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Autore: inzaghina    11/01/2021    9 recensioni
La vita è quello che ti accade mentre sei occupato a fare altri progetti.
Lucas e Sophie lo hanno imparato una sera d'ottobre, quando le loro esistenze sono state sconvolte da un terribile incidente.
Accettare di essere sopravvissuti e venire a patto con le persone che hanno perso non sarà semplice, si tratterà piuttosto di un lungo processo, che lascerà delle cicatrici - che si rimargineranno solo con l'aiuto dei loro amici e delle loro famiglie.
[Il prologo di questa storia partecipa al contest "Chi ben comincia è a metà del prologo" indetto da BessieB sul forum di EFP]
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Brooklyn Tales'
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Come argomento principale del primo capitolo ho scelto il prompt: 8. Kidfic Riley Gutierrez (5) e Michael Sanders (9).
 

 
 
Capitolo 1 — Il fragore dei sogni infranti

 
 
 
Riesce a percepirlo, il momento in cui il mondo gli crolla addosso, un attimo prima sta ridendo di una stupida battuta di Jake e quello dopo percepisce una folata d’aria fredda causata dalla porta che si spalanca e intravede Riley correre affannata verso di lui — perfino nel buio rischiarato solo sporadicamente riconosce il terrore nelle sue iridi cangianti. Sente il pavimento mancargli sotto ai piedi, quasi come se si fosse aperta una voragine, e sa semplicemente guardandola negli occhi che è successo qualcosa di brutto.
“Mike, c’è stato un… un incidente…”
I suoi pensieri corrono subito alla sorella, mentre si affanna a rintracciare la sua chioma bionda nella palestra affollata e si rende conto che è già da un po’ che non la vede.  Scuote la testa, deciso a non voler scoprire cosa Riley gli voglia dire e corre deciso verso il parcheggio, tallonato da lei e Jake.
“Riley, ma che succede?” sente la domanda di Jake, a pochi passi da lui.
“Un suv ha centrato la macchina di Oliver… con lui c’erano Sophie, Maddy e Lucas,” mormora a mezza voce Riley.
Quando Mike intravede ciò che resta della berlina di Oliver, attorniata dal personale di soccorso e illuminata dai lampeggianti rossi e blu, si accascia al suolo: la sua vista si appanna e sente le lacrime solcargli inesorabili le guance. La mano di Riley si posa sulla sua spalla, ma Mike non se ne rende nemmeno conto, così come non s’accorge di Jake che lo solleva di peso, aiutato da altri compagni della squadra di basket, e di come il gruppo lo stia accompagnando verso la scena dall’incidente.
“Ragazzi, meglio che stiate lontani da qui,” consiglia loro un vigile del fuoco, appena giunto sul posto con la sua squadra.
Jake è il primo ad accorgersene e dà di gomito a Riley, prima di avvicinarsi all’accorrente Alexander Evans e comunicargli ciò che ogni genitore teme di dover sentire nel corso della propria vita.
“Jake, hey… meglio se state in disparte,” gli dice il padre di Lucas, indossando l’elmetto.
“Signor Evans, non so come… insomma, io… ecco…” Jake si passa le dita tra i capelli, frustrato dalla propria mancanza di coraggio.
“Che succede?” Alexander si ferma e scruta impazientemente l’amico del figlio maggiore.
“Lucas è in quella macchina,” sussurra alla fine il ragazzo, tirando su rumorosamente con il naso e accennando vagamente al metallo accartocciato.
Alexander non tergiversa oltre, corre verso la propria squadra e illustra loro la situazione, il suo tono di voce è talmente fermo che nessuno dei suoi colleghi pensa nemmeno per un attimo di proporre che lui non partecipi all’operazione di salvataggio.
 
