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Autore: KronaJ    22/01/2021    1 recensioni
Bakugo è stato rapito durante il ritiro nei boschi! Chi è questa ragazza che lo va a trovare finché è prigioniero? Le loro anime sembrano simili, i due si capiscono alla perfezione! Delle decisioni andranno prese in fretta.
Scontro! Un'anima in trappola e una furente di incontrano?
Genere: Azione, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katsuki Bakugou, Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Bakugo si svegliò. Era domenica, ed erano le 10 passate. Era strano per lui svegliarsi così tardi. Si girò nel letto infastidito per la spossatezza, allungò un braccio e strinse il materasso. Si destò bruscamente rendendosi conto della cosa. Era senza maglietta. Le lenzuola erano infondo al letto, scombinate. Il cuscino era a terra. La stanza era deserta.
 
Portò alla mente alcuni ricordi raffazzonati della sera precedente. Ricordò di come erano finiti a letto -ne andava fiero, ottima mossa-, e poi di come si erano fermati sul più bello.
 
«Stiamo facendo troppo rumore. Non possiamo continuare. Ci sentiranno.», aveva detto lei.
 
Ricordò di averle urlato qualcosa, tipo che non gliene poteva importare di meno, ma che alla fine aveva ceduto. E ora non era qui, nel suo letto, dove era sicuro di averla vista addormentarsi la sera prima.
 
La giornata passò senza che lei si facesse vedere.
 
 
 
 
Lunedì, tra un cambio dell’ora e l’altro, Katsuki si stava facendo gli affari suoi, rileggendo gli appunti che aveva scritto nell’ora precedente.
 
«Bakugo», lo chiamò una voce. Katsuki alzò lo sguardo, irritato per l’interruzione.
 
«Mezza faccia. Che vuoi?» chiese stizzito.
 
«Devo parlarti di una cosa.» disse Todoroki, senza nessuna inflessione nella voce. A Katsuki infastidiva il suo essere sempre pacato e neutrale.
 
«Quindi non è necessario che io ascolti.» rispose lui.
 
«Sono troppo vicino perché tu non senta quello che ho da dire.» disse. Katsuki si chiese se scherzasse o fosse così stupido da non capire il sarcasmo. «Sei entrato nella mia stanza?»
 
Bakugo aggrottò la fronte. «Uh? Di che cazzo parli?»
 
 
Todoroki lo guardò fermamente. «Prima di andare a dormire, ogni giorno, dispongo una lastra sottile di ghiaccio sull’entrata della mia stanza. Lo faccio anche per allenarmi a mantenere il quirk semi attivo quando dormo e assicurarmi che nessuno entri. Ieri mattina c’erano delle impronte non mie sopra. Quando sono uscito, le impronte bagnate portavano alla tua stanza.»
 
Katsuki rimase sinceramente senza parole. Pensò a molte cose nello stesso momento, ma non si fece prendere da nessun tipo di sensazione che lo portasse a mostrare colpevolezza. «Non so di cosa cazzo parli.» disse, serio. «E comunque è l’abitudine più fottutamente stupida che abbia mai sentito.»
 
Il compagno lo scrutò per qualche secondo. «Ok. Comunque, non manca nulla. Sarà stato un malinteso.» disse.
 
Bakugo rimase in silenzio a fissare il proprio quaderno mentre Todoroki si allontanava.
 
 
 
Passarono alcuni giorni e lei non si fece vedere al dormitorio. Katsuki era andato avanti ignorando la cosa. Ci pensava distrattamente qualche volta, senza soffermarsi troppo. Frequentava una scuola prestigiosa, che succhiava ogni momento libero delle sue giornate. Non aveva tempo per preoccuparsi. E poi, come si era convinto, l’ultima volta che l’aveva vista era in forma. Cazzo, era decisamente in forma, pensò ricordando il suo corpo su di lui. Non aveva senso preoccuparsi per lei. Se la sarebbe cavata.
 
Eppure, Katsuki sembrava di pessimo umore. Si arrabbiava più del solito, e quando tornava in dormitorio lasciava la finestra aperta. Aveva risistemato il futon solo dopo due giorni, e farlo lo aveva infastidito parecchio.
 
