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Autore: Barbra    03/02/2021    1 recensioni
Sequel (spin-off) di Avatar e Pokémon - la Leggenda di Gong. Ambientato una quindicina di anni dopo.
DAL TESTO: "Soprappensiero, Sonia digitò di nuovo il nome di Sanna Lenew. Poi di Sanna Lenu, poi di Senna Lenu. Per un motivo o per l'altro, tutti quei nominativi non esistevano.
Lenu, scrittura quasi fonetica della sigla L.N.U., “Last Name Unknown”, era più comune di quanto Sonia volesse credere. Ma la ragazza che l'aveva appena truffata non era tra i Lenu registrati.
La Professoressa si precipitò alla porta del laboratorio e guardò in lontananza tra i passanti. L'imbrogliona era già sparita.
Allora si aggrappò al telefono, decisa a tagliarle ogni via di fuga dalla città e dalla Regione di Galar."
Personaggi non in elenco: Sird (Pokémon Adventures)
CONCLUSA il 20/05/21
Genere: Avventura, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, N, Nuovo personaggio, Team Galassia
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Manga
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Avatar e Pokémon'
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7. Lavandonia




 





 

Noivern atterrò sul grattacielo più alto della Palestra, il più alto di tutta Zafferanopoli, e quindi di tutta Kanto.

Laran scese dalla sua groppa e si tolse il mantello leggero, perché la notte estiva era troppo calda.

La Medium Imari gli andò incontro e lo abbracciò, come avrebbe abbracciato un figlio.

«Ciao, Laran!» lo salutò.

Poi offrì una mela a Noivern. «Ciao, Luna».

La Pokémon divorò avidamente il frutto prima di ritirarsi da sola nella Pokéball.

«Non dovresti essere qui, se sei malata» obiettò il ragazzo.

«Sciocchezze! Non sono malata! Ho avuto qualche problema per colpa del veleno di un Gastly, ma ora sto benissimo! È stato Emery a mandarti da me?».

Mentre parlavano, Sabrina li osservava con discrezione.

Benché fosse la Capopalestra della città più importante di Kanto, fece un inchino formale quando i due le passarono davanti, e si lasciò consegnare il mantello.

Per lei, Imari non era nessuno.

Ma ormai aveva capito come evitare contrasti col Campione.

 

 

*

 

 

«Sei proprio una fifona».

«Non sono fifona, sono solo acrofobica!».

«I grattacieli di Zafferanopoli no, la Torre Pokémon no…».

«Sempre roba che va troppo in alto. E poi... guarda che i cimiteri non mi spaventano per niente! Non capisco neppure perché, nell’immaginario collettivo, siano inquietanti».

«La Torre Pokémon non è un semplice cimitero. È un cimitero infestato».

«I Pokémon Spettro li sfidiamo un po’ ovunque!».

Yulia accennò un sorrisetto enigmatico. «Sì, ma lassù non ci sono solo quelli. Ci sono anime in trasformazione, che ricordano ciò che erano, e che non hanno ancora accettato la condizione. Forse non la accetteranno mai. Possono andarsene, dissolversi, oppure diventare Pokémon Spettro come noi lo conosciamo. In ogni caso, sono loro che piangono e disturbano i vivi, in particolare i Pokémon vivi, e alcuni umani più di altri. A me non fanno niente, ma Laran non può metterci piede se non è accompagnato dalla Medium. Lo assalgono».

«Dovrei avere paura di cadere in depressione?».

«Ma potresti essere aggredita da un fantasma!» le ricordò rabbrividendo Yuri. «Ti accompagno io, comunque».

«No, Yura» lo fermò la sorella. «Tu lassù non ci vai».

«Ma perché?! Tu ci sei andata!».

«Io non ero un ragazzino».

 

 

*

 

 

Preoccupata per le storielle di Yulia, Sedna entrò nella torre con circospezione. Avrebbe voluto farsi accompagnare da una Medium in via preventiva, ma le Medium si facevano pagare quel servizio.

Lei non aveva voglia di foraggiare delle mezze ciarlatane.

Perciò salì al primo piano e si accinse a passare tra le lapidi per raggiungere il secondo.

Appena mise un piede all’interno della sala, udì delle grida e dei pianti.

