In the still of the night
31.
Trascorriamo
tre giorni interi all’interno del rifugio/caverna, nell’attesa che l’attacco
cessi definitivamente. Non è stato intenso, o costante: in tutto non avranno
lanciato più di cinque missili, ma erano potenti. Potentissimi. Erano missili
fabbricati apposta per raggiungere e danneggiare sotterranei e unità abitative
come quelle del 13. Ecco perché i livelli superiori sono rimasti danneggiati…
ma tutto il resto no. Il Distretto 13 è vastissimo. Per distruggere tutto,
Capitol City avrebbe dovuto continuare l’attacco fino a terminare gli
armamenti. Ma non lo ha fatto.
Ho
trascorso questi tre giorni stando quasi tutto il tempo insieme a Prim e a
Finnick. Sono stati tre giorni lunghi, carichi di attesa e di tensione. Tre
giorni in cui il mio pensiero è stato fisso su Peeta e sulle parole che mi ha
rivolto per dare l’allarme, che hanno iniziato ad assumere sempre di più la
forma di un messaggio di addio. Avevo davanti agli occhi il suo volto ferito, e
l’immagine dei Pacificatori che lo picchiavano per portarlo via dallo studio.
Lo hanno picchiato ancora, dopo? Lo hanno torturato per ciò che ha detto? Lo
hanno…
Nessuno
ha saputo darmi nessuna certezza. Nessuno sapeva niente. I tre giorni nel
rifugio sono stati pieni di attesa, e di domande senza risposta.
Il
terzo giorno siamo di nuovo fuori.
La
prima cosa che mi chiedono di fare, appena ho l’opportunità di uscire da quella
sorta di stanzone claustrofobico, è raggiungere la Difesa Speciale, che si
trova a livelli di profondità maggiori rispetto al Comando, dove andiamo di
solito. Boggs scorta me, Finnick e Gale fino ad una stanza identica al Comando,
già piena delle solite facce, alcune a me già note, altre invece sconosciute.
Non mi sono mai presa realmente la briga di chiedere di chi si tratti.
-
Abbiamo un enorme debito nei confronti di Peeta Mellark – dice la Coin, appena
la porta si chiude dietro l’ultimo arrivato. – Ha corso un grosso rischio,
avvertendoci, ed è qualcosa che non dimenticherò molto presto.
La
Coin guarda verso di me, mentre fa il suo discorso, e annuisce appena col capo.
Non ricambio, limitandomi a fissarla dritta negli occhi gialli.
-
Adesso, però, dobbiamo rispondere. Vi voglio pronti per girare un nuovo
Pass-Pro, in cui farete sapere all’intera Panem che Capitol City non è riuscita
a scalfirci neanche questa volta. Siamo ancora vivi, operativi, e la Ghiandaia
Imitatrice è qui con noi per dimostrarlo. Chiaro e forte!
-
Più chiaro di così, si muore – commenta Gale, un sussurro solo per le
mie orecchie.
-
Seguite le indicazioni che vi dà Cressida, lei sa già tutto – continua la Coin.
-
Gireremo in superficie – dice quest’ultima. – Faremo una bella panoramica dei
danni che sono stati inflitti al 13 e sarete proprio voi a mostrarli al
pubblico – indica me, Finnick e Gale.
-
Anche loro saranno nel Pass-Pro? – chiedo, rimarcando l’ovvio.
-
Panem conosce bene le vostre facce. Dovete esserci tutti e tre.
Dopo
essere stati riforniti delle nostre armi, e dopo che Effie ha terminato di
donare al mio viso un aspetto ed un colorito più sano grazie ai suoi cosmetici,
siamo liberi di procedere. Risaliamo i tanti livelli che ancora ci separano
dalla superficie attraverso scale ed ascensori, e passiamo attraverso una
botola che Boggs ha aperto, spingendo con forza. Dobbiamo farci largo tra i
cumuli di macerie e i ferri di sostegno che le bombe hanno fatto crollare,
prima di vedere di nuovo la luce del sole e sentire il vento contro il viso.
