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Autore: Cladzky    16/01/2021    1 recensioni
Poema in ottave.
Dei suoi viaggi da Babilonia a Delfi, passando per Damasco, Beirut, Gerusalemme, la Mecca, il Cairo, sorpassando l’Atlante, imbarcandosi da Tangeri, sbarcando in Gibilterra, giungendo alla corte di Marsilio a Cordova, sorpassando i Pirenei, Parigi, presentandosi a Carlo Magno ad Aquisgrana, valicò le Alpi, scese per l’Italia, onorò il re Astolfo dei Longobardi, veleggiò l’Adriatico e da Trieste giunse in Ungheria, dove unificò il regno assieme ad Alsogno e scese fino a Durazzo in Albania, fu fatto schiavo e liberatosi a Bisanzio attraversò l’Egeo, il Peloponneso e infine le Focide.
Genere: Fantasy, Guerra, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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1
Lasciammo al canto precedente Zuairo
Che ancora narrava il narrar d’Alevano
Che quivi riprese e del regno Assiro
Tornò a parlare e di come in quel piano
La magna battaglia con l’Abbasside emiro
Si andava approssimando di mano in mano.
Per lo gran tradimento di quell’atto d’agguato
Il califfo s’infuria, ma pareva invertebrato.
 
2
O almeno così pareva al Longobardo
Ma niente posso aggiungere e solo m’astengo
A riportar la parola senza più ritardo
-A narrarti di Belete ancor ti vengo,
Or che a le lacrime non sono più pardo,
Che a fartene conoscere la grama tengo-
Ripete il Filisteo ciò che disse lo Italiano,
Perdonate questo favellar, intrico e insano
 
3
Alevano dice a Zuairo che narra
Ai pastori e continua –L’Etiope lasso
Si prostra al suo re che tien d’avorio sbarra,
E con questa sola teneva in basso
Ventimilia fanti, senza repliche o gazarra,
E a lui prega, con la faccia mista al sasso.
Di poterlo lasciar partire per la Grecia
E tutto d’onori e lodi lo impecia.
 
4
Ma quel re che è detto da noi Costantino
Nulla lo sente, in groppa alla sua zebra,
Solo un mugugnare sommesso e piccolino
E la cagione del pianto assai lo ottenebra.
Lo tocca col corno d’elefante a quel tapino
E in piedi gli chiede di mettersi e non s’ebra
Più d’isterismi e pianti quel soldato
Ma tutto gli spieghi e possa averlo ascoltato.
 
5
Belete s’alza e mostra il pendaglio
Che tutto di legno è fatto e rosso
E chiede se egli commetta o meno sbaglio
A disertare il campo e conservar l’osso
Affinché ei possa consegnar quell’intaglio
Là oltre il mare oltre l’onde più grosso.
Che giuramento ha fatto e parola sua vale
E in fede lo compie, nel bene e nel male.
 
6
Costantino pondera e n’è assai conflitto
E mentre ci pensa Marwàn sopraggiunge
E dietro a lui, tutti i re che ha sconfitto
In passato ch’ora son vassalli e aggiunge
-Baron Costantino, non lo accontentare,
Già troppi han macchiato e se pur lui s’aggiunge
Col vostro benestare, io giuro in questo istante,
Traditor sarete, tale e quale al fante!-
 
7
L’imperator d’Etiopia abbassa la testa
E di mandarlo al fronte promette solenne
E tanto basta a Marwàn che non resta,
Ma passa avanti e la schiera dietro venne.
E qui, Belete, di respirare arresta
Che davanti si vide una parata perenne
Tanto è lunga e smisurata fuor d’ogni ragione
Le armi di chi dell’Asia è padrone.
 
8
Dietro a Marwàn stanno sette corone
Re e imperatori dei regni che annesse.
A capo di lista sta d’Egitto il faraone
Che un arco gobbuto e cento frecce ha appresse
Su una biga è portato da caval bianco e negrone
E gli occhi di brage nelle membra lascia impresse.
Questo è Ptolomosso e la sorella è l’auriga
Lui sparge morte e lei il cocchio arriga.
 
