Anime & Manga > Dragon Ball
Segui la storia  |       
Autore: Giovievan    31/01/2021    1 recensioni
Ho impiegato molti anni e fin troppa sofferenza a farmene una ragione ma finalmente l’ho capito: il mio destino non è mai stato quello di essere Perfetto. Io sono nato per essere il padre degli dei. Il mio unico compito, la mia missione, è rendere reale la Leggenda, e ci proverò fino all’ultima goccia del mio sangue.
-
Durante l'inverno più rigido che Arcos abbia mai vissuto Cold decide di infrangere la legge arcosiana per generare l'Essere Perfetto, il mutante che secondo la leggenda avrebbe una tale potenza da poter diventare padrone dell'intero Universo.
È così che nonostante le resistenze, in particolare quelle di Cooler, Freezer prende vita possedendo l’immenso potere che Cold sognava di generare da sempre. Ma le cose si fanno più complesse del previsto e lentamente tutto scivola fuori controllo...
Genere: Dark, Introspettivo, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Cooler, Freezer, Re Cold
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Origins: come tutto ebbe inizio'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
2.
Indegno erede


-
 
 
 Quando mi alzo dalla mia seduta ho soltanto voglia di tornare a casa e pensare al da farsi; è per questo che non mi fermo ad attendere e mi dirigo direttamente verso l’uscita della Sala Oblunga. Come credevo, però, non vado lontano prima che una mano mi si poggi sulla spalla con decisione.
«Dobbiamo parlare.»
«Non ora, Hailstone» gli sussurro sperando che capisca che non sono affatto dell’umore giusto.
«E quando?»
«Non ne ho idea.»
«Ti vedo preoccupato o sbaglio?»
Il cuore mi si inchioda nel petto. Sì, sono preoccupato, è ovvio, ma non devo dimenticare dove mi trovo e non devo permettere alle emozioni di sovrastarmi o qualcuno potrebbe accorgersi che non sono stato esattamente lieto della proposta dei Capoclan… e questo potrebbe sembrare sospetto.
«Mi vedi nervoso» lo correggo sperando di essere credibile. «Con questa riunione inutile ho perso del tempo che potevo trascorrere all’esterno.»
«Continui ad andarci?» mi chiede. Sembra che non mi conosca come le sue tasche. «Vuoi davvero farli impazzire.»
Il suo tono beffardo riesce a strapparmi un sorriso sincero.
«L’unico modo che hanno per impedirmelo è incatenarmi o tagliarmi le gambe.»
Adesso ride di gusto.
«Scommetto che alla fine opteranno per la prima, ma anche la seconda non è una cattiva idea.»
Poi sospira. Si guarda intorno rapidamente per accertarsi che nessuno sia nei paraggi; mi sembra incredibilmente più attento del solito.
«Ci vediamo all’alba al tunnel segreto? Ti devo parlare. Davvero.»
Non riesco a domare l’ansia che mi pervade al sentire le sue parole. Sembra si tratti di qualcosa di importante… forse non l’ho mai visto tanto serio in vita mia. E se mi ha proposto di incontrarci proprio lì…
«Così mi preoccupi. Di che si tratta?»
«Dell’argomento del giorno. Ma ho bisogno di essere da soli.»
Adesso l’ansia diventa davvero divorante e sento che non riuscirò ad attendere tanto a lungo, ma se parlassi potrei lasciarmi sfuggire qualcosa di avventato e sarebbe un’idiozia. No, devo tornare a casa, raffreddare il cervello e pensare, pensare, pensare!
«Allora a stasera. Ora devo andare, mio figlio mi sta aspettando.»
«D’accordo. Solita ora. Non tardare.»
Annuisco con un rapido cenno del capo, poi esco dalla sala più veloce che posso. Questa discussione mi ha messo addosso un’incredibile agitazione. Cosa vorrà mai dirmi di tanto urgente?
E… se avesse capito?
Dovrai ucciderlo, mi suggerisce quella che credo essere la coscienza… ma non lo è, no. Io non penserei mai una cosa del genere.
Rabbrividisco fin nelle ossa mentre mi impongo di non pensarci e di tirare dritto fino a casa. Nel percorrere a ritroso la strada del mio quartiere gli sguardi miti e i saluti della mia gente non hanno più lo stesso effetto che hanno avuto all’andata: adesso il mio umore è del tutto diverso, troppo per poter assecondare la loro gentilezza. Sono furioso, tanto che quasi potrei perdere il controllo di me. Ad ogni secondo che ci penso la situazione mi sembra sempre più pericolosa e priva di soluzione: se davvero iniziassero a controllare le nascite come potrei proteggere mio figlio? Dovrei tenerlo nascosto?
Mi sento in un vicolo cieco da cui non so come uscire: se solo riuscissi a distoglierli dall’idea di quella dannata legge… non ci voleva affatto, non adesso.
 