È
uno spettacolo desolante, quello che ci si pone davanti, ma non il peggiore che
abbia mai visto fino ad ora. Temo di aver già visto fin troppi orrori nel corso
della mia breve vita, ma finché questa guerra andrà avanti, anche gli orrori
continueranno ad arrivare. Percorro lentamente, a piccoli passi, il bordo
dell’enorme cratere che ho davanti, il massimo del danno che Capitol City è
riuscita ad infliggerci durante questo round.
-
Katniss, puoi anche restare qui. Gale, Finnick, voi spostatevi più in basso –
dice Cressida, invitando i due ragazzi a scendere un po' all’interno del
cratere. – Questo ci aiuterà a far capire l’entità del danno.
-
Devo dire qualcosa?
-
Quello che vuoi. Hai solo una battuta già scritta per te: “Il 13 è vivo e
vegeto, come me”. Puoi inserirla nel discorso a tuo piacimento.
Stringo
le labbra: non si sprecano di certo, ad inventare le battute. Se soltanto non
sembrassero così forzate…
-
C’è qualcosa, quaggiù! – urla Gale.
Scendiamo
tutti fino al centro della fossa, dove si trova già lui; osserva un mucchietto
di oggetti colorati, in netto contrasto col grigiore delle macerie. Verde,
bianco, rosa e rosso si mischiano insieme, a formare uno strano cuscino. Quando
sono abbastanza vicina da vedere meglio, mi rendo conto che ciò che ho
scambiato per oggetti non sono altro che foglie, steli, e petali. Petali
colorati.
Insieme
alle bombe, sono arrivate anche le rose.
Come
congelata, osservo il mazzo di rose che mi è stato consegnato – a chi altri
potrebbero mandarle, qui? – ed il loro profumo dolciastro, artificiale, mi
giunge alle narici. Questo profumo… l’ho già sentito. È lo stesso
profumo che ho sentito in camera mia, l’ultima volta che ci sono stata. È lo
stesso profumo delle rose che circondavano me e Peeta durante l’intervista del
Tour della Vittoria insieme a Caesar.
È
lo stesso profumo che ha addosso il presidente Snow.
Me
le ha mandate lui, queste rose.
Deglutisco,
mentre mi chino per prenderne una. Lo stelo è lungo, senza spine, ed il
bocciolo socchiuso che vi è in cima è bianco. Bianco, come la rosa che Snow ha
sempre all’occhiello della sua giaccia.
-
Perché le rose? – chiede Gale.
Oh,
Gale, non puoi saperlo. Come può? Non ho mai detto a
nessuno della rosa in camera mia. Non ho mai detto a nessuno dello strano modo
che ha il presidente di comunicare con me tramite le sue rose.
-
Sono… sono per me – dico, deglutendo di nuovo.
Stringo
il bocciolo nel pugno chiuso, e non mi importa se in questo modo non faccio
altro che rovinarlo. Devo rovinarlo, così come il presidente Snow ha
rovinato la mia vita. Mi ha portato via ciò che ho di più caro a questo mondo:
la mia casa, la mia città, lei, Peeta…
Il
fiato mi si mozza nei polmoni, pensando a Peeta. Riesco, finalmente, a scovare
il messaggio che è nascosto tra le rose, messaggio che le lega a doppio filo
con il mio fidanzato.
E
capisco che non posso fare niente, niente, per lasciarlo vivere. Le mie
azioni lo porteranno alla morte, se non è già successo. Può essere già
successo, in questi tre giorni di bombardamenti e di isolamento.
-
Ricorda, Katniss: “Il 13 è vivo e vegeto, come me” – ripete Cressida. Stanno
per cominciare a girare. Non posso lasciarglielo fare.
-
No – ansimo, scuotendo la testa. I petali della rosa che ho ancora tra le mani
cominciano a cadere a terra, strappati dalle mie dita. – Non posso farlo.