Aveva parlato con Kirishima della cosa. Non gli aveva detto proprio tutto. Gli aveva detto che se n’era andata e che ora era tutto a posto.
 
«Bakugo, sei proprio sicuro che sia tutto ok?» aveva detto l’amico guardandolo preoccupato. «Sembri teso.»
 
«Zitto. Non sono teso. Sto cominciando finalmente a dormire tranquillo di nuovo.» aveva risposto lui. Kirishima aveva sorriso imbarazzato.
 
«Ehm? Perché non dormivi bene?»
 
Katsuki aveva sbuffato, stizzito. «Perché chissà a che cazzo pensava quella. Alla fine, era solo una psicopatica che aveva bisogno di una cuccia.»
 
Eijirou si chiese da dove arrivasse questo cambio di opinione. All’inizio gliene parlava bene, tolti gli insulti. E i riferimenti a quanto fosse ovviamente più forte lui.
 
Katsuki, dopo una settimana, cominciò a pensarci più spesso. Aveva iniziato a chiedersi seriamente perché fosse andata nella stanza di Todoroki. Più ci pensava, più si convinceva che la cosa fosse troppo sospetta. Era libera di muoversi a suo piacimento, senza farsi vedere, un quirk perfetto per la fuga e il movimento. Eppure, la cosa che lo faceva incazzare di più, era che se ne era andata senza dire una parola. E si chiedeva perché la cosa lo facesse arrabbiare. Le aveva promesso che si sarebbe pentita di averlo sfidato una seconda volta. Sentì quella sfida sgusciare via. Voleva provare a sconfiggerla ancora. E non poteva. Si aggrappò a questo sentimento fastidioso.
 
Quel fine settimana cominciarono le lezioni supplementari per ottenere il certificato temporaneo da eroe. Smise di pensare alla cosa e si impegnò. La rabbia che sentiva lo aiutava nello scopo.
 
 
 
 
Incontrò Kirishima ad un bar nei dintorni della Yuei finito il corso. Gli aveva chiesto di incontrarsi per studiare. Eijirou non era bravo quanto lui a scuola, perciò si affidava a lui se non capiva qualcosa. Passò un’ora o giù di lì, quando il cellulare di Katsuki vibrò. Distrattamente, finché spiegava a Kirishima cosa fossero le equazioni differenziali, sollevò il telefono per leggere e si interruppe a metà frase.
 
«Ohi, Bakugo, se ti distrai a metà frase capirò meno di prima» si lamentò il compagno.
 
Bakugo rimase interdetto. «E questo… Che cazzo significa?»
 
Kirishima lo fissava corrucciato. «Che succede?»
 
Katsuki mostrò il telefono a Kirishima. Sullo schermo vide una chat con tre messaggi.
 
 
Venerdì, 11.34. Bakugo. Se vuoi aiutare Jisei, la troverai a questo indirizzo. Distrarrò chiunque si trovi nelle vicinanze alle 9 in punto. Fatti trovare. La stanza dove sta si trova sul retro. Non dovrebbe essere difficile per te entrare. E pensa a una via di fuga efficace. Al resto penserò io.
 
Venerdì, 11.35. Non fare mosse strane. Non attaccare nessuno. Portala in salvo e vattene. Non è una trappola. Ma anche se fosse verrai comunque, no?
 
Oggi, 18.30. Katsuki. Vediamoci a questo indirizzo oggi alle 7.
 
 
Kirishima sbarrò gli occhi. «Lo stesso numero.» vide lo sguardo di Katsuki adirarsi. «Non avrai intenzione di…»
 
«Lo sai benissimo che ci andrò.»
 
«Potrebbe essere una trappola!» sbottò Kirishima, incredulo.
 
«Che cazzo stai dicendo? Se avesse voluto prendermi lo avrebbe fatto la prima volta.»
 
Kirishima non sapeva come controbattere. «Cazzo!» strillò, guardando il quaderno su cui stava studiando pochi minuti fa. Ora le equazioni sembravano più facili. «Perché dovresti andare?»
 
«Come perché?» disse seraficamente Bakugo, sorridendo. Gli occhi gli si erano accesi. «Perché qualcuno mi ha appena lanciato una sfida.»
 