Un Haunter le venne addosso per spingerla fuori, di nuovo sulle scale, e forse giù dalle scale.

Lei mantenne l’equilibrio e si aggrappò al corrimano.

Provò a rientrare.

Le voci, probabilmente le stesse voci che Venus percepiva dai Pokémon ancora vivi, ripresero a gridare.

La ragazza decise di ignorarle e si avventurò tra le tombe.

Degli esseri invisibili la assaltarono, non per spingerla via né per portarla con loro, ma perché lei li portasse con sé.

Alcuni di loro erano aggressivi.

Lasciò uscire dalle sfere Lucario e Primarina e gli spiriti finalmente si allontanarono, spaventati.

Se i Lucario blu dell’Estremo Oriente avevano sviluppato delle affinità con i Tipo Psico, i loro antenati mediorientali dalla pelliccia nera le avevano con il Tipo Spettro.

Primarina, mezzo Folletto, schizzò dell’acqua luminosa in giro e mise in fuga le anime più aggressive, compresi i Gastly e gli Haunter, che non sopportavano la Luce.

Continuarono camminando in fila indiana. Lucario faceva da guida, mentre Primarina seguiva l’Allenatrice. Imprimeva il proprio canto nelle bolle che faceva scoppiare per spargere acqua luminosa.

Non tutti gli Spettri si lasciavano impressionare da quella sceneggiata.

Al penultimo piano, si trovarono faccia a faccia con un Gengar.

Non era selvatico, o non si considerava ancora tale, perché faceva la guardia al piccolo mausoleo di un’anziana signora che, per sua volontà, aveva fatto portare le sue ceneri in un cimitero di Pokémon.

Nel mausoleo non c’era solo l’urna funeraria della vecchia, ma anche i suoi diari e i suoi gioielli. E visto che si trattava di una Maestra del Tipo Spettro, quei diari e il suo Gengar valevano più degli ori.

Agatha aveva lanciato ai giovani Allenatori una sfida postuma a profanare la sua tomba e catturare il migliore dei suoi Pokémon.

La tomba era ancora inviolata. Il Gengar ancora libero.

I suoi crudeli occhi rossi fissavano Sedna con aria di sfida.

Primarina e Lucario si scambiarono uno sguardo. Non sapevano come comportarsi.

Greninja uscì dalla sfera e attaccò il grande Spettro dal sorriso sardonico.

Ma il Gengar di una Superquattro era ancora pane troppo duro per i suoi denti.

Per beffarsi di lei le saltò addosso e tirò fuori l’enorme lingua per eseguire Leccata. Paralizzata, Greninja subì Sciagura e Palla Ombra e andò al tappeto.

Nessun altro Pokémon raccolse la sfida dopo di lei.

Sedna ritirò Primarina e Lucario e fuggì su per le scale.

Finalmente, raggiunse l’ultimo piano.

Ma la sua foto davanti all’altare, buona per mettere a tacere Yulia, dovette attendere.

Tra i due Ninetales di marmo bianco che sorvegliavano chi si inginocchiava in preghiera dall’alto dei loro piedistalli d’ebano, c’erano una Noivern e il suo Allenatore.

La Noivern si era posata a terra, e con le enormi ali membranacee si appoggiava al marmo bianco della tavola sacra, gemendo a lutto.

Il ragazzo era in piedi e stava un passo indietro.

Indossava un mantello scuro e degli abiti cuciti nella bottega di un sarto. Salvo per i capelli rossi rasati quasi a zero, sembrava che si fosse addormentato cinquecento anni prima e svegliato inspiegabilmente nell’epoca sbagliata.

Non poteva essere che Laran.

Sedna ebbe un bruttissimo presentimento. Rimase in silenzio, e se ne sarebbe tornata giù col passo felpato di un Persian, se lui non si fosse voltato a guardarla.

Al collo, Laran portava la croce solare di Arceus.

Quando i suoi occhi celesti incontrarono il blu marino di quelli di Sedna, la Comandante Galassia ebbe l’impressione che due lame d’acciaio ben temprate cozzassero l’una contro l’altra.

Yulia le aveva rivelato fin troppi dettagli sulla vita del Campione.

L’essere il figlio di Clair e Lance, due cugini di sangue cresciuti chiamandosi fratelli, che per primi consideravano il loro amore un incesto, gli era costato derisioni e tormento durante l’infanzia.