-
Certo che puoi. Sei brava, Katniss. Dai, è una sola battuta, poi ti lascio
andare via.
-
Non posso farlo – dico, un po' più forte ed in tono lamentoso. Lascio cadere la
rosa ormai distrutta e porto le mani sulle orecchie, sulle tempie. Sento una
voce, un suono, che mi rimbomba nella testa e non riesco a collegarlo a nulla
che abbia già ascoltato in precedenza. – Non posso farlo, non posso farlo…
-
Katniss? – mi chiama Gale.
-
Katniss – questo, invece, deve essere Finnick. Non riesco a capirlo. Non riesco
più a riconoscere le voci.
Mi
accascio davanti al mazzo di rose e le fisso, con gli occhi sbarrati. Ho le
guance bagnate. – Non posso farlo, lo ucciderà. Lo ucciderà – pigolo. Inizio a
tremare.
-
Ehi, Katniss – dice un’altra voce, più vicina rispetto alle altre. Le mani
della persona a cui appartiene la voce mi accarezzano le spalle e la schiena, che
sono diventate rigide. – Ehi, respira, dolcezza. Respira.
-
Lo ucciderà. Lo ucciderà – continuo a ripetere.
-
Che le succede?
-
Ha un attacco di panico. Portate via quelle rose, subito!
-
Ha paura di due stupide rose?
Le
voci cominciano a mescolarsi tra di loro e diventano troppo veloci, troppo
confuse da poterle seguire con chiarezza. Non riuscirei lo stesso a seguire
nulla. Tutto ciò che sento, e tutto ciò che conta, è il messaggio che Snow ha
voluto imprimere con chiarezza nella mia mente. Inviandomi quelle rose, ha
voluto farmi capire le sue intenzioni. Ha voluto farmi sapere cosa accadrà se
continuerò ad essere la Ghiandaia Imitatrice per i Ribelli del Distretto 13.
Continua
così, e vedrai morire l’uomo che ami.
Haymitch
mi ha fatta alzare e mi ha accompagnata tra le braccia calde e sicure di Effie,
affinché mi scortasse di nuovo all’interno del Distretto 13. Non sarei stata in
grado di effettuare alcuna ripresa, figurarsi di recitare qualche battuta,
nello stato confusionale in cui mi aveva fatta scivolare l’attacco di panico.
Non sarei stata di nessun aiuto per nessuno.
Sono
sfuggita al suo abbraccio appena ho potuto. Sono corsa via, cercando rifugio in
uno dei miei posti sicuri in cui isolarmi in pace. In cui poter soffrire in
pace. Sono strisciata all’interno di un vecchio condotto dell’aria pieno di
ragnatele e, una volta raggiunta la fine, mi ci sono rannicchiata, seppellendo
il viso tra le ginocchia. Credo di esserci rimasta per ore, consumandomi gli
occhi a forza di piangere e la voce, a causa dei singhiozzi troppo alti che la
mia gola produceva. Ho ignorato i morsi della fame e la sete, che il pianto ha
reso più intensa. Ho ignorato tutto, concentrandomi solo sulle rose. Quelle
rose che erano state recise dalla pianta che le aveva prodotte, così come la
vita di Peeta avrebbe potuto essere recisa dal suo corpo.
È
buio, nel condotto, quindi non si riesce a distinguere bene lo scorrere del
tempo qui dentro; da nessuna parte al 13 si riesce a distinguere lo scorrere
del tempo, perché i livelli sono situati troppo in profondità per riuscire a
vedere i raggi del sole. Sono gli orologi a darti le informazioni necessarie,
ed io non ne ho uno qui con me. Quando una luce mi si avvicina, ho come
l’impressione di vedere il sole sorgere, ma non è il sole, naturalmente. È solo
Haymitch che mi si avvicina, col fiatone e con una torcia tra le mani.
