Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio!
Segui la storia  |       
Autore: TheDoctor1002    28/01/2021    2 recensioni
Artemis conosce il mare. Lo ha solcato in lungo e in largo quando era in marina, vi ha disseminato terrore una volta cacciata e ancora oggi, dietro l'ombra del suo capitano, continua a conoscerlo.
Il suo nome è andato perduto molti anni fa: ora è solo la Senza-Faccia. Senza identità e senza peccati, per gli altri pirati è incomprensibile come sia diventata il secondo in comando degli Heart Pirates o cosa la spinga a viaggiare con loro. Solo Law conosce le sue ragioni, lui e quella ciurma che affettuosamente la chiama Mama Rose.
Ma nemmeno la luce del presente più sereno può cancellare le ombre di ciò che è stato.
Il Tempo torna sempre, inesorabile, a presentare il conto.
"Raccoglierete tutto il sangue che avete seminato."
//
Nota: trasponendola avevo dimenticato un capitolo, quindi ho riportato la storia al capitolo 10 per integrarlo. Scusate per il disguido çuç
Genere: Azione, Guerra, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Corazòn, Donquijote Doflamingo, Eustass Kidd, Nuovo personaggio, Pirati Heart
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 16: Il nome che ci lega

-//-//-//-

"Che cos'è questo?" Chiese Sant'Ana, battendo l'indice ossuto su una pagina di giornale.
Sengoku era certo che sarebbe stato convocato per quell'articolo. Lo aveva immaginato nel preciso istante in cui il flash di quell'uccellaccio di Morgans era entrato nel suo campo visivo.
Aveva sperato che sarebbe passata inosservata, in mezzo a tutti gli altri.
Invece il dito della donna si alzava e si abbassava ritmicamente su un solo, specifico volto, sul basso tavolino del salotto.
"Sono i nuovi comandanti." spiegò lui "La cerimonia è stata pochi giorni fa, hanno già preso in carico le loro mansioni."
"Non parlo della marmaglia." replicò velenosa la donna "Parlo di quel soldato."
"È un elemento estremamente valido." Dichiarò lui con freddezza, intransigente sulla sua capacità di valutare quella che, più che attitudine, avrebbe definito talento.
De la Rose, in particolare, ne aveva da vendere, come ci si sarebbe aspettati se si fosse conosciuta la sua stirpe.
"È me." replicò Ana, stressando talmente tanto quelle poche lettere che sembrava volesse usarle per pugnalarlo. "Avevi giurato, Sengoku!"
C'era ben poco di regale, nella rabbia isterica di lei. Se avesse saputo che genere di donna era, quasi vent'anni prima non solo non avrebbe ceduto a quelle continue, subdole provocazioni, ma sarebbe andato via di corsa. Avrebbe ascoltato le parole dei suoi superiori, che tanto si erano premurati di raccontargli quanto Marijoa fosse un covo di serpi e quanto fosse importante che la sua integrità non finisse intaccata, mai e poi mai.
Invece era stato stupido e incosciente come solo i giovani sanno esserlo: aveva accettato e si erano amati, una sola, incresciosa volta.
"É solo un soldato" la rassicurò lui "e non ha dubbi sulla sua famiglia. É una persona felice."
"C'era stata una sola condizione che mi aveva fatto fare un passo indietro." Gli ricordò Ana "Far vivere la bambina se non avessi mai più rivisto il suo volto. Giurasti che non avrei mai più saputo nulla di lei! Deve sparire, deve essere cancellata dalla faccia della Terra!"
"Non ti permetterò di parlare così di nostra figlia." dichiarò perentorio, affidandosi a tutta la forza interiore di cui poteva disporre. Sengoku detestava dover far ricorso al pugno di ferro.
Aveva fatto del puro ragionamento la sua arma e del compromesso un'arte. Quella volta, però, mise da parte i suoi preziosi strumenti: quello che più aveva desiderato e inseguito, nel corso della sua vita, era essere un uomo giusto. E di giusto, in quella vicenda, non c'era neppure il principio.