9
Dietro a Ptolomosso sta il terzo Sapore
Bardato nel bianco d’un inter capodoglio
Di tutti i Sasanidi era lui l’imperatore
Ma or che non regna, di tristezza è spoglio
Che lui a niun paese volle far governatore
Ma solo battagliare e farsi duro come scoglio.
Una mazza catenata portava seco al fianco
E alla pugna a piedi guida tutto il branco.
 
10
Lo seguiva tosto quel valente assai Circasso
Che su un equino lercio guida la sua armata
Ma non prova scorno, quel re tozzo e basso,
Che ei è Sacripante, di fama ben provata
E lo vindice suo braccio spezzerebbe pure un sasso.
Sulle spalle ha pronta una lancia che par spata
Tanto è lunga la lama e sì ben tagliente
alcuni dicono a un drago strappò quel gran dente.
 
11
Arretro un gigante, si direbbe ciclopesco,
Niun lo ha incoronato se non egli stesso,
Signor di Sicilia, e porta un’obelesco
Che adopra come verga ed è tanto spesso
Una quercia pare, decorato in arabesco
E quello è alto dalle piante al cranio d’esso
Dieci cubiti interi né più né men parte
Di Polifemo è erede, lo bestio Ariosparte.
 
12
Ci sta poi ancora, all’ombra del gigante,
Un tale che è muto e mai labbra schiude
Di aspetto grazioso, ma dal viso alienante
Che egli sorride anche se gli si è rude.
Egli è il principe d’un regno dell’Atlante
Del Morocco pare e se al parlato elude
Motivo è ignoto e maneggia quello
Una spada di argento quanto lui fino e bello-
 
13
Qui il favellare, del Longobardo fermai-
Disse Zuairo ai suoi salvatori
-E chiesi stranito –Sol cinque illustrati hai,
Non c’eran forse sette di quei gran signori?-
E Alevano rispose –Tu ne sottrai
Chi stava con Belete e avea baston d’avori
Ch’era Costantino e un altro dell’India
Che arrivato non era, il gran re Rosmindia.
 
14
Passati furno i maestosi baroni
E dietro infine la gran cavalleria
Di Marwàn che al passo, diritti sugli arcioni
Stavano quelli, e imboccavan la via
Fuori dal campo e lasciarno i negroni
Indietro a discutere su che si convenia.
-Sappi che se vuoi io non potrò partire
-Disse Belete- Ma t’odierò finché respire-.
 
15
-L’odio non serve, perché bisogno non hai-
Disse Costantino con guisa da umano
-Ma prendi piuttosto ciò che lasseresti mai
E recati al mare- Ordinò il gran sovrano.
-Ma non fosti tu a dire che al fronte mi mandai,
Non fai forse a Marwàn gran gioco da villano?-
-Di nulla, invero, è tal contraffazione
Al fronte ti mando, ma all’opposta direzione-.
 
16
E quivi, Belete, sulla terra in cui stava,
Scese veloce e baciò l’unghie solfose
Della Zebra in sella a cui il re andava,
E tosto di nuovo questo lo percose
Con la sua sbarra bianca e gliela dava
–A chi ti ferma e domanda qualche cose
Tu tirala fuori e ordina il tuo passare
Questo mi auguro e ora puoi andare-.
 
17
Sempre benedendo lo gran Costantino
Belete tutto prese e dal campo sparve.
Chissà dove vaga, che dio gli sia vicino,
Che per l’amico dolce ei tutto può darve.
Ma ora veniamo allo scontro che il destino
Vittoria facile a Marwàn dare parve,
E con tutto l’esercito si riversava in pianura,
Da Zagros viene la calca e fa paura.
 
18
Dell’Omayyade la schiera è grossa e infinita
Che in tutto eravamo un milione e cento mila.
Se Roma fosse stata lo loco di sortita
Tutta la riempiamo e sanza trafila.
La cavalleria ai duo lati dell’arme se n’è ita
E arcieri e frombolieri sono i capofila,
Arretro a loro i picchieri a scudi alzati
Infine noi e le baliste coi trabuccati.
 
