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Autore: Cladzky    02/02/2021    1 recensioni
Storia nata per un contest fra amici, ergo cazzara.
Ichiro, nel bel mezzo della sua deludente esistenza, si ritrova ad essere scelto da un oritteropo magico come protettore dell'amore e della giustizia nelle vesti di Pretty Angel Sygma. Combatterà così il male, vestendo alla marinara, cercando di superare l'imbarazzo della minigonna per salvare la terra dal popolo dei malvagi Nekuroid.
Genere: Azione, Fluff, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'Pretty Angel Sygma'
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I vagoni della metropolitana fenderono l’aria al loro arrivo, scompigliandogli un poco i capelli neri. Fece un passo un po’ cauto e si ritrovò in un compartimento semivuoto. Si guardò attorno, sperando che non ci fossero e invece c’erano, in fondo al vagone, sulla sinistra. I tre ridevano fra di loro, due seduti e uno in piedi attaccato a un palo. Parevano quasi simpatici visti così. Ichiro ebbe la tentazione di fare marcia indietro e aspettare il prossimo treno, ma, quando udì il sibilo alle sue spalle e il suo tallone sbattere contro le porte chiuse, capì di essere intrappolato dentro con loro. Non gli restò dunque che cercare di farsi notare il meno possibile, sempre che non l’avessero già visto, mettendosi il cappuccio in testa e sedendosi accanto la porta, pronto a infilarla nuovamente una volta aperta. La sua fermata non era la prossima, ma farsi il tragitto restante a piedi gli pareva un’alternativa preferibile all’imbarazzo che passava in metropolitana. Si mise gli auricolari e scrollò un po’ di album da ascoltare sul telefono. Non fece in tempo a selezionarne uno che si sentì il cuore sprofondare a venir chiamato per nome da una voce familiare.

—Ohi, Ichiro!

Forse se avesse fatto finta di non sentirli lo avrebbero ignorato. Mise un pezzo a caso e alzò il volume. Quando vide le ombre, proiettate sul pavimento dai suoi tre compagni, avvicinarsi capì che la tattica non aveva funzionato.

—Ichiro, ci sei?— Lo richiamò di nuovo la voce. Lui alzò un poco lo sguardo dal pavimento, oltre il bordo del cappuccio.

—Oh— Fu tutto quello che riuscì a dire, cercando di suonare indifferente e togliendosi gli auricolari —Ciao Norisuke, non t’avevo visto.

—Stavamo giusto parlando di te.

—Sì— Confermò Nuke, indicando l’altro ragazzo al suo fianco, di una classe diversa —Stavamo parlando con Gou della tua sceneggiata di oggi in educazione fisica.

—Ti sei messo a piangere quindi?— Chiese quello, con lo sguardo assonnato ma sorridente. Gli stavano tutti e tre davanti, in piedi. Si sentiva molto piccolo in quel momento, e avrebbe voluto alzarsi per darsi un contegno, ma quelli gli stavano quasi con le ginocchia in faccia tanto gli erano vicini che non avrebbe avuto spazio per alzarsi e lo costringevano a starsene seduto.

—Beh sì— Mormorò arrossando Ichiro, massaggiandosi il naso ancora dolorante —Stavamo giocando a dodgeball e mi è arrivata una palla in faccia, è stato un riflesso involontario. Me l’avevi lanciata tu Norisuke— Disse il suo nome con un tono accusatorio e guardandolo storto, ma sapeva che non sarebbe mai riuscito a farlo sentire in colpa.

—Dai, non ti avevo colpito forte però— La buttò sul ridere lui.

—Mi è sanguinato il naso— Precisò, pizzicato da quello sminuimento. Al momento del fatto aveva seriamente creduto di esserselo rotto e non la smetteva più di sanguinare e piangere. Quel colpo gli aveva fatto davvero male e continuava a farlo. Non poteva credere che una palla potesse fare così male, ma Norisuke ci aveva impresso abbastanza forza per farcela. Il pensiero che non sarebbe riuscito a fargli lo stesso lo mise in uno stato maggiore soggezione di quanto già non fosse e la cosa peggiorò quando sentì una manata di Nuke sulla spalla, che lo spinse un poco di lato, per poi tornare nella sua postura normale, come una molla.

—Figurarsi, fragile come sei è già tanto che Norisuke non t’abbia staccato la testa— Scherzò quello, continuando a spintonarlo sempre più forte —Se ti servono altri fazzoletti basta chiedere comunque— Ichiro cercò di ignorare le pessime battute, pur non riuscendoci del tutto.

—Basterebbe chiedere scusa— Si impose con la voce lui, cercando sembrare serio e scacciando con uno schiaffo la mano di Nuke. Quelli ebbero un attimo un espressione stranita e cominciò a credere di aver osato troppo. Poi scoppiarono in sghignazzi. Sentì Nuke che, invece che desistere, gli afferrò il polso con violenza. Ebbe un gemito. Ovviamente la sua mano, nonostante fossero coetanei, si chiudeva più che abbondantemente sopra il suo arto. Glielo tenne su per metterlo in mostra.

—Cioè, adesso Norisuke ti deve chiedere scusa perché hai il fisico di una ragazzina— Chiese divertito Nuke.

—Piangi per una pallonata in faccia, figurati se ti avessi dato un pugno.

—Figa, lo atterri— Commentò sornione Gou. Ichiro fu pervaso dalla voglia di prenderli a cazzotti, ma sapeva che sarebbe stato inevitabilmente in uno svantaggio fisico insormontabile. In questo momento si sentiva molto più debole di quanto non fosse. Gou aveva preso, fastidiosamente, a tastargli un bicipite che non c’era, mentre Nuke imitava il moto di un pugno verso il suo zigomo, con annessi effetti sonori farfugliati dalla sua bocca.

—La volete smettere?— Sbottò d’un tratto Ichiro, con un tono molto più arrabbiato di quanto pensasse e, di conseguenza, rivelando la voce acuta che cercava sempre di nascondere. Ottenne solo il risultato di farli ridere ancora di più e presto presero a imitare la sua voce. Dio, doveva suonare davvero come un’anatra strozzata. Provò ad alzarsi, ma, piazzandogli due dita in fronte, Norisuke lo rimise a sedere. Il fatto di essere notevolmente più basso e magro dei suoi compagni non era mai stato così palese. Sentiva gli occhi inumidirsi di nuovo. No, non poteva piangere di nuovo di fronte a loro, non adesso. Doveva aspettare di arrivare a casa, non poteva ora o sarebbe sembrato ancora più patetico di quanto già non fosse.

—Oh, ma l’hai preso anche oggi?— La domanda di Nuke lo spiazzò. Possibile che lui lo sapesse?

—Che cosa?— Chiesero all’unisono Norisuke e Gou. Ichiro ingoiò un groppo di saliva. Ecco, se non avesse pianto ora sarebbe direttamente morto di vergogna.

—Diciamo che ha dei gusti un po’ strani in fatto di letture e secondo me si spiegherebbero molte cose sul suo conto se ce le facesse vedere— Nuke ammiccò a Ichiro. Lui non potè far altro che scuotere la testa, implorante.

—No, per favore, è roba mia…— Non finì di pregarli che in un attimo si sentì preso per l’uniforme scolastica e fu rivoltato verso il finestrino dietro di lui, con la mano di Norisuke che gli premeva sulla nuca, schiacciandogli la guancia sul vetro. Dalla sua prospettiva, tutto quello che poteva constatare Ichiro, era che ormai il treno era arrivato alla stazione. Fuori, le banchine di cemento, fremevano di pendolari, solo qualcuno che lanciava uno sguardo curioso verso il viso schiacciato contro il vetro sporco, più come uno spettacolo insolito che un problema da risolvere. Un gruppo di cinque studentesse in divisa da marinara, che stavano assembrate a poco meno di due metri dalle rotaie, osservarono la stampa della sua umiliazione passargli davanti, seguendola con sguardo costernato. Da una parte Ichiro sperava che qualcuno avesse avuto la buona volontà di intervenire a salvarlo, dall’altra avrebbe voluto che tutti si voltassero dalla parte opposta. Si sentiva come messo ai ceppi. Frattanto, mani affamate, perquisivano la sua cartella. Non ci volle molto prima che trassero fuori quello che cercavano. Le porte si aprirono.

