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Autore: Shadow writer    04/02/2021    3 recensioni
Nate è un ventiquattrenne disilluso e pessimista. Ha un lavoro che odia, vive in una città che non sente sua ed è rimasto intrappolato in un passato che non riesce ad accettare.
Per aiutare un amico, partecipa a una corsa automobilistica, ma questo lo porterà a invischiarsi in qualcosa di più grande di lui.
"«Si dice che tu ti stia facendo un nome in città» commentò Alison, appoggiandosi al bancone di fronte a lui.
Il ragazzo alzò gli occhi dalla bistecca e incrociò quelli civettuoli di lei.
«È stata la mia prima e ultima gara» ribadì, «l'ho già detto a Richie.»
Lei fece schioccare la lingua contro il palato in segno di disappunto.
«Mi hanno riferito che ci sai fare con le auto.»
Nate rise e si sporse verso la ragazza.
«Me la cavo bene con molte cose, Alison» quando pronunciò il suo nome, le appoggiò le dita sotto il mento, costringendola a guardarlo negli occhi, «ma ciò non significa che io sia interessato a tutte queste.»"
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Devil Wheels



 

Quattro anni prima

 

Nate attraversò il giardino buio barcollando e raggiunse il grosso albero nodoso che si stendeva verso il cielo stellato. Cominciò ad arrampicarsi e la memoria non lo tradì perché riuscì a trovare al primo colpo tutti gli appigli, nonostante il buio e la sbronza terribile.

Raggiunse in modo sgraziato il balcone su cui si allungava un ramo particolarmente robusto, poi incespicò verso la porta-finestra. L’anta era spalancato, lasciando intravedere la tenda sottile che nascondeva la camera.

Si mise a picchiettare con insistenza sul vetro, lasciando l’impronta del palmo mentre cercava di non crollare a terra. Forse doveva cominciare a darsi una regolata alle feste, pensò.

Dato che non ottenne alcuna risposta, riprese a bussare con insistenza, fino a che la tenda non venne tirata bruscamente e il suo volto comparve al di là del vetro.

Nonostante l’aria stanca, appariva furiosa.

«Nate?» dissero le sue labbra, in modo più seccato che sorpreso.

Lui continuò a picchiettare sul vetro, così la ragazza capì di doverlo aprire. Lo fece con un gesto secco e Nate le sarebbe crollato addosso, se non si fosse spostata rapidamente a lato.

Lui inciampò nelle tende, lisce come abiti di seta troppo costosi e per miracolo riuscì a non stramazzare sul parquet chiaro.

«Dio, quanto puzzi di alcol» si lamentò lei, con un’espressione di disgusto dipinta sul volto.

«Anche tu non sei una gran bellezza a quest’ora» replicò lui con la voce impastata. Non lo pensava davvero, ma voleva solo rinfacciarle la sua maleducazione.

«Vaffanculo» sbottò sottovoce la ragazza, poi la sua espressione si fece incerta. Guardò alle spalle di Nate, come spaventata.

«Senti, te ne devi andare» sussurrò, cercando di farlo arretrare.

«Aspetta, aspetta. Mi dispiace, lo sai che quando bevo mi comporto come un coglione».

«No» rispose lei secca, «sei un coglione comunque».

Nate sbuffò. «Va bene. Hai ragione. Ma per favore, ho bisogno di un bicchiere d’acqua. Giuro che poi tolgo il disturbo e ti lascio dormire in pace».

Lei fece saltare lo sguardo indeciso tra il ragazzo e il balcone.

«Per favore…» insistette lui con voce supplichevole. Sapeva che, nonostante la sua espressione perennemente incazzata, lei non sapeva resistere a certe cose.

Infatti sospirò. «Va bene, ma ti prendo l’acqua del lavandino».

«È perfetto» replicò lui, sapendo che l’acqua del suo lavandino era ambrosia rispetto a quella del posto da cui veniva.

«Aspetta qui» gli disse prendendolo per le spalle e costringendolo a sedersi sulla poltrona accanto alla scrivania.