19
Lo gran re dell’India avrebbe portato
Seco elefanti, ubriachi e affamati
Che doglie nol sentono neppur se asportato
Gli viene un occhio o li orecchi trapassati.
Ma presente non era e Marwàn spaventato
Si consola che loro son sempre sorpassati
E non vede proprio come l’Abbasside ribelle
Possa vincere lui e le sue buone stelle.
 
20
Dall’opposto della piana, insù per un colle
Stanno fermi li omini di quell’emiro insano
E ci guardano come si mira il roto folle
Delle foglie d’autunno e cura non fano.
All’occhio solo contarli non mi volle
Ma chiaro è di numero che ci sottostano.
Marwàn s’avanza in quell’erba alta e fresca
E incontro va alla sua nemesi pazzesca.
 
21
Lo accompagnano tutti i suoi re meno uno
Rosmindia tarda coi suoi pachidermi
E pure Al-Saffah, con ogni suo tribuno,
Gli viene incontro e Marwàn crida –Vermi!
Siete forse voi tutti di onore a digiuno?
Di uccidermi nel sonno credevate, cori ermi.
Ma compiaccio a Dio pure questa volta
Lassate dunque ogni ardire e idea stolta!
 
22
Se l’onor vuoi salvare, mio infido nimico
Che il giostrar dei Mazubari hai voluto sorpassare
Ti conviene allora ascoltar cosa dico:
Torna al tuo paese e non venir a disturbare!-
Saffah non rispose ma coi suoi fa lessìco
Poi si rivolta e replica va a dare
-Ti offro ora, la tua ultima fuga
Abdica e vattene, anziana tartaruga-.
 
23
Marwàn fumava e già si sente jena
Che l’ira lo colse e quasi lasciò andare
Il freno del cavallo: in giostra rabbia mena.
Ma intervenne l’Etiope in quel collerico ambasciare
E poscia chiese le ragion di messinscena
Che il vantaggio loro ben chiaro appare
E di darsi motivo Costantino non puote
Del perché Al-Saffah abbia un sorriso sulle gote.
 
24
Ma l’Abbasside lo irride e gli chiede piuttosto
-Perché non l’avete voi, che cagion ne avete?-
E Marwàn riprese –Hai buttato ben tosto
Tutte le occasioni che te e i tuoi camperete.
Se aveste seguito come è stato posto
Uno scontro coi mazubari che possedete
Forse avreste vinto, ma non v’è concesso ora
Che ad impari armi ci pugnamo all’aurora-.
 
25
E i nostri e i loro voltarno l’equino
E niuno l’altro considera peraltro
Sul campo rimane soltanto il Marocchino
Coi bei capei ricci mercé al vento scaltro
E gli occhi nocciola si sciolgono al meschino
Che mira un cavalier Libico dell’altro.
E per la primera piange il sir d’argento
Volta infin il cavallo solo a stento.
 
26
Gli Abbassidi e Omayyadi si confrontano altieri
E già c’è presagio di un gran bel carnaio
E l’Etiope giusto intempesta a passi fieri
Che lui lo spirto non ha da macellaio
E passando di fronte a fromboli e arcieri
A Marwán s’accosta e lo consiglia savio
Che non è igienico fare un massacro
Che a dio spiacerebbe d’un sangue il lavacro.
 
27
Nega e rinnega, ma poscia lo ascolta
Marwán udisce e infine acconsente
E chiama tutti i suoi re a raccolta
E loro gli accorrono immantinente.
A tutti spiega lo califfo a sua volta
La proposta e a tutti parve conveniente
Se non al Marocchino, che lagrimon serra
E protesta non esplica e vanno alla guerra.
 
28
E tutti allo mezzo dei duo schieramenti,
I sei davanti e Marwán arretro,
Si pongono e suonano incontinenti
Ogni lor corno che infrangerebbe il vetro,
E tutti quei re dei tre continenti
Avanzan solo e niuno sta indietro
Tanto son gagliardi dal Siculo al Circasso
Che ei è il più baldo pur’anche il più basso.
 
