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Autore: Ellenw    16/01/2021    1 recensioni
La fiction è ambientata nel Mu, dove L e Light, o meglio le loro anime, si ritrovano dopo la morte e dopo aver superato il Rito di Espiazione, e anche se le loro anime sono destinate ad andare in due direzioni diverse, non riescono a stare l'uno senza l'altro.
E nonostante le tenebre, trovano la luce.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: L, Light/Raito | Coppie: L/Light
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Quando riapro gli occhi, mi sembra di trovarmi all’interno di un sogno. O di un incubo.
Il dolore che sento proviene da diversi punti sparsi all’interno del mio corpo, dal torace alle braccia, mi pare di sentire perfino il freddo piombo dei proiettili ancora incastrati nelle mie viscere. E ricordo come se fosse successo pochi secondi fa l’ultimo sussulto del mio cuore, avvenuto esattamente quaranta secondi dopo che Ryuk ha scritto il mio nome sul suo quaderno, rispettando la promessa fattami al nostro primo incontro.
Sento una lacrima solitaria che scende lungo la mia guancia. Forse il sentimento che provo ora è solo malinconia, e nostalgia di una vita che non ho mai vissuto.
Se quel giorno di sette anni fa avessi semplicemente guardato un punto qualsiasi, anziché quella finestra, forse le cose sarebbero andate diversamente. Forse avrei vissuto una vita estremamente noiosa, da civile qualunque, odiando il mondo in cui mi trovavo ma fingendo come tutti gli altri che mi andasse bene così. Una vita fatta di ipocrisia.
Ma no, è andata meglio così. Light Yagami ha cambiato il mondo, anche se solo per poco.
E poi raggiungo l’amara conclusione che, chiaramente, sono morto.
Morto, sconfitto, ucciso, abbattuto definitivamente.
Kira è stato soppresso.
Eliminato, come direbbe Mikami.
Fine del gioco.
Anche se in realtà, non è mai stato un gioco.
Evidentemente non sono stato abbastanza acuto da prevedere che l’SPK aveva tenuto sott’occhio Mikami al punto da intuire la mia intenzione di sostituire il quaderno vero con uno falso, e a loro volta hanno sostituito il quaderno falso con uno vero senza che né io né Teru Mikami ce ne accorgessimo. Che idiota sono stato a fidarmi di lui fino al punto di fregarci entrambi.
Ma oramai non ha più importanza, tutto quello che ho fatto, tutto quello che ho sacrificato e che ho guadagnato solamente per portare la giustizia nel mondo è andato in fumo quel giorno allo Yellow Box. E ora il mondo tornerà ad essere lo schifo di sempre.
Spero che tu sia contento, Near.
Mi alzo in piedi e finalmente do un’occhiata al luogo che mi circonda, e per mezzo secondo resto senza fiato, anche se ormai non respiro più.
Mi trovo in una sala grande, ottocentesca, ma completamente vuota se non per il pavimento, il soffitto e le pareti totalmente trasparenti, fatte di un vetro talmente lucido che sembra inesistente. Grazie a queste pareti di vetro trasparente posso vedere le altre stanze oltre la mia, collegate da piano a piano con scalinate di vetro, e alzando lentamente la testa vedo che al di là del soffitto si intravede un ultimo piano, oltre al quale cinque torri anch’esse trasparenti partono dalla base della struttura e si stagliano maestose verso una galassia buia ma piena di stelle lontane.
Un castello di vetro.
Anzi, un castello di vetro sospeso nel vuoto, noto guardando in basso, e vedendo che al di sotto del pavimento trasparente su cui poggio i piedi non vi è nulla se non quello che sembra l’universo astronomico così come lo conosciamo, con i suoi tipici colori e sfumature: viola, nero, blu, rosa, rosso e bianco.
Non so molto di astronomia, ma più giro la testa più oltre queste pareti di vetro mi pare di intravedere galassie e costellazioni più o meno conosciute, e, in lontananza, sopra di me giurerei di vedere la Via Lattea.
Sono in una fortezza di cristallo sospesa al centro dell’universo, tanto assurdo che mi pare un’illusione.
Non pensavo che l’inferno potesse essere tanto spettacolare.
Perché sono all’inferno, giusto? Dove potrebbe andare dopo la morte, uno come me?
Anche se, a parer mio, tutto quello che ho fatto è stato liberare il mondo dalla malvagità e dalla violenza del crimine umano. Non sono uno stupido, so bene che uccidere è un reato, anche se a morire sono dei criminali e degli assassini, ma non era forse l’unico modo per rendere il mondo un posto migliore? Qualcuno doveva pur farlo, anche a costo di sacrificare la propria vita, o di perdere la sanità mentale.
Meriterei un posto in Paradiso solo per questo. Anzi, forse è per questo che mi trovo in questo castello bellissimo, perché in fondo quello che ho fatto è stato al fine di uno scopo ultimo e massimo, ha liberato i deboli e gli innocenti dalla paura del male.
E forse lo stesso Dio è d’accordo con me, chi lo sa.
Tuttavia, ricordo chiaramente che Ryuk, lo Shinigami che mi ha seguito come un’ombra da quando ho raccolto il quaderno fino alla fine dei miei giorni, un giorno mi disse che per gli umani che hanno utilizzato il Death Note non esiste né il Paradiso né l’inferno, ma solamente il nulla.
Quindi, deduco che questo posto sia il Mu, il nulla. E cosa dovrei farci qui in eterno?
Faccio qualche passo verso una delle vetrate che danno sull’esterno, ossia sulla galassia che mi circonda, per ammirare il panorama assolutamente unico. Appoggio una mano sul freddo cristallo di cui sembra fatto questo castello, quasi per avere una prova tangibile e concreta che questo non è tutto un sogno.