"É mia figlia." ringhiò Ana in risposta, con un tono profondo e minaccioso che mal si abbinava alle sue parole "E stavolta sono io, a giurarti qualcosa: come l'ho messa al mondo, sono pronta a levarcela. Non importa come o quando, io non avrò pace finché quella minaccia girerà libera."
"Non credere di poter contare sui Marines per questo." Replicò lui, in quel tono austero che bastò a ricordarle il titolo del suo interlocutore "Respingeranno qualsiasi affondo tenterai nei confronti di uno di loro."
"Non é un soldato qualsiasi, maledizione, lo sai!"
"Ma lei no, Ana. É un'innocente e non permetterò che paghi."
Lei gli si avvicinò lentamente, finché non fu a un palmo dalla sua divisa, sezionandolo con lo sguardo.
"Non potrai nasconderla per sempre." Lo minacciò, cantilenando appena le parole e sistemandogli la cravatta con gesti attenti, mentre un timido sudore freddo gli imperlava il volto "E io non permetterò che Marijoa cada per una sola voce: prima che pronunci una sola sillaba, la farò tacere."

-//-//-//-

La luce tiepida che guidò i loro passi investiva la pietra naturale, rendendola tiepida e luccicante.
Ci volle del tempo prima che i due iniziassero a parlare: procedevano a scambiarsi sguardi come timidi affondi, quasi che ogni parola potesse essere di troppo.
Sengoku ricordava quando la osservava da lontano, mentre saltellava tra le assi del molo di Artoj, coi suoi stessi ricci neri a incorniciare gli occhi vispi.
"Hai visto Helene?"
"Ehi, conosci Helene De la Rose?"
"Sai quando torna mia sorella?" chiedeva a ogni marine che passasse, senza vergogna.
L'aveva vista crescere, cambiare, poi sfiorire pian piano, ma mai si sarebbe aspettato di vederla tanto emaciata, con quegli occhi arrossati e gonfi, i capelli increspati sulle spalle e le fasciature sulla gola.
"Borsalino era convinto che non avreste mai nemmeno saputo di me." rivelò Artemis, perdendosi a esaminare i minuscoli fiori bianchi che circondavano il balcone "Francamente, non mi era difficile credergli."
"È stata Ana a convocarmi." spiegò l'uomo, sedendosi su una panchina e togliendosi il cappello da marine, lasciando che il sole investisse il suo volto. "Diceva che le spezzava il cuore averci diviso tanto a lungo. Sono piuttosto sicuro fosse sarcasmo."
"Mi avevate riconosciuta, a Marineford?"
"Era più una speranza. Quello che mi ha fatto dubitare é stato non sentirti sbandierare ogni cosa, soprattutto dopo Sparrow Island."
"Non sarebbe stato giusto." Sussurrò con riluttanza "Voi avete rischiato tutto proteggendomi. Era il minimo che potessi fare."
"Anche se significa nascondere Sant'Ana?"
"É stato solo un effetto collaterale." specificò Artemis, sedendosi al suo fianco "Non sarebbe stato onorevole smascherarvi in quel modo."
"Non hai mai parlato a nessuno della vicenda? Nemmeno il tuo figlioccio la conosce?"
"Mi credereste se vi dicessi che non ho mai avuto il tempo?" rise appena, con una certa amarezza. "O meglio, non ho mai avuto il coraggio, come se menzionandovi avessi potuto evocarvi entrambi. La sua missione é già abbastanza complessa così com'é, senza che si faccia carico anche delle mie croci. Ne ho parlato solo a una persona e ho sepolto il mio segreto con lui. E voi?"
"Il processo mi ha segnato profondamente" sospirò l'uomo "Ma non ho mai rivelato l'intera storia. O meglio, soltanto uno conosceva alcuni frammenti. Una persona di cui mi fidavo ciecamente e di fronte al quale non avrei mai potuto fingere."
I due si scambiarono sguardi indagatori, finché non fu chiaro a entrambi che il nome sulle punte delle loro lingue era lo stesso.
Un sorriso nostalgico si dipinse sulle labbra di Artemis, quasi un riflesso involontario al solo pensiero di lui.
