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Autore: Moriko_    06/02/2021    1 recensioni
Due compleanni, due persone, un'unica data: 12 Marzo.
Lo straordinario cammino della vita dai primi passi alla maturità, verso più grandi ed importanti traguardi.
[Il titolo, che riassume il tema dell'intera opera, è ispirato a una citazione di Jean Paul, scrittore e pedagogista tedesco: "I compleanni sono piume sulle ampie ali del tempo."]
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alan Croker/Yuzo Morisaki, Nuovo personaggio, Shingo Aoi
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Fanfiction
gEHuoR1

Sguardo sul mondo

{Dodici anni | Morisaki's side}

 

 

BGM: Steve Jablonsky - Tessa

 

 

 

[12 Marzo. Nankatsu, prefettura di Shizuoka.]

 

Nel cielo di Nankatsu, in quella mattina di metà marzo, il sole splendeva alto nel cielo e riscaldava dolcemente tutto ciò che i suoi raggi incontravano lungo il loro cammino, preannunciando una giornata mite.

Mentre stava andando a scuola Yuzo pensò a tutto ciò che era capitato negli ultimi mesi. Le elementari stavano giungendo ormai al termine; un lungo cammino che si era districato nell’arco di sei anni, fatto di amicizie e vicende del tutto speciali; eppure... per lui tutto ciò sembrava essersi concentrato in quell’ultimo anno di scuola. Tanti ricordi gli tornavano alla memoria, soprattutto di quel campionato nazionale di calcio che si era svolto nell’estate precedente e dove aveva partecipato come portiere della squadra che rappresentava l’intera città, la Nankatsu SC, e che aveva portato con sé forti emozioni.

In quel campionato Yuzo aveva provato di tutto: il timore, per non essere all’altezza del compito che gli avevano affidato, di difendere la porta della squadra della città; la curiosità e la simpatia, per aver incontrato giocatori di altre scuole, con i quali aveva presto fatto amicizia - un rapporto duraturo che non era svanito con la fine del torneo; la disperazione, per aver pensato di aver deluso le aspettative dei suoi amici ogniqualvolta che non era riuscito a proteggere la porta; la fiducia, per la stima che aveva provato nei confronti dei suoi compagni di squadra, e che gli aveva sempre fatto sperare che insieme avrebbero superato qualunque ostacolo; il coraggio, per l’aver affrontato prove sempre più ardue che l’hanno messo a confronto con giocatori più forti di lui; infine l’orgoglio, per aver permesso alla sua squadra di raggiungere un ambito traguardo, quello di essere il campione di un’intera nazione.

Grazie a quel campionato, anche il rapporto con i suoi storici compagni di squadra della Shutetsu si era rafforzato sempre più. Se prima di quel torneo molti di loro lo trattavano con sufficienza perché lo consideravano un portiere irrilevante, che non aveva nulla di speciale e per questo motivo finiva sempre in panchina come riserva, dopo quelle ultime partite la situazione era iniziata a migliorare... e non solo con loro.

Improvvisamente, Yuzo era diventato piuttosto popolare nella sua scuola. Certo, di fronte al grande Genzo Wakabayashi passava sempre in secondo piano, ma non era più raro per il piccolo portiere voltarsi intorno e vedere sguardi di ammirazione da parte degli altri studenti quando camminava nei corridoi della sua scuola.

La cosa non gli dispiaceva, tutt’altro: era felice di sapere che ora, per qualcun altro, anche lui era diventato un punto di riferimento, quasi un modello da seguire. Tutto ciò era emerso sempre più durante gli allenamenti delle cinque squadre della scuola: i kōhai, gli studenti che erano appena entrati a far parte del club di calcio, spesso chiedevano assistenza e consigli a lui e agli altri componenti della squadra del Team A - la prima squadra della Shutetsu - che avevano partecipato al campionato; tra loro vi era anche chi voleva aspirare a diventare portiere della prima squadra, per cui Yuzo si mostrava sempre gentile e disponibile nei suoi confronti. Ci era passato anche lui, a suo tempo, ed era contento di vedere nei loro occhi una luce colma di felicità e sempre più crescente determinazione mentre, durante le pause degli allenamenti, raccontava a loro del percorso che aveva fatto per conquistare quell’ambito posto.