«Non fiatare, intesi?» Disse con voce leggermente tesa.

«Sissignora» replicò lui con uno sguardo sornione che la fece arrossire.

Non riuscì a seguirla con lo sguardo mentre usciva dalla stanza, perché gli girava dannatamente la testa e represse a fatica un conato di vomito, che gli avrebbe causato l’espulsione dalla stanza e definitivamente dalla casa.

Lei tornò dopo quello che poteva essere un arco di pochi secondi o qualche ora, ma tutto ciò che Nate riuscì a metabolizzare fu il bicchiere d’acqua tra le sue mani.

Lo mandò giù come uno shot di vodka, ma l’effetto fu decisamente il contrario. Si sentì dissetato e rinfrescato.

«Ora devi andartene» ribadì lei, fissandolo con le braccia incrociate al petto. Il ragazzo notò in quel momento che il pigiama chiaro che indossava la faceva sembrare una ragazzina.

«Sei così impaziente di avermi fuori dai piedi?» Commentò con un sorrisetto deformato in smorfia.

«Irrompi nella mia camera nel cuore della notte, puzzi di alcol e fumo come un vecchio barbone perennemente ubriaco e strafatto» replicò lei senza troppo giri di parole. «Dove diavolo sei stato?»

«Non è mai troppo tardi per essere una spara-sentenze, vero?» Replicò lui tagliente, ignorando la sua domanda.

Le parole la fece arrossire, sia perché punta sul vivo, sia perché ora era davvero incazzata.

Nate decise che era il momento di togliere il disturbo, così le rimise maldestramente il bicchiere tra le mani.

«Grazie» le disse. «E divertiti domani nella tua scuola per bambini ricchi»·

«È un’università, coglione» replicò lei sottovoce e lo costrinse ad uscire sulla terrazza senza troppa gentilezza.

«Grazie per la visita» aggiunse poi, glaciale

«Sempre un piacere incontrarti, tesoro, anche se di solito di notte sei più… calorosa».

Lei gli sbatté la porta in faccia con un’espressione marmorea.

Nate la vide tirare la tenda liscia e scorse la sua sagoma tornare verso il letto. Non lo avrebbe mai ammesso e sicuramente non direttamente a lei, ma non riusciva a capacitarsi di come potesse essere così attraente anche nel cuore della notte. 

 

 

 

 

 

Nate sbadigliò e riprese a dedicarsi allo scarabocchio che aveva iniziato sul foglio dall’inizio della lezione.

L’unica cosa che aveva scritto era la data.

Davanti a lui, il professore stava svolgendo calcoli sulla lavagna che spiegava con una voce monotono soporifera. 

L’unica cosa che spingeva Nate a continuare a pagare e presentarsi a quei corsi serali era la speranza di poter finalmente fare quello che voleva nella vita. Sognava il momento in cui la gente avrebbe smesso di guardarlo dall’alto al basso e avrebbe cominciato ad ascoltarlo quando parlava. Era stufo marcio di essere trattato come spazzatura, come se fosse troppo stupido per avere il diritto di parola.

Dopo le scuole superiori non aveva avuto altra scelta se non lavorare per un vecchio amico di suo padre che possedeva un’officina, ma i veri guadagni gli venivano dai clienti più benestanti, che gli chiedevano di sistemare auto d’epoca o pezzi rari. Così aveva potuto permettersi un appartamento per sé, smettendo di gravare sulle spalle già affaticate di sua madre. 

Si stiracchiò e il suono della campanella annunciò che per quella sera aveva finito. Raccolse le sue cose e lasciò rapidamente l’aula.

Fuori era già buio e le strade erano quasi deserte. Notò una figura familiare sul marciapiede di fronte all’ingresso della scuola. Gli stava facendo “ciao” con la mano. Nate capì che si trattava di Mike e lo raggiunse.

«Ehi» lo salutò, «cosa ci fai qui?»