29
Sacripante crida -Si facciano avante
Chi di voi tutti son quelli più audaci
E badar non faccio se è cavallo o fante
Sei di voi voglio o se siete sagaci
Pur’anche in mille, v’occido tutti quante
Chi io disfido dalla morte ha baci.
Non servono giostre né mazubarioni
Battiamoci noi a guisa de leoni!
 
30
Dell’esercito mio amo ogni elemento
Chi mi serve io servo e così è oggi
E dai Circassi, sanza alcun tormento
Voglio che tornino ai loro alloggi.
Per loro m’ergo e con lo mio ardimento
Tutti vi isfido e chi vuol m’appoggi.
Questi cinque altri son li miei compari
Risolviam tutto sanza trucchi e bari-.
 
31
Al-Saffah s’avanza e i tribuni con lui
Che sono in cinque fieri oltremodo
Or vi narro, mazubari, dei capitani sui.
Lo primo è coverto del dragon di Komodo
Fino alla testa e quelle altrui
Sfracella tutte con annodato chiodo
Che ovunque tira legato al suo braccio
E tutto perfora, usbergo o spallaccio.
 
32
Quello è l’imperator dell’Australe Sifone
E accanto gli sta sul suo palafreno
Ch’è una giraffa e porta un piccone
Lungo sei piedi e venti spanne almeno,
E con quello dispaccia alfiere e pedone,
Nulla gli cale a lo re Nicodeno
Che è lo barone a capo del Ghana
L’oceano il suo mare su Afadjato ha tana.
 
33
Viene poi chi pare un antico pretoriano
Tant’egli è coperto di piume il cimiero
E porta uno scudo che è assai soprano
Grosso è quanto un sarcofago intero
In man lo tiene e nell’altra il romano
Tiene una lancia che fa spavento invero
Tanto azzurra brilla ed è detto questo
Longino e la sua arme è figlio di tempesto
 
34
Ecco approssimarsi lo Tartaro Agricane
Che grosso è quanto l’arme che lo segue
Un’infinita schiere ha di genti pagane.
Un grosso punzone ha l’elmo a stregue
D’unicorno e un mazzafrusto seco in mane
Con cui strazia e ancora, per non dare tregue
Tre dardi si porta e una spada al fianco
Lo mongolo a tutti fa venir lo sbianco.
 
35
Infine veniamo al Tunisin cavaliere,
Che guardava caldo il principe di Moroco,
Lisbono era nomato ed aveva tal maniere
Che tutti ben trattava, ogni contesto e loco.
Solo era armato d’una lanza e ginoccchiere
Gli andavano tremando e al veder, per poco,
Non sviene quello ma il passo tiene
Per lui non può esserci una maggior pene.
 
36
Al-Saffah pure era tutto bardato
Di tutti i ferri e avanza di sella
Del suo cavallo, bianco pelato
E chiede a loro che sia la novella
-Non foste proprio voi ad aver rinunciato
A un giostra con noi, la gente ribella?
Forse vi siate ravvisati pusillanimi
E cercate scampo negli ultimi spasimi?-.
 
37
-Ti sbagli e t’inganni, infame pidocchio
Che se noi ti diamo uno scontro leale
Non è per paura di te o del malocchio
Ma per evitar che l’uman prezzo sale-
Replicò tosto l’Egizian dal cocchio
Che lui aborra ogni vano male.
E rispose l’emiro -se così le cose sono
Venga lo califfo giù dal suo trono
 
38
Che con niuno accetto io di battagliare
Se non con quello ch’io solo provo astio
E se Marwán nega si chiuda in una bare
Che un re che non pugna o è morto o non è maschio-.
Al sentir tali ingiurie e false fanfare
Addosso gli si getta lo califfo bastio
Degli Omayyadi e giura -Guai a te matto!
Fra la barba e il naso la spada ti batto!-
 
39
E così dicendo sfila fuori Malabanta,
Dal capo ai denti in due scinder lo vuole,
Ma l’altro nei fianchi del suo equino pianta
Li talloni suoi e corre verso il sole
Mentre col corno un gran crido svanta
Che ogni uccel fugge tanto il suon dole.
E tutti a capocollo inseguono gli emiri,
Quei baron privi, di paura e sospiri.
 