—Cos’è ‘sta roba?— Chiese confuso Gou.

—Tutto rosa ovviamente— Commentò la copertina glitterata Norisuke.

—“Mahou Shoujo Magazine”— Lesse ad alta voce il nome della rivista Nuke. E nel momento stesso in cui quelle tre parole furono pronunciate, che le risate ricominciarono fra i tre e che le porte del vagone andavano nuovamente a sigillarsi sibilando, una forza cieca prese possesso del corpo di Ichiro. Scattando come un vitello impazzito riuscì a sgusciare via da sotto la mano di Norisuke, che aveva allentato la presa per il riso e, senza neppure bisogno di guardarsi attorno, si girò di centoottanta gradi per assestare un testata allo stomaco di Nuke, che reggeva il magazine. Riuscì a sfilarglielo dalle mani irrigidite e prese senza pensare a scendere giù dal vagone. Era stato così improvviso il suo agire che, quando Norisuke provò a seguirlo subito dopo, mano in avanti pronto ad afferrarlo per il colletto rigido del gakuran e ritirarlo dentro il vagone, si ritrovò invece con le porte della metro richiudersi sul suo braccio. Gou, con sguardo perso, si ritrovò davanti, senza sapere come, Nuke che si reggeva a un palo quasi stesse per vomitare l’anima e Norisuke che annaspava nel tirare l’apertura di emergenza sopra la sua testa con il braccio libero. Quando infine scesero cinque secondi dopo giù dal treno Ichiro era sparito.

***

—Se ne sono andati?— Chiese titubante.

—No amore, stanno girando attorno— Gli rispose quella più alta del gruppo.

—Ti possiamo accompagnare fino all’uscita della stazione se vuoi— Si offrì quella con la coda di cavallo.

—Non vorrei essere di disturbo.

—Ma figurati, per un patato come te— Gli carezzò la testa quella coi capelli corti, come fosse un cagnolino.

—Ma ti hanno fatto male?— Si chinò su di lui quella con gli occhiali, mano sulla guancia.

—No, non troppo almeno— Farfugliò lui guardando a terra.

—Bah, con certa gente per le strade non è più sicuro andare in giro da sole— Commentò quella abbronzata.

Ichiro doveva ringraziare la sua fortuna, per quanto si vergognasse. Appena uscito dal treno si era reso conto della cazzata che aveva fatto. Norisuke e gli altri due lo avrebbero saccagnato di botte una volta raggiunto e lui, di sicuro, non era abbastanza allenato per lasciarseli alle spalle. Ma fortunatamente il suo appello all’aiuto del prossimo che aveva espresso, premuto contro il vetro, aveva funzionato. Quello stesso gruppo di studentesse in sailor fuku, che lo avevano visto malmenato precedentemente, lo avevano istintivamente raggiunto e fattogli uno scudo umano attorno, nascondendolo alla vista dei suoi inseguitori, che erano scesi poco dopo. Provava un miscuglio di sensazioni strane tutte in un colpo: Era sicuramente contento di essere sfuggito a un pestaggio bello e buono, ma non poteva fare a meno che provare la sensazione di voler sotterrarsi, dovendosi far proteggere da un gruppo di studentesse neanche fosse un bambino che si nascondeva, letteralmente, dietro la gonna di propria madre. E invece era lì, al centro di quella formazione così compatta che poteva sentire il profumo di ognuna di loro. Probabilmente poi, a causa della sua altezza, dovevano aver pensato che non avesse più di dodici anni, perché decisamente lo trattavano come tale. Ma non ce la faceva a lamentarsi, contraddirle o provare a infrangere il cerchio, aveva troppa paura. E poi un calore strano gli bruciava dentro, una sensazione di affetto disinteressato che gli mancava.

—Uh!— Esclamò quella con la coda di cavallo, indicando la rivista che aveva in mano —È il nuovo numero quello?

—S-sì— Biascicò lui, sudando più per l’imbarazzo della situazione attuale che il pericolo di quella precedente. Provò a guardarla negli occhi, due centimetri più in alto dei suoi —Mia sorella mi ha mandato a prenderlo— Ma sapeva che non era credibile.

—Dai, non fare lo scemo— Gli strinse la testa sottobraccio quella abbronzata, grattandogli il capo con le nocche —Quei coglioni non ci sono più in giro, non ti vergognare.

Provò a negare ancora ma non ci riuscì. Continuarono a scortarlo, parlando del più e del meno per consolarlo e continuando a carezzarlo. Forse avrebbe dovuto dire loro di smetterla ma non lo volle fare. Presto raggiunsero l’entrata della stazione e, nel parcheggio lì fuori, dovettero congedarsi.

—Non ci sono in giro loro vero?— Chiese timoroso, sbirciando in mezzo le loro spalle.

—No, nessun pericolo in vista— Proclamò quella coi capelli corti. Il cerchio di ragazze si sciolse, lasciandolo libero di andarsene. Fece un paio di passi avanti prima di voltarsi e cercare di fare un inchino il più composto possibile. Ma aveva il volto in lacrime, non poteva farne a meno. Il che gli pareva assurdo, perché non aveva alcun motivo per essere triste. Forse era per il motivo opposto. Quella più alta si chinò e gli asciugò il viso con un fazzoletto. Alla fine Nuke aveva avuto ragione: ne aveva bisogno.

—Ascolta— Disse lei, rizzandosi —Io sono Sayaka. Credo che tu abbia bisogno di aiuto e, beh, se vuoi noi ci troviamo all’”Haru Zei” stasera. Lo conosci?

Sì, ne aveva sentito parlare. Era un bar karaoke molto in voga ultimamente fra i suoi coetanei. Si era promesso di frequentarlo una volta, ma non si era mai, per dire, presentata l’occasione. Si limitò a fare un cenno di assenso con il capo. Sayaka sorrise.

—D’accordo. Allora stammi bene, ci vediamo stasera— E con questo Ichiro le vide andare via, giù per il marciapiede opposto al suo verso. Rimase un attimo interdetto, poi prese anche lui a camminare, già provando nostalgia di quei momenti di tenerezza. Avrebbe ucciso perché fosse già sera.

***

—Ciao, sono a casa.

—Ichiro, hai fatto un po’ tardi mi sembra— Sua madre lo stava già aspettando in cucina, la tavola pronta. Non aveva toccato cibo.

—Scusa— Disse togliendosi le scarpe —La prossima volta sarò puntuale.

—E la prossima volta cucinerai tu— Aggiunse lei secca, prendendo finalmente a consumare il pasto freddo —Vorrei sapere cosa ti abbia trattenuto tanto.

—Io…— Misurò bene alle parole che stava per dire, mentre prendeva posto accanto a lei a tavola. Non aveva voglia di coinvolgerla nei suoi drammi personali —Mi sono attardato a parlare con delle amiche.

—Amiche?— Sobbalzò lei.

—Sì, una certa Sayaka e delle altre. Mi hanno invitato a uscire stasera con loro all’”Haru Zei”.

—Oh— Esclamò lei sorpresa, con le bacchette ferme a mezz’aria. Poi ammiccò un sorriso —Perché non l’hai detto subito?

—Sarebbe un problema se ci andassi?— Chiese, rigirandosi il cibo nella ciotola.

—Affatto— Disse lei giuliva —Assicurati solo di essere pronto per la verifica di domani.

—Sì, giusto, quella— Rimuginò lui, faticando a mandare giù quel che aveva messo in bocca. Dopo tutto quello che gli era capitato gli pareva di essere uscito dalla sua vita normale. E invece si trovava ancora lì, con sua madre, a discutere della verifica di storia, come se la testata a Nuke e l’incontro con quello stormo di angeli non fossero mai avvenuti. —Papà quando torna?