Kirishima sbuffò esasperato.
 
 
 
Katsuki e Kirishima si trovarono all’indirizzo prestabilito alle 6.55. Era un prefabbricato in metallo e cemento, non c’erano negozi nelle vicinanze. Perciò il luogo sembrava praticamente deserto. Si guardarono attorno, e decisero di entrare nel cancello costituito da un poderoso muro di mattoni.
 
Appoggiata al muro, nel piazzale, Jisei aspettava.
 
 
Quando lo vide, alzò lo sguardo per salutare, ma Katsuki aveva già buttato la cartella e preso il volo. «Cosa…» provò a dire, ma dovette attivare il suo quirk e allontanarsi in un metro per schivare un pugno. Katsuki la guardò, aprì la mano e la nitroglicerina implose, facendo saltare via Jisei.
 
«Ohi! Bakugo! Che cazzo fai?!» urlò Kirishima.
 
«Che cazzo ti sembra che faccia?» sbottò in risposta Katsuki. Jisei era ancora a terra, sgomenta. Il ragazzo riprese ad attaccare a raffica. Puntava alle gambe, alle braccia e alla testa.
 
Jisei si ritrovo più volte sull’orlo di farsi colpire, confusa dalla situazione. Indietreggiava invece di attaccare.
 
«Katsuki! Aspetta un mom-»
 
«Zitta! Stronza! Ti ammazzo.» ringhiò lui, tornando ad attaccarla. Bakugo fece scorrere una mano dal basso, mirando al mento di Jisei, che si allontanò ancora coprendosi il viso per il calore. Quando le fiamme si esaurirono, sgomenta, vide la mano destra di Katsuki attaccarla frontalmente. Lei stava ancora atterrando, perciò poteva solo disattivare il quirk. Non poteva cambiare traiettoria, né arretrare senza prima aver toccato terra. Katsuki aveva uno sguardo folle. Aprì la mano, una forte implosione si liberò.
 
Jisei la prese in pieno sul petto. Venne scaraventata dall’altra parte del cortile, addosso a un muro, dove senza fiato toccò terra. La maglia che aveva addosso era mezza bruciata, la sua pelle rossa. Ansimava con forza.
 
«Cazzo.» disse Jisei. Stringendosi lo stomaco dolorante e ustionato. Aveva gli occhi ludici.
 
«Bakugo, piantala! La ammazzerai sul serio così!» urlò ancora Kirishima. Katsuki prese ad avvicinarsi, seguito dal compagno preoccupato.
 
«Katsuki.», disse la ragazza finché il ragazzo si avvicinava. «Non sembri contento di vedermi.» asserì sarcastica.
 
«Ah, tu dici?» replicò lui a bassa voce. «Sono più che contento di farti il culo.»
 
Jisei si pulì il sangue che le era fuoriuscita dalla bocca sul mento. «Kirishima? Avete un buon medico alla Yuei, vero?» chiese lei. Eijirou spalancò gli occhi.
 
Jisei si alzò in piedi, senza che l’altro rispondesse. Katsuki si avvicinava. La ragazza attivò nuovamente il quirk. In un secondo, Bakugo vide i capelli di lei sollevarsi, i suoi occhi erano di un rosso scuro, diverso da quello che aveva visto le altre volte. Finché se ne rendeva conto, un pugno sorprendentemente forte lo colpì in faccia. Si ritrovò a terra con il naso sanguinante.
 
«Che c’è, moccioso? Questo era a solo 30 chilometri orari.»
 
Katsuki alzò lo sguardo furioso, sorrideva in un modo folle. I suoi occhi brillavano. «Ora ti ammazzo.» disse. Si alzò, ma Jisei gli fu addosso di nuovo, lo prese per la maglia e lo scaraventò sul muro dove prima era finita lei. Lui attutì lo scontro detonando un’esplosione alle sue spalle, rallentando e trovandosi in piedi. Jisei sparì ancora, e lui alzò entrambe le mani. Un’altra esplosione. Jisei subì il contraccolpo, ma si rimise in piedi subito. Raggiunse velocemente Katsuki che aveva sollevato un pugno. Lei fece lo stesso, afferrando la sua maglia per attirarlo a sé.
 