40
E gli urlava arretro, Ptolomosso al suo sire
-Non vi lasciate andare ai giovenil furori!
Che in questa tenzone non avete da spartire-.
-Califfo, vi prego, lasciate a noi gli onori-
S’aggiunse quel che è gigante oltre dire
Lo Siculo Ariosparte e si univa ai cori
Sapore, Sacripante, il Morocco e Costantino
E tutti correvan, chi pedone e chi fantino.
 
41
E qua la storia si fa ben confusa
Miei mazubari e di quei spirti magni
Più dir non posso che quelli alla rinfusa
Corsi sono ad isolati paragni.
E sebben di fanti nei poemi non s’usa
Parlar quasi mai, che quelli son stagni
In cui si specchia la nobiltade guerriera,
Lasciate che vi narri la nostra pugna fiera.
 
42
Lo califfo Marwán che Malabanta brandiva
Contro all’Abbasside, e lo insegue a perdifiata,
Commise un’infamia perché se iva
Con chi impugnava niente men che spata,
Che ancora nel fodero quella se ne stiva.
E tanto bastò alla sua gente scellerata
Di appellarci traditori, reietti e bastardi
E per l’onesto duello è ormai troppo tardi.
 
43
Al suono del corno incoccan le frecce,
Quelli che stanno in fondo alla valle,
E ci arriva in viso, né Brezza o Libecce
Ma solo uno stormo di dardi che ci falle.
E i fanti, coverti, avanzano a sbrecce
Senza cavalli a supportar le loro spalle
E la gran formazione incontro ci avanza
Con scudi che copron da le piante a la panza.
 
44
Quei colpi alati che dalle ali vengono
De lo nimico non son contrastati
Da li arcieri nostri che impauriti prendono
A punzecchiar vani li fanti corazzati.
E di cambiar bersaglio pochi lo ferono,
Che dal re Egiziano non eran guidati,
E continuano dunque a colpir chi sta in fronte
Che paion zanzare con un rinoceronte.
 
45
Quelli davanti, che hanno sol picca
Via se ne fuggono, che scudo non hanno
E indietro si tirano, non tentan ripicca,
Sol noi lasciano a ricever lo danno
In fila primera e nessun’almo spicca
A tentar d’avanzare e sol difesa fanno.
Io e Otto, a vicenda, ci copravamo,
Senz’ordine e guida, a nostro conto stamo.
 
46
Senza niuno dei nostri comandanti
Nessuno ha l’ardire della prima iniziativa
E noi fanti leggeri, quelle frecce ridondanti,
A subir stavamo e attendavamo l’arriva
Di quegli Abbassidi che, con passi sovrastanti,
La fanteria pesante avanti sortiva.
Quella leggera indietro è sul colle
Con gli arcieri tutti e avanzan più molle.
 
47
Per essere chiari, stavamo noi tutti
In questa vallata, con lo Zab a lato
Che a destra avevamo i suoi forti flutti
E a sinistra, invece, un bosco variegato
D’ogni pianta che Oriente ha mai dato frutti
E indietro e avanti un colle ben alzato.
In questa chiusa piana si svolgeva la battaglia
Che ai piedi di Zagroso si squarcia e si taglia.
 
48
Noi fanti leggeri ci vedevamo venire
Avanti queste Abbassidi corazze
E gia ci sentiamo vicini il morire
Che quelli hanno grand’asce e mazze.
A muoversi niun s’azzarda per partire
All’attacco, che parvergli mosse assai pazze.
Quand’ecco la nobile cavalleria pesante
Nostra Omayyade fa crido sonante.
 
49
-Non capite voi- Diceva un di loro
-Che quelli intendono forarvi la forma?
Guardate come in un triangolo moro
Adosso vengono a voi della torma.
Quel vertice senza riserve o decoro
Infilarvelo intendono così che si sforma
L’ordine vostro in due piccol tronconi
E poi circondarvi coi più legger fantoni!-.
 