*
 
Mike non ricorda il viaggio verso l’ospedale, eppure è già seduto su quella scomoda sedia da un po’, non rammenta nemmeno l’arrivo dei genitori, che sono stati avvisati da Riley, né il momento in cui il medico che ha in carico sua sorella è uscito per parlare con loro. Alla sua sinistra sa che ci sono i suoi genitori, seduti accanto a quelli di Lucas, e si ritrova a pregare un Dio in cui non è nemmeno sicuro di credere che almeno loro non ricevano la notizia che ha straziato di dolore quelli di Oliver e Maddy. Stenta a credere che loro non ci siano più: non gli pare possibile che non vedrà più Maddy entrare di corsa in casa sua alla ricerca di Sophie, o che non passerà più la palla a Oliver e lo guarderà andare a canestro. Avevano entrambi tutta la vita davanti, ma ciò che rimane ora è solamente il ricordo dei loro sogni infranti, spezzatisi in un fragore assordante di metallo accartocciato, e di tutto quello che avrebbero potuto diventare e che non saranno mai. Si sente soffocare nella stanza illuminata artificialmente, quasi come se le pareti di quel bianco asettico e accecante si stessero avvicinando sempre di più — pronte a fagocitarlo. C’è troppo silenzio, Mike è in grado di percepire il battito martellante del proprio cuore e ciò gli ricorda che, forse, quello della sua sorellina invece non sta battendo spontaneamente ed è un pensiero così atroce che capisce che deve andarsene da lì, perché non può resistere un solo minuto di più. Si alza e s’incammina lungo il corridoio, prima lentamente e poi sempre più velocemente, fino a che non raggiunge l’uscita e inizia a correre per raggiungere il parchetto distante pochi passi e accasciarsi su un’altalena. Il rumore dei suoi pensieri sembra infastidirlo meno, il cielo che lo sovrasta lo fa sentire minuscolo e Mike sospira, dondolandosi con lentezza.
“Sapevo che ti avrei trovato qui,” mormora Riley, sedendosi sull’altra altalena.
“Non potevo resistere là dentro un minuto di più…”
“Non sei solo, Mike,” gli rammenta Riley, sfiorandogli il braccio.
Mike sceglie di non rispondere e di non sollevare lo sguardo dal terreno, consapevole che crollerebbe se incontrasse lo sguardo imbrattato di pietà dell’amica. Riley non se la prende, lo conosce da tutta la vita, e può solo immaginare tutto quello che gli sta passando per la testa in quell’istante.
“Ti ricordi la prima volta che ci siamo incontrati?”
Mike annuisce, continuando a rimanere in silenzio.
“Mi ero appena trasferita qui dalla Florida ed ero fermamente convinta che i miei genitori mi avessero rovinato la vita,” prosegue Riley, “poi ho notato te e tua sorella giocare con la canna dell’acqua in giardino e ho pensato che magari potevo essermi sbagliata...”
Mike ricorda chiaramente il giorno di cui Riley sta parlando: aveva visto il camion dei traslochi arrivare di buon mattino e aveva sperato che nella casa di fronte alla loro sarebbe arrivata una famiglia con un bambino che avrebbe giocato a basket con lui e quando Riley era scesa dalla station wagon di famiglia era rimasto piuttosto deluso.
 