"Devo dirlo io o preferite farlo voi?"

-//-//-//-

Riparata contro un mobile della grande cucina, fuori dal cono di luce che oscillava sopra il tavolo, Artemis ebbe pochi dubbi su chi potesse essere, quando sentì dei passi mal coordinati raggiungerla.
"Credevo fosse entrato qualcuno" sospirò Rocinante, insonorizzando la stanza con uno schiocco di dita.
"E chi, qualche cittadino troppo felice del nuovo re di Dressrosa?" chiese sarcastica, stringendo più forte la sua tazza. "Sono tutti così fottutamente entusiasti di tuo fratello. Chi mai vorrebbe far del male a un liberatore?"
"Poteva essere chiunque" sbuffò lui, risentito "Ma trovarti qui nel cuore della notte non mi rassicura. Problemi d'insonnia?"
"No, sto solo facendo delle prove" rispose evasiva, ruotando il polso come a testarne le giunture. Solo allora Rocinante notò l'aura giallastra che lo circondava.
"Prove di cosa?" chiese preoccupato, sgranando gli occhi ambrati.
"Sto usando il potere per rompere e ricostruire piccole porzioni del corpo. Roba piccola, millimetri quadrati per volta." spiegò pragmatica, saggiando i tendini delle dita.
"E non hai paura?" Le chiese, gli occhi calamitati da quel paradosso che si svolgeva tra le sue mani.
"Un paio di giorni fa ho sbagliato a rifare un pezzo di fegato, ma me ne sono accorta subito. Procedendo poco per volta, sembra non essere troppo rischioso e dare risultati: ossido le parti intossicate dal piombo e le rifaccio nuove, funziona meglio che cercare i cluster."
"Pensi di provare anche sul piccolo?"
"Law? Cielo, no!" replicò sconvolta "Sarebbe come cercare di operare bendata. La probabilità di sbagliare è praticamente una certezza matematica, su un corpo che non sia il mio. Ho il frutto da troppo poco tempo, non ho abbastanza dimestichezza."
"Ed è solo questo? Ne sei sicura?" Incalzò insistente.
"La pianti di tampinarmi così, mamma chioccia?" Replicò lei scocciata, interrompendo infine la rigenerazione "Cos'è, credi ancora che non sappia fare il mio lavoro?"
Rocinante non rispose a quella provocazione se non con un respiro marcato e stanco.
"Piantala di preoccuparti, sto bene." concluse la donna con fare lapidario.
"Non prendermi in giro, De la Rose." la rimproverò, sedendosi al grezzo tavolo in legno "Hai la pelle d'oca. A cosa stavi pensando? Venticinque gradi di minima sono pochi per madamigella o vuoi finalmente ammettere di avere anche tu dei limiti?"
Lei si strofinò il braccio incriminato e lanciò a Rocinante uno sguardo indignato, come se l'avesse appena offesa.
"Abbiamo tutti vecchie storie da marines, no? Se non devi mai farci i conti, magari non hai fatto bene il tuo lavoro."
L'ostilità nella voce di Artemis, unita a quell'insinuazione, gli fecero cambiare tono e mettersi in posizione d'ascolto, poggiando il volto struccato ed esausto tra le mani.
"Erano civili?" Chiese con un fare che di accusatorio non aveva più nulla. C'era solo comprensione, ancora quella sua dannata empatia che non sembrava crollare mai, non importava quanti colpi ricevesse.
Artemis scosse la testa "Miei uomini." mormorò, fissando un punto imprecisato sul tavolo, poco distante da dove si era seduto. "Era una delle mie prime missioni da comandante. All'inizio mi affidavano compiti semplici, poi un giorno arrivò una convocazione diversa. Hai mai sentito parlare dell'incidente della Lead Valley?"
Lui sembrò dover ripescare quel nome da un cassetto sepolto della sua memoria, infine annuì.
