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Autore: Ciuscream    09/01/2021    7 recensioni
Leggeva nel suo volto il terrore per quello che avrebbe potuto vedere, una volta che le bende fossero state rimosse. I segni inequivocabili, ineliminabili di un attacco brutale che ne aveva ridisegnato i connotati con la violenza cieca. Ma non aveva mutato altro ed era questo che lei voleva che sapesse: quell’amore candido e innocente era ancora lì, nello scintillio degli occhi chiari che frugavano nei suoi.
Di quando i segni sulla carne non arrivano a scalfire il cuore.
[Bill/Fleur]
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bill Weasley, Fleur Delacour | Coppie: Bill/Fleur
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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I segni del coraggio
 
"Dammi gli occhi tuoi
per seppellirli nel mio viso di rughe,
perchè dolce e incantevole io possa vedermi"

- Endre Ady


“Possiamo farlo fuori?” le domandò Bill con le pupille leggermente allargate dal terrore, evidenziate dal resto del viso ancora coperto da bende. Erano appena tornati da Hogwarts dopo l’attacco di Greyback e lui aveva nascosto a sé stesso, da allora, le condizioni definitive che avrebbe assunto il suo viso. Aveva soltanto saggiato coi polpastrelli le profonde insenature della sua carne, tanto frastagliata da non sentirla più propria. Quel sentimento di smarrimento era giunto a prenderlo così tante volte nelle ore disteso in infermeria, che era arrivato a pensare che quelle crepe nella sua pelle lasciassero trapelare la sua disperazione in modo più marcato, senza il filtro dell’epidermide a contrastarla.
Lei, da principio, non rispose. Si limitò ad osservarlo in tralice, interrogativa, mentre frugava all’interno del mantello a cercare un piccolo barattolo di unguento. Lo estrasse e lo strinse per un istante fra le dita, con talmente tanta veemenza da imbiancarsi le nocche, come se potesse sfogare la sua rabbia e il suo dolore su quel capro espiatorio inanimato. Si sbrigò poi a cacciarlo in una tasca esterna, lontano dagli occhi di Bill che ci erano capitolati sopra con apprensione.
Lasciò cadere l'oggettino nell’incavo della stoffa e poi sollevò la stessa mano, di nuovo libera, al viso bendato dell’uomo, alzandogli leggera il mento che lui aveva abbassato per sbirciare. Fissò le iridi sulle sue, su quegli occhi spalancati sull’ignoto e, semplicemente, annuì alla domanda di poco prima. Non sembrò ancora accennare a muoversi, però. Solo la mano già a mezz’aria proseguì a posargli una carezza leggera sul viso, a far frizionare il palmo contro la stoffa morbida, ed un sorriso le sorse a rabbonire i tratti rigidamente aggraziati. Esitò ancora un istante lì dov’era e poi abbassò di nuovo le dita, rapidamente, a cercare la sue. Le strinse, strofinandole leggere tra di loro, scaldandole.
Quelle di Bill erano sempre, perennemente, gelide. Lei se ne lamentava di continuo, piagnucolosa e giocosa insieme, mentre lui le frugava addosso carezze più o meno pudiche. Lui si limitava ad alzare le spalle e a ripetere quello che era ormai per loro un leitmotiv, un motto: “Mani fredde, cuore caldo, amore mio”. E lei rideva, rideva ogni volta, e poi gli posava le dita affusolate e curate sul cuore, come ad accertarsi che fosse vero. Lo fece anche stavolta, seguendo quel loro piccolo rito. Solo che la mano che adesso aveva portato al suo petto, si era trascinata dietro anche quella dell’uomo. Abbassò il viso a posare su questa un bacio leggero, sulle dita, tra le dita.
Proseguì a non parlare ma nello sguardo che ancora gli posava addosso c’era la più limpida delle dichiarazioni di intenti. Leggeva nel suo volto il terrore per quello che avrebbe potuto vedere, una volta che le bende fossero state rimosse. I segni inequivocabili, ineliminabili di un attacco brutale che ne aveva ridisegnato i connotati con la violenza cieca. Ma non aveva mutato altro ed era questo che lei voleva che sapesse: quell’amore candido e innocente era ancora lì, nello scintillio degli occhi chiari che frugavano nei suoi.
Fece lui per muoversi. Il gesto fu talmente repentino che lei se ne sorprese appena. Ne colse la paura nel rifiuto di proseguire quel contatto visivo, nel modo in cui le si era allontanato rapido, quasi volesse allontanare – con il suo corpo – anche il pensiero che quella splendida donna che aveva di fronte, di lì a poco, si sarebbe resa conto di non poter avere vicino un uomo tanto sfigurato, così diverso e segnato da quello di cui si era innamorata.
Lei sembrò cogliere quella confessione muta. Scosse il capo e gli si avvicinò. Lo strinse con il braccio libero e appoggiò la testa sulla sua spalla, frusciandogli qualche parola leggera all’orecchio. Il francese le salì alle labbra come un attestato di verità, una verità non filtrata nemmeno dalla traduzione che avrebbe dovuto compiere. “Mon amour...” abbozzò, le dita che si arpionavano più strette alle sue, le labbra che si posarono piano sulla prima di porzione di pelle libera che le capitò a tiro. “Je t'aimerai toujours”. Sentiva il cuore di Bill al di sotto del mantello, martellante di impazienza e paura, che rallentò appena il suo sferragliare impazzito.
Rimase ancora lì, per un istante, e poi si allontanò da lui quel poco sufficiente a permetterle di camminare.
“Dai, amour, andiamo fuori”.