-
Davvero un bel posticino, dolcezza. Comodo – mi prende in giro, appena è
abbastanza vicino da essere sicuro che possa sentirlo. – Cristo santo, sono
troppo vecchio per mettermi a strisciare come un verme!
Dovrei
ridere, vedendolo così conciato, ma sembra che io non sia più capace di
riuscirci. Così rimango in silenzio e lo osservo mentre si siede sbuffando.
-
Dovresti venire fuori da qui, Katniss. È quasi ora di cena, e mettere qualcosa
sotto i denti non può farti altro che bene – tenta di convincermi.
-
Non posso più farlo, Haymitch – dico, invece. – Non posso più essere la
Ghiandaia Imitatrice.
Haymitch
mi guarda, annuendo piano. – Lo so.
-
Lo uccideranno se non smetto. Peeta potrebbe essere già… - non riesco a
terminare la frase. Le mie labbra tremano, e sono costretta ad usare le mani
per asciugare di nuovo le mie guance.
-
Non è ancora morto, Katniss. Lo avremmo già saputo, altrimenti – sussurra,
afferrandomi una mano. La stringe forte. – Stanno per liberarlo.
L’ultima
frase che ha aggiunto mi fa sobbalzare e mi costringe ad incrociare i suoi
occhi.
Annuisce.
– Hai sentito bene. Hanno organizzato una squadra di recupero per lui e per gli
altri vincitori. Cercheranno di salvare anche Annie e Johanna.
-
Ma come-
-
Le difese di Capitol City sono deboli, grazie al crollo della diga di pochi
giorni fa, e la Coin ha deciso di approfittarne adesso che abbiamo un vantaggio
da poter sfruttare. Sappiamo dove si trovano – il Centro di Addestramento –
grazie ad alcuni infiltrati che Plutarch ha ancora all’interno, e li aiuteranno
come possono cercando di non farsi scoprire. Le loro coperture potrebbero
saltare, ma non abbiamo una chance più ottimale di questa. È l’occasione
migliore per agire.
-
Quando…
-
Quando accadrà? Tra diverse ore, credo – continua Haymitch. – Bisogna contare
il viaggio in hovercraft, e Capitol City non è poi così vicina. Dovranno agire
in fretta e molte cose potrebbero andare storte, ma lo faranno lo stesso,
Katniss. Proveranno a tirarli fuori di lì.
Ciò
che Haymitch mi sta dicendo porta di nuovo un briciolo di speranza nel mio
cuore pieno di amarezza.
-
Voglio andare anche io! Voglio andare a Capitol City.
-
No, dolcezza, tu non vai da nessuna parte – mi ammonisce. – Sei vulnerabile e
troppo coinvolta per poter essere lucida. Ed è pericoloso. La Coin non vuole
rischiare la tua incolumità per una missione di salvataggio. Ti troveremo
qualcosa da fare mentre Boggs e gli altri agiranno.
-
Chi sono gli altri?
Haymitch
stira le labbra in un sorriso piatto.
Molto
probabilmente, Haymitch è ancora impegnato a strisciare all’interno del
condotto nel tentativo di uscirne fuori mentre io sono già all’Hangar, dove si
sta riunendo la squadra di volontari che andrà nella capitale. Poco prima
dell’alba: è l’orario che è stato stabilito per la partenza. Sarebbe facile,
nascondersi da una parte ed attendere solo il momento giusto per sgattaiolare
dentro l’hovercraft, ma sicuramente si aspettano qualcosa del genere da parte mia.
Non mi lasceranno partire, e cercheranno di evitare qualsiasi mio sotterfugio.
Gale
mi impedirà di partire.
Haymitch
ha detto che è stato il primo a farsi avanti come volontario. Non posso credere
a ciò che sta per fare. Non posso credere che stia cercando di mettere a
repentaglio la sua vita per salvare quella di Peeta. Cercherà di salvare la
vita del fidanzato della ragazza di cui è innamorato… e lo sta facendo per
me. Per me, perché sa che morirei anche io, se Peeta perde la vita.