—Lo studio gli sta facendo fare anche i pomeriggi ultimamente. Sembra che il produttore abbia anticipato la data della messa in onda e l’animazione non è ancora finita. Temo che per un po’ vi vedrete con il binocolo voi due. Lo sai come trattano gli intercalatori alla Toei.

—Capisco— Guardò fuori dal balcone, le nuvole grigie coprire il cielo come cumuli di polvere —Bella giornata, non trovi?

—Se lo dici tu.

***

—M-ma è ridicolo! Un gatto che parla: Questa sembra una roba uscita da un manga!

Nonostante ce l’avesse davanti Yui non poteva crederci. Possibile che la voce giungesse da sopra quella trave, dove stava seduto il felino glabro? Quest’ultimo spiccò un salto nel vuoto e atterrò, dopo un piroetta, ai suoi piedi. Yui non riuscì a reggersi sulle proprie gambe e cascò seduta sul pavimento del tempio, schiena contro una colonna ionica.

—Non dire idiozie, il destino dell’umanità dipende da te, non è il momento di avere paura!— La ammonì severamente il gatto senza pelo.

A me sembra il momento eccome. Chi diavolo sei tu?

Vado per molti nomi, ma tu puoi riferirti a me semplicemente come la Divina Maestà!

Modesto lo spelacchiato Commentò a bassa voce Yui, che aveva quasi trovato la calma adatta per fare battute.

Da anni io sono lo spirito che ha vegliato sul vaso di Pandora, proteggendo il mondo dal signore dei demoni che contiene. Ma ora sto invecchiando e non ho più la forza di tenerlo chiuso per sempre. I demoni si stanno riversando nel mondo in ordine crescente di potenza.

Quindi sei spelacchiato perché sei vecchio?

Basta parlare del mio pelo! È in gioco il destino del mondo e solo tu puoi salvarlo dal signore dei demoni e il suo esercito che invierà progressivamente sulla terra!

I-io! Cosa posso fare io contro un signore dei demoni? Non ho neppure finito le medie! Continuò a piagnucolare Yui, nascondendosi dietro la colonna bianca.

Tu sei la prescelta Yui! Insistette l’animale, aggirando il fusto in due balzi e ipnotizzandola con i suoi occhi dorati Solo tu puoi diventare la protettrice dell’amore,”Ai no senshi Chibi-Pan!” Il terreno prese a tremare, talmente forte che la colonna stessa vicino cui stavano crollò al suolo in uno schianto di frammenti di marmo. Saltata via appena in tempo, Yui si levò le mani dal viso per vedere cosa stava succedendo, e vide davanti a sé uno sciame di particelle viola prendere forma sugli scalini dell’altare. D’improvviso un terribile mostro insettiforme fece la sua comparsa, agitando braccia da mantide e antenne da frusta. Si mise in una posa fotogenica e gridò ronzando le ali e le mandibole.

In guardia Divina Maestà, Io sono Kamarakiri e sono qui per distruggerti e liberare i miei compagni dalla prigionia in cui li hai costretti!

Presto Yui! Il gatto saltò sulla testa dell’ancora sgomenta ragazzina È il tuo momento. Ripeti l’incantamento insieme a me per trasformarti! ”Ainotameni, shinu! Hentai!”.

Non mi piace quella frase! Piagnucolò lei, stringendo le gambe dalla paura come a trattenersi dal pisciarsi addosso. Ma pareva non avere scelta.

—Non ha importanza di che tipo di guardiana ti farà da scudo!— Minacciò Kamarakiri,saltando in avanti in un affondo —Passerò volentieri anche sul suo cadavere!

Ainotameni, shinu! Hentai!

***

Una luce accecante aveva invaso la tavola del fumetto. Il che si traduceva in una buona percentuale di pagina lasciata in bianco e molto lavoro in meno per il disegnatore. In quella immediatamente successiva iniziava un’elaborata sequenza di trasformazione piena di scintille e bolle di sapone. Girò la pagina e si ritrovò all’ultima splashpage di Yui, ormai trasformata ed incredula, in un elaboratissimo vestito violetto dai bottoni dorati, nastrini rosa e fiocchi rossi, vari strati di crinolina sotto la gonna e una bacchetta magica con una stella in cima. Era l’uniforme meno adeguata per combattere il male, ma Ichiro non poté fare a meno che adorarla. La storia sarebbe proseguita la settimana prossima. Non si sentì particolarmente entusiasta di vedere dove la storia andasse a parare, visti i preamboli, ma il design del vestito lo aveva incantato. Ammirò ancora un poco la tavola finale, poi diede un occhiata all’orologio. Era tardi, doveva assolutamente studiare. Nascose il “Mahou Shoujo Magazine” sotto il proprio letto, insieme agli altri numeri, e tirò fuori il libro di storia. Si mise alla scrivania e prese a farsi appunti sulla restaurazione Meiji. A dire la verità finì solo con il buttare giù schizzi a penna per il costume ideale da ragazza magica.

“La mia serie preferita è Pichi Pichi Peach Power Princess!” Aveva esclamato la ragazza dalla coda di cavallo, Yoko gli pare si chiamasse, mentre parlavano del magazine “Ha uno stile di disegno così tenero, è tutto zuccheroso. E poi la storia è così allegra e spensierata, mi da ottimismo leggerla, capisci?”

Sì, poteva capirlo benissimo. Forse il genere delle mahou shoujo non era indicato alla sua demografica, ma aveva finito per leggerne a palate a causa della sua infelice condizione sociale. Ovunque si girasse la competitività lo soffocava. A scuola lo spingevano ad ammazzarsi di studio per prendere voti sempre più altri quando a lui bastava la sufficienza; i suoi coetanei si vantavano in continuazione delle proprie conquiste sessuali quando lui si dimenticava alle volte di possedere un pene. E i suoi genitori continuavano a fare progetti sul suo brillante futuro e a intimargli di non deluderli. Era più che logico che la fantasia di potersi trasformare nel bel mezzo della giornata e spezzare il proprio ritmo quotidiano con un piccolo inserto di magia lo allettasse.

Completò il suo scarabocchio definitivo del vestito e lo esaminò. Non pareva male, forse gli sarebbe pure stato bene addosso. Tutti quanti non facevano che dargli della femminuccia in fondo, magari il suo fisico era fatto apposta per quell’abito. Scosse la testa. No, sarebbe apparso ridicolo. Certo, non più ridicolo di come era apparso in maglietta e pantaloncini quel giorno in palestra. Dio, aveva frignato come un bambino per quella pallonata. E poi aveva pianto di nuovo di fronte a quelle cinque ragazze e chissà cosa dovevano aver pensato di lui. All’inizio era di conforto pensare che le avrebbe riviste quella sera, ma più ci pensava e più si rendeva conto che era un gesto mosso da pietà che altro.

Si arrotolò la manica, rivelando il braccio sinuoso e quasi privo di peli. Era l’esatto opposto del concetto di mascolinità, dal suo fisico, la sua altezza, la sua voce, la sua emotività ben poco sotto controllo e tutto il resto. Si alzò dalla sedia di scatto. Non gliene poteva importare di meno ora come ora della fine dello Shogunato. Si mise davanti lo specchio a muro e si guardò.

—Se solo potessi…— E si mise in posa, ma non cambiò nulla. Era rimasto lo stesso essere insignificante di prima ma in una posizione da idiota —Se solo potessi…— Ripeté sconsolato e si buttò sul letto di pancia, premendosi il cuscino sulla testa e uggiolando un verso di sconforto sommesso.

—Ichiro Dezaki, suppongo— Mormorò una voce profonda sopra di lui. Spaventato, Ichiro arretrò, togliendosi il cuscino dal capo per vedere quale razza di intruso si avesse fatto irruzione in camera sua. Ma non c’era nessuno, solo qualcosa. Un animale, seduto sul davanzale della sua finestra, con due grandi orecchie, un naso lungo e senza peli. Pietrificato lo vide muovere la bocca ed esprimere parole —Ho bisogno del tuo aiuto.