Kirishima si mise in mezzo.
 
Si fermarono entrambi per un soffio, guardandosi in cagnesco, con i pugni ancora alzati.
 
«Datevi una cazzo di calmata o giuro su All Might che chiamo la polizia.»
 
Jisei vide una scintilla negli occhi di Katsuki. Si colpirono nello stesso momento, evitando Kirishima.
 
Finirono entrambi a terra. Ansimanti.
 
Kirishima, sgomento, li guardò uno alla volta. «Bakugo, coglione! Non hai ancora il permesso di usare i tuoi poteri fuori dalla scuola! Se ti beccano…» sbottò.
 
«Non me ne frega un cazzo! Voglio pestare questa faccia di merda! Deve pentirsi!»
 
Jisei lo guardò, alzandosi. Le faceva male la pancia, la massaggiò con una mano. «Si può sapere di che cazzo dovrei pentirmi?» Sembrava sinceramente confusa.
 
Katsuki sembrò sul punto di esplodere da dentro, i suoi occhi erano venati di rosso. «Non fare finta di nulla! Bastarda! Ti voglio picchiare così forte da farti scordare quando cazzo sei stupida!»
 
Jisei fece un verso di stizza. «Mi hai rotto.» disse. Fece per andarsene.
 
Bakugo si rialzò velocemente e andò verso di lei. «Ohi! Non abbiamo finito!» sbottò raggiungendola. «Ohi! Non mi ignorare! Ti ho detto che non abbiamo finito.» Jisei non si girò. Katsuki si infervorì ancora di più. «Fermati! Ti ho detto di fermarti! Mi devi delle cazzo di…»


 
Jisei afferrò il polso della mano che stava per afferrarle la spalla. Gli lanciò un’occhiata omicida. «Ficcatelo bene in testa.» iniziò a dire, lentamente. «Io. Non. Ti. Devo. Un. Cazzo.»
 
Katsuki stava per farla saltare in aria, ma Kirishima parlò prima. «Aspetta. Forse non devi qualcosa a lui, ma a me sì.»
 
Jisei lo guardò. Poi guardo Katsuki, di cui teneva ancora il polso. Lo lasciò, cercando di calmarsi. Riportò lo sguardo su Kirishima. «Ok. Venite con me». Kirishima pensò che la ragazza ci mettesse davvero poco a cambiare idea. Poi lei si rivolse a Katsuki, che si era infilato le mani in tasca. «Vedi di tenere le mani apposto.» disse perentoria.
 
«Non hai detto così l’ultima volta» sussurrò, in modo che solo lei potesse sentirla. Jisei arrossì, si voltò, e fece strada.
 
 
 
 
Li portò all’interno del prefabbricato. Era deserto, ma pulito. Salirono due piani. Finché Arrivavano al terzo, Katsuki sbottò, «Dove cazzo ci stai portando, stronza?»
 
Una vena sulla fronte di Jisei prese a pulsare, ma lo ignorò. Aprì una porta, all’interno si trovava una stanza con un letto, una scrivania, un armadio, un piccolo frigo e… un cane. A terra c’erano pezzi di quello che sembrava cibo per animali, accanto a una ciotola vuota.
 
«Ma che cazzo…» iniziò Katsuki,
 
«E’ anche questo il motivo per cui…», iniziò a spiegare Jisei, interrompendosi quando vide Katsuki che la guardava. «Si chiama Kubo.»
 
Kubo era un cane dal pelo molto chiaro e gli occhi scarlatti. Vedendo i ragazzi, fece un buffo abbaio. Sembrava avanti con gli anni. Era pieno di cicatrici sul muso, e aveva uno sguardo aggressivo.
 
Rimasero tutti e tre in silenzio. Jisei si portò una mano alla nuca, massaggiandosela per il disagio. «Non mangiava da quando sono stata presa in ostaggio. Aveva cibo per qualche giorno, ma credo abbia comunque patito la fame.»
 
Katsuki ricordò distrattamente la prima volta che si erano visti, e di come lei l’avesse paragonato a un vecchio cane che conosceva.
 