La giornata che li attendeva fuori da Shell Cottage era limpida; l’aria mossa da un vento leggero li investiva con delicatezza, facendo frusciare all’indietro i capelli lunghi di entrambi. C’era un odore forte di lavanda, un odore familiare che per loro significava, irrimediabilmente, casa.
Il cuore di Bill parve tornare a picchiare un po’ più forte. Osservò Fleur nella sfavillante bellezza che era solita irradiare, coi capelli argentei e il sorriso illuminati dai raggi di un sole non troppo caldo. Il suo vestito azzurro svolazzava, schiacciandosi contro il suo corpo, avvolgendola con pudore. Ne saggiava la figura con ammirata attenzione, la stessa che era solito riservarle da quando per la prima volta l’aveva vista davvero.
E, all’improvviso, ricordò una sera di qualche tempo prima: loro erano lì, ancora spettinati dal vento, immersi nell’odore di salsedine e lavanda. Lui l’aveva bendata e l’aveva fatta scendere con attenzione i pochi gradini che separavano l’ingresso dall’insieme di erba, ghiaia e sabbia che stava proprio davanti casa. Aveva preparato una piccola tavola apparecchiata con cura, quella che sapeva che lei avrebbe amato. La tovaglia era candida, intervallata qua e là solo dall’ombra di qualche candela fluttuante a mezz’aria. In dei vasetti di marmellata, fiori dai colori tenui sbucavano e screziavano lo scudo bianco del tavolo. Appoggiata ad una bottiglia di vino francese, c’era una loro foto animata, i cui visi erano nascosti o illuminati a seconda di come il vento faceva danzare le fiamme delle candele. Era stata fatta con un autoscatto ed era la loro prima foto insieme. Ne avevano sempre riso: una Fleur, da sola, incitava un ancora invisibile Bill. Lui, dopo aver evidentemente sistemato male la tempistica, la raggiungeva in tutta fretta, posandole un bacio leggero sulle labbra. Erano felici, come lo erano al momento di quella cena.
Una piccola morsa si attorcigliò intorno allo stomaco di Bill. Lo sarebbero stati ancora?