Fu un urlo lancinante ad attirare sua madre in camera. Quando la signora spalancò la porta si aspettava di trovarsi di fronte alla scena di un omicidio, invece ci stava solo suo figlio, rannicchiato in un angolo, a indicare la finestra.

—Ma che hai da gridare, sei diventato scemo?— Chiese gentilmente la donna.

—Un coso… un animale… una bestia mi è entrata in camera e… mi ha parlato— Balbettò lui, con una mano alla gola —Era lì, te lo giuro, un coniglio fuso a un formichiere. Poi ho chiuso gli occhi e quello è sparito.

—Ichiro— Gli disse mentre lo aiutava a rialzarsi —Te non ti droghi, vero?

—Ma che razza di domande sono, mamma?— Sbottò lui, doppiamente scioccato.

—Non ti giudico mica, dopotutto, alla tua età, anche io…

—No mamma, ti giuro che c’era sul serio, devi credermi.

—Allora, anche se ci fosse— Gli disse, porgendogli una scopa —Io gli animali strani non li sopporto. Se appare di nuovo non chiamare me, pensaci tu, che ormai sei grande.

Ichiro vide sua madre lasciarlo solo nella stanza, richiudendo la porta, con una scopa a fargli da compagnia. Che razza di serata. Forse avrebbe dovuto ricominciare a studiare, la sua mente viaggiava troppo.

—Ichiro, non spaventarti, sono solo io— Disse nuovamente la voce profonda. Si voltò di scatto e vide che l’animale era riapparso, a quattro sul proprio letto. Era grosso come una pantegana, il corpo ingrassato e la pelle grinzosa. Senza troppi ripensamenti, Ichiro trattenne un grido e alzò la scopa al cielo, menando un fendente. Ma fu come colpire il vento, perché l’animale non c’era già più —Ti prego, devi ascoltarmi, è importante!

La voce proveniva da dietro di lui ora. Si voltò e lo vide sulla propria scrivania, seduto aggraziatamente sopra il libro di storia.

—Chi sei?— Riuscì a bisbigliare appena verso quella visione assurda. Forse la stanchezza gli stava giocando brutti scherzi.

—Io sono Poro Poro— Esclamò, vibrando le grandi orecchie —Sono qui per conto del ministero della difesa.

—Il ministro della difesa?— Ripeté, allentando la presa dal manico della scopa dalla confusione.

—Il ministero della difesa magica— Puntualizzò l’animale, facendo avanti e indietro sul mobile —Non sono di questo mondo, ma mi è stato dato il compito di proteggerlo, arruolando le persone giuste.

—Frena, frena, spiegati meglio— Intimò Ichiro con la voce rotta dall’emozione, puntando la scopa come una lancia —Cosa sei tu, da dove vieni e cosa vuoi da me, razza di porcospino calvo?

Poro Poro arricciò il naso offeso da quella parlata, sbuffando e chiudendo gli occhi in atteggiamento solenne, zampa sul petto.

—Si dia il caso che io sia un oritteropo, signorino Ichiro. Vengo da una dimensione diversa da questa, quello che voi potreste chiamare paradiso. Mi è stato affidato il compito di scegliere il protettore di questa zona di mondo e tu sei il soggetto più idoneo per diventarlo.

—Io? E da cosa dovrei proteggere il mondo?

—Quella è una radiosveglia, no?— Adocchiò l’oggetto Poro Poro, facendogli cenno —Accendila e ascolta.

Ichiro fu titubante a dargli le spalle, ma infine vinse la sua paura e, tremando, si avvicinò all’apparecchio, che segnava ormai le sette di sera. Si sintonizzò su un notiziario e ascoltò una trasmissione allarmata dalla metà in poi.

Immagini di dolore, di morte, di distruzione costellano il centro cittadino. Pochi minuti sono passati dall’apparizione improvvisa dell’ignoto gruppo criminale che sta seminando il panico per la città e ignoriamo le sue motivazioni. Le forze dell’ordine non sono ancora riuscite ad organizzare una risposta sufficiente contro la minaccia. I terroristi sembrano essere resistenti alle armi convenzionali. Solo ora, dei piani di evacuazione disorganizzati, stanno venendo messi in pratica. Non sono ancora arrivati comunicati del governo, ma la nostra stazione si sente in dovere di chiedervi di abbandonare il prima possibile la città prima che essa sia trasformata in un teatro di guerriglia urbana da parte di questi misteriosi assalitori. Molti cittadini sono rimasti intrappolati nella zona occupata dai criminali e non sembrano esserci speranze di recupero al momento. Possiamo solo pregare che l’intervento dell’esercito sia tempestivo e capace di contrastare le forze terroristiche .

Ichiro si ritrasse, con la faccia congelata dal panico. Possibile che stesse accadendo a lui, alla sua città? Che una minaccia così fantastica si fosse abbattuta a pochi chilometri da lui? Certo, non si trovava in pericolo, il suo appartamento di periferia era distante dalla zona dell’incidente, ma guardando fuori dalla finestra poteva vedere bagliori di fiamma e fumo nero che si alzava in mezzo ai palazzi, oltre che il rumore distante di sirene. Gli cadde la scopa dalle mani.

—Ichiro!— Sua madre era entrata senza bussare dalla fretta. PPer un attimo lui ebbe paura che vedesse Poro Poro, ma quest’ultimo si era già smaterializzato un’altra volta. Lei non ebbe bisogno di chiedergli se sapesse, glielo poteva leggere in faccia e dalla radio accesa che sputava notizie sempre più nere —Io… non voglio che tu esca stasera. Aspetteremo tuo padre, non ti muovere di casa. Quando arriverà, se la situazione fosse peggiore, potremmo dovere andare a vivere da mia sorella per un po’. Spero tu capisca la situazione.

Lo abbracciò, ma lui rimase rigido e freddo, senza ricambiare. Aspettò che lei uscisse per mettersi le mani sui capelli e sedersi sul bordo del letto.

—Che cosa posso fare?— Biascicò —Sayaka, Yoko e le altre potrebbero essere…

Ma non riuscì a terminare la frase. Poro Poro, intanto, era apparso di fianco a lui, come a fargli le fusa per calmarlo.

—C’è qualcosa che puoi fare— Puntualizzò l’oritteropo —Lottare per difendere chi ti sta a cuore.

—Non prendermi in giro— Mormorò con tono arrendevole ichiro, strofinandosi un occhio —Hai scelto la persona sbagliata. Io non posso proteggere nessuno, sono solo un adolescente insicuro, debole e sempre pronto a piangere.

—Ma tu hai un buon cuore— Poro Poro gli saltò sulle gambe e gli poggiò le zampe anteriori al petto —A cosa serve la forza senza la volontà di usarla per il bene? Fra tutti i poteri che ti posso dare neppure io avrei potuto regalarti la tua bontà.

—Poteri?— Chiese sorpreso Ichiro —Che poteri?

—Se tu accetti la mia proposta diventerai un membro degli Angel Corp otterrai un’uniforme e dei poteri unici con cui combattere i nemici della pace.

—Sembra tutto così ridicolo— Si mise una mano in fronte il ragazzo.

—Non lo è affatto, ascolta— Saltò con un balzo solo nuovamente sul davanzale della finestra, osservando le fiammate lontane all’orizzonte —In questo momento molte vite dipendono da te. Solo tu puoi combattere i Nekuroid.

—E cosa vogliono questi nekuroid?

—Conquistare il mondo ovviamente e non si fermeranno di fronte a nulla. Devi venire con me e sconfiggerli.

—E perché nessun altro? Perché non qualcuno di più capace?

—È una questione di genetica— Spiegò Poro Poro —Solo tu hai i geni predisposti per poter diventare un guerriero angelico. Questo tuo dono ti da anche la responsabilità di poter farne uso per aiutare chi ne ha bisogno. Pensa a Sayaka, Yoko e tutti gli altri.

Ichiro scrutò l’oritteropo con sguardo cupo.

—Immagino che non possa tirarmi indietro.