50
E questo detto fecero incursione
Quei gran cavalieri, tutti Maomettani,
E dai nostri due lati, della formazione,
Si portano avanti quelle ali e, subitani,
Aggirano di quei gran scudi il battaglione
E con quelli leggeri vengono alle mani,
Che più indietro stavano e gli fanno gran festa
Forti son le lanze e niun le arresta.
 
51
Quella nol sente frecce né dardi
E se la ride forte del frenetico scagliare
Che mentre li assalgono come ghepardi
Di tutti quei proietti nulla ha da stimare.
Rimbalzano questi, e al danno son tardi,
Sulla lor pelle, che adamantina appare,
Tanto è gagliardo lo ferro che li copre
E subito al macello si mettono ad opre.
 
52
Prima le lanze vanno in affondo,
E come giungon coi corpi a contatto,
Tutto ferono in grande abbondo
E chi è preso non ha l’osso intatto,
Che passano corpi da cima a fondo
E lo capo puntito dalla schiena esce ratto,
Chi è preso al collo, chi al busto e al petto
In piedi non rimane, per l’aere è diretto.
 
53
La prima sortita così si conclude,
Con molti Abbassidi in terra e in tormento
E la formazione di quelle genti rude
Rotta è stata per lo gran sgomento.
Le lanze molte son rotte e perdute,
E la simitara è lo nuovo argomento
 
Che essi adoprano con chi fugge scosso
Molte teste mozzano e schiene han percosso.
 
54
Ma quando quei nimici che erano leggeri,
In sù del colle loro venivano inseguiti
Lo morale gli torna e si volta agli altieri,
Che nel mezzo degli Abbassidi erano finiti,
E gran retribuzione fanno ai cavalieri
Per li compari loro che giacevano sviniti.
E seppure coverti dalle piante ai capelli
Piovon d’ogni parte colpi a quei porelli.
 
55
Un buon cavaliere sa che la sua carica
Efficace è sui fanti nel confondere e disperdere
ogn’ordine e compostezza in una sol scarica
Ma che a giostra finita si deve retrocedere
E portare al sicuro da una violenta pratica
Ché lo scontro vicino e sanza quartiere,
Che a cavallo è duro rispondere di brando
A chi da più in basso ti va battagliando.
 
56
Questo sbagliarno li cavalieri audaci
Che seppur un massacro fecero all’impatto
Scaricato quello son di padella in braci.
Troppo tardarono e fu per lor misfatto
Che volse a favor degli Abbassidi seguaci
Che formarn loro intorno un assalir compatto.
Chi fionda, chi arco, chi di spada ferisce
Così il vantaggio il nimico carpisce.
 
57
Non c’è trippa per gatti, questo è palese
A li cavalieri, che mirano stupiti
Lo nimico che, il primo colpo prese
Ora voltarsi, tutti rinsaviti.
Un frombolier ardito la fionda gli tese
A cavalier che stringe spada fra i diti
E incontro gli viene che lo vole dipartito
Ma in fronte è preso dal sasso e stordito.
 
58
Da cavallo casca e quello fu il primo
Che molt’altri intorno seguono l’esempio
E seppur nimici io quelli li stimo
Perché gran scontro fecero e scempio
Di quei cialtroni dallo spirto infimo
Che la notte primera ci mostrarno empio
Il core loro tagliando la lingua
A Otto e il mio odio mai si estingua.
 
59
Non solo a me ma pur tutti quelli
Che la sera prima confiscarno la cena
Non aveano voglia di salvargli le pelli,
E tardammo dunque che non ci vien lena.
Li cavalieri intanto, delle armature belli,
A gambe al cielo finiscon nella rena,
Chi preso per il freno e chi per le gambe
Chi per una lanza al rene si dissangue.
 
60
E prima che si tratti di un caso di sterminio
Riescono a trarsi dalla perigliosa morsa
E lasciando indietro sull’erba il carminio
Dei ribelli sopratutto ma nella lor corsa
Pure dei loro, e con il san raziocinio,
Indietro si tiran della strada percorsa
E verso di noi, vanno per la piana
Ma i pesanti si voltano per fargli la tana.
 