Tra i componenti della sua squadra, negli ultimi due anni Yuzo era riuscito a rafforzare sempre più il legame che aveva con i suoi amici, nonché suoi nuovi compagni di classe. Per il portiere non era stato facile relazionarsi con il famoso Quartetto della Shutetsu, fin dal giorno in cui egli era entrato a far parte del club di calcio: dei loro membri Yuzo aveva avuto fin da subito una buona impressione, ma all’inizio non aveva mai avuto occasione per trascorrere con loro molti momenti. Verso quel gruppo Yuzo aveva sempre provato curiosità e interesse: quattro persone così diverse tra loro dal punto di vista caratteriale e fisico, ma unite dalla comune passione per il calcio. Fin dal primo anno di scuola quei quattro erano sempre capitati nella stessa classe, e al di fuori dell’ambiente scolastico spesso il portiere li vedeva in giro per la città, incrociandoli nel parco cittadino o presso qualche bar a parlare allegramente tra loro.

Come lui, anche quel gruppetto era entrato a far parte del club di calcio con l’intento di migliorare sempre più nel gioco del calcio puntando poi all’ingresso nel Team A, e per Yuzo l’opportunità offerta da Genzo all’inizio del loro quinto anno di scuola - quella di allenarsi con lui nel suo campo da calcio - era diventato il caposaldo della loro amicizia, che era stata definitivamente rinsaldata proprio nel corso del primo campionato nazionale che avevano affrontato insieme. Da quel momento i cinque non perdevano occasione per ritrovarsi e stare insieme, e anche se per il Quartetto le abitudini non erano cambiate di molto, diversamente lo fu per Yuzo che ben presto si era ritrovato in una rete di amicizie che per lui erano state una vera e propria conquista. Il portiere si sentiva accettato per davvero, e in loro compagnia avvertiva sempre molta simpatia e amabilità nei suoi confronti.

Così, negli ultimi due anni di scuola, Yuzo aveva preso l’abitudine di incontrarsi con quel piccolo gruppo di amici anche all’ingresso dell’istituto e trascorrere il tempo libero insieme a loro, allenandosi con Genzo nell’ampio cortile della dimora dei Wakabayashi o presso il campetto della città - luogo dove spesso si vedevano anche con gli altri membri della Nankatsu SC - oppure passeggiando per le vie del centro e ritrovandosi a casa di uno di loro quando la pioggia incessante non permetteva di stare all’aperto anche solo per sgranocchiare qualche biscotto tra una chiacchiera e un’altra.

In particolare, negli ultimi mesi i sei della Shutetsu avevano iniziato a discutere dei progetti che avrebbero riguardato da vicino il loro futuro, dato che la fine delle elementari era ormai alle porte. Yuzo era certo di una cosa: stando al fianco dei suoi nuovi amici, il portiere si sarebbe sentito sempre più sicuro e deciso a varcare la soglia che presto lo avrebbe portato all’inizio di un nuovo percorso.

 

 

 

Nel tardo pomeriggio, il campo di calcio della Shutetsu si svuotò lentamente. I ragazzi che avevano appena finito l’allenamento si diressero verso gli spogliatoi per cambiarsi, mentre un altro gruppetto, che nel frattempo aveva approfittato dell’ultima ora per rimettere a posto l’aula adiacente dedicata alle attività del club, iniziò a radunare i palloni lasciati sul campo per pulirli e metterli nelle ceste, dopodiché anche loro si recarono negli spogliatoi.

Quella volta Yuzo si congedò subito dai suoi compagni e uscì da scuola. Non era da lui, considerato che tutti i giorni percorreva il tragitto che lo portava a casa proprio con i suoi amici, e a maggior ragione doveva essere così anche quel giorno; il portiere non si era dimenticato di loro, e ci teneva a festeggiare il suo compleanno anche con i suoi compagni di squadra... tuttavia, aveva una sorta di appuntamento al quale non poteva rinunciare, segnato su un foglio che sua madre gli aveva dato prima che andasse a scuola.

Con il borsone stretto in mano, a passo svelto Yuzo si diresse verso il vicino parco e, giunto là, si sedette su una delle panchine di legno. Guardò l’orologio che portava al polso e tirò un sospiro di sollievo.

Per fortuna ho fatto in tempo!

Così alzò gli occhi al cielo e li chiuse, cercando di inspirare profondamente per riprendere quanto più fiato possibile.

«... pa!»

Il cuore del portiere sobbalzò, e il ragazzino spalancò gli occhi per l’improvviso spavento. Aveva appena avvertito un peso che di colpo gli aveva avvolto entrambe le gambe e, non appena aveva abbassato lo sguardo, aveva visto due bambini che lo stavano osservando con grande gioia. I piccoli avevano la stessa altezza, d’aspetto erano due gocce d’acqua e si distinguevano per il modo in cui erano vestiti: il maschietto indossava un jeans e un giubbotto imbottito, la femminuccia lo stesso ma con colori differenti, e in più aveva i capelli raccolti da un cerchietto con un fiocco blu.