I maltrattamenti subiti dai bulli e l’ipocrita pietà di chi lo considerava un mostriciattolo lo avevano spinto a giurarsi che, un giorno, avrebbe fatto il bagno nel sangue di chiunque gli si fosse avvicinato con intenzioni ostili o peggio lo avesse compatito.

Sedna non voleva mostrargli ostilità né compassione, ma neppure voleva dagli l’idea di essere spaventata da lui. Decise di ignorarlo.

Lui no. «Sandali alti, minigonna e canottiera attillata. Ti vesti così per entrare in un cimitero? In un luogo sacro?».

Sedna si morse le labbra. Anche se era figlia dell’Avatar, anche se aveva davanti un bacchettone o forse un integralista, scrollò le spalle e rispose come avrebbero risposto suo padre Saturno e la Comandante Mercurius. «Ai morti e ai Pokémon non importa se e come mi vesto. E nulla è sacro».

La Noivern, offesa, ebbe un moto di stizza alle sue parole.

Smise di piangere, si staccò dall’altare e camminò verso di lei reggendosi sulle zampe da viverna. Le urlò contro: la sfidava a ripetere ciò che aveva appena detto. Il Campione si mise a braccia conserte e non aggiunse nulla.

Qualcuno applaudì dall’altare ormai libero. «“Femmine”: uno. “Maschi”: zero. Smettetela di litigare, bambini miei!».

Era la stessa ragazza del casinò di Azzurropoli, di nuovo con un vestito fuori tema. Sul cerone bianco che le copriva il volto spiccavano il rosso del rossetto, il nero delle cavità nasali e orbitarie, e i tipici ghirigori colorati dei calaveras. L’ampia gonna nera le rendeva difficile sedersi tra due candele senza prendere fuoco, perciò dopo aver rischiato un rogo involontario le aveva spente.

Dai suoi foltissimi ricci bianchi ornati di grossi fiori colorati fece capolino il Pokémon che era diventato la sua ombra.

«Mew!» miagolò allegro il gattino volante.

Anche lui era stato coinvolto in quella bizzarria. Un finto teschio di Cubone gli copriva il muso, e sul corpo aveva dipinti gli stessi ghirigori di Lunala. Non era opportuno sbandierare la sua vitalità davanti ai morti.

Laran continuò a guardare storto Sedna. «Se è venuta qui per divertirsi, infastidire gli spiriti e sfidare Allenatori e Pokémon, perché ha confuso un cimitero con un tunnel degli orrori...» disse. «…vorrà dire che, prima di andarsene, sfiderà almeno un Allenatore».

Noivern si sporse in avanti in segno di sfida, pronta a spiccare il volo, ma il giovane aveva altri piani e la ritirò.

Scelse invece un’altra sfera, una Ultraball. «Layla… diamo una lezione di umiltà a questa sfacciata» disse.

Sedna arretrò, poi sgranò gli occhi e trattenne il fiato, impietrita.

La grande sagoma scura e sinistra, i tentacoli d’ombra sulla schiena, gli spaventosi denti aguzzi e gli occhi rossi delle tre teste di drago atterrivano Allenatori più esperti e coraggiosi di lei.

Sebbene Hydreigon non fosse uno Spettro, richiamava le fattezze di Giratina. Tutti i Pokémon temevano Giratina anche senza averlo mai visto, per un istinto innato, perché così era scritto nel loro DNA.

Tutti tranne Mew, che in linea di massima non aveva paura di niente. Quell’istinto innato in lui era stato temperato, o era andato perso.

Al cenno di Lunala, andò a mettersi fra Hydreigon e Sedna.

Era veloce e agile, potentissimo in attacco e in difesa.

Se ne stava lì dove la madre gli aveva detto di stare, sorvegliando i movimenti della Hydreigon senza la minima espressione di sfida nei grandi occhi azzurri. Al primo attacco avrebbe cominciato a rispondere per le rime, pur di non disobbedire e scontentare Lunala. Non avrebbe seguito le regole perché non le conosceva.

«Layla... rientra» concluse il Campione.

La Hydreigon scomparve nella sfera.

Sedna tirò un sospiro di sollievo.