“William?” Lo chiamò lei, ridestandolo dal momento di vacuità in cui dovevano essersi persi i suoi occhi, immersi in quel ricordo. Lui alzò lo sguardo e lo trascinò di nuovo a lei. Non disse altro, annuì appena ed estrasse la bacchetta.
Fece comparire dal nulla una sedia di legno che ricordava, terribilmente, una di quelle della cucina della Tana. Aveva bisogno di avere anche loro, lì. Aveva bisogno di sentirsi sulle spalle il braccio confortante di suo padre e sua madre, tutte quelle paia di occhi così simili ai propri che lo avrebbero fissato con affetto e un po’ di scherno. Si figurò Fred e George, pronti a snocciolare qualche battuta sul suo aspetto. Forse qualcosa su un circo di menomati che lui e George avrebbero potuto mettere su. Percy, serio e solenne, avrebbe osservato le sue cicatrici cercando di reprimere la paura per quella sorte, che lo avrebbe atterrito se fosse toccata a lui. Ginny intimorita ed orgogliosa assieme, con la stessa espressione con cui aveva fissato tutte le ustioni di Charlie. Ron avrebbe sorriso e basta, Charlie avrebbe compreso senza sforzo.
Si abbandonò sulla sedia con un ultimo, finale, sospiro e si trascinò dietro Fleur. Lei scese a posargli un piccolo bacio sulla fronte, lasciando per la prima volta la presa dalla sua mano.
Prese a sciogliere l’intreccio di bende che lo nascondeva. Ad ogni giro intorno al suo viso, frammenti di carne lacerata comparivano alla vista, scintillanti sotto i raggi del sole, impossibili da celare in alcun modo. Lei non se ne curò minimamente. Continuò il suo lavoro con metodica attenzione, leggera, fino a che il viso di Bill non fu totalmente libero da ogni protezione, nudo di fronte a lei e allo spettacolo del mare.
Aveva abbassato le palpebre. Per non spiare forse l’espressione che aveva paura di scorgerle sul viso, quasi dimentico che lei aveva già visto quelle cicatrici quando erano ancora più brutali, allagate di sangue. Ed era stata lei, appena dopo sua madre, a cospargerle dell’unguento che ancora ora aveva in tasca. Ma non riusciva a districarsi dalla testa un pensiero: lì, nell’emergenza, nella paura di perderlo, avrebbe trovato impossibile andarsene, ne era certo. Ma ora, ora che la situazione era più quieta, la sua famiglia lontana, ora che avrebbe visto per davvero la sua eterna condizione, poteva essere di tutt’altro avviso.