"Non si sa da chi partì la richiesta. Qualche nobile, dicevano. Vuoi per ingenuità, vuoi per avere un passatempo di cui discutere, pensarono fosse una buona idea mandare qualcuno che non sembrasse minaccioso a controllare le rivolte nelle fabbriche di Piombo. C'era tutta la vallata ad aspettarci. Erano armati fino ai denti e ci riversarono addosso una pioggia di proiettili talmente improvvisa che due terzi delle perdite furono entro la prima mezz'ora dal nostro arrivo."
"Hai perso una ritirata?"
"No. La ordinai immediatamente e fu l'unico brandello di successo di quell'operazione." ammise "Ma al campo medico notammo che i più gravi avevano ferite diverse dal solito. Una sorta di schiuma solida aveva cauterizzato le loro ferite. La febbre saliva nel giro di ore e sulla pelle comparivano..."
"Delle strane macchie bianche" completò Corazòn, mentre il suo sguardo intercettava quelle di lei.
"Nessuno di loro era menzionato nei report. Contavano tutti come dispersi in azione. Io fui allontanata subito, facendo subentrare un superiore più competente. Liquidarono la vicenda come un errore di valutazione. Nel giro di una settimana il campo base fu smantellato, ma non vidi più nessuno dei feriti. Quel che è peggio è che, come vedi, il Piombo d'Ambra non uccide nel giro di giorni. Temo sia stato qualcos'altro a non farli tornare."
"E tu?"
"Nascosi i sintomi" rivelò "E iniziai a cercare negli archivi. Se non nei report, forse avrei trovato qualcosa nei documenti dei medici. O nelle sezioni private. Nella corrispondenza."
"Trovasti nulla?"
Artemis sembrò tornare in sé a quella domanda, concentrando improvvisamente lo sguardo. "No, niente su di loro." Concluse lapidaria, mentre Rocinante la sezionava con lo sguardo.
"Ma?"
"Che ma dovrebbe esserci?"
"Sei stata processata, no?"
Artemis roteò gli occhi, facendo per andarsene quasi con una certa rabbia "Non parlerò di questa storia."
"Perché Sengoku si espose così tanto per te?" chiese lui, congelandola.
"Sengoku?" Domandò, allontanandosi dalla porta per riavvicinarsi al suo interlocutore "Quindi é lui, la ragione di tutto questo? Tutte quelle tue attenzioni, il tuo volermi scavare dentro ad ogni cazzo di costo. Il sommo Sengoku non te l'ha detto, quindi devo farlo io?"
"So che c'entrano i Draghi Celesti e delle lettere personali." spiegò "E mio fratello da piccolo mi raccontava sempre la storia di quando i Marines rubarono qualcosa a Marijoa. I grandi dicevano si trattasse di un tesoro nazionale, lui sosteneva che fosse un bambino, un neonato. Avevo circa due anni quando accadde. Gli stessi che ci passiamo io e te."
"É un gran bel volo pindarico, il tuo." Lo accusò Artemis, con voce dura.
"E tu sembri nervosa."
"Perché non é roba di cui dovrei parlare." replicò velenosa "Fattelo spiegare da lui, magari ti dice anche che cazzo ci facciamo qui."
"Siamo qui per garantire il bene superiore. Lo sai."
"Un cazzo." replicò lei, soffocando un urlo in un sussurro e puntandogli contro un indice con fare minaccioso "Tu sei qui per il bene superiore, io sono solo una stronza che il governo ha mandato a morire."
"Allora perché non lo riveli al mondo? Perché non ti unisci davvero alla Family e ti prendi la vendetta che ti spetta?"
"Perché gli devo la vita, maledizione!"
Allora urlò davvero. E ringraziò il cielo che l'inutile potere di Rocinante avesse impedito all'intero castello di sentirla, mentre premeva le dita sulle labbra per sigillarle per sempre. Non aveva mai sentito quelle parole pronunciate ad alta voce. Sembravano avere un suono talmente strano.
Lui, nel frattempo, combatteva tra la stessa soddisfazione di un rompicapo risolto e la straniante sensazione di vedere quella specie di sociopatica piangere come una bambina.