L’Hangar
è enorme e non riesco ad orientarmi come si deve in mezzo ai velivoli, alle
armi e ai soldati che vi girano intorno. C’era sempre qualcuno insieme a me
quando dovevo prendere un hovercraft, e non mi sono mai dovuta preoccupare
dell’orientamento in quelle occasioni. Adesso, invece, mi sto perdendo
all’interno di un enorme labirinto. Quando vedo Boggs, però, sospiro di
sollievo.
-
Dov’è Gale? – gli chiedo appena lo raggiungo.
-
Non dovresti essere qui, soldato – mi ammonisce in risposta.
-
Dov’è? – ripeto.
Boggs
alza gli occhi al cielo; anche lui ha finalmente imparato che sono una causa
persa? Fa un cenno con la testa e mi indica la direzione da seguire, capendo
che non mi toglierò di torno finché non avrò parlato con Gale. Lui lo trovo
seduto su una cassa di metallo nero, intento a studiare il fucile di precisione
di cui lo hanno rifornito. Alza la testa quando sente i miei passi, e sospira.
Si alza in piedi.
-
Non verrai con noi – dice subito, ma smette di protestare quando mi getto su di
lui per abbracciarlo. Mi cinge la schiena con le braccia e seppellisce la
faccia nei miei capelli.
Rischio
di rimettermi a piangere, ma lotto con me stessa e con la mia forza di volontà
che si è indebolita drasticamente nelle ultime settimane. Non voglio mostrare a
Gale quanto tutto questo mi spaventi: nelle prossime ventiquattr’ore, o poco
più, potrei ritrovarmi senza Peeta e senza Gale. Tutto potrebbe andare storto,
ed io mi ritroverei a non avere più niente per cui vivere. Ho paura che possa
accadere il peggio, come è successo fino ad oggi.
-
Ti prego, non morire laggiù – dico in maniera stridula. La mia voce è l’unico
punto in cui si riflette la mia paura.
-
Te lo prometto, Catnip – mormora. Mi scocca un sonoro bacio tra i capelli. –
Torneremo entrambi, sani e salvi.
Le
parole di Gale sono come un’ancora per me, nel corso delle ore successive.
Cercare
di dormire, di mangiare, di ignorare l’ansia e la paura è una vera e propria
agonia. Mi sento elettrica e piena di stimoli, ma allo stesso tempo provo la
sensazione di non voler fare nulla, di sedermi in un angolo ed aspettare nell’apatia
che il resto del giorno passi in fretta. Vorrei che fosse già domani. Sarebbe
bello avere il potere di far scorrere il tempo a proprio piacimento, in modo da
gestirlo per evitare questi momenti morti.
Ed
invece, i momenti morti li subisco tutti quanti, dal primo all’ultimo.
La
mattina, almeno, è stata impegnata grazie a Finnick, che ha accettato di farsi
riprendere mentre parla dei suoi trascorsi a Capitol City; Beetee userà poi le
sue immagini come diversivo per quando giungerà il momento, per la squadra, di
procedere.
Finnick
ha vinto gli Hunger Games quando aveva soltanto 14 anni: è stato il campione
più giovane in assoluto. Il più piccolo, in un mondo di pazzi. Pazzi che
osannano la morte, che adorano vedere ragazzini della sua età, e anche più
piccoli, massacrarsi a vicenda. La sua giovane età lo ha tenuto al sicuro per
qualche anno, gli ha permesso di restare lontano dalle grinfie di coloro che
bramano i vincitori come se fossero tesori preziosi, meri oggetti da sfoggiare…
ma ha cominciato a crescere, a diventare più grande. Non puoi evitare di
crescere, non puoi sperare che non succeda e restare, per sempre, piccolo come
quello strano ragazzino delle favole1. E quando cresci, Capitol City
ti costringe a fare ciò che vuole. Devi sottostare ai suoi ordini, se non vuoi veder
morire chi ami.