«Bakugo.» lo richiamò Kirishima. «Quel cane ti somiglia.» disse, mettendosi a ridere. Kubo si mise a ringhiare. «Oh cazzo, avete anche lo stesso modo di fare!» sbottò, esilarato.
 
Katsuki guardò un momento Jisei, che stava sorridendo guardando l’animale. Si avvicinò. Sia Kirishima che la ragazza si sorpresero, dal momento che Kubo si tranquillizzò non appena Bakugo gli fu davanti. Cambiò proprio espressione. Katsuki si abbassò. «Ohi. Cane.» disse. L’animale annusò le mani del ragazzo, le leccò. Poi, sembrò decidersi: Gli stava simpatico. Gli saltò sulle ginocchia piegate, e così l’altro gli diede una carezza.
 
«Oh, strano. Non gli piacciono molto gli estranei.» commentò la ragazza.
 
«Io piaccio a tutti.» rispose secco Katsuki.
 
Le altre due persone nella stanza si scambiarono un’occhiata esplicativa. Fu Kirishima a interrompere il silenzio. «Allora… dicevamo?»
 
Katsuki si ridestò. Tirò fuori in telefono, e senza guardarla in faccia, lo mostro a Jisei. Kubo si lamentò per essere stato lasciato a sé stesso.
 
La ragazza vide i messaggi, e sospirò. «Sono tornata solo oggi al vecchio covo. Ci ho trovato il telefono.» spiegò, aprendo il frigorifero e tirando fuori tre lattine. Ne lanciò una a Kirishima. «Non li ho mandati io gli altri due messaggi. È sembrato assurdo anche a me, per questo ti ho scritto.» disse cautamente.
 
Katsuki si voltò, trovando Jisei che gli stava tendendo una lattina. Si guardarono un momento, poi il ragazzo afferrò la bevanda. «Chi è stato?» chiese aprendola.
 
Jisei fece spallucce. «Che ne so. Qualcuno di loro che non mi voleva morta, suppongo. Non ho idea di chi possa essere stato.» ci pensò sopra. «A dire il vero, posso escludere Kurogiri e Dabi. Kurogiri non è malvagio, ma non gli importa della vita di qualcuno che non sia Tomura. Dabi, invece, è solo un sociopatico. O almeno… pensavo fosse così.» bevve un sorso dalla lattina.
 
«Deficiente. L’hai attaccata per nulla.» disse irritato Kirishima.
 
Katsuki rispose stizzito. «Non mi pento di un cazzo.»
 
Jisei aprì l’armadio e tirò fuori una maglia gialla qualunque. «Potreste voltarvi?» chiese, indicando il buco che aveva l’attuale maglietta. Tutto lo stomaco era visibile. Le ferite si stavano già rimarginando. Kirishima si voltò subito, mentre Katsuki ci mise qualche secondo, in cui fece sapere con lo sguardo alla ragazza che non era tenuto a farlo.
 
«Ohi, deficiente, girati.» lo riprese il compagno.
 
«Zitto! Non darmi ordini!» disse prima di girarsi. Finché la ragazza di cambiava, Katsuki chiese «Perché hanno usato il tuo telefono?»
 
«Sarebbe stato più facile nascondere quei messaggi. E poi, una volta scoperti, nessuno può dire con certezza chi possa averli scritti. Ah, e se tu avessi avuto il numero di uno di loro sarebbe stato un problema…» spiegò. «Beh, almeno lo suppongo. Ho finito.» I ragazzi si voltarono. «Vorrei che mi parlaste di quello che è successo quando siete venuti a salvarmi.»
 
I due ragazzi si guardarono. Fu Katsuki a parlare. «Abbiamo preso la macchina di suo fratello -a proposito, guidi come un coglione,» Kirishima si lamentò. «siamo arrivati all’indirizzo che ci avevano scritto. Poi qualcuno ha fatto un gran casino.»
 
«Gran casino?» chiese Jisei.
 
«Ci senti male?» ringhiò Katsuki.
 