Non disse una parola. Neppure il: "Lo sapevo" che scalpitava sul fondo della sua gola per venir pronunciato.
"Sei un figlio di puttana, Donquixote." Riuscì a formulare lei, sedendosi per riprendere fiato "Non volevo dirlo. Non dovevo. Non deve saperlo nessuno, nessuno al mondo, cazzo, capisci quanto é grave?!"
"Ti prego, dimmi il resto." la implorò, inginocchiandosi vicino a lei, come se non avesse sentito una parola, preso com'era "Ormai hai iniziato, no?"
Lei scuoteva la testa, oscillava così tanto che sembrava se la stesse svitando dal collo.
"Dimmelo, ti prego" la implorò ancora. "Sengoku é stato il mio mentore. Mi ricordo il periodo del processo, mi ricordo quanto ha sofferto e ora per la stessa ragione stai soffrendo anche tu. Ho bisogno di capire, solo così potrò aiutarvi."
"Tu non puoi aiutarci" singhiozzò Artemis, riuscendo appena a scrivere quelle parole in un labiale "E io non posso farti questo. Non posso metterti in un pericolo simile, non te lo meriti. Non é vero che sei un figlio di puttana: sei un uomo buono, Rocinante. Non ti meriti niente di tutto questo. Non meriti un fratello come Doflamingo, non meriti di dover aiutare un'ingrata come me, non meriti di soffrire. E, soprattutto, non meriti di sapere nulla su questa vicenda: ha portato solo dolore a chiunque fosse coinvolto. Ti prego, non farmi diventare quella che ti ci ha trascinato dentro. Non farmi questo."
A quelle parole, lui non poté fare a meno di distendere le labbra in un sorriso. Era talmente sincero e limpido da fare male, come un'incantevole pioggia di luccicanti frammenti di vetro.
"Che hai da ridere?" chiese, confusa e disabituata ad un modo di fare così innocente.
"É una bella cosa, quella che mi hai appena detto." ammise Rocinante, il volto ravvivato da un tocco di porpora "Non l'avevi mai fatto prima."
"Allora non mi ascolti? Vattene, dimenticati che quella storia sia mai successa." soffiò esausta, realizzando quanto si fossero avvicinati, scambiando quelle poche frasi. Sentiva il suo fiato infrangersi sui boccoli dorati di lui e sulle sue lunghe ciglia, mentre le sue labbra tremavano di esitazione
"Esci da quella porta e odiami, ti prego. Non voglio farti del male."
"Non mi farai niente" la rassicurò in un sussurro, stringendo le sue spalle in un abbraccio e oscillando piano "Vedi? Non mi fai niente. Non mi succederà niente, non andrò da nessuna parte. Tieniti i tuoi segreti, se ti servono tanto: il mio compito è coprirti le spalle e lo farò, senza chiedere altro. Non sei sola, Artemis."
La donna non combatté quel contatto.
All'inizio non capì nemmeno di cosa si trattasse, poi provò a ricambiarlo: sentì la densità del suo corpo occupare il vuoto tra le braccia e ogni muscolo cedere, ogni tendine liberare la tensione nello schiocco di una rottura.
Le pareva fossero passati secoli dall'ultimo abbraccio che aveva dato senza temere di finire pugnalata.
Quella consapevolezza la fece ricominciare a piangere più della promessa che l'aveva preceduta, silenziosamente, contro il ruvido tessuto a cuori della sua camicia.
Rocinante continuava a stringerla, posando il viso tra i capelli bianchi di lei, sussurrando come un mantra: "Non ti lascio."
Questa volta, però, non suonava come una minaccia.

-//-//-//-

"Non ha mai più insistito per sapere altro" rivelò Artemis "Si é sempre sentito tremendamente in colpa per i brandelli che mi ha strappato quella sera."
"Maledizione, era sveglio." sorrise Sengoku con malinconia.
"E bravo a far confessare" puntualizzò lei "Dopotutto, era una spia scelta. La gente sembrava dimenticarselo in continuazione. Era solo troppo buono, per quel lavoro."