 
*  *  *
 
 
Casa mia si staglia dinnanzi ai miei occhi ben prima di arrivarci tanto è imponente. È una costruzione antica, scavata direttamente nella parete di roccia e rivestita di decorazioni ghiacciate. È stato mio nonno Cold, da cui prendo il nome, a farla costruire: voleva una residenza degna della sua importanza e infatti la nostra sembra più un palazzo reale che una semplice abitazione. Io, però, sono molto più umile di lui e tutte queste stanze cupe e prive di luce mi danno la nausea.
Se fosse per me adesso andrei all’esterno a meditare: in fondo l’Astro non è ancora calato, quindi sarei al sicuro ancora per un po’. Purtroppo, però, ho promesso a mio figlio che l’avrei aggiornato e non posso venir meno alla parola. Anche lui era molto curioso di cosa significasse questa chiamata speciale…
Quando metto piede in casa le guardie d’ingresso mi salutano portandosi la mano al petto e io ricambio il cenno. Avanzo nei corridoi fino a entrare nelle sue stanze: il silenzio è totale ma ciò non mi stupisce.
«Froze!» chiamo, ma mi risponde solo l’eco della mia voce che rimbalza sulle pareti di pietra.
Non mi aspettavo di trovarlo qui, in realtà. C’è un solo posto in cui potrebbe essere e infatti la mia meta si rivela quella corretta: Froze si trova all’esterno, sul retro del nostro palazzo, nell’ampio spazio tra l’edificio e la parete di roccia che con estrema fantasia chiamiamo giardino.
Sta volteggiando tanto rapidamente che fatico a seguirlo con gli occhi. Percepisco il suo spostamento a mezz’aria, le sue virate e soprattutto sento chiaramente il rumore delle braccia, delle gambe e della coda che si tendono in colpi devastanti che spaccano l’aria in due. Si sta allenando, noto, a un ritmo così elevato che temo possa farsi del male.
«Froze!» lo chiamo.
Appena mi sente interrompe la sua serie di pugni, ansimando dalla fatica. Il suo corpo è imperlato di sudore che già inizia a solidificarsi in minuscole goccioline sulla sua pelle e a cadere sul terreno.
«Padre» dice, discendendo fino a sfiorare il suolo per affiancarsi a me. «Credevo che avresti impiegato più tempo.»
«Per fortuna abbiamo fatto presto» gli faccio cenno di rientrare. Nessuno potrebbe mai sentirci qui dietro, dato che il giardino è proprietà privata di Froze e a nessuno è concesso mettervi piede, ma l’aria aperta mi dà sempre un senso di pericolo.
Lui deve aver colto l’urgenza nei miei occhi perché si acciglia e non esita a seguirmi senza fiatare, proprio come speravo.
Mi dirigo nel corridoio più profondo, quello delle nostre stanze private a cui la servitù non accede se non al primo mattino per riordinare e rassettare. Infatti, come pensavo, quest’ala è del tutto vuota.
Quando arriviamo nell’ultima sala del corridoio, una camera da letto inutilizzata, mi richiudo la porta alle spalle. Solo adesso mi sento abbastanza al sicuro e decido che è giunto il momento di parlare.
«Abbiamo un problema» gli svelo. Lui si fa attento.
«Avevo intuito. Cattive notizie dall’assemblea?»
Chissà quale pericolo starà immaginando: un’invasione aliena, una catastrofe imminente su Arcos… o forse ha un’idea di quanto grande sia il nostro reale problema?
«Pessime. Ieri nel quartiere di Arctic c’è stata un’altra aggressione.»
«Sta accadendo sempre più spesso.»
«Ed è per questo che vogliono trovare una soluzione.»
Mi guarda, interrogativo, ma a questo punto dovrebbe aver già capito dove voglio andare a parare. Incrocia le braccia nell’attesa che continui, cosa che faccio dopo un profondo respiro.