Il gattino esultò con una capriola a mezz’aria. «Mew!».

Non aveva mai voglia di combattere. Era tempo rubato al gioco.

Si trasformò tutto contento in un Cubone e mandò in malora il costume. Corse al piano di sotto agitando l’osso che teneva in mano per inseguire gli Spettri.

Laran era contrariato, perché quel ritiro aveva il sapore di una sconfitta.

Andò alla finestra, salì sul davanzale, ma prima di saltare sulla groppa della Noviern Luna, si rivolse un’ultima volta all’altra Luna, la sua “Fata Madrina”: «Non capisco come tu possa apprezzare persone come lei, Lunala. Tanto sciocche e superficiali…».

«È perché sono sciocca e superficiale anch’io» fu la sua risposta. «Ci vediamo in giro, Laran! Tieniti lontano dai guai!».

Il Campione fece una smorfia. Saltò sulla sua Noivern e insieme volarono via.

Sedna stava ancora riprendendosi dallo shock.

Se solo avesse avuto dei Pokémon potenti come Mew al suo fianco, non avrebbe dovuto temere nulla. «Mewtwo, perché non mi ami…?!» sussurrò fra sé.

Lunala la sentì per caso. Tese subito l’orecchio: «Che cosa…?!».

«Niente. Gli umani non gli interessano, ha detto».

La Pokémon Lunare scoppiò a ridere. Anche “zio Gold” avrebbe riso come lei. «Non ci credo! E così, tu ti sei pure dichiarata?! Che mattacchiona!».

Continuava a ridere come una pazza dondolando e battendo le mani sul marmo dell’altare, e il suo ridere sguaiato risuonò per pochi attimi in tutto il cimitero.

Poi rinsavì di colpo. «Ho visto ragazze finire sul rogo per molto meno. Oh, certo: ci sarai rimasta male. Beh, non preoccuparti. Una come te non resta sulla piazza a lungo. Troverai il tuo principe azzurro, bambina, purché tu non cerchi la Bestia».

La sedicenne era arrossita e aveva chinato la testa.

Girò i tacchi e se ne andò giù per le scale senza un fiato. Incrociò Mew, che le tirò i capelli nel tentativo di trattenerla a giocare con lui. Non trovando alcun compagno di gioco disponibile, si era stancato di seminare involontariamente il panico tra gli Spettri. Sedna scosse la testa e tirò dritta per la sua strada, ancora rossa in volto.

All’ultimo piano, Lunala continuava a ridacchiare.

Quando vide ricomparire il suo cucciolo, gli fece cenno di seguirla. «Vieni, Mew. Andiamo a prendere in giro quello spezza-cuori senz’anima di tuo fratello come nessuno prima di noi!».

 

 

*

 

 

La riunione sarebbe iniziata a mezzanotte, ora di Sinnoh.

Sedna indossò il visore e gli auricolari. Non poteva proiettare gli ologrammi nel bagno in cui si era appositamente rinchiusa, rischiando di rivelare l’identità di tutti i Comandanti a qualche ficcanaso.

Si ritrovò in una stanza olografica circolare senza né soffitto né pareti visibili, pervasa da una luce neutra. Non c’era una tavola rotonda al suo centro, ma i Comandanti si disponevano in cerchio lungo una Rossocatena. Non era chiaro se le loro persone la spezzassero o se fossero metaforicamente incatenati l’uno all’altro.

La prima a manifestare la sua presenza, la più chiassosa, fu Mars. «Ma perché dobbiamo esserci proprio tutti a tutte le riunioni?! Io non ne ho voglia! Ma perché a quest’ora?!».

Jupiter le tolse l’uso del microfono. Ne scaturì una discussione che fu spostata in sottofondo dal filtro anti-spam del sistema olografico.

«Sedna, perché m’è toccato sapere tutto dai rapporti giornalieri?!».

Questa era sua madre Gong, la Comandante Terra. Era tanto preoccupata quanto arrabbiata.

«Cosa è successo?» domandò, da Kalòs, il Comandante Oberon.

«Questa qui si è fatta trascinare in un agguato e gassare da un... cos’era, un Koffing...?» riassunse innervosito Saturno.