Mike portava su una spalla lo zainetto che usava per andare al lavoro.

«Sono entrato in casa e Jay ha cominciato a lamentarsi. Era il mio turno di fare la spesa, ma mi sono dimenticato, okay?» Mike gesticolava, mentre camminavano insieme verso la pensilina poco distante. «È che sono stato preso. Insomma, il furto e poi il lavoro e adesso non ho neanche la patente e tutto è così complicato.»

Nate fece un cenno di assenso, mentre pescava le sigarette dai jeans. Ne tese una a Mike, che la accettò, si accese la sua e passò l’accendino all’amico.

«Sai che facciamo domani?» gli disse, dopo aver preso un lungo tiro. «Andiamo da Jay e diciamo che d’ora in poi lui è il capo della spesa. Se ne occuperà sempre lui, così non potrà lamentarsi se ci dimentichiamo la candeggina o il suo shampoo o le noccioline che mangia lui. Noi gli daremo i soldi e un extra per lo sforzo.»

Mike gli rivolse uno sguardo a metà tra l’ammirato e l’incerto.

«Dici che accetterà?»

Nate annuì, con la sigaretta tra le labbra.

«Certo. Lo convincerò. E a Jay piace avere tutto sotto controllo. Praticamente lo pagheremo per fare quello che gli piace.»

Erano arrivati alla pensilina. Il bus notturno passava ogni ora, così l’attesa sarebbe stata lunga.

Mike gli chiese che ore fossero. Il prossimo non sarebbe arrivato prima di quaranta minuti.

«Perché non andiamo al locale di quel tuo amico?» gli propose saputa l’ora. «Non è qui vicino?»

Nate fece un cenno di assenso.

Aveva conosciuto Richie una sera quando, dopo una lezione particolarmente stressante, aveva deciso di fare due passi prima di tornare a casa. Lui stava cercando di far partire la sua auto sul bordo della strada.

«Ehi, amico» gli aveva detto, «serve una mano?»

Dopo averlo aiutato a farla ripartire, Richie si era rivelato il proprietario del locale dall’altro lato della strada e gli aveva offerto una cena come ricompensa.

Nate non era il tipo da strip club, ma non avrebbe rifiutato una cena gratuita. Non ci aveva impiegato molto a capire che gli affari in cui era invischiato Richie erano molti e non tutti legali.

Aveva sentito parlare delle corse clandestine che si facevano in periferia, a volte le aveva addirittura viste sfrecciare dalla finestra del suo appartamento, ma non era qualcosa in cui voleva farsi coinvolgere.

Però Richie aveva bisogno di un meccanico e pagava bene, decisamente bene. 

Quando entrarono nel club, la musica era alta e l’aria era pervasa dagli aromi più disparati.

Si diressero nell’angolo più riparato, dove si trovava il bancone. Lì la musica arrivava più attenuata ed era possibile chiacchierare senza che le ragazze si affollassero intorno a loro.

Nate ordinò due drink e il barista glieli preparò immediatamente.

Mentre li sorseggiavano, Mike allungò il collo, lanciando un’occhiata alla sala dove le ragazze ballavano e, quando si accorse dello sguardo che Nate gli rivolgeva, scrollò le spalle: «Oh, insomma, non siamo nati tutti bellocci come te.»

Nate alzò gli occhi al cielo. «Parla quello che ha sempre avuto lo sciame intorno. Devi alzare la tua considerazione di te stesso.»

Mike si voltò verso di lui e ammiccò. «Allora? Finalmente sei ritornato in pista?»

L’altro sbuffò. «Parlare per enigmi non è mai stato il tuo forte. Che cosa vuoi dire?»

Il ragazzo scostò i capelli biondi dagli occhi con un movimento del capo e gli rivolse uno sguardo che voleva essere malizioso, mentre succhiava il drink dalla cannuccia colorata. «L’altra sera non sei tornato a casa.»