«Vogliono imporre una legge che controlli le nascite in modo da verificare il livello combattivo dei nuovi nati per valutare se siano mutanti.»
«E se lo fossero?»
La domanda ricade su di me come un macigno: era l’ultima cosa a cui volessi pensare. Perché la fine che farebbe il mutante, qualora nascesse, è ovvia. Fin troppo ovvia.
«Non è stato detto» taglio corto, anche se negare l’evidenza non ha senso. In fondo, però, non c’è neanche bisogno di precisarlo: Froze aveva capito prima ancora di pormi la domanda.
«Cos’hai in mente di fare?»
«Non lo so» gli svelo. «Devo pensare a un modo per impedirlo, a un’obiezione valida… se approveranno quella legge sarà finita.»
Lo vedo dubbioso ma so che, in realtà, la cosa non lo turba tanto quanto turba me. Infatti poco dopo mi sorride, come se volesse rassicurarmi.
«Non temere, padre. Troverai un modo e, se così non dovesse essere, non sarà finita. Hai già me. Mi sto impegnando giorno e notte per essere degno del tuo sangue.»
Annuisco e ricambio il sorriso, anche se con poca convinzione, ma non ribatto alle sue parole. Non posso essere sincero con lui: se gli dicessi ciò che penso in questo momento potrei ferirlo e non voglio che accada.
Allo stesso tempo, però, mi chiedo se sia giusto tenergli nascosta la verità in questo modo. Lui crede che da solo possa bastarmi ma in realtà non potrà mai farlo. Froze è un eccellente guerriero: in lui la mutazione si esprime con gran potenza, forse per più della metà, e con il suo duro allenamento arriverà di certo oltre il limite di ogni arcosiano conosciuto.
Ma non è l’Essere Perfetto.
So bene quanto sia pesante questa responsabilità: non voglio che Froze si senta sbagliato per qualcosa di cui non ha alcuna colpa. Allo stesso tempo però non posso fingere che lui possa bastarmi: io ho bisogno di altri figli. Devo ritentare: non posso accontentarmi di un mezzo mutante e della speranza che la sua prole sia Perfetta, sempre se un giorno decidesse di plasmarla… cosa che non mi pare per niente negli obiettivi di Froze, anche se è ancora troppo giovane per pensare a certe cose.
Un giorno affronterò con lui questo argomento ma non oggi: ho già tanto a cui pensare. La testa mi esplode. Non posso che cambiare discorso.
«Ti stavi allenando?» gli domando, anche se la risposta è ovvia. Lui mi fa un cenno affermativo col capo.
«Quando potremo lottare?»
«Domani» gli prometto. Gli avrei detto stasera, ma ho un altro impegno che sembra essere molto importante.
Lui mi prende sulla parola.
«Ti farò vedere quanto sono migliorato. Sarò il Capoclan più potente che questo pianeta abbia mai visto.»
«Riposati, allora» mi sforzo di sorridergli, ma dentro di me provo soltanto rassegnazione.
Ad ogni giorno che passa mi sento un po’ più lontano da mio figlio e questo mi distrugge. Se c’è una cosa che ho sempre desiderato, fin da bambino, è proprio di essere diverso da mio padre… e lo sono, posso giurarci. Ma diventa sempre più difficile per me creare un rapporto con Froze. I nostri obiettivi sono troppo diversi; lui non capisce, o fa finta di non capire, qual è il mio vero scopo.
L’Essere Perfetto non sarà mai Capoclan: lui sarà Re. Ecco perché Froze non è all’altezza di esserlo: non riesce a pensare in grande. Il suo obiettivo è dominare Arcos assieme ad altri quattro arcosiani… io, invece, voglio l’Universo.
Froze esce dalla stanza levitando e ritorna in giardino ad esercitarsi. Io, invece, sono costretto a tornare sui miei passi. A breve dovrò incontrare i membri del mio clan per riferire ciò che l’assemblea ha deciso e non potrei essere più di cattivo umore di così.
 