«Un Koffing…?!». Oberon, all’anagrafe il dottor Xerosic, alzò scettico un sopracciglio. Persino lui sapeva di come la ragazza inventasse una marea di frottole pur di perseguire i suoi scopi: «Perché un Koffing avrebbe dovuto gassarla...?!».

Stavolta gli rispose Venus: «Era un Weezing, molto probabilmente. Il rapporto è sbagliato, perché i Koffing non sono così velenosi. Comunque… non l’ha gassata di sua iniziativa, ovviamente. I Pokémon non si comportano così. Sta crescendo in tutto il mondo un movimento ostile al Dominio. È strano che a Kalòs tu non ne abbia sentito parlare... sostiene che crei un dislivello incolmabile, tra chi nasce con certe capacità e chi no...».

«Un movimento contro il Dominio come fattore di disparità…» mormorò sé l’uomo dai capelli rossi, come se non credesse alle sue orecchie, ma nel contempo volesse rifletterci. «È spaventoso…! E chi nasce Dominatore… a quale “trattamento” dovrebbe essere sottoposto, secondo loro, per poter essere “livellato”?».

«Blocco forzato del Dominio, Dottor Xerosic» gli rispose l’Avatar. «Non è la prima volta che un movimento del genere prende piede».

«Non è detto che la frangia moderata abbia tutti i torti...» le rispose candidamente Venus.

Mars irruppe in una risata: «Lui mi fa morire…!».

«In quel caso, Natural... anche se siamo tutti Dominatori… ricordati che dovremmo considerare noi stessi “più uguali degli altri”, purtroppo». La voce di Mercurius fu accolta e seguita da un silenzio di tomba.

Venus tentennò, e per quell’attimo di incertezza non riuscì a riprendere la parola.

«Se questa ideologia si sta diffondendo...» disse Cyrus, l’unico a cui la madre non incutesse almeno un po’ di paura, «dal momento che non solo siamo tutti Dominatori degli Elementi, ma abbiamo tra noi l’Avatar, è opportuno non disperdere le nostre risorse. Dovremmo riunirci in un’unica Sede, potenziarne le difese, e costruire un Fiore Grigio nel caso vengano superate».

«Ha ragione il Maestro!» lo appoggiò entusiasticamente il Comandante Saturno. Non lo stava adulando. Con la figlia aggredita e la compagna come bersaglio principale, era il più favorevole alla costruzione immediata dell’Arma Suprema, in codice il “Fiore Grigio”.

La Floette Kalosiana di Venus si portò sconvolta una mano alla bocca.

Il suo fiore rosso, portato con grazia come un ombrellino, le sfuggì dalla presa e cadde fuori dal campo olografico.

L’altro Mandato del Cielo, il suo omologo dell’Est, era di tutt’altro avviso. Era un Chingling e fece risuonare il suo trillo di guerra in un rabbioso giubilo.

Mercurius lo calmò accarezzandolo e provò a farlo ragionare: «Lo so, lo so... si vis pacem, para bellum”. Ma dai, non possiamo ucciderli tutti, se ci vengono contro!».

«Dipende dalla violenza con cui ci vengono contro. In ogni caso, l’arma è meglio averla pronta» mormorò il Comandante Phobos. Era il suo compagno, il mancato erede di Giovanni e del Team Rocket di Kanto e Johto, e il più pratico di tutti loro.

«Io ci sto» intervenne sua cugina Mars. «Intanto… Venere… da’ retta a Marte: abbiamo bisogno del nostro esercito, per difenderci. Possiamo contrattare ancora su Grey Flower, ma ci servono le Unità Rosse. Non essere troppo morbido verso quelli là, che non sai neppure chi e quanti sono o cosa siano disposti a fare».

Venus tacque, mentre nel silenzio teso tutti guardavano a lui. Si voltò per incrociare gli occhi di qualcuno rimasto fuori dal campo olografico, probabilmente Zekrom. «E va bene…».

 

 

*

 

 

Yulia la svegliò scrollandola. Anche se aveva un braccio solo, la forza per tirarla giù dal letto non le mancava. «Andiamo! Ma quanto dormi?!».

Sedna abbracciò il cuscino e tenne gli occhi chiusi.

«Svegliati, muso giallo! I Pokémon non si allenano da soli!».

Mezza addormentata, assorbita in un sogno, Sedna mormorò: «Piove. Voglio andare al mare».