"Mi dispiace" concluse l'uomo dopo un breve silenzio "Mi dispiace per tutto. Se non fossi stato troppo egoista per lasciarti ad Artoj, immagino avreste avuto entrambi una vita molto diversa."
"Ma non l'avrei conosciuto." puntualizzò Artemis "Nè Law. Nè gli Heart. Avrei perso tutto ciò che abbia reso la mia vita degna di essere vissuta. Ciò che è stato non può essere riscritto, credetemi, ci ho provato. Non ho potuto fare altro che imparare ad amare l'eredità del suo sacrificio e sono disposta a fare qualunque cosa per difendere quello che resta."
Sengoku sospirò, trattenendosi dal cercare di accarezzare il volto di sua figlia con la grande mano ruvida. Per la prima volta, gli sembrò di capire la cocciutaggine di Garp nel difendere quei criminali dei suoi nipoti, anche a costo di sfumare i confini della giustizia.
C'era tanto di sé, in quella pirata. Abbastanza da fargli desiderare di sapere tutto di lei. Il suo piatto preferito, il suo libro preferito, cosa la rendeva felice e cosa amava fare nei pomeriggi di pioggia. Avrebbe pagato a peso d'oro tutti quei dettagli banali che la foga dei conflitti gli aveva sempre strappato. Avrebbe dato l'impossibile per poterli condividere con lei.
"E poi, anche io ho dei rimpianti. Mi dispiace per l'odio che ho provato." gracchiò Artemis, attraverso una voce appena spezzata "Ho sempre creduto che foste stato debole con mia madre, invece sono stata io ad essere cieca e presuntuosa. Mi dispiace."
"Non potevi immaginare. Dal canto mio, avrei preferito tenermi quell'odio." commentò, alzandosi e cercando di memorizzare ogni dettaglio di lei "Meritavi di meglio, figlia mia. Meritavi il meglio."
"Parlate come se non dovessimo vederci mai più" notò lei.
"Dubito che avrò altro modo di avvicinarmi. Ana ti controlla a vista e questi palazzi sono delle fortezze."
"Ma siete un Grand'Ammiraglio. La vostra parola dovrà pur contare qualcosa."
"Lo ero" mormorò l'uomo "Il mio mandato si è convenientemente concluso pochi giorni fa. Akainu ha preso il mio posto e ha già accettato che tu sconti la pena per i tuoi reati qui a Marijoa, legittimando la tua presenza. Temo che, se riusciremo a rivederci, sarà perché sei una donna libera."
"Allora dubito ci rivedremo mai." Rise amara lei "Per quel che vale, grazie per averci provato."
Lui sorrise appena, incurvando i grandi baffi neri e calandosi il frontino del suo cappello sul viso. Lo osservò allontanarsi nella sua sagoma bianca, con le mostrine colorate sul petto a tratti nascoste dal mantello.
In un gesto della sua mano, ad Artemis parve di scorgere l'umida luce riflessa di una lacrima.

Mjosgard seguì con lo sguardo la figura di Sengoku attraversare silenziosamente la biblioteca come un fantasma. Poco dopo, Artemis fece lo stesso percorso, deviando verso il tavolo e accasciandosi con un sospiro.
"Ahi ahi, signorina Artemisa" sospirò, avvicinandole una tazza di camomilla che lei fissò con sospetto "Credo che questa vi sarà utile."
"È corretta con qualcosa?" domandò.
"Solo un po' di miele. Mi dispiace deludervi."
La donna scrollò le spalle e ne bevve un sorso, mentre Mjosgard si allontanava dal tavolo per dirigersi al pianoforte.
"Qualche richiesta, madame?" chiese sorridendo, mentre le note iniziavano a fluire dalla cassa di risonanza.
"Forse solo una" avanzò Artemis, allungando lo sguardo per osservare ipnotizzata il movimento morbido delle mani sui tasti.
"Dica pure, sono tutt'orecchi."
"Conoscete Il Liquore di Binks?"
Le dita di Mjosgard incespicarono appena, riprendendo presto il pigro ritmo perduto.