***

—Eccoci qua, Ichiro— Scodinzolò Poro Poro, adagiato sopra i suoi capelli. Il ragazzo non aveva ancora il coraggio di aprire gli occhi e vedere dove lo aveva portato. Sapeva solo che faceva freddissimo e tirava un vento fatto di folate e pause interrotte. Si strinse nel suo pigiama azzurro che indossava perennemente quando era a casa e saltellò sui piedi scalzi.

—Forse avrei fatto meglio a cambiarmi— Mormorò a denti stretti. Schiuse le palpebre. Si trovavano sul tetto di un palazzo o qualcosa di simile.

—Oh, non ha importanza, non terrai quei vestiti addosso ancora a lungo— Fu la risposta del guardiano, mentre gli balzava via dalla testa, direttamente sul bordo del cornicione e guardò giù in strada. Ichiro ebbe un senso di vertigine alla paura che potesse cadere, Poro Poro manteneva un equilibrio perfetto sul ciglio. Gli si avvicinò e gli fu accanto, guardando anche lui quello che capitava più sotto. Un branco di individui avanzava in delle strade deserte e piene di carcasse di macchine, diretti verso un blocco della polizia, che gli intimava di fermarsi al megafono. Non erano proprio degli uomini però. Parevano più armature o macchine dal loro aspetto e, dai loro movimenti, era chiaro che non fossero del tutto vivi. Quando gli agenti aprirono il fuoco verso quella rossa massa ferrosa ichiro si nascose dietro il parapetto del palazzo con un gemito di spavento. Rimbombarono suoni di piombo frantumato ovunque, ma nessuno degli individui pareva anche solo trasalire alle scintille che si sviluppavano sul loro corpo. Infine, uno di loro, allungò le proprie braccia innaturalmente lunghe verso una piccola station wagon di fianco a sé, afferrandola con delle chele. La alzò lentamente, ma non per fatica, sopra la propria testa tonda e piena di occhiolini neri da granchio, per poi traboccarla con violenza meccanica e fredda addosso lo sbarramento di fronte, con uno schianto tremendo di lamiere piegate, vetri infranti e allarmi suonanti, schiacciando una delle volanti che bloccavano la strada. Ichiro non ebbe neppure il tempo di vedere se qualcuno fosse rimasto sotterrato sotto quella massa ferrigna che un secondo di quei crostacei bipedi rispose letteralmente al fuoco degli agenti, sprigionando come un lanciafiamme a lingue azzurre da una piccola proboscide al posto della bocca, dirigendo il getto incandescente verso quei due cadaveri di automobile. Ichiro si mise le mani sulle orecchie e si girò dall’altra parte, inginocchiandosi, già prevedendo la terribile esplosione che spezzò l’aria come una frusta. Non aveva più il coraggio di guardare giù. Aveva riconosciuto il posto, si trovavano sulla cima del centro commerciale dove la sua famiglia andava sempre a fare la spesa. Possibile che stesse accadendo davvero, in quel posto, in quel momento? Possibile che non si trattasse di una fantasia eccessivamente dettagliata? Forse stava avendo un incubo. Spesso sognava convinto di essere sveglio.

Si risvegliò dal suo stato di schock solo quando Poro Poro si teletrasportò di fronte a lui e gli strinse le guance fra le zampe dagli artigli smussati.

—Vedi che distruzione stanno portando i Nekuroid? Devi assolutamente fermarli, devi trasformarti!

—Non voglio— Piagnucolò, strofinandosi gli occhi e a sguardo basso, parlando a singhiozzi —Sono solo uno studente, sono minorenne, vivo coi miei genitori, prendo pessimi voti, leggo fumetti per ragazzine, piango sempre, non ho mai scopato in vita mia, sono lo scherzo vivente della classe, io… Io sono un disastro su tutta la linea, non posso difendere la terra, ti sei sbagliato, i miei geni si sono sbagliati. Riportami a casa per favore, voglio solo studiare per la verifica di domani.

Il suo piagnisteo fu interrotto da uno schiaffo poderoso, almeno per le sue proporzioni, di Poro Poro. Quando Ichiro si massaggiò la guancia, ammutolito, si vide davanti due occhi che non esprimevano rabbia ma determinazione infuocata

—Tu…— Iniziò, correggendo il tono della sua voce perché risultasse più profonda —Non capisci che non ci sarà alcuna verifica domani se non ti decidi a combattere? Dov’è il tuo senso delle priorità? Ichiro, io so che per tutta la vita tu hai voluto dimostrare di non essere un completo inetto agli occhi di chi ti circonda. Finalmente ti si presenta la possibilità di diventare una persona migliore, di avere l’onore di lottare per l’amore e la giustizia. Trasformati, diventa un guerriero angelico, e scendi a batterti con i Nekuroid! Non sarà facile, sarà doloroso, pieno di responsabilità, questa vita ti strapperà la giovinezza di dosso per costringerti a crescere prima del tempo, ma la strada per diventare migliori sarà sempre in salita. Come si può raggiungere un picco se non arrampicandosi per la la parete ripida? Se tu ora tornerai a casa perderai questa occasione unica e vivrai di rimpianti e autocommiserazione, per non parlare del mondo che cadrà nelle mani del male! Non sei stanco di vivere come il buffone della tua stessa vita? E allora in piedi Ichiro Dezaki, è giunto il momento per te di distruggere l’oscurità a mani nude!

Poro Poro gli aveva indirizzato il volto verso la stella polare, giusto per avere più effetto scenico. Ichiro si alzò in piedi, si asciugò gli occhi con la manica del pigiama, tirò su con il naso e annuì.

—D’accordo. Cosa devo fare?

Poro Poro saltò di gioia. Così tanto che finì sopra una parabola, che usò come pulpito per dare istruzioni.

—Prima di tutto prendi questo!— Agitò le mani e, in un lampo di luce istantaneo, apparve fluttante nell’aria un fermacapelli di plastica a forma di cuore. Ichiro se lo rigirò imbarazzato. Sarebbe stato bene solo su una bambina delle elementari —E ora infilatelo sopra la tempia.

Ichiro fece come gli fu detto, infilando quel trionfo del kitsch poco sopra l’orecchio sinistro.

—Ora premilo con la mano destra, chinati in avanti e dì “ti amo” nella lingua dei muti con la mano sinistra.

Dovette farsi rispiegare questo passaggio un po’ di volte, ma infine si trovò in posizione. Si sentiva ridicolo a fare pose sul tetto di un palazzo in pigiama, ma se significava fare qualcosa di utile nella propria esistenza era convinto di poterlo sopportare.

—E ora grida “Ai no Henshin”!— Per completare il rito— Ma Ichiro esitò, ancora con le braccia attorcigliate. Poro Poro zampettò d’impazienza —E ora che ti prende?

—È solo che ho sperato così tanti anni che accadesse e ora… Mi sembra sbagliato. Come se dovessi svegliarmi da un momento all’altro nella mia vita di prima.

—Non è il momento delle crisi! Persone stanno morendo giù in strada, sbrigati!

Ichiro strizzò gli occhi, tremando e sudante, coi vestiti larghi smossi dal vento.

Ai no Henshin!

Ci fu una luce particolare. L’avvolse piuttosto che accecarlo. Fu come trovarsi all’interno d’una stella, tutte le ombre erano sparite. Si guardò il proprio corpo e notò che non riusciva a muoversi. Non stava camminando, non toccava alcun suolo, ma non stava neppure nuotando, era solo sospeso, capace solo di agitarsi per aria inutilmente. D’improvviso i suoi vestiti sparirono, come traslassero via dall’esistenza. Prima che potesse afferrarlo il suo pigiama aveva perso consistenza ed era sparito. Nudo come un neonato non poté fare a meno di strillare d’impulso quando sentì qualcosa toccargli la gamba.

—Tranquillo!— Lo rassicurò la voce di Poro Poro —Sei già a metà trasformazione!