Yulia si sdraiò accanto a lei per toglierle spazio e darle fastidio. Le tirò un poco i capelli e la baciò sulla guancia. «Ascoltami, pesciolina: la madre di un mio carissimo amico lavora nella Palestra. Può farti entrare quando è chiusa, così ti abituerai ai ponti di vetro».

«La palestra e i ponti esisteranno anche oggi pomeriggio, se qualcuno non butta una bombola nucleica a mezzogiorno. Ora voglio dormire».

«Bombola nucleica…?!».

«È linguaggio in bimbo-codice. E comunque, confermo: fanno più paura i vivi, dei fantasmi».

 

 

*

 

 

Tutti i Comandanti, tranne Sedna che sembrava attraversare una lunga fase di ribellione adolescenziale, avevano accettato di barricarsi ad Rupepoli come Cyrus aveva proposto.

Malgrado Gong e Saturno si trovassero nella vicina Evopoli, e Sird e Silver dovessero raggiungere Sinnoh da Johto, Xerosic partì da Kalos e fu il primo ad arrivare. La paura gli aveva messo le ali.

Mars lo accolse con un abbraccio e una pacca sulla spalla, perché ormai lo vedeva come uno zio. L’elisir di Tapu Fini gli aveva ridato la giovinezza, ma non gli aveva rovinato l’appetito. Oberon era rimasto una buona forchetta, e la sua uniforme era la stessa di quando era stato arruolato.

Venus si fece attendere.

Arrivò la notte successiva sulla Fregata Plasma, ormai resa invisibile all’occhio e ai radar dalla tecnologia Galassia. La nave volante era carica di Unità Rosse, e pilotata dall’androide Bryony.

Sird e Hua erano rimaste sveglie ad attendere l’esercito. Gli altri Comandanti, compreso Cyrus che ancora combatteva con l’insonnia, si erano ritirati nei propri alloggi.

Appena il Comandante toccò terra, Sird fu la prima a parlargli: «Al tuo prossimo compleanno, Venus, la navetta a conchiglia non te la toglie nessuno».

«Perché a conchiglia?».

«Lascia stare. Non è roba di questo mondo».

Eris lo salutò sorridendo e accennando un inchino formale. Andò ad affiancare l’androide Bryony mentre le Unità Rosse scendevano ordinate a passo di marcia.

«Penso che la forma perfettamente umana non sia la più congeniale a una macchina da guerra… occupa troppo spazio, tanto per cominciare» disse all’androide. Bryony si voltò verso di lei. «Desideri che siano alleggeriti?».

“Alleggerirsi” significava liberarsi di tutti i tessuti posticci che li rendevano simili agli umani, liberando lo scheletro metallico e le guaine dei circuiti.

«Ne dovrò parlare con Cyrus».

Intanto, Venus e Mercurius erano entrati insieme nell’edificio.

Le Reclute Rosse presero la via dei locali sotterranei. Le tre Scienziate entrarono dalla porta principale. Hua le seguì, e intanto richiese al sistema la posizione del Comandante Venus.

Finse di andare da tutt’altra parte, poi cambiò strada per raggiungerlo.

Appena lo trovò, corse ad abbracciarlo.

«Non ti vedo da sei mesi…!» gli sorrise.

«Beh, mi hai detto tu di non cercarti...».

Si scambiarono uno sguardo tenero, poi le loro bocche si incontrarono.

Il bacio fu interrotto da una voce inviperita: «Che fate…?! Prendo te a calci e lui a ceffoni!».

Sird aveva subodorato la tresca fin da quando riteneva fosse iniziata, ma aveva fatto finta di nulla. Una sua intromissione ne avrebbe solo ritardato la fine.

L’essere capitata lì quasi per caso e averli colti in flagrante era un fatto gravissimo: con il tempo, Venus ed Eris erano diventati sempre meno attenti.

Halqa non avrebbe esitato ad ucciderli entrambi, se li avesse scoperti insieme.

Sird venne verso di loro per una ramanzina, ma dovette correre quando vide un portale circolare aprirsi a qualche metro di distanza.

Spinse via Eris, buttò le braccia al collo di Venus e premette vigorosamente le labbra sulle sue.

Hua li fissò a bocca aperta.