Finnick
è stato costretto a prostituirsi. Essere un giovane vincitore lo ha sottoposto
alle mire di persone influenti e vuote, pericolose, che avrebbero pagato a peso
d’oro trascorrere una notte intera, o anche solo un’ora, insieme a lui. E come
se essere giovane e vincitore non bastasse già, c’era anche un altro fattore a
pesare su di lui: la bellezza. Finnick è bello. A nessuno, in una città che
vive di apparenze come Capitol City, poteva sfuggire la sua bellezza.
Finnick
era costretto a farlo: non cercava i soldi, o la sussistenza. Non hai bisogno
di sussistenza quando hai vinto gli Hunger Games, ne avrai più che a
sufficienza per una vita intera. Forse anche due. Ha così cominciato ad usare
un diverso tipo di pagamento per chi cercava la sua compagnia: un pagamento che
non lascia tracce, come monete o ricevute, un pagamento che potresti solo
dimenticare, alla più brutta delle ipotesi. Ma chi ti paga in segreti, non si
aspetta di certo che tu li dimentichi dopo poche ore.
Finnick
ha raccontato alle telecamere di Cressida tutti i segreti che ha accumulato
negli ultimi otto anni. Segreti che farebbero cadere molte teste, che farebbero
passare per criminale anche la persona più rispettabile di questo mondo. Molti
di questi segreti riguardano persone che Plutarch conosce molto bene, stando a
quanto ci ha mormorato a mezza bocca durante le riprese. E Finnick ha un sacco
di roba da raccontare anche per quanto riguarda una persona in particolare. La
persona che nell’ultimo anno, e negli ultimi mesi, ha infestato di continuo i
miei incubi.
Il
presidente Snow.
Un
presidente che si è ritagliato una strada, lungo l’ascesa per il potere,
uccidendo i suoi collaboratori più fidati e chi meritava più considerazioni e
prestigio di lui. Li ha avvelenati tutti, strada facendo, ma si è avvelenato
lui stesso per non destare sospetti. Le piaghe sanguinolente che ha in bocca,
che non si rimargineranno mai, sono la conseguenza dell’abuso di questi veleni.
Snow camuffa l’odore del sangue grazie alle rose dal profumo penetrante che
hanno modificato geneticamente allo scopo e che porta sempre all’occhiello.
Sono le stesse rose che ha inviato a me.
Beetee
ci assicura che questi Pass-Pro distoglieranno completamente l’attenzione dalla
missione di salvataggio: nessuno si perderebbe mai un vincitore che sparla di
chi ha avuto l’opportunità di conoscere a Capitol City. Nessuno… neanche il
presidente Snow.
Io
e Finnick restiamo insieme a Beetee, alla Difesa Speciale, mentre si avvicina
l’orario prefissato per l’azione e lo vediamo mentre interrompe a più riprese
la normale programmazione televisiva. È un botta e risposta, una lotta
all’ultimo spot. Va avanti così per ore, credo, anche se so che non è davvero
trascorso tutto questo tempo per procedere al salvataggio. Gale e gli altri non
avrebbero mai avuto ore a disposizione. Minuti, al massimo.
-
Come facciamo a sapere se… - non riesco a completare la domanda che sto facendo
a Beetee.
Lui,
però, mi risponde ugualmente. – Lo sapremo solo quando torneranno. Non possiamo
inviare messaggi per evitare che vengano scoperti.
Mancano
ore, al loro ritorno. Altre ore di attesa. Attesa piatta, perché adesso non c’è
altro da fare per ingannare il tempo.
Mi
siedo insieme a Finnick sotto ad un albero, qui nella Difesa Speciale, e aspettiamo.
Lui ha sempre la corda con sé, e continua ad annodare e ad annodare fino a che
le sue mani non diventano rosse, e le dita non sono scorticate in più punti.
Alla fine gli stringo una mano e lo obbligo a smettere.
Restiamo
per il resto del pomeriggio e della sera all’interno della Difesa Speciale.