Ichiro ci sperò con tutto il cuore perché ora stava avvenendo il processo inverso. Dei nastri di tessuto apparvero tutt’intorno a lui e, come serpenti, si gettarono sul suo corpo in posizione fetale dal timore. Dei nuovi vestiti gli si stavano formando addosso in tempo reale, ma era molto meno spaventoso di quanto sembrasse, per quanto lo mettesse a disagio farsi fare il cambio d’abiti da un incantesimo. Cominciò quasi a fargli il solletico quando passò in certe zone. Ci fu lo scoppio di una bolla di sapone e, d’incanto, la luce era sparita, ritrovandosi di nuovo in cima al tetto, coi piedi per terra. Si tastò il corpo: non era più nudo come prima, senza dubbio. Poro Poro lo osservò soddisfatto, saltando giù dalla parabola e danzandogli attorno.

—Ecco fatto, ora sei ufficialmente Pretty Angel Sigma! Ti piace l’uniforme?

Ichiro si diede un’occhiata e mancò un battito. Tanto per cominciare aveva indosso un crop top bianco, che gli arrivava sotto il petto, ma richiamava nel suo disegno l’uniforme scolastica alla marinara femminile, con il collare azzurro che gli cingeva il collo, un grosso fiocco rosa che lo legava e le spalline imbottite. Proseguendo giù aveva il busto in bella mostra, non fosse per una maglietta semitrasparente che lasciava intravedere l’ombelico e dai fianchi partiva una sopragonna dello stesso materiale e colore del top più in alto, con le sue stesse venature azzurre, tagliato sul davanti come un torta, lasciando intravedere la minigonna plissettata sottostante, talmente corta che non giungeva neppure a metà coscia. A completare il tutto due stivaletti rosati con alette alle caviglie, un girocollo con campanellino, orecchini sul lobo rosa e guanti bianchi di raso lunghi fino alla spalla, con l’orlo nascosto sotto la manica delle spalline. Era il vestito che aveva disegnato prima invece di fasi gli appunti. Indossato dal vivo pareva la pessima copia di un design ben più famoso.

—No che non mi piace!— Sbottò Ichiro, stringendo i pugni di raso, arrossendo e pestando uno stivaletto per terra —Non posso andare in giro così, è umiliante!

—A me sembra che ti doni— Poro Poro gesticolò e trasse con un altro lampo di luce uno specchio dal nulla. Guardandoci dentro Ichiro non vide sé stesso, ma la rappresentazione perfetta della più adorabile ragazza magica che si potesse ottenere dal reale. Si passò una mano sul viso, incredulo che quello fosse lui, tremando le labbra passate al rossetto. Aveva addirittura i capelli tinti di bianco neve. Poi si nascose il volto fra le mani e girò intorno, nervoso.

—Dio, spero nessuno mi riconosca.

—Di che ti vergogni, dovrebbe essere un onore essere il paladino dell’amore!— Gli balzò accanto Poro Poro.

—Ma mi spieghi perché diavolo devo indossare una gonna e tutto? Non avete alternative maschili?

—Beh, non sono stato io a scegliere il vestito— Si scusò l’oritteropo, grattandosi il lungo muso —L’uniforme viene fatta sulla base di come si immagina il guerriero angelico che la indossa. Dovresti essere contento, è letteralmente fatta come la immaginavi.

Ichiro provò ad allentarsi un po’ il girocollo. Uno scoppio di cemento attirò la sua attenzione verso una nuvola di detriti in crollo. Un gruppo di Nekuroid aveva sciolto, coi propri lanciafiamme, la base di un traliccio dell’alta tensione, lasciandolo precipitare da un lato contro la facciata di un palazzo vicino. Non c’era tempo da perdere.

***

Quando venne a mancare anche la luce non ce la poté fare più ad aspettare, si sentiva già in una tomba.

—Io dico di uscire— Propose Kyoko.

—Io dico che sei scema— Rispose Yoko, rifacendosi la coda di cavallo. La ragazza dal colorito abbronzato non la prese bene.

—Vuoi stare tutta la vita nascosta qui dietro?

—Mi garberebbe solo uscire quando fuori la smettono di sparare, ecco.

—Smettetela di fare rumore voi due— Intervenne Sayaka —volete attirarli qui?

Come a risponderle, un pesante susseguirsi di passi lenti prese ad avvicinarsi. Dietro il bancone della sala, devastata dalla fuga e il panico dei clienti dell”Haru Zei”, tutte le ragazze trattennero il fiato. I passi smisero di colpo. Appena il tempo di tirare un sospiro di sollievo, però, che la porta barricata del locale esplose in uno sciame di segatura all’impatto con una sega circolare dall’esterno. In meno di un minuto, uno di quei grossi granchi rossi si stava prodigando per infilare tutto il carapace metallico attraverso gli stretti battenti, gorgogliando chissà cosa in gola. Ognuna di loro fece del suo meglio per evitare di strillare dal terrore, specie quando quel maledetto affare prese a camminare in giro per la stanza. Senza poterlo vedere, lo sentirono cercare in giro. Dovette trovare un uomo, perché si udì un grido distintamente maschile, seguito da una brevissima colluttazione e un orribile rumore di ossa rotta, che interruppe ogni verso della persona. Era troppo. Quando quello schiocco di ossa arrivò alle sue orecchie Yoko non poté fare a meno che emettere un grido strozzato. Tutte la guardarono con un espressione da morte in viso.

Qualunque cosa il gamberone stava facendo la interruppe, perché prese immediatamente a camminare verso il bancone. Yoko si trattenne dall’abbandonare il proprio nascondiglio fino all’ultimo, ma quando sentì l’incombente massa avvicinarsi al mobile, non poté fare altro che alzarsi e provare a correre via. Subito un tentacolo metallico la seguì e tre dita appuntite la presero per il colletto della camicia. Yoko fu costretta a voltarsi e trovarsi faccia a faccia con dieci occhi elettronici che la fissavano. La costrinse a sé da oltre il bancone, facendola passare sopra il mobile dolorosamente e trascinandosela ai suoi piedi, alzando in aria la sua mano libera, che prese a girare nel polso, formando, con la punta delle dita, la stessa sega circolare che aveva infranto la porta. Yoko rimase sul pavimento a strillare, fino a quando il mostro non sussultò e cadde su un ginocchio, mollando la presa. Sayaka e le altre ne approfittarono subito per trascinarla via prima che potesse riprenderla e la sollevarono, dirigendosi all’uscita insieme ad altri clienti terrorizzati. Ma erano solo in quattro. Si guardò indietro e vide Kyoko torreggiare la macchina chinata, sollevando sopra la propria testa un estintore già ammaccato. Menò un secondo colpo presa dall’adrenalina, prendendo la macchina sul muso, voltatosi a vedere chi la disturbava, e lasciandogli una delle dieci lenti incrinate.

—Vieni via Kyoko!— la implorò Sayaka.

—Ti è piaciuto, gran figlio di puttana?— E già si preparava a scagliare un terzo colpo che non giunse mai. Un tentacolo nero la cinse alla gola e la sollevò da terra, facendole mollare l’estintore dalle mani che portò alla morsa. Le altre quattro smisero subito di correre e rimasero paralizzate dalla loro impotenza di fare niente per aiutarla contro quel mostro meccanico. Kyoko sarebbe morta e loro non potevano impedirlo.

Kokorang, go!

Una sorta di proiettile di luce attraversò la stanza, descrivendo una traiettoria che si lasciò dietro la coda di una cometa, prima di svanire piano. Il mostro si era fermato di colpo, ancora stringendo la povera Kyoko scalciante. Poi si ammollì come burro sciolto l’istante dopo, lasciando cadere il corpo vivo ma incosciente della ragazza. Il gamberone cadde all’indietro lentamente, mentre una crepa appena apparsa sul suo petto si illuminava di fuoco. Toccò il suolo con la delicatezza di un incudine, sfondando il pavimento in legno. Le quattro corsero ad assistere la propria compagna svenuta, prima di voltarsi verso l’origine di quel grido. Sulla soglia del locale ormai vuoto stava una figura bassa, dal fisico esile e vestita in maniera eccentrica. Nella mano inguantata di bianco aveva una spilla a forma di cuore, che procedette subito a rimettersi a posto sulla tempia sinistra.