“William?” lo richiamò di nuovo con il suo nome per intero, quasi facesse le prove generali per le loro nozze. Lui alzò a fatica le palpebre, riluttante, e un raggio di sole lo colpì in pieno. Non se ne dispiacque, visto che poteva approfittare ancora di qualche secondo per tenere le palpebre semichiuse, lontane dal viso di lei.
La ragazza, come pochi minuti prima, colse quelle paure taciute. E con un identico movimento, le dita sotto il suo mento, trascinò il viso di Bill a volgersi verso il proprio, gli occhi ad incocciare i suoi.
“Fleur…” iniziò a mugugnare lui ma lei lo interruppe, le dita così vicine alla sua bocca che ci si poggiarono sopra. La mano libera estrasse la bacchetta e fece comparire, con un movimento leggero, uno specchio. Glielo porse con delicatezza. Lui allungò la mano, titubante. La lasciò per un secondo a mezz’aria prima di afferrarlo. Prese un altro, profondo, respiro e poi si specchiò.
Vide il suo viso: gli occhi, il naso, erano gli stessi. I lunghi capelli rossi, marchio di famiglia, erano posati mollemente sulle sue spalle, leggermente scompigliati dal vento. La piccola fossetta che aveva nel mento era rimasta lì a bucarlo con delicatezza.
Indugiò più del necessario su quei connotati rimasti identici. E poi si costrinse a fissare anche lì dove aveva più paura di posare gli occhi: profonde cicatrici si alzavano e abbassavano la sua pelle, squarci che ne aprivano la carne tradendo tutta la violenza che li aveva provocati.
Un brivido di terrore lo attraversò, fugace. Poi, quasi involontariamente, il pensiero volò a Moody, al suo viso sfigurato, a quelle tante cicatrici che ricordavano altettante battaglie. Ricordò l’ammirazione che provava verso quell’imperitura memoria di una lotta contro l’oscuro. Non c’era sdegno o paura o disgusto, mentre fissava il viso di quell’uomo valoroso. Perché doveva destinare a sé stesso, allora, quel trattamento?
Fleur si avvicinò a lui ed interruppe quel pensiero. Lui fissava ancora il riflesso nello specchio: alla sua immagine solitaria si aggiunse quella del viso di lei, che comparve a posargli un bacio leggero sulle labbra. Una riproduzione involontaria e inversa della loro prima fotografia.
Posò la testa sulla sua spalla, chinandosi ad abbracciarlo da dietro, entrambi i loro visi riflessi nello specchio. Gli parlò così, con gli occhi fissi in quelli riflessi di lui, a tamponare con la propria guancia quella sfigurata. Lui osservò quel viso splendido e perfetto che gli posava accanto, adesso così tanto contrastante con la battaglia che si era consumata sul suo. Fece per riprendere a parlare ma lei scosse debolmente il capo, intuendo ancora una volta le sue parole. E schiuse le labbra, frusciando fuori suoni leggeri.
“Guardaci, amore.” Sussurrò, le mani strette attorno a lui, congiunte di fronte al suo petto, proprio sopra quel cuore che non smetteva di martellare.
“Ti ricordi la sera che abbiamo cenato qua fuori?” Gli domandò, posandogli un piccolo e veloce bacio sul collo. Lui annuì debolmente.
“Ho visto una stella cadente, mi hai chiesto di esprimere un desiderio”. L’accento francese era sempre più marcato man mano che la voce le si rompeva di emozione. Gli occhi riflessi erano appena appena più arrossati e liquidi.
Sciolse l’abbraccio con cui lo stringeva e gli sgusciò di lato. Gli sfilò piano lo specchio dalle mani, appoggiandolo a terra con delicatezza e facendo lo stesso con le sue ginocchia, così da poterlo fissare in viso con il suo leggermente più in basso. Andò a cercare le sue mani e le strinse fra le proprie – gelo contro fuoco, in quel contrasto solito.
“Ti ho detto che non potevo dirti cosa avevo chiesto, sennò non si sarebbe avverato”. Sorrise appena di quella credenza infantile mentre tornava a carezzargli il viso. Era stato così. Aveva mantenuto il segreto, nonostante lui – qualche ora più tardi – mentre facevano l’amore sudati, sfiniti, impazziti di desiderio, avesse tentato di estorcerglielo di nuovo.
“Posso dirtelo adesso, però. Sono sicura che si avvererà comunque”. Fissava i segni nella sua carne, i segni del coraggio dell’uomo che aveva amato dal primo momento e con cui adesso condivideva il letto, la casa, la vita. Ne scorse la mortalità a cui non aveva mai realmente pensato, nonostante la guerra contro l’oscuro premesse da ogni lato sulla loro vita. Shell Cottage era il loro rifugio dalla paura, dalla possibilità di perdersi, dalla morte e dal dolore. Ma adesso quello li aveva raggiunti anche lì, si era fissato indelebile su di lui, si sarebbe insinuato nel suo letto. Ma non si sarebbe mai incuneato tra di loro.
Lasciò che lui strofinasse piano la guancia nel suo palmo, gli occhi asciutti in quelli annacquati di lei. Si issò più avanti per andare a cozzare la fronte contro la sua e lasciando una scia di baci leggeri sopra le cicatrici. Si rese conto di amarle tanto quanto amava il coraggioso uomo a cui erano toccate in sorte. Il coraggioso e valoroso uomo che sarebbe presto diventato suo marito, avverando finalmente il suo desiderio.
“Ho chiesto te. Tutta la vita”

 
 

Nda: non sono pienamente soddisfatta di come ho delineato questo momento che ho immaginato così profondo e doloroso. Forse non sono stata in grado di descriverlo appieno, come avrei dovuto (e voluto). Ma mi piaceva l'idea di raccontarmi e raccontarvi questa storia, quindi eccola qui.
“Il segno del coraggio” è l’espressione usata nella saga dalla stessa Fleur e ho voluto riportarla fedelmente.
   
 
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