«Qualcuno ha fatto saltare in aria l’entrata principale.» spiegò Kirishima. «Appena siamo arrivati, Bakugo non era nemmeno sceso dalla macchina. Appena è successo, sono arrivati dall’interno alcuni di quelli che c’erano nel bosco…» il ragazzo rabbrividì pensando alla paura che aveva provato in quel momento. Jisei se ne rese conto. «Comunque, appena li abbiamo visti lì, Bakugo è sceso, e mi ha detto di venire sul retro e partire appena vi avessi trovato. Nient’altro.»
 
«Sei stato coraggioso, Kirishima.» disse lei con sincerità.
 
Lui le sorrise imbarazzato. «Nah, niente di che. Mi sarei sentito una merda a non fare nulla visto come ti avevano ridotta. E poi, hai salvato il mio amico.»
 
«Mi sdebiterò, prima o poi.» disse tendendo una mano verso di lui. Il ragazzo la strinse. «Io sono Hikari, Jisei.» Katsuki, che non sapeva il suo nome, si incazzò un po’, visto che si era presentata per prima al suo amico.
 
«Piacere di conoscerti, Hikari-san, io sono Kirishima, Eijirou» rispose.
 
«Bel teatrino del cazzo.» borbottò Katsuki. «Ma rimane un dettaglio che devi spiegarmi.» disse poi. Hikari lo guardò, alzando un sopracciglio. «Che cazzo ci facevi nella stanza di mezza faccia?»
 
Kirishima la guardò stupito. Hikari si fece rossa in volto. «Non è come pensi», disse, evitando il suo sguardo.
 
«E che cazzo ne sai di quello che penso? Rispondi e basta. Quello è venuto da me, pensando che fossi io a essere entrato nella sua stanza. Come se me ne fregasse qualcosa di quel coglione.»
 
Hikari lo guardò, sentendosi un po’ in colpa. «Sono stata in tutte le stanze del dormitorio.»
 
I ragazzi la guardarono confusi. «Sei una stalker?» chiese Katsuki.
 
Lei sospirò, poggiò la lattina ormai finita sulla scrivania, poi aprì un cassetto. Ne tirò fuori una piccola pallina metallica. «Credo sia una telecamera. O un microfono.» si toccò il punto sul collo dove Katsuki aveva notato un segno rosso diverso dagli altri la sera in cui l’avevano salvata. «Penso me l’abbiano impiantato nel collo quando mi hanno imprigionata, ma questo l’ho capito solo dopo... Quando sono arrivata al dormitorio, finché le mie ferite guarivano, il mio corpo l’ha rigettato. L’ho trovato svegliandomi la mattina di domenica. Essendo… nascosta, diciamo, sotto l’armadio, ho pensato che fossero riusciti a entrare. Ho fatto il giro di tutte le stanze, senza farmi vedere. Ho ispezionato per quanto ho potuto, ma questa è l’unica che ho trovato. Così ho capito che era stata impiantata su di me, per questo ce n’era solo una.»
 
Katsuki arrossì violentemente, cosa che non venne ignorata da Kirishima. «Che hai?» chiese. Katsuki non rispose. Pensò a quello che era successo quella sera… al fatto che la telecamera doveva essere finita sotto l’armadio quando si erano spogliati, e ora si chiedeva cosa avessero visto. Jisei lo capì, abbassò lo sguardo ugualmente imbarazzata. I due evitarono di guardarsi.
 
Jisei prese coraggio e continuò. «Per questo me ne sono andata. Quando ho visto la telecamera ho dovuto agire. C’era la possibilità che Kurogiri, vedendo l’interno della tua stanza… o di quella di tutti gli altri…» lasciò la frase sospesa. «E poi c’era Kubo… e dovevo recuperare il telefono.»
 
«Zitta.» sbottò Katsuki. «Ho capito, non serve farla tanto lunga.» La guardò. Lei era in imbarazzo e guardava in basso. Le ricordò Deku, il che lo fece un po’ incazzare.
 
Hikari li riaccompagnò di sotto poco dopo. «Kirishima, vai avanti un secondo, devo parlare da solo con… Hikari» disse a fatica Katsuki.
 
«Okkey! Non fare tardi, è ora di cena. È stato bello rivederti, Hikari. Spero di rivederti.» La ragazza lo salutò con mano.
 