“Soph, guarda… i nuovi vicini!” esclama Mike, indicando l’auto blu che ha appena parcheggiato nel vialetto della casa di fronte alla loro.
La sorella di quattro anni lo raggiunge correndo e prende posto accanto a lui davanti alla finestra del salotto.
“Speriamo che ci siano dei bambini,” commenta Sophie.
“Speriamo…” ribatte Mike, osservando la porta posteriore che viene aperta da una donna ispanica che indossa jeans e una maglietta colorata.
Pochi attimi dopo, una bambina dai riccioli scuri e ribelli scende dall’auto facendo sorridere la piccola di casa Sanders. “Una nuova amichetta!”
“Uffa, un’altra femmina,” borbotta infastidito Mike.
“Bambini, che state guardando?” chiede Benjamin, avvicinandosi ai figli.
“I nuovi vicini,” risponde Mike.
“Ah, sono arrivati?”
“Già e hanno una figlia…” ribatte annoiato il primogenito.
“Ma noi non dovevamo andare in giardino a giocare?” domanda loro il padre, ricevendo due sorrisi entusiasti in risposta.
“Sì!”
“Andiamo, prima che mamma ci fermi,” ridacchia Benjamin, conducendoli fuori.
Le risate e le grida della famiglia Sanders riempiono il vicinato e, quando sono raggiunti dalla madre Abigail, Sophie cerca rifugio tra le gambe della donna per sfuggire al fratello maggiore che imbraccia la canna con espressione risoluta.
“Salvami, mamma!”
“Già, salvala,” ridacchia Ben, abbracciando la moglie con i vestiti fradici.
Abigail scuote la testa, perdendosi a guardare i figli spruzzarsi e rincorrersi nell’erba, “non è molto ecologico, lo sai?”
“Dovevamo comunque bagnare il giardino…” le fa notare il marito, posandole un bacio sulle labbra.
“Mhmm… hai sempre la risposta pronta, tu?”
“Sono pur sempre un avvocato,” dichiara lui, strizzandole l’occhio.
Solo in quel momento si rendono conto che, immobile dall’altro lato della strada, la figlia dei nuovi vicini li scruta con attenzione; Ben si avvicina quindi ai figli e indica loro la bambina, spronando i due a raggiungerla.
“Ciao, io sono Michael, ma tutti mi chiamano Mike,” esordisce Mike, spostandosi i ciuffi di capelli biondi bagnati dagli occhi.
“E io sono Sophie,” aggiunge la sorella, indirizzando alla sconosciuta un sorriso.
“Io mi chiamo Riley,” bofonchia la piccola in risposta.
“Quanti anni hai?” chiede Mike.
“Quasi sei.”
“Mio fratello ne ha già sei!” esclama Sophie, indicandolo.
“Da dove vieni?” s’informa Mike.
“Florida,” ribatte la nuova arrivata.
“Noi siamo stati a Disneyworld,” commenta Sophie.
Riley scrolla le spalle.
“Vuoi giocare con noi?” propone quindi Mike, stranamente attirato dai silenzi della nuova arrivata.
“Forse, ma devo chiedere a mia mamma…”
“Vai, noi ti aspettiamo qui,” insiste Mike.
Riley s’affaccia in casa e individua la madre in cucina, intenta ad aprire uno dei numerosi scatoloni.
“Tesoro, allora? Che ne pensi della casa?”
“Sembra bella,” risponde neutrale, per poi prendere un sospiro, “i vicini mi hanno invitata a giocare con loro… posso andare?”
Penelope Gutierrez annuisce, speranzosa che la figlia riesca a stringere velocemente amicizia e percepisca meno la mancanza degli amici di Miami. “Mi sembra un’ottima idea, dove sono?”
“Mi aspettano qui fuori,” risponde, indicando la porta aperta alle sue spalle.
Penelope la raggiunge e individua due bambini biondi e scalzi, che hanno lasciato una serie di impronte bagnate dei propri piedi nel loro vialetto e le fanno ciao con la mano quando si affaccia dalla porta d’ingresso; poco distanti vede i loro genitori che li guardano dal giardino di fronte e fa un cenno anche alla coppia.
“Vai e divertiti, Riley,” sussurra, baciando la testa della figlia, che raggiunge i due bambini e viene presa per mano dal maschietto.
 
“Chi l’avrebbe mai detto che un’amicizia nata sotto stelle avverse sarebbe stata così fondamentale per entrambi?”
“Sotto stelle avverse?” domanda Mike, con una voce che risulta straniera anche a lui.
“Tu avresti voluto che fossi maschio e non hai esitato a dirmelo la settimana successiva quando mi hai confessato che avresti voluto giocare a basket con me se fossi stata un maschio…”
“Giusto,” annuisce Mike, sorridendo per un unico istante e dimenticando per pochi battiti del proprio cuore che sua sorella e Lucas stanno lottando per la vita, nell’ospedale che si sono lasciati alle spalle.
“Ma io ci ho tenuto molto a farti notare che potevi giocarci anche con me,” conclude Riley, afferrando la sua mano e stringendola, proprio come aveva fatto nel loro primo giorno di scuola elementare — avvenuto poche settimane dopo quel fatidico primo incontro.
 
I Sanders e i Gutierrez sono insieme nel cortile antistante la scuola, pronti ad accompagnare i figli nell’aula che gli è stata assegnata. “E se la maestra non dovesse piacermi?” mormora Mike, facendosi sentire sono dall’amica.
“Vorrà dire che le renderemo la vita difficile… io e te,” promette Riley, agganciando il mignolo a quello del suo amico.
“Lo faresti?”
La bambina annuisce risoluta.
“Ma a te piace la scuola, la stai iniziando un anno in anticipo…”
“Tu però mi piaci di più… sei il mio migliore amico,” sorride Riley.
Mike ricambia il sorriso, sfoggiando orgogliosamente la finestrella che si è creata dopo la caduta di due dei suoi incisivi.
“Insieme?” propone Riley.
“Insieme,” si fa forza Mike, stringendo la mano che Riley gli sta porgendo.
 