61
Quelli prima assalirci parevano
A noi della gran fanteria Omayyade,
Ma quei corazzati ad allargare stavano
La lor formazione e come a pesca vade,
Che tutto lo spazio della valle occupavano
Che era sì stretta, dal fiume al boscade.
Rivolti, dicevo, si erano ai cavalli
E li accoglie come carcasse agli sciacalli.
 
62
La gran cavalleria nostra era confusa
Se proseguire o meno l’incursione
Che da ambo le vie la fuga era chiusa.
Per Zagroso stavano i legger di professione
 
E dall’altra i pesanti, che li attende a dura musa.
Guadare lo Zab non era un opzione
Che in piena stava, coi flutti veragi
D’altro lato il bosco offriva dei paragi.
 
63
La fuga ignorarono quei sicuri cavalieri
E volsero a infranger quel muro di scuti,
Che quelli formavan fra noi e i fantini,
E lance e picche affrontaron risoluti.
Suonano il corno prima a noi vicini
Che dai duo lati prendiam quei nerboruti
Visto che a noi ci offron la schiena
E poi alla carica quelli dan scatena.
 
64
E noi avanziamo secondo quanto è detto
Che a vederli morire ormai ci siam stancati
E se poi perdiamo i cavalli di netto
Pugnare ancora è da disperati.
Quindi seguiamo di quel corno il sonetto,
E ormai a colpirli siamo arrivati,
Quando cridando scendono altre truppe
Da lo bosco vicino e son nimiche tutte.
 
65
Cavalli sono, per il corpo di cristo,
E se lo nomo lo faccio a ben donde
Che quelli appaion come lampo non visto
E sembra sian cresciuti dalle fronde.
Dal fianco ci colgono e von farci pisto
E ci spingon con forza verso le onde.
Andar non possiamo che ciascaduna via
Ci nega, girando, quella gente ria.
 
66
E mentre a noi circondano i cavalli,
I nostri invece son circondati,
Che quando caricano  per romper gli stalli
Quel muro di scudi si dipana in due lati
E fattili entrare, assorbono i falli.
Conclusa la carica alla rivincita son dati
Che li chiudono intorno e non li fanno scappare
E ora possono far che gli piace e pare.
 
67
Giungono poi quei legger fanti dal colle,
Che riorganizzati dalla schermaglia primera,
Ai cavalli Abbassidi supporto dar volle,
Che dopo il primo colpo indietreggiati s’era
E presto sulle rive del fiume che ribolle
Lo gran battaglia a piedi si scatena fiera.
Sbigottiti eravamo da quei caval celati
Ci accorgemmo dei fanti quand’eran già calati.
 
68
I cavalli da un lato, eran presi e massacrati
Da un anello intero che a sfondar non poterono,
Sanza lo aiuto nostro, ma siam circondati
Dal fiume, i cavalli e gli uomini che sono
Pur anche di numero da noi sovrastati
Ma numer non vale se il morale è sottotono.
E questi tanto ci spingono alla rivera
Che molti già a mollo han la ginocchiera.
 
69
Gli arcieri nostri, e pure i frombolieri,
Com’anche le baliste, sole eran libere,
Che da lor ci divisero quei furbi cavalieri.
Queste, più indietro, come delle vipere,
Presero a ferire tutti gli armigeri
Che isolato ci avevano e li ebbero ad uccidere.
Ma fare non potevan più di tanto questi
Che gli Abbassidi cavalli li vanno a far pesti.
 
70
E quindi i cavalli che son sostituiti,
Nel premerci contro lo Zab dai fanti,
Dopo la sortita contro a noi tapini
Si voltarno ai tiratori contra in avanti.
Quei gran lanciatori ch’eran dei cecchini
Molti Abbassidi presero e lasciarno sanguinanti
Chi la tempia o il polmone, più non respirava
E cadeva in terra quella gente assai prava.
 
71
Ma ciò non durò che li cavalier nimici,
Che erano Tartari della Mongolia,
Galoppano forte e li traggon di radici
Che per l’aria vanno, tanta forza e volia
È impresso in quel colpo da spezzar le cervici
E tanti ne battono che a fuggir li involia.
E via se son iti i tiratori per i campi
Inseguiti dagli Abbassidi, di furor avvampi.
 