Nate si trattenne dall’alzare ancora gli occhi al cielo. A volte gli sembrava di vivere con due vecchie pettegole. I suoi amici sarebbero morti se non avessero saputo ogni singolo dettaglio della sua vita.

«Sì Mike, a volte i ragazzi grandi e vaccinati lo fanno.»

Mike assunse un’espressione perplessa, quasi incerta, ma decise di prendere un altro sorso dal suo drink e tacere, tornando a guardare ciò che riusciva dalle spogliarelliste.

«Cristo Santo, dì quello che devi dire» sbuffò Nate.

L’altro gli lanciò uno sguardo obliquo.

«Significa che l’hai dimenticata?»

Nate dovette veramente combattere contro se stesso per non roteare gli occhi.

«Ti ho già detto di non parlare per allusioni. E in ogni caso, chiedere se ho dimenticato qualcuno, non mi aiuta di certo a dimenticarlo.»

«Cosa state dimenticando stasera, ragazzi?»

Una voce femminile si intromise nella conversazione, facendo voltare i due verso il balcone. Il barista che li aveva serviti era scomparso, lasciando spazio alla bionda Alison. 

«Forse la tua coerenza, Nate?» continuò lei, con uno sguardo di ghiaccio.

«Senti, se è ancora per la tua macchina, mi dispiace» lui le mostrò le mani, in segno di resa, ma Alison fece schioccare la lingua, contrariata.

«No, parlo della tua improvvisa decisione di partecipare al Devil Wheels» replicò la ragazza, fulminandolo con gli occhi.

Nate la fissò un istante, incerto se lo stesse prendendo in giro o no. 

«Come, scusa?» 

Alison non stava scherzando e la sua replica la colse di sorpresa.

«Richie mi ha detto che parteciperai.»

«Come, scusa?» Nate si rendeva conto di suonare come un disco rotto, ma non riusciva a capire cosa diavolo stesse succedendo.

Devil Wheels era la gara di auto più importante della città, estremamente pericolosa ed estremamente illegale. Richie gli aveva chiesto un milione di volte di correre per lui, ma Nate era stato irremovibile. Bastava essere beccato in una sola delle gare per farsi dieci anni di carcere, soprattutto ora che il sindaco aveva inasprito le pene contro le corse clandestine.

Nate adorava le auto e adorava i soldi, ma la sua libertà prima di tutto. Non era un folle.

«Non ti dona questa aria da finto ebete» Alison si piegò in avanti e appoggiò i gomiti sul bancone, consapevole dello sguardo di Mike dentro alla sua scollatura. Gli occhi della ragazza, invece, erano fissi in quelli di Nate.

Lui stava cercando di capire cosa diavolo fosse successo.

«Quando te lo ha detto?»

Lei scrollò le spalle.

«Richie è qui?» continuò Nate.

Alison annuì e la sua espressione vacillò. «Nel suo ufficio.»

Il ragazzo si alzò in piedi e si diresse verso le scale che portavano al piano superiore. Incontrò uno dei gorilla che stavano di guardia, ma lo lasciò passare senza problemi.

«Nathaniel!» lo salutò Richie in modo caloroso, alzandosi in piedi e allargando le braccia come per accoglierlo nel suo studio. Gli fece cenno di accomodarsi, ma Nate scosse il capo. Voleva risolvere la questione in fretta e andarsene.

«Perché hai detto ad Alison che parteciperò al Devil Wheels?»

Richie aggrottò le sopracciglia cespugliose in un’espressione perplessa. «Era una sorpresa?»

Il ragazzo sgranò gli occhi. «Cazzo, no, Richie! Non è una sorpresa perché non succederà.»

Lo sguardo dell’altro passò dal perplesso al sospettoso. «Cosa ti ha fatto cambiare idea? L’altra sera eri entusiasta di partecipare.»

Nate gli rivolse un’occhiata scandalizzata. «L’altra sera?» ripeté, poi si passò una mano sul volto, improvvisamente assalito dai ricordi. «Cristo santo, Rick, l’altra sera ero ubriaco marcio. Mi avevano appena svaligiato l’appartamento e di certo non stavo ragionando».