“Ce la faranno,” sussurra Riley.
“Non puoi saperlo…”
“Invece sì, sei tu quello che sostiene che so sempre tutto…”
“Forse non questa volta,” risponde lui e Riley rivede lo stesso bambino spaurito che non voleva entrare in classe tutti quegli anni prima.
“Non ti lascerò solo…”
“Anche se diventerò insopportabile?”
Riley annuisce.
“Scommetti che riuscirò a salire più in alto di te?” aggiunge poi, dandosi una spinta.
“Non credo proprio,” ribatte Mike, imitandola.
Per qualche minuto si dondolano con tutta la forza possibile, spingendosi sempre più vicini al cielo carico di nubi le cui tipiche sfumature dell’alba si riflettono sulle gocce di rugiada che decorano i fili d’erba. Mike sa che non deve affannarsi a riempire i silenzi quando è con Riley, per lei va benissimo ascoltare semplicemente il rumore metallico della catena dell’altalena e il respiro lievemente affannoso dell’amico.
“Ho vinto!” esulta, dopo un po’.
“Nemmeno per scherzo,” ribatte Mike, osservandola di sbieco, mentre allarga le braccia e sembra addirittura potersi librare in cielo.
 
Una goccia solitaria lo colpisce sulla fronte, mentre sta fissando la luna sbiadire in un cielo sempre più chiaro, poi ne sente due in rapida successione, seguite da uno scroscio di pioggia improvvisamente più persistente.
“Forse è meglio rientrare,” sussurra estremamente piano.
“Possiamo rimanere qui per quanto vuoi,” lo rassicura Riley.
“Con te accanto posso affrontare tutto…”
“Insieme,” gli ricorda con un mezzo sorriso la ragazza.
“Insieme,” annuisce lui, intrecciando le dita a quelle di Riley e riavviandosi verso l’ospedale.
 
*
 
I genitori di Mike, e quelli di Lucas sono saliti al piano riservato alla chirurgia, scopre Riley, ed è accanto a loro che riprendono posto, senza avere il coraggio di chiedere se ci sono novità.
“Li stanno operando,” spiega Ben, con una voce irriconoscibile.
“Ce la faranno?” trova la forza di chiedere Mike.
“I medici sono ottimisti,” risponde il padre, annuendo.
Mike rimane in silenzio e stringe velocemente la spalla della madre, che lo accarezza fugacemente con dita gelide come il marmo.
Si scambia uno sguardo con Riley, che non ha smesso di stringere la sua mano da quando sono scesi dalle altalene e decide che, se i medici sono ottimisti, può scegliere di esserlo anche lui.
“Insieme,” sussurra come un mantra, incrociando lo sguardo risoluto di Riley.
“Insieme,” ribadisce lei, strizzandogli affettuosamente la mano.


 
 
Nota dell’autrice:
Sembra quasi impossibile essere già qui ad aggiornare questa storia, ma l’ispirazione è tanta e avevo la necessità di sfruttarla.
Il titolo si rifà ai sogni infranti di Oliver e Maddy, ma anche a quelli di Mike e Riley bambini, che nel frattempo sono cambiati e si sono evoluti. Mi rendo conto che, forse, la parte dedicata alla Kid!Fic del capitolo è un po’ meno preponderante rispetto a quella più emotiva dettata dalle reazioni di Mike, di Riley e dei genitori di Sophie e Lucas all’incidente, ma mi sembrava il modo migliore per far affrontare questo dolore a Mike. Tra l'altro, avevo già accennato in un'altra storia che il padre di Lucas era pompiere e quindi, giusto perchè la mia vena drammatica è particolarmente funzionante in questo periodo, è lui che interviene con la sua squadra sul luogo dell'incidente.
Riley è sempre rimasta sullo sfondo e sono felice di riuscire a raccontarvi anche di lei, finalmente. Il rapporto tra Mike e Riley è molto platinico, anche se hanno anche tentato la strada del romanticismo ad un certo punto, ma non ha funzionato… approfondirò anche quei dettagli appena mi sarà possibile.
Spero che questo capitolo, un po’ meno dark del precedente, sia di vostro gradimento e che la storia di questi ragazzi vi interessi e vi appassioni.

 
 
 
 
 
   
 
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