In quell’istante il panorama esterno svanisce di colpo e i vetri trasparenti di prima si trasformano tutti in tanti specchi. Ogni singola parete ora riflette la mia immagine.
Mi vedo ovunque volga la testa: sul soffitto, sul pavimento, in tutte e quattro le pareti.
Vedo che indosso lo stesso completo marrone scuro del mio ultimo giorno di vita, la camicia bianca e la cravatta rossa, ma quello che più attira la mia attenzione è il sangue: gran parte del mio torace è ricoperta di sangue, dato sicuramente dai colpi di pistola che mi hanno ferito. Anche i miei capelli sembrano di un rosso macchiato di sangue.
Ma che significa? È inquietante persino per me.
In mezzo a tutti questi specchi intravedo una porta in fondo alla sala in cui mi trovo e mi dirigo a passo spedito verso di essa, aprendola e notando con sconforto che anche oltre a quella porta i vetri che vi erano prima sono diventati specchi.
Ogni cosa, i soffitti, i corridoi e persino ogni gradino delle scale ora riflette la mia immagine. Decido di salire le scale e venire a capo di questa assurdità.
In cima alla scalinata trovo un’altra porta, la apro senza troppa convinzione e noto che oltre di essa si staglia davanti a me una sala più piccola di quella in cui mi trovavo prima, ma esattamente identica. Stesse pareti alte, stesso soffitto e pavimento, tutto trasformatosi in specchio.
La cosa ancora più angosciante è che ci metto mezzo secondo per capire che la figura che vedo al centro della sala non è uno dei miei riflessi ma un vero e proprio sosia di me stesso che mi osserva.
Caccio un urlo e arretro di qualche passo in preda alla paura più totale.
“Light Yagami, è incredibile quanto sia interessante la tua anima”
Al sentire quelle parole ritrovo il respiro che avevo trattenuto.
“Chi diavolo sei tu?! Se devi punirmi fallo e basta!” esclamo.
“Punirti? Assolutamente no, non è come pensi. Questo è solamente un luogo di passaggio che riflette la tua anima, Light. Ogni persona dopo la morte si risveglia in un luogo unico e particolare, che non trova reale esistenza se non al centro della tua essenza. Io sono un custode, una guida, che aiuta ogni essere umano a superare il Rito di Espiazione e ad accedere al Mu.”
La mia anima? Quindi questo castello è..
Il guardiano sembra in grado di leggermi nel pensiero e completa la mia domanda.
“..il luogo che riflette la tua anima, si. Uno dei più particolari che abbia mai visto, in realtà.”
Ignoro il suo commento. “Hai parlato di un Rito e del Mu, giusto? Che significa?”
“Vedi, poiché in vita ti sei macchiato di uno dei peccati più condannabili, superando il Rito di Espiazione la tua anima non verrà purificata completamente, ma, una volta nel Mu, avrai l’occasione per redimerti completamente, anche se non sarà facile.”
Mi lascia qualche secondo per afferrare il significato delle sue parole, poi, probabilmente vedendomi perplesso, continua.
“Il Rito di Espiazione consiste in tre prove, superate queste non tornerai più in questo luogo ma andrai nel Mu come anima Inetta, impura. Le poche anime che incontrerai, ossia le anime degli esseri umani che hanno fatto parte della tua vita, tenderanno ad evitarti e ad allontanarti per evitare di venire macchiate dal tuo peccato. È questa l’unica punizione che avrai, Light.”
Dovrò restare solo nel Mu fino a quando non troverò il modo di redimermi?
Non sarà facile, ma chissenefrega, meglio dei gironi danteschi o roba simile.
“In cosa consisterebbe la prima prova?” chiedo finalmente.
“Nella prima prova ti ritroverai in un mondo nel quale tu non sei mai esistito, e dovrai convincere una persona della tua esistenza”
Possibile che sia tutto vero? Che cosa dovrei dimostrare con questa prova?
In un mondo in cui Light Yagami non è mai esistito tante, tantissime cose sarebbero diverse: nessuno farebbe giustizia, gli assassini e i criminali uccisi da Kira sarebbero in libertà, e persone innocenti morirebbero. Mio padre, forse, sarebbe ancora in vita, fiero del suo lavoro di sovrintendente e della sua unica figlia, Sayu. Misa Amane sarebbe una modella e un’attrice felice, una ragazza normale, e forse potrebbe invecchiare con accanto a sè qualcuno che la ami davvero. Il detective migliore del mondo, L, sarebbe ancora in vita, e la sua idea di giustizia sarebbe l’unica che conta.
L.
Chissà, forse..
Ma non faccio a tempo a terminare il flusso dei pensieri che di colpo mi ritrovo catapultato in uno scenario completamente diverso senza nemmeno capire come sia potuto succedere. Dopotutto, forse, tutto questo sta succedendo in una dimensione a cui nessuna risposta razionale potrebbe dare spiegazione, o ancora, forse è tutto nella mia testa.
Se fosse una sorta di allucinazione, però, devo ammettere che è fatta in modo molto realistico.
Osservo la casa che mi ritrovo davanti e sento come una stretta al cuore: di fronte a me il cancello d’ingresso, il breve vialetto con un pratino verde sul lato, e a pochi metri in linea d’aria la porta principale. Al secondo piano riconosco la terrazza della mia vecchia camera da letto, da cui ricordo che osservavo le persone passare nei pomeriggi vuoti dopo la scuola.
Questa è casa mia, perché mi trovo qui?
Dato che si tratta di una prova del Rito, immagino che per saperlo non ho altra scelta se non entrare.
 
  
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