Katsuki si voltò finché lei sorrideva come una scema e sventolava la mano come una scema più grande, pensò. «Che vuoi Katsuki? Da quando mi chiami per nome?» chiese lei voltandosi e cambiando repentinamente espressione.
 
«Uh? Dov’è finita la gentilezza che hai riservato a Kirishima?» chiese lui.
 
«Tu conosci la parola gentilezza? Pensavo non ti avessero mai spiegato cosa significa.» rispose lei.
 
«Già! Perché è una stronzata fottutamente inutile per idioti.» sbottò. Poi sembrò diventare teso improvvisamente. «Tu…» iniziò lui puntandole il dito contro. «Io…» Katsuki si passò la mano tra i capelli, grugnendo. «Forse potremmo asserire che…» Hikari continuò a fissarlo, confusa. «Cazzo! Perché la faccio così difficile? Scusa!»
 
«Oddio.» disse semplicemente lei.
 
«Che cazzo vuol dire! Ti sto chiedendo scusa!» sbottò incazzandosi.
 
«Per cosa?» chiese lei.
 
«Ma che cazzo hanno le persone nel cervello? Ti sto chiedendo scusa per averti attaccata senza averti chiesto prima una spiegazione.»
 
«Ah, sì.» rispose semplicemente. Fece spallucce. «In realtà mi sono divertita.» disse. Gli occhi di Katsuki brillarono un momento. «Infondo non è male combattere contro di te. L’ho pensato anche la prima volta che ci siamo incontrati.» Si voltò, e gli sorrise. «Siamo piuttosto compatibili, sul piano fisico, non credi?»
 
«La prossima volta non mi tratterrò. Ti conviene prepararti.» disse lui semplicemente. «E comunque ho vinto io.»
 
«Che? Ti ho quasi rotto il naso. E sono stata io a trattenermi.» sbottò lei aggressiva.
 
«Si, si. Come no. Non cambiarti più quando c’è qualcuno che non sono io nella stanza.» asserì casualmente lui.
 
«Tsk. Non rovinarmi i vestiti se non vuoi che mi spogli.»
 
«Ah, è vero. Spogliarti è davvero facile. Dovevo capirlo.»
 
«Bastardo.»
 
«Crepa.»
 
Erano uno a fianco dell’altro e guardavano entrambi un punto indistinto di fronte a loro. Il sole era calato, ma il cielo era ancora un po’ arancione. «Comunque, avrei dovuto dirti che me ne andavo. Immagino ti abbia fatto incazzare.» disse lei.
 
«Non me ne è fregato nulla.» mentì lui. «Ora me ne vado. La situazione si sta facendo imbarazzante. Ho di meglio da fare.» mentì ancora.  
 
Fece due passi, ma lei afferrò una manica della sua divisa. Lui si voltò scocciato. «Cosa?» chiese seccamente. Lei non disse nulla, sperava di avere il coraggio di ammetterlo.
 
«Niente.» disse lei lasciandolo andare. Lui le afferrò la mano sospesa.
 
«Se vuoi qualcosa ti conviene parlare.»
 
«Ho detto niente.» disse lei distogliendo lo sguardo, imbarazzata.
 
Katsuki fece un verso stizzito. Con la mano libera la afferrò per la maglietta e la portò vicino a lui. La baciò. «Che vuol dire, niente?» chiese poi sulle sue labbra, fissandola negli occhi. Lei non rispose. Katsuki si allontanò imbarazzato. «Ora devo proprio andare.» disse, improvvisamente mansueto e rosso in viso.
 
Finché se ne andava, Hikari si chiese tristemente quanto ci avrebbe messo a capire che gli aveva mentito.






*********
Ciao extra. Ho finito di leggere da poco gli ultimi capitoli. Cosa cazzo sta succedendo? Fuck
Comunque mi sono resa conto che ho sessualizzato un personaggio che ha 17 anni. Mi sento in colpa. Farò finta che ne abbia di più, perché dai cazzo ha l'aspetto di un ventenne e la voce di un fumatore accanito mamma mia che bella voce che gli han messo come fate a dire che ha 17 anni?

E commentate. Stronzi! Zitti! No, commentate! Questa diventerà la storia numero 1! Fatemi sapere cosa ne sapete, anche se so già che è perfetta!

 
   
 
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