—E tu chi saresti?— Chiese Ai, sistemandosi gli occhiali. La figura era in controluce con i lampioni esterni e non la si vedeva definita. La figura rimase immobile. D’improvviso girò la testa alla sua destra e saltò all’indietro, evitando un tentacolo nero che frustò il marciapiede, fracassandolo. Chiunque fosse, ora, era sparita nelle strade notturne, tirandosi dietro mezza dozzina di quei granchi a inseguirla, martellando il manto stradale come fabbri sotto il loro peso.

—Cosa succede?— Riaprì gli occhi Kyoko, una volta che l’ossigeno le tornò al cervello e massaggiandosi il collo.

—Bella domanda— Rispose Sayaka.

***

Kokorang, go!

Un altro lancio e un altro Nekuroid a terra, con la testa mozzata. Il kokorang era un’arma favolosa, li passava come carta e tornava nella sua mano automaticamente. L’inconveniente era il fatto che dovesse ogni volta aspettare quei cinque, dieci secondi, che tornasse indietro, il che lo lasciava praticamente disarmato. Inoltre, dover ogni volta gridare la formula per lanciarlo rivelava costantemente la sua posizione a tutti i Nekuroid dei paraggi. Chissà poi che diavolo erano, se alieni, demoni, umani o che altro. Ma non c’era il tempo per chiederselo. I colpi giungevano da ogni parte. In quelle pause in cui aspettava il ritorno della sua arma poteva solo schivare ogni singolo assalto di quelle maledette braccia telescopiche.

Kokoran…— ma non fece in tempo a dire la formula che, di lato, uno di quegli affari mancò di poco il suo petto perché glielo arpionasse. Fu costretto a compiere l’ennesimo balzo indietro, ma stavolta, quando alzò il capo per riprendere la mira, uno di loro riuscì a cingergli il polso, facendogli cadere a terra la spilla. Senza dargli il tempo di riprendersi, il Nekuroid lo attirò a sé, ritirando il braccio come una canna da pesca e costringendolo ad avvicinarsi. Il gamberone alzò al cielo l’altra mano e l’abbassò che era diventata una lama rotante, diretta contro il suo viso. Fu come vedersi la morte in faccia. E come quella volta in metropolitana anche questa volta agì senza sapere cosa stava facendo. Era riuscito a intercettare il braccio metallico che reggeva la lama e lo teneva distante da sé, mentre questa ancora sibilava.

Come poteva fare qualcosa di simile? Evidentemente quella forza gli veniva dai poteri dategli da Poro Poro, concluse. Non poté ragionare ancora sul fatto, che la proboscide del Nekuroid si drizzò e emanò un’aura verdognola. Prima che il mostro potesse fonderlo con la sua lancia termica, Ichiro ebbe un altro scatto. Balzò in avanti, costringendo la sega verso il proprio stesso avversario e riuscì a piantargliela in mezzo gli occhi. Non si aspettava quella vampata di scintille e calore al contatto, ma riuscì a impedirgli di usare il getto e aprirgli la testa in due come una noce, lasciando visibile il suo meccanismo interno. Il Nekuroid era morto e la sua presa si fece molliccia. Udì un sibilo alle sue spalle. Si voltò e ne vide un altro preparare il proprio lanciafiamme contro di lui. Tanto valeva testare fino a quanto ammontava la propria forza allora. Lanciò il Nekuroid che aveva appena sconfitto contro l’altro che si approssimava e aveva appena attivato la lancia termica, che investì in pieno il corpo proiettato verso di lui. Lo scontro fu talmente forte e il calore così tanto, che i due si fusero insieme in un’unica, strana carcassa. Incredibile, doveva appena aver sollevato e catapultato almeno tre quintali di meccanismi. Ansimò un momento, prima di rendersi conto che altri ancora stavano arrivando e si erano frapposti fra lui e il suo Kokorang. La situazione si stava mettendo male.

—Sigma!— Lo chiamò la voce di Poro Poro. Si trovava sopra il lampione sotto cui stava —Ricordati della funzione di ritorno!

Ichiro annuì e allungò una mano verso l’arma a terra, dietro la fila di macchine che avanzava. Come un magnete questa ritornò indietro, affettando due Nekuroid lungo la via e il ragazzo fece subito per rilanciarlo.

—Non hai imparato niente, Sigma?— Sbraitò Poro Poro per farsi sentire —Non ripetere gli stessi attacchi. Passa alla Kokoroken!

Ichiro annuì di nuovo, schivando un altro tentacolo.

Kokoroken!

Chiuse le mani di raso sulla spilla e la lanciò in aria, dove subì una metamorfosi. Dal fondo spuntò un manico, dalla cima una lama e la superficie a forma di cuore si schiuse come una rosa a formare la guardia per il fioretto appena apparso. Alzò le mani pronto per afferrarlo e… cadde un metro più indietro di lui. Si chinò in imbarazzo e fretta per recuperarlo, dando le spalle al nemico. Fortunatamente questo gli evitò un tentacolo che saettò tagliando solo aria con le proprie dita appuntite. O almeno così credeva Ichiro quando si rialzò da terra, fioretto in mano, fino a quando non sentì un venticello freddo abbracciargli l’interno coscia. Si tastò con una mano il retro della gonna e non lo sentì affatto. Anzi, toccò la sua pelle nuda. L’artiglio si era portato via un pezzo della minigonna e sopragonna, lasciando buona porzione delle mutandine in bella mostra.

Forse non ci avrebbe badato troppo, concentrato com’era sulla lotta. Ma d’improvviso si rese conto che un gruppo di civili in fuga si era fermato ad osservare il putiferio che si stava consumando in strada, nascondendosi a debita distanza dietro ogni tipo di copertura. Il rombo di un rotore di coda poi si propagò nell’aria fredda della notte. Un elicottero della stampa stava sorvolando la zona. E lì, davanti a tutte quelle persone, stava un maschio adolescente gracilino e vestito da ragazzina, con il culetto in bella mostra dietro un paio di mutandine. Gli crebbe dentro un imbarazzo indescrivibile. Come mettersi a giocare con le bambole nei corridoi di un’università, quel tipo di imbarazzo. La testa gli girava e le gambe non lo reggevano più. Si accasciò ad un muro con il cuore che gli batteva forte, il respiro affannato e la vista che gli si annebbiava. Un tentacolo vibrò verso di lui e Ichiro fece appena in tempo ad evitarlo, seppure non del tutto. Un brandello del suo collare da marinaretta era rimasto inchiodato al muro. Un altro tentacolo si allungò e ichiro non usò nemmeno stavolta la spada, continuando invece a correre lungo il muro. Aveva bisogno di qualcosa alle sue spalle, per coprire lo strappo alla gonna. Era un vero incubo, come se tutta la vergogna ignorata fino a quel momento lo avesse annegato tutto in un colpo. Lo stavano guardando, lo stavano riprendendo con telefoni e cineprese. E lui stava lì, con la sua ansia sociale, a dare spettacolo in centro città con un vestito ridicolo addosso. Domani mattina avrebbero potuto riconoscerlo e allora la sua vita sarebbe finita del tutto, sarebbe diventato una sorta di scemo del villaggio, ne era sicuro.

Frattanto continuava a ricevere ferite ovunque, incapace di reagire sotto lo sguardo di tutte quelle persone. Un tentacolo gli strappò una delle spalline, un altro gli prese il fianco di striscio, un altro squarciò il guanto destro all’altezza dell’avambraccio e un altro ancora lo colpì giusto nel taglio frontale della sopragonna, togliendogli via un’altra estremità della corta plissettata. Era come se si stessero divertendo con lui senza dar segno di riso, colpendolo poco per volta. Forse, si immaginava, lo avrebbero ucciso solo una volta tolti tutti gli abiti di dosso.

—Per l’amor del cielo, reagisci Sigma!— Gli gridò Poro Poro. Si era teletrasportato davanti a lui e continuava a sparire e apparire per evitare tutti i tentacoli che si stava attirando contro. Gli stava facendo guadagnare tempo per riprendersi —Tu sei perfettamente in grado di distruggerli tutti, cosa aspetti?