72
E mentre questo accade la nostra invece
Di cavalleria ormai non esiste
Che niun s’è salvato e il nemico la disfece.
Tanto che levano il circondo e s’è viste
Tanti cavalli e cavalier, che morti fece
Quella calca bastarda di Abbassidi liste,
Stesi in terra sta un pila mai veduta
Di cadaveri e chi morte avrebbe già voluta.
 
73
La storia si ripete e così avvenne
Quel giorno gramo che è oggi stesso,
Come Annibale a Canne, il nimico convenne
E ci radunò tutti dove gli è concesso
E far strage di chi più vasti omini tenne
E con questo schema, a noi oscuro e complesso.
Nel sacco ci misero e premettero assai
Affinché noi Omayyadi ci riprendemmo mai.
 
74
Da tutte le parti premeva l’Abbasside
E noi, disperati, gli tenemmo testa
Ma poscia, le braccia, si fanno flaccide
E nessun arma in alto più ci resta.
Le facce nostre si fecer rosse e pallide,
Laghi di sudore e sangue ormai si pesta,
Questo per quelli che davanti stavano
Non per quelli che troppo al centro cadano.
 
75
E ciò realizzai, dacché stavo in disparte:
Vedevo li compagni avante stancarsi
E appena un poco il braccio giù gli parte
Il nimico colpisce sanza mai fermarsi
E al centro aiuto non potean darte
Che bloccati son da chi a combatter starsi.
E alzando la voce cridai ai miei compari
-Se lor son d’Annibale noi siam legionari!-
 
76
E presto spiegai e parola si diffuse
S’ebbe adottare una tattica nova
Che non è nova affatto tanto è facil l’use
Ma chi ha paura spesso non l’approva.
Si cheta l’animo e ogni calor sfuse
Mentre mettiamo lo stratagemma alla prova:
Chi avanti si stanca, arretra d’un passo
E quello arretro avanza come un tasso.
 
77
Questa at orbis, la inventarno i Latini
E spesso la usava Cesare in Francia
O Gallia, com’era detta, e noi da supini
Riuscimmo a ribattere ogni spada e lancia,
Facendo così che tutti noi leonini
Ad oprar ogni uomo e stabilir la bilancia.
In cerchio, così, riuscimmo a spezzarli,
Quando gli Abbassidi caval tornar farli.
 
78
E i Tartari ci presero a grugno sì duro
Che chiunque toccano è sfigurato e sfatto
Tanto veloci passarono e furo
Un ciclone invero, tanto forte e ratto.
Dal panico i miei più non si sturo
Che ognuno ha preso da quel grand’impatto
E per la breccia che primera femmo
Tutti si riversano e in forma più non stemmo.
 
79
E tanto stavamo rotondi, compatti,
Che Otto e io stavamo abbracciati,
E odiam de l’altro come il cor batti,
Capei e coscie stavano avvinghiati.
Ma quando scesero quei Tartari matti
Lo scontro fu tale che sfondò gli strati.
Ed io sono preso da una lanza alla cotta
Che mi strappa da Otto quella gran botta.
 
80
E in terra finisco e la lanza pure,
Che il colpo di man dal Tartaro l’ha tolta,
E sono ancor vivo, che avevo maglie dure,
Seppure una costola da la gabbia ha svolta.
E gli Abbassidi sopra di morte son sicure
Ch’io abbia avuto e mi sorpassan molte.
Steso sull’erba, verde e rossastra,
Il mio corpo fra molti altri si incastra.
 
81
E in terra se morto o vivo lo ignoro
Che ovunque mi vedo intorno le stelle
E d’ombre strane vedo il ghirigoro.
Lo petto il core sembra che mi espelle
Che brucia l’abrasione e le labbra mi divoro.
Dio, la Vergine e l’alme che non felle
L’alme mio affido che parmi trapassare
E la morte, la sento, mi reclama a gran fischiare.
 
   
 
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