 
*  *  *
 
 
Anche trascorrendo tutto il giorno rinchiusi nella propria casa si potrebbe comprendere esattamente il momento in cui, dopo il lungo tramonto, l’ultimo briciolo della luce dell’Astro Ghiacciato svanisce dietro l’orizzonte. In quell’esatto momento il rombo delle tempeste sale, si accresce, inghiotte ogni cosa. Le bufere, al calar dell’Astro, diventano così violente che nelle uniche tre ore di notte di Arcos, prima che l’alba ritorni, l’esterno diventa un puro inferno. Chiunque abbia provato a esplorare non è mai tornato indietro.
Allo stesso modo è possibile orientarsi nel tempo in base all’urlo della notte e da sempre io ed Hailstone lo consideriamo come il segnale per muoverci. Anche stavolta sarà così: è proprio quando il boato che accompagna la notte cessa che decido di muovermi.
Ho detto a Froze che sarei andato a discutere con Hailstone: non voglio mentirgli, almeno su questo. Le bugie che gli racconto sono già troppo grandi perché io possa sopportare di aggiungerne altre.
Quando la notte cala su Arcos anche la città sotterranea cambia del tutto volto. La luce dell’Astro si spegne e vengono accese le lanterne; tutto diventa infinitamente più cupo ai miei occhi di quanto non sia già. Alle primissime luci dell’alba la situazione non cambia; questo contribuisce di certo al mio malumore.
Ma non è solo questo a turbarmi. Mentre mi dirigo verso il tunnel segreto la mia mente continua a vagare nei ricordi lontani che provo a ignorare. Ci sono riuscito per molto tempo, in realtà, ma dall’ultima riunione, da quando il pericolo si è fatto reale, non riesco più a tenerli lontani.
Se verrà il giorno in cui Hailstone scoprirà tutto, tu dovrai ucciderlo, mi dice una voce lontana nella testa. La voce di quel bastardo di mio padre…
 