Ma lo sguardo di Ichiro, non trasmetteva nulla se non paura, appallottolato contro il muro in quel semicerchio di Nekuroid, con i vestiti a brandelli e sanguinante, la Kokoroken al suolo. Pur teletrasportandosi Poro Poro non poteva proseguire quel gioco a lungo, si stava stancando.

—Per favore Sigma, rialzati e combatti, non c’è motivo perché tu perda adesso!— Ma anche quello fu un grido lanciato al vuoto. Ichiro poté solo provare ancora più tristezza per aver deluso un’altra persona. Poro Poro non ce la faceva più. Si teletrasportò un’ultima volta e riapparve sul cornicione di un palazzo vicino a riprendere fiato. I Nekuroid si dispersero subito per cercare quel guardiano scomparso, mentre un paio di loro rimase indietro a finire il lavoro con Ichiro.

Non reagì neppure quando si sentì i polsi afferrati da due chele. I due granchi lo costrinsero ad alzarsi come una marionetta, mentre i restanti due, dei loro quattro arti, si strinsero attorno le caviglie alate del ragazzo. Anche se fosse stato libero lui non si sarebbe mosso.

—Uccidere il soggetto?— Chiese la voce sintetizzata di uno dei due.

—No, prelevare soggetto— Rispose il secondo. Ichiro ascoltò con il minimo interesse. L’unica cosa peggiore della morte che potessero fargli era quella di portarlo come trofeo al loro capo o chissà cosa. Sicuramente si sarebbe fatto delle sane risate anche lui, se avesse avuto una bocca.

Il grido di un uomo riecheggiò nella sua testa. Non se l’era immaginato, qualcuno stava urlando. Davanti a sé, oltre i corpi dei due grossi Nekuroid, vide un uomo avvolto dalle fiamme correre in mezzo alla strada come una torcia umana. Lo seguì con lo sguardo, ipnotizzato da quel bagliore spettrale in mezzo alla notte. Cadde e si rotolò per terra, fino a estinguere ogni sua vitalità, ma non la fiamma che l’aveva spenta, che procedette a consumarlo come legna secca. I Nekuroid avevano iniziato a usare direttamente i lanciafiamme per liberare la zona dai civili che si erano radunati a osservare la battaglia invece di evacuare. Da entrambi i lati della strada, fiamme blu come il cobalto venivano vomitate dalle loro proboscidi, saltando di corpo in corpo, accendendo chiunque toccassero e grida distorte dal dolore salivano fino al cielo, insieme al fumo e le ceneri.

È vero, era ridicolo, pensò. Era ridicolo il suo costume, era ridicolo lui di aspetto fisico e avrebbe tanto voluto non trovarsi lì. E certo, domani sarebbero circolati ovunque i video di un idiota che combatte in minigonna dei robot. Ma sarebbe stato molto peggio se fossero circolati invece i video di un’idiota, vestito da ragazzina, che lasciava degli innocenti venire arsi vivi da dei mostri. Ripensò a come era stato salvato, quel pomeriggio, da Sayaka e le sue amiche. Avrebbero potuto ignorarlo e invece si erano prese la briga di aiutarlo, perché potevano farlo. E ora, dopo aver passato tutta la vita in uno stato di subordinazione agli altri, aveva finalmente la possibilità di fare qualcosa di buono per loro. E lo avrebbe fatto perché poteva e basta.

***

—E io vi dico che anche se non fosse arrivata quella tipa strana con il suo boomerang magico a risolvere la cosa, ci potevo pensare benissimo da sola a sistemare quel coso.

—Da svenuta, Kyoko?— Chiese spazientita Ai.

—Non possiamo essere solo allegre che siamo riuscite a non morire, per favore?— Le abbracciò entrambe Sayaka.

Attraversarono la strada piena di pompieri, ancora impegnati con l’incendio dei grandi magazzini. Svoltarono l’angolo e si imbatterono in una strana figura, sdraiata a dormire sulla panchina fredda di una fermata della corriera.

—Ichiro!— Esclamò Yoko, correndo in avanti. Gli parve una strana figura per varie ragioni, non ultima il fatto che fosse vestito solo di un pigiama azzurro e fosse pieno di lividi e tagli. Ebbe la tentazione di scuoterlo, ma gli pareva brutto disturbarlo nelle sue condizioni. Ma, come sentisse la loro presenza, Ichiro aprì gli occhi.

—Cosa è successo Ichiro?— Fu la domanda che gli fu posta. E lui di certo non poteva rispondere che il motivo delle ferite era che aveva passato le ultime due ore a distruggere ogni singolo Nekuroid che aveva assaltato il cuore della città, apparendo, chissà poi come, dal nulla. E non poteva certo aggiungere che, il motivo per cui aveva indosso il suo pigiama, nel bel mezzo della notte e sul luogo di un disastro nazionale, era perché si trattava dei vestiti che aveva indosso quando si era trasformato in Pretty Angel Sigma. E non poteva neppure spiegare che Poro Poro aveva esaurito la sua scorta di energia per teletrasportarsi, dopo tutto l’uso che ne aveva fatto quel giorno, ergo era bloccato lì a chilometri di distanza da casa.

—Non lo so— Fu tutto quel che poté dire con un filo di voce —Aspettavo l’autobus per tornare a casa.

—Credo che i trasporti pubblici del centro siano stati tutti tagliati— Spiegò una voce delle cinque, ma era tanto stanco e debole che non riusciva a capire chi fosse di loro.

—Ho parcheggiato la mia macchina qui vicino, ti possiamo dare uno strappo— Si offrì un’altra. Lui annuì lentamente e ripresero ad attraversare le strade buie del centro devastato. Gli si chiudevano gli occhi e faceva fatica a camminare.

—Mi spiace— Disse appena —Di essere un peso per voi.

—Ma che dici— Questo lo aveva detto Sayaka, ne era certo perché era lei quella che lo reggeva sottobraccio e gli sussurrava nelle orecchie —Non sappiamo perché ti trovi sempre in situazioni così spiacevoli, però saremmo maleducate a non fare nulla per aiutarti.

—E poi sei così adorabile— Aggiunse un’altra, carezzandogli la testa.

A un certo punto finì in uno stato di dormiveglia, avanzando per riflesso meccanico. Aveva salvato la città e si era nuovamente reso ridicolo di fronte a quello stesso gruppo di ragazze. Non sapeva bene se considerarla una bella risoluzione di giornata o meno.

Oltretutto non aveva neppure studiato per la verifica di domani. Beh, forse sarebbe riuscito a convincere sua madre a non andare a scuola per motivi di salute. Forse.

***

—Venga avanti Poro Poro.

—Comandi signor direttore.

—Sono proprio delle belle riprese quelle che abbiamo avuto. Con tutto questo dramma sarà una puntata pilota d’impatto.

—Me ne compiaccio signor diretore.

—Solo una cosa turba il nostro consiglio di amministrazione però.

—Che cosa signor direttore?

—Perché un uomo come protagonista?

—Credo che aggiunga un pizzico di pepe alla vicenda. Ha molto talento, crede davvero in quello che fa e poi è abbastanza carino per il fan service e il merchandising allegato, non trova?

—Non lo metto in dubbio. Senta, spero sia aperto a suggerimenti.

—Certo signor direttore.

—Aggiungere un rivale non sarebbe male. Complicherebbe la vicenda.

—Le farò sapere signor direttore.

—Certo, forse abbiamo esagerato con quello che abbiamo fatto al popolo di quel pianeta.

—Il pubblico adora la violenza gratuita. I gusti sono cambiati dai nostri primi reality show.

—Ho seriamente temuto che quell’Ichiro potesse morire già nella prima puntata.

—Oh, i miei droni ci sono andati molto leggeri, sanno come dosare la loro forza.

—Mi sembrate molto sicuro di sé signor Poro Poro. Vi lascio carta bianca per girare il resto della stagione come preferite.

—Grazie, signor direttore.

   
 
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