Nella scena, era stata lei ad arrivare lì e trovare la madre abbracciata a qualcuno che non era Silver.

E siccome si trattava di sua madre, Hoopa reputò comprensibile il suo sbigottimento.

«Quando chiudi gli occhi, Natural, mi ricordi troppo tuo padre per piacermi» sussurrò la donna alla fine del bacio. «Non nego che fosse bello, però... se non fosse scomparso... l’avrei volentieri ammazzato. Vieni con me. E voi… voi non avete visto niente».

Lo portò via tenendogli un braccio intorno alle spalle.

Lui camminava con gli occhi bassi e non fiatava, come un bambino appena rimproverato. Dai suoi tacchi alti, Sird si chinò e gli bisbigliò all’orecchio: «Forse avrei dovuto rapirti da piccolo perché quel gran bastardo di tuo padre non ti trovasse. È per questo che mi sento in colpa nei tuoi confronti, e ti voglio bene almeno quanto odiavo lui. Ma, evidentemente... la tua famiglia è una catastrofe per la mia. Ghecis ha quasi fatto uccidere Hua quando lei aveva tredici anni. E tu, adesso, pure…».

 

 

 

*

 

 

Era notte. Sedna mosse un passo sul ponte di vetro che l’avrebbe portata a sfidare Sabrina. Chiuse gli occhi e andò avanti.

La Capopalestra la fissava senza tradire i suoi pensieri.

A Unova, Sabrina era famosa per la sua bellezza esotica e per le sue doti di attrice; a Kanto, per essere particolarmente cattiva coi giovani Allenatori.

Era così per natura, per rancore, ma anche perché i suoi Pokémon di Tipo Psico puntavano molto sulla guerra psicologica e sul logoramento mentale dell’avversario.

Appena la sfidante fu arrivata sul suo grattacielo, prese una sfera e lasciò uscire Alakazam.

Anche Saturno ne aveva uno. Sedna non aveva mai capito che cosa gli passasse per la testa.

Da bambina, l’aveva sottoposta di propria iniziativa a una serie di rompicapi giornalieri. Lei era riuscita a risolverne un po’, per colpa di altri si era sentita profondamente inadeguata. Il Pokémon non era mai stanco e gliene proponeva ogni giorno di nuovi.

A dodici anni, Sedna aveva smesso di prestarsi ai suoi giochi. Poco dopo aveva cominciato a girare il mondo in cerca degli starter d’Acqua e l’età dei rompicapi era finita.

L’Alakazam di fronte a lei aveva uno sguardo più cattivo e ostile di quello con cui era cresciuta.

Lui e Sabrina comunicavano telepaticamente, ma l’attrice non poté rinunciare alla prima battuta: «Psichico» ordinò a voce bassa.

Non urlava come una volgare Specialista Lotta.

Sabrina non si limitava a combattere: si esibiva. Stavolta, gli spalti erano vuoti, eccetto per una persona.

La presenza di Yulia metteva sotto pressione tanto la sfidante quanto la Capopalestra.

Tutte le luci erano puntate sul campo di battaglia. Una seconda figura salì in tribuna e prese posto accanto alla ragazza senza che le altre due lo notassero.

Lei si distrasse per un attimo per salutarlo: «Ciao, Laran! Emery non c’è?».

«Emery non può venire quaggiù in questo periodo. Non può abbandonare la Palestra» e poi indicò Sedna. «Sei qui con quella là…?».

«Sì».

«Ha la mia età, giusto? È troppo grande, per partire da com’è adesso e arrivare da qualche parte. Perché perdi tempo ad addestrarla?».

Alakazam svenne e fu sostituito da un gesticolante Mr. Mime.

«Scherzi?! Guarda quant'è fica!».

«Fica...?».

«È una bella ragazza...».

Superato lo stupore iniziale, Laran si rabbuiò. Guardò di nuovo la sfidante di Sabrina.

La guardò come se la volesse uccidere.

 



 









NOTA AUTRICE: so che faccio schifo a tutti (quelli che provano a seguirmi) perché pubblico troppo velocemente. ç_ç 
Il problema è che se lascio troppo lì un capitolo, poi rischio solo di cambiarlo ventimila volte e dimenticarmi cosa ho scritto, o peggio come lo volevo continuare... -_-
   
 
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