Saltiamo la cena. Ogni tanto qualcuno viene a vedere se siamo ancora qui e ci
informa sull’andamento della situazione: una volta è Haymitch, l’altra è Effie,
oppure torna Beetee. Ma la risposta è sempre quella, identica ogni volta: nessuna
novità.
Quando
la sera avanza nella notte, Finnick si stende sotto all’albero ed inizia a
sonnecchiare. Io gli resto seduta accanto, ma non lo imito. Non provo a
dormire, anche se sono sveglia da molto più di ventiquattr’ore ed inizio a
sentire i risultati dello stare ore intere senza riposo, senza dormire. Non
voglio dormire. Voglio essere vigile e pronta per quando verranno ad avvertirci
del loro ritorno.
Se,
faranno ritorno.
L’alternativa
è orribile e mi sforzo di scacciarla via dalla mente, ma sembra essere stata
scritta sulla mia fronte con un inchiostro indelebile, perché non va via.
Prendo la perla nella mano e la stringo, chiudendo gli occhi. Cerco di non
pensare all’eventualità di un insuccesso. Cerco di pensare positivo. Cerco,
come mi disse Peeta una volta, di provare a vedere il mondo con occhi e colori
diversi. Provo a vedere rosa, per una volta… il rosa, quel rosa che ho visto
addosso ad Effie centinaia di volte e che rappresenta il ritorno a casa di
tutti quanti.
Sobbalzo
quando la porta si apre. Entra Haymitch, e stavolta porta con sé notizie
diverse. La risposta alla mia domanda muta è cambiata, finalmente.
-
Sono tornati – dice. – Sono all’ospedale.
Ed
il mio mondo si colora di un rosa pallido.
Haymitch
si avvia verso l’ospedale, precedendoci, mentre io sveglio Finnick e cerco di
convincerlo a seguirmi. Il suo sonnellino, sommato alla notizia del ritorno alla
base della squadra, lo ha trasformato in una statua di sale. Non si muove, e
non reagisce neanche quando gli dico che dobbiamo andare di sopra da Annie e
Peeta.
-
Andiamo, dai, Finnick – sussurro, scuotendolo piano. Gli prendo le mani e provo
a tirarlo verso l’alto. – C’è Annie, di sopra. Annie ti sta aspettando.
Questo
lo scuote un poco. Finnick si rimette in piedi in modo incerto ed inizia a
camminare a passi lenti, il che è più che sufficiente rispetto all’immobilità
di poco fa. Gli stringo forte una mano e adatto il mio passo al suo.
Impieghiamo
un sacco di tempo per raggiungere l’ospedale a questo ritmo, il che rende più
snervante l’attesa e l’ansia di conoscere l’esito di tutta l’operazione. Vorrei
correre per raggiungere Haymitch, che ormai saprà già tutto di tutti, ma non
posso abbandonare Finnick nello strano stato in cui si trova ora. Cerco,
quindi, di non pensare ai minuti in più che mi separano dal rivedere Peeta e
Gale. Il mio mondo di color rosa pallido deve restare rosa pallido. Non voglio
che diventi di nuovo nero.
Le
porte si spalancano, e noi entriamo nel caos più totale.
L’atrio
principale dell’ospedale è stato trasformato in una sorta di sala per i
soccorsi urgenti: ci sono medici che corrono in tutte le direzioni ed alcuni che,
invece, sono fermi davanti a dei letti. Quando io e Finnick passiamo davanti al
primo di questi, scopriamo che è occupato dal corpo magro e mortalmente pallido
di una giovane donna. Sembra svenuta, ed ha la testa calva. Ma il viso, anche
se scavato, ha un’aria estremamente familiare.
È
Johanna.
-
FINNICK! – urla una donna.