"É una richiesta insolita, da queste parti" rivelò a mezza voce, stirando le labbra "Credo che a qualcuno potrebbe non fare piacere"
Ad Artemis sbocciò un'espressione amara sul volto stanco "Ma certo" rispose pacata "é stato stupido chiedervelo, perdonatemi."
"Sarebbe crudele definirlo stupido" rise appena lui, mentre le note risalivano un'ottava dopo l'altra "Credo significhi che avete ancora speranza. É un dono inestimabile, quello che conservate."
La melodia era ora inconfondibile, così tanto che le parole presero a filare spontaneamente tra le labbra della donna.
"Vento in poppa arriverò e glielo consegnerò" canticchiò a mezza voce, con la testa appoggiata sugli avambracci, sul tavolo della biblioteca "Tutti insieme lo berrem e poi ci divertirem. Quando il sole cala già, gran festa si farà"
Un mare di ricordi sembrò condensarsi in una lamina umida tra le ciglia inferiori di Artemis. Quando Mjosgard si accingeva a chiudere la canzone, la donna aveva smesso di cantare: i suoi occhi erano chiusi e le labbra contratte in un timido sorriso.

-//-//-//-

"Sai anche suonare, adesso?"
Corazòn sobbalzò e stonò, distinguendo nella penombra una sagoma, gettata sul divanetto in fondo al salone.
"Un giorno di questi mi farai venire un colpo, accidenti!" borbottò, allungandosi sullo sgabello del pianoforte per guardarla, mentre una risata le scuoteva appena le costole come un soffio di vento. "Da quanto sei qui?"
"Una mezz'ora, credo." spiegò lei, appena stropicciata da un sonnellino recente "Tanto sono tutti presi a consolidare la posizione o cose così. Con il malore, non mi fanno alzare nemmeno uno spillo. Tu che ci fai qui?"
"Ho intravisto questo piano un paio di giorni fa e mi ha fatto venire voglia di suonare" rivelò candidamente "Dofli non chiede il mio intervento tanto quanto faceva con te, nemmeno in una situazione simile."
"Facciamo passi indietro, eh?" sospirò la donna, giocando distrattamente con una ciocca di capelli e perdendosi nei decori di un soffitto estraneo. "É buffo, non mi importa nemmeno più."
Un silenzio denso e ruvido calò nella stanza.
"Che suonavi?" Domandò Artemis per porvi rimedio.
"Non riconosci la miglior canzone di sempre?"
"Hai suonato tre note di cui due sbagliate" rise appena lei.
"Beh, dovrebbero bastarti." replicò accigliato, mentre riprendeva a suonare "Piccolo indizio: é una canzone da pirati."
"Drunken sailor?"
"No, no, come fai a confondere Il Liquore di Binks con Drunken Sailor?!"
"Mi perdoni, signor Orecchio Assoluto." sbottò Artemis, colma di sarcasmo.
"No, niente perdono stavolta: sono offeso. Dovrai guadagnartelo, se proprio ci tieni."
"E come, sentiamo?" chiese la donna sollevandosi sui gomiti, intercettando le palpebre chiuse di lui.
"Po-tres-ti-can-ta-re" la invitò, canticchiando egli stesso.
"Ma non so farlo!"
"Fa-lo-stes-so."
Artemis gli riservò un'occhiata dubbiosa, a cui lui replicò con un lieve cenno d'assenso del capo.
"Porto il liquore a Binks, fino a quando chi lo sa? Ma pensarci non mi va e non smetto di cantar, la canzone che io so e che mai mi scorderò! Viva Binks e il suo liquor, d'amore un elisir!"
Corazòn intonò le ultime note con una certa soddisfazione, infine le sorrise.
"Per fortuna sei più brava con la falce che con la voce." concluse senza fare complimenti.
"Per fortuna?!" gli fece eco "Ma se hai insistito tu per questa pagliaccia-"
La donna si zittì in un secondo, lanciandosi in avanti dal suo divanetto per coprire la bocca del suo pianista.