L’uomo incrociò le braccia al petto e, se possibile, apparve ancora più troneggiante e minaccioso. 

«Ormai ho inviato la tua iscrizione» disse con un tono che non ammetteva repliche.

Nate non si lasciò spaventare. Tra rischiare di essere ucciso da Richie o morire durante una corsa clandestina, preferiva ancora la prima opzione.

Si strinse nelle spalle. «Be’, ritirala. Non ho intenzione di partecipare».

La conversazione era per lui conclusa, così si diresse verso la porta, ma le parole dell’altro lo colpirono alle spalle come uno schiaffo sulla nuca.

«È un po’ tardi per rinunciare».

Nate si voltò lentamente, con gli occhi che mandavano lampi. Non parlò, aspettò che fosse Richie a spiegarsi.

«L’iscrizione costa ottomila dollari, che ho già versato, quindi, a meno che tu non ti procuri quella cifra, temo dovrai partecipare».

Nate lo fissò con uno sguardo vitreo per qualche istante.

«Perché cazzo una gara automobilistica deve costare così tanto?» sbottò poi stringendo i pugni. 

Richie fece spallucce. «Perché chi vince si prende centocinquantamila dollari, ecco perché. Ed ecco perché ti ho proposto di partecipare, l’altra sera. Mi hai detto della rapina e ti ho parlato della vincita. Tu hai risposto – e cito testualmente – “Potrei vincere quella gara ad occhi chiusi. Cazzo, li straccerei tutti”».

Nate decise che era arrivato il momento di accettare l’offerta di Richie di accomodarsi e si lasciò cadere su una delle due poltroncine poste di fronte alla scrivania. Anche l’uomo si accomodò sulla sua.

Il ragazzo prese a massaggiarsi le tempie nel tentativo di rallentare il mal di testa che aveva cominciato a minacciare la sua lucidità.

Ottomila dollari. Non li aveva tutti quei soldi. E nemmeno i suoi amici. 

«Senti, avevi ragione l’altra sera. Sei forte e io posso procurarti una buona macchina e un buon maestro. Con un po’ di allenamento, puoi davvero farcela».

«Non mi aiuta molto questo» mugugnò il ragazzo. Poi un sospettò lo colpì. Rivolse all’altro uno sguardo obliquo. «Che cosa ci guadagni tu da tutto questo?»

Richie rise. «Be’, metà della vincita. Non crederai che ti lasci tutti i centocinquantamila dollari, vero?»

Nate sospirò, roteando gli occhi. Prevedibile. L’uomo non era diventato ricco facendo il mecenate. 

«Con quei soldi puoi smettere di lavorare in quel posto di merda e dedicarti solo a studiare. Sei un bravo ragazzo, Nate, e anche intelligente. Te la meriti questa possibilità».

Nate fece cenno di no con la testa, ma sapeva di non aver possibilità di scegliere. Si maledisse mentalmente per aver ceduto all’alcol in un momento di debolezza. Credeva di aver superato quella fase della sua vita.

«Lo faccio solo per i soldi» gli disse. «E prega che io non finisca ammazzato o in carcere».

Richie sbuffò, ma gli disse qualche parola di rassicurazione prima che si congedasse.

Nate uscì dall’ufficio e scese rapidamente al piano inferiore. Trovò Mike dove lo aveva lasciato, ma due delle ragazze in intimo gli stavano attorno, accarezzandolo e piegandosi verso di lui per sussurrare nelle sue orecchie.

«Andiamo» gli disse Nate battendogli una mano sulla gamba. Le ragazze parvero infastidite per l’interruzione e Mike lo sarebbe stato ancora di più, se l’alcol non avesse già fatto effetto sulla sua razionalità.

«Dove?» biascicò confuso.

Nate si morse la lingua, prima di parlare. «A fare la spesa. Ci servirà quando dovrò dire la novità a Jay».

 

 

 

 

 

 

   
 
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