione di salvataggio: nessuno si perderebbe mai un vincitore che sparla di chi ha avuto l’opportunità di conoscere a Capitol City. Nessuno… neanche il presidente Snow.
Io e Finnick restiamo insieme a Beetee, alla Difesa Speciale, mentre si avvicina l’orario prefissato per l’azione e lo vediamo mentre interrompe a più riprese la normale programmazione televisiva. È un botta e risposta, una lotta all’ultimo spot. Va avanti così per ore, credo, anche se so che non è davvero trascorso tutto questo tempo per procedere al salvataggio. Gale e gli altri non avrebbero mai avuto ore a disposizione. Minuti, al massimo.
- Come facciamo a sapere se… - non riesco a completare la domanda che sto facendo a Beetee.
Lui, però, mi risponde ugualmente. – Lo sapremo solo quando torneranno. Non possiamo inviare messaggi per evitare che vengano scoperti.
Mancano ore, al loro ritorno. Altre ore di attesa. Attesa piatta, perché adesso non c’è altro da fare per ingannare il tempo.
Mi siedo insieme a Finnick sotto ad un albero, qui nella Difesa Speciale, e aspettiamo. Lui ha sempre la corda con sé, e continua ad annodare e ad annodare fino a che le sue mani non diventano rosse, e le dita non sono scorticate in più punti. Alla fine gli stringo una mano e lo obbligo a smettere.
Restiamo per il resto del pomeriggio e della sera all’interno della Difesa Speciale. Saltiamo la cena. Ogni tanto qualcuno viene a vedere se siamo ancora qui e ci informa sull’andamento della situazione: una volta è Haymitch, l’altra è Effie, oppure torna Beetee. Ma la risposta è sempre quella, identica ogni volta: nessuna novità.
Quando la sera avanza nella notte, Finnick si stende sotto all’albero ed inizia a sonnecchiare. Io gli resto seduta accanto, ma non lo imito. Non provo a dormire, anche se sono sveglia da molto più di ventiquattr’ore ed inizio a sentire i risultati dello stare ore intere senza riposo, senza dormire. Non voglio dormire. Voglio essere vigile e pronta per quando verranno ad avvertirci del loro ritorno.

Se, faranno ritorno.
L’alternativa è orribile e mi sforzo di scacciarla via dalla mente, ma sembra essere stata scritta sulla mia fronte con un inchiostro indelebile, perché non va via. Prendo la perla nella mano e la stringo, chiudendo gli occhi. Cerco di non pensare all’eventualità di un insuccesso. Cerco di pensare positivo. Cerco, come mi disse Peeta una volta, di provare a vedere il mondo con occhi e colori diversi. Provo a vedere rosa, per una volta… il rosa, quel rosa che ho visto addosso ad Effie centinaia di volte e che rappresenta il ritorno a casa di tutti quanti.
Sobbalzo quando la porta si apre. Entra Haymitch, e stavolta porta con sé notizie diverse. La risposta alla mia domanda muta è cambiata, finalmente.
- Sono tornati – dice. – Sono all’ospedale.
Ed il mio mondo si colora di un rosa pallido.

 