Pochi istanti dopo, i due riconobbero le voci di Diamante e Trebol, come misteriose minacce da un regno lontano. Borbottavano tra loro, ignari di quanto vicini fossero a una bomba carica e armata.
Le loro ombre oscurarono per un battito di ciglia la luce che dal corridoio filtrava nella stanza semibuia, infine si allontanarono, lasciando dietro di loro un Rocinante decisamente imbarazzato dall'insignificante distanza tra il suo corpo e quello di Artemis, che non accennava ad abbassare la guardia. Riusciva a sentire le note agrumate del suo profumo, a vedere l'ondulazione regolare delle clavicole e gli impercettibili movimenti dei suoi capelli, sospinti da un respiro accelerato.
"Se ne sono andati" concluse lei, dopo un tempo che avrebbe permesso agli altri di fare il giro del mondo.
Quando realizzò quanto si fossero avvicinati nella foga del momento, la donna non potè fare a meno di arrossire violentemente a sua volta.
"C-c'è mancato poco" balbettò, scendendo dalle gambe di Corazòn e sistemando la crinolina delle sue gonne con cura sospetta. "Dobbiamo stare più attenti, non possiamo permetterci distrazioni simili."
"Forse é meglio che io me ne vada" concluse lui, mentre Artemis annuiva appena alle sue parole.
"Io invece resto qui. Immagino che tuo fratello verrà presto a cercarmi, fingerò di aver dormito tutto il tempo."
"Stai attenta", si premurò, afferrandole con gentilezza le punte delle dita, facendole sollevare lo sguardo vacuo.
"Anche tu." Mormorò la donna. Prendendo un piccolo slancio, Artemis poggiò lievemente la mano sulla guancia destra di lui e la bocca su quella sinistra, lasciando un bacio sui disegni rossi che gli attraversavano il viso.
Quel lieve accostamento di labbra e pelle pietrificò entrambi, lasciandoli senza una parola da dire, percorsi dalla sottile elettricità che si irradiava dal punto di contatto.
"Mi dispiace." riuscì a sibilare la donna in risposta, guardando ovunque pur di non intercettare il volto davanti a lei "Mi dispiace, non so cosa mi sia preso."
"Sarà stato il Liquore di Binks" la prese in giro lui, chinandosi appena per porsi alla sua altezza. Una volta che riuscì a riagganciare le iridi antracite di lei, ebbe un calcio di quella innegabile sfacciataggine che solo il gene dei Donquixote poteva avergli conferito: lasciò scorrere le dita tra le ciocche corte e nuove sulla nuca di Artemis e appoggiò le labbra sulle sue, in un contatto talmente casto e leggero che non avrebbe nemmeno dovuto sforzarsi per allontanarlo.
Ma, in ogni caso, lei non lo fece.
Rimase pietrificata dal suono assordante delle sue stesse palpitazioni, una granata stordente vigliaccamente lanciata sotto i suoi piedi e che le aveva levato gambe, testa, vista, udito. Era tutto assorbito da quel lieve tocco, l'universo intero sembrava avere il gusto cipriato del suo rossetto e la temperatura della sua pelle.
Quando lui fece per scostarsi, riuscì a sentire le sue parole come attraverso il filtro di un sogno.
"Dovresti lavorare sulla mira." Le aveva raccomandato scherzando "Canto e mira, non è difficile. Hai molto margine di miglioramento."
Lo vide uscire, capì che l'aveva fatto solo per la variazione di luce nel quadro della porta. Forse si era anche voltato indietro un'ultima volta, forse aveva riso ancora nel vedere sul viso della Reina Blanca una porpora degna di una ragazzina, ma Artemis non avrebbe saputo dirlo con certezza.
Come un'automa, lei tornò al suo divanetto e vi crollò sopra.
Con ancora il corpo pervaso da quell'ondata di ossitocina, percepì a stento l'ingresso di Doflamingo dall'altro capo del salone, mentre il suo cervello non poteva fare a meno di rimacinare gli ultimi eventi, sussurrandole subdolamente di quanto quell'errore le sarebbe costato.

 

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio! / Vai alla pagina dell'autore: TheDoctor1002