Quei due bambini non persero tempo a tendere le manine verso Yuzo, per farsi prendere in braccio dal ragazzino che li guardò con un dolce sorriso. «Naoki, Saki!» disse il ragazzino, arruffando i loro capelli. «E papà e mamma dove sono?»

«La mamma è andata un attimo al supermercato, lasciando queste due piccole pesti al papà... come sempre, del resto.»

Quella risposta era giunta alle spalle del portiere, che subito si voltò e vide suo zio Hotaka che lo stava salutando con la mano. «Buon compleanno, Yuzo» aggiunse, sedendosi al suo fianco. «Allora, bambini: non volete mostrare il regalo al cuginetto?»

Ma i piccoli ignorarono quella richiesta, e tesero ancora di più le mani verso il portiere. «Yu, Yu, Yu!» dissero in coro, implorandolo ancora di essere presi in braccio.

«Va bene» sussurrò Yuzo, e posò sulle sue ginocchia la femminuccia; poi si rivolse allo zio non appena vide che il maschietto mise il broncio, scontento del fatto che non fosse stato il primo a trovarsi tra le sue braccia. «Se reggi un secondo Saki, prendo anche Naoki; sai già come va a finire se non prendo anche lui in braccio...»

Hotaka scoppiò a ridere. «Tranquillo, ci penso io!»

Quando anche l’altro bambino fu sulle ginocchia del cugino, il piccino rise di gioia e iniziò a giocare con i bottoni del giubbotto che il portiere indossava. «Pa... pa...» disse, divertendosi a sbottonare il primo che si trovava vicino alla gola, mentre sua sorella - che il padre stava ancora reggendo tra le sue mani - afferrò il collo del giubbotto e iniziò a tirarlo verso di sé. L’intento divenne chiaro: entrambi i piccoli volevano che il cugino si togliesse quel giubbotto.

«Dai, smettetela...» disse Yuzo lasciandosi sfuggire qualche risata nel vedere quei due bambini divertirsi con così poco. «Qui non siamo a casa, fa molto freddo!»

Naoki e Saki, rispettivamente il maschietto e la femminuccia, erano i figli di Hotaka... ed erano gemelli in tutto e per tutto. Qualsiasi cosa facevano, la facevano insieme senza mai separarsi: se uno aveva deciso di dormire, l’altra lo avrebbe seguito subito dopo, così come se uno doveva mettersi a urlare come un forsennato, anche l’altra lo avrebbe fatto. E così stava avvenendo in quel momento: riuscivano sempre a intendersi a vicenda, quasi leggendosi nel pensiero quando dovevano fare qualsiasi cosa, soprattutto qualche marachella. I due gemelli avevano solo un anno e mezzo di vita, eppure il loro sguardo sempre sveglio e vispo e ciò che combinavano nonostante fossero ancora così piccoli avevano fatto capire alla loro famiglia che non erano due bambini da sottovalutare.

Non appena Saki riuscì a tirare anche la sciarpa leggera che indossava Yuzo, Hotaka la avvicinò a sé e le rivolse la parola. «Yuzo ha ragione: poveretto, così prenderà l’influenza!»

La piccola, dopo aver ascoltato attentamente le parole del suo papà, afferrò di colpo uno dei ciuffi che arrivavano sulle spalle e lo tirò in giù con sguardo soddisfatto.

«Ahiahiahiahiahi!» urlò Hotaka per il dolore. «Saki, i capelli, i capelli di papà! Di questo passo resterò pelato!»

Eccetto per il povero zio che non smetteva di lamentarsi, i due gemellini scoppiarono a ridere e così anche Yuzo, che riuscì a richiamare l’attenzione della bambina prendendola dolcemente per la mano. «Saki, papà ha appena detto che tu e il fratellino avete un regalo per me. Me lo mostri, per favore?»

A quella domanda, entrambi i bambini vollero scendere dalle ginocchia dei due giovani, per poi avvicinarsi al loro padre. «Papà, galo! Galo Yu!» esclamarono, e indicarono un sacchetto che Hotaka aveva posato accanto a sé quando si era seduto sulla panchina. I gemellini avevano riconosciuto il regalo, e vollero prenderlo.

Hotaka afferrò il sacchetto e aiutò i bambini a reggerlo, che così tornarono da Yuzo. «Questo è il regalo che Naoki e Saki hanno fatto per te... ovviamente con il mio aiuto e quello di zia Suzume» disse, mostrandolo al ragazzo.

«Mio, mio!» aggiunsero i due piccoli