Il
tempo di voltarmi e di vedere una ragazza dai lunghi capelli castani correre
verso di noi, che la mano di Finnick non è più stretta nella mia. Lui corre
incontro ad Annie e la prende al volo, letteralmente, quando lei gli salta
addosso, circondandogli la vita con le gambe magre. Si stringono, si
abbracciano, si guardano negli occhi. Si baciano. Tutto l’ospedale, tutto il
Distretto 13 e tutto il mondo, all’infuori di loro due, non sembrano esistere
più. Ci sono solo loro due: Annie e Finnick. Riuniti. Di nuovo insieme.
Rimango
a guardarli come inebetita, sentendo una lacrima scendere sulla guancia. Sono
felice per Finnick. Annie è viva, sembra stare bene, ed è di nuovo insieme a
lui. Le settimane buie ed i giorni orribili che entrambi hanno trascorso non
contano più niente, ormai. Nulla conta più.
La
risata argentina di Annie mi fa riscuotere dalla mia immobilità e riprendo ad
avanzare nella sala cercando di capire dove si trovi Peeta, in questo caotico
viavai. Passo oltre il letto vuoto che Annie doveva aver occupato fino a un
minuto fa e ne raggiungo un altro, sperando che sia quello che hanno assegnato
a Peeta, ma c’è Gale steso su di esso. Un medico sta osservando la ferita
sanguinante che ha sulla schiena; lui ha gli occhi stretti per il dolore e
digrigna i denti.
-
Gale – dico, avvicinandomi.
Gale
apre gli occhi, anzi, li spalanca, appena sente la mia voce. – Katniss! Non
dovresti essere qui – dice, alzando la propria. – Dovete farla allontanare da
qui! – esclama a qualcuno dietro di me.
-
Non vado via! – esclamo. – Dov’è Peeta?
-
Fatela uscire!
-
Gale! – urlo. Faccio per muovere un passo verso di lui ma un’infermiera mi
scaccia via in malo modo, e nello stesso momento delle mani mi afferrano per le
braccia e mi tirano all’indietro. – Ehi! Che fate? Lasciatemi!
-
Andiamo, dolcezza, andiamo fuori di qui – mormora Haymitch. È lui che mi sta
trascinando via.
-
No! Devo andare da Peeta! Dov’è Peeta? – mi giro per guardare Haymitch e
vedo che c’è mia madre, insieme a lui. Mia madre indossa un grembiule sporco di
sangue. Il sangue mi fa rabbrividire. – Dov’è Peeta?
-
È laggiù, Katniss – mi risponde lei. – Mi dispiace, tesoro, ma non puoi vederlo
adesso…
-
No! Devo andare da lui! Peeta! – urlo. Cerco di aggirare la presa di
Haymitch ma lui mi riacchiappa subito, impedendomi qualsiasi altro tentativo di
raggiungere la fine del corridoio. Sono solo pochi metri… perché non mi fanno
fare quei maledetti pochi metri? Perché Finnick ha potuto vedere Annie subito,
ed io invece non posso raggiungere Peeta? – Peeta!
-
Katniss, guardami! – mi ordina Haymitch. E lo faccio. Ma quello che leggo nei
suoi occhi non mi piace per niente. Haymitch ha assunto lo sguardo con cui si
annunciano le brutte notizie.
_________________________
1 Lo strano ragazzino delle favole
a cui si riferisce Katniss, come avrete sicuramente capito, è Peter Pan. A voi
piace Peter Pan? Io lo trovo insopportabile – per non dire che mi sta sul
cazzo sulle scatole.
Secondo voi quali sono queste brutte
notizie?
Lo so, terminare un capitolo in
questo modo è da infami, soprattutto se non si ha la possibilità di andare
avanti subito per scoprire cosa è successo… però è divertente! Lasciarvi in
sospeso è la cosa che adoro di più :D
Purtroppo devo comunicarvi che
non so con esattezza quando arriverà il prossimo capitolo: siamo a gennaio – a
proposito, buon anno! Me ne stavo dimenticando ^^’ -, e gennaio per noi poveri
studenti sfigati significa che gli esami si avvicinano :( quindi potrebbe
arrivare più tardi del solito… ma vi prometto che arriverà ;)
D.