Haymitch si avvia verso l’ospedale, precedendoci, mentre io sveglio Finnick e cerco di convincerlo a seguirmi. Il suo sonnellino, sommato alla notizia del ritorno alla base della squadra, lo ha trasformato in una statua di sale. Non si muove, e non reagisce neanche quando gli dico che dobbiamo andare di sopra da Annie e Peeta.
- Andiamo, dai, Finnick – sussurro, scuotendolo piano. Gli prendo le mani e provo a tirarlo verso l’alto. – C’è Annie, di sopra. Annie ti sta aspettando.
Questo lo scuote un poco. Finnick si rimette in piedi in modo incerto ed inizia a camminare a passi lenti, il che è più che sufficiente rispetto all’immobilità di poco fa. Gli stringo forte una mano e adatto il mio passo al suo.
Impieghiamo un sacco di tempo per raggiungere l’ospedale a questo ritmo, il che rende più snervante l’attesa e l’ansia di conoscere l’esito di tutta l’operazione. Vorrei correre per raggiungere Haymitch, che ormai saprà già tutto di tutti, ma non posso abbandonare Finnick nello strano stato in cui si trova ora. Cerco, quindi, di non pensare ai minuti in più che mi separano dal rivedere Peeta e Gale. Il mio mondo di color rosa pallido deve restare rosa pallido. Non voglio che diventi di nuovo nero.
Le porte si spalancano, e noi entriamo nel caos più totale.
L’atrio principale dell’ospedale è stato trasformato in una sorta di sala per i soccorsi urgenti: ci sono medici che corrono in tutte le direzioni ed alcuni che, invece, sono fermi davanti a dei letti. Quando io e Finnick passiamo davanti al primo di questi, scopriamo che è occupato dal corpo magro e mortalmente pallido di una giovane donna. Sembra svenuta, ed ha la testa calva. Ma il viso, anche se scavato, ha un’aria estremamente familiare.
È Johanna.
- FINNICK! – urla una donna.
Il tempo di voltarmi e di vedere una ragazza dai lunghi capelli castani correre verso di noi, che la mano di Finnick non è più stretta nella mia. Lui corre incontro ad Annie e la prende al volo, letteralmente, quando lei gli salta addosso, circondandogli la vita con le gambe magre. Si stringono, si abbracciano, si guardano negli occhi. Si baciano. Tutto l’ospedale, tutto il Distretto 13 e tutto il mondo, all’infuori di loro due, non sembrano esistere più. Ci sono solo loro due: Annie e Finnick. Riuniti. Di nuovo insieme.
Rimango a guardarli come inebetita, sentendo una lacrima scendere sulla guancia. Sono felice per Finnick. Annie è viva, sembra stare bene, ed è di nuovo insieme a lui. Le settimane buie ed i giorni orribili che entrambi hanno trascorso non contano più niente, ormai. Nulla conta più.
La risata argentina di Annie mi fa riscuotere dalla mia immobilità e riprendo ad avanzare nella sala cercando di capire dove si trovi Peeta, in questo caotico viavai. Passo oltre il letto vuoto che Annie doveva aver occupato fino a un minuto fa e ne raggiungo un altro, sperando che sia quello che hanno assegnato a Peeta, ma c’è Gale steso su di esso. Un medico sta osservando la ferita sanguinante che ha sulla schiena; lui ha gli occhi stretti per il dolore e digrigna i denti.
- Gale – dico, avvicinandomi.
Gale apre gli occhi, anzi, li spalanca, appena sente la mia voce. – Katniss! Non dovresti essere qui – dice, alzando la propria. – Dovete farla allontanare da qui! – esclama a qualcuno dietro di me.
- Non vado via! – esclamo. – Dov’è Peeta?
- Fatela uscire!
- Gale! – urlo. Faccio per muovere un passo verso di lui ma un’infermiera mi scaccia via in malo modo, e nello stesso momento delle mani mi afferrano per le braccia e mi tirano all’indietro. – Ehi! Che fate? Lasciatemi!
- Andiamo, dolcezza, andiamo fuori di qui – mormora Haymitch. È lui che mi sta trascinando via.
- No! Devo andare da Peeta! Dov’è Peeta? – mi giro per guardare Haymitch e vedo che c’è mia madre, insieme a lui. Mia madre indossa un grembiule sporco di sangue. Il sangue mi fa rabbrividire. – Dov’è Peeta?
- È laggiù, Katniss – mi risponde lei. – Mi dispiace, tesoro, ma non puoi vederlo adesso…
- No! Devo andare da lui! Peeta! – urlo. Cerco di aggirare la presa di Haymitch ma lui mi riacchiappa subito, impedendomi qualsiasi altro tentativo di raggiungere la fine del corridoio. Sono solo pochi metri… perché non mi fanno fare quei maledetti pochi metri? Perché Finnick ha potuto vedere Annie subito, ed io invece non posso raggiungere Peeta? – Peeta!
- Katniss, guardami! – mi ordina Haymitch. E lo faccio. Ma quello che leggo nei suoi occhi non mi piace per niente. Haymitch ha assunto lo sguardo con cui si annunciano le brutte notizie.

 

 

 

 

_________________________

1 Lo strano ragazzino delle favole a cui si riferisce Katniss, come avrete sicuramente capito, è Peter Pan. A voi piace Peter Pan? Io lo trovo insopportabile – per non dire che mi sta sul cazzo sulle scatole.

 

Secondo voi quali sono queste brutte notizie?
Lo so, terminare un capitolo in questo modo è da infami, soprattutto se non si ha la possibilità di andare avanti subito per scoprire cosa è successo… però è divertente! Lasciarvi in sospeso è la cosa che adoro di più :D
Purtroppo devo comunicarvi che non so con esattezza quando arriverà il prossimo capitolo: siamo a gennaio – a proposito, buon anno! Me ne stavo dimenticando ^^’ -, e gennaio per noi poveri studenti sfigati significa che gli esami si avvicinano :( quindi potrebbe arrivare più tardi del solito… ma vi prometto che arriverà ;)

D.

   
 
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