*
 
«Dove stiamo andando?»
Non mi aspettavo davvero di ricevere una risposta e, infatti, non accade. Lui cammina dinnanzi a me senza nemmeno preoccuparsi che io riesca a tenere il passo; devo quasi correre per riuscire a stargli dietro, piccolo come sono rispetto a lui.
«Padre?»
«Taci, Cold. Ti ho portato con me per guardare, non per sentire il tuo chiacchiericcio.»
Non oso più aprire bocca. Mi limito a seguirlo lungo i corridoi del nostro palazzo chiedendomi cosa mai possa esser successo di tanto importante da spingerlo addirittura a convocarmi con lui.
Lo scopro soltanto quando apre la porta della sala principale. Trasalisco, l’orrore prende possesso di me, ma mi costringo a non darlo a vedere per non far innervosire il Gran Snow.
Al centro della sala, seduto, le mani strette da una corda e la bocca tappata da una stretta benda, c’è un arcosiano.
Appena sente il rumore della porta aprirsi sembra ravvivarsi ma e visibilmente terrorizzato alla vista di mio padre. I suoi occhi si fissano nei miei, imploranti, come se io potessi davvero fare la differenza in questa situazione. Riesco quasi a percepire la sua preghiera.
Salvami, ti prego, Cold. Salvami…
«Pa…» inizio a dire in un sussurro. Un suo sguardo rabbioso mi pietrifica in gola le parole, che ritornano sul fondo dello stomaco pesanti come un macigno.
«Taci» ripete, scandendo bene la parola. «E guarda.»
Avanza verso il prigioniero ma io non ho il coraggio di seguirlo. Resto sulla soglia, immobile.
«Lui fa parte del clan» dice. «Ma, per qualche motivo, ha deciso di non rispettarmi in quanto suo Capoclan. E so il perché: è convinto che il nostro sangue sia infetto.»
Il prigioniero scuote il capo con forza ma non può parlare. Sembra negare, ma a mio padre non interessa.
«Il suo piano era parlare con gli altri quattro per esprimere il dubbio» mi dice. «Ma suo figlio, fedele a me, lo ha denunciato. Sa che se dovesse spargersi la voce che nel nostro clan c’è sangue infetto saremmo tutti giustiziati… a differenza del padre, che a quanto pare ignorava tutto ciò.»
Il prigioniero continua a dibattersi. Mio padre lo guarda dritto negli occhi.
«Peccato che avesse ragione. Ed è proprio per questo che deve morire.»
Prima che possa accorgermene, Snow solleva il braccio e un raggio di energia si slancia dal suo indice trapassando da parte a parte il petto dell’arcosiano prigioniero. Che smette immediatamente di muoversi.
Vorrei urlare. Faccio un passo indietro verso la porta ma non avrei mai il coraggio di attraversarla e scappare; eppure mi sento come se fossi stato inghiottito da un buco nero che mi sta lentamente dilaniando.
Il sangue, il prezioso sangue che cola lungo le gambe del corpo seduto inizia a creare una pozza sul pavimento e il mio primo istinto è di scattare, raccoglierlo, conservarlo. Ma non servirebbe più a nulla, in ogni caso.
Abominio.
Quello che sto guardando è puro abominio.
«Hai capito, adesso?»
La voce di mio padre sembra galleggiare tutt’attorno a me. Il suo sguardo è così intenso che temo possa tagliarmi in due se dicessi una singola parola fuori posto.
«Hai visto cosa accade a chi viene a sapere troppo?»
«Padre, questo… questo non è giusto…»
«Tutto è giusto se il fine è giusto» sentenzia, gelido come le tempeste in superficie. «La vita di quest’essere non valeva quanto la nostra. Il rischio che correvamo a tenerlo vivo era troppo alto. Non c’era altra scelta. Tutto perché ha osato insinuare il dubbio.»
«Che ci faccio qui, padre?»
La mia voce è stata un sussurro ma lui l’ha udita ugualmente. Eppure è una domanda stupida: conosco bene il motivo di tutto questo. È molto chiaro. Ma lui me lo conferma.
«Sei qui perché dovevi vedere, Cold. Te l’ho già detto: non devi sottovalutare il nostro segreto e non devi sopravvalutare qualsiasi cosa tu creda che ti leghi a Hailstone. L’unico vero legame è quello della famiglia. Il nostro sangue è diverso dal loro.»
L’orrore si fa un po’ da parte lasciando spazio alla rabbia.
Vorrei ribattere, vorrei dirgli tante cose. Che non mi interessa, per cominciare: anche se il mio sangue è diverso dal suo, Hailstone è l’unico vero amico che io abbia mai avuto. L’unico di cui io mi fidi davvero, l’unico che mi faccia sentire bene; il mio unico appiglio nell’inferno in cui lui, il Gran Snow, mi ha gettato facendomi nascere così come sono.
Vorrei dirgli che no, in questo non seguirò mai il suo volere: non romperò i rapporti con Hailstone solo per paura che possa scoprire che noi siamo i mutanti. E anche se dovesse venirlo a sapere, io so che non mi tradirebbe mai.
Vorrei anche dirgli, urlandoglielo in faccia, che non sono uno stupido sprovveduto. Cosa crede, che possa spiattellare il nostro segreto ai quattro venti?
«Non hai il diritto di minacciarmi» è tutto ciò che riesco a sussurrare. Una risposta che ovviamente non gli piace.
La sua coda mi si infrange sulla guancia in uno schiaffo violento che mi fa sputare un fiotto di sangue.
«Non parlarmi così!» tuona, mentre la coda si contorce nell’aria alle sue spalle e un livido appare proprio nel punto in cui si è abbattuta su di me. «Io ho il diritto di fare ciò che voglio. E ti ho già detto che non voglio sentirti discutere. Ricorda questa scena, Cold, perché se verrà il giorno in cui Hailstone scoprirà tutto tu dovrai ucciderlo. Ora torniamo indietro.»
Si volta e si incammina senza nemmeno guardare il corpo. Qualcuna delle sue guardie di fiducia si occuperà di pulire senza fare troppe domande; tutti daranno per scontato che ci sia stato un ottimo motivo per questo assassinio. Nessuno oserà parlarne, nel clan, perché potrebbe accadere ancora a chiunque rischi di metterci tutti in pericolo.
Non voglio restare indietro. Mi incammino alle spalle di mio padre senza una parola, ma dentro di me sento qualcosa marcire.



-

Prossimo capitolo:
Eterno legame
7/02

Nota dell'autrice

Lo so... lo so! In teoria avrei dovuto pubblicare questo capitolo il 7, ma non ho proprio resistito anche perché la stesura sta procedendo abbastanza rapida. Spero che vi sia piaciuto! 

Al prossimo capitolo!

- Gio

 
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Dragon Ball / Vai alla pagina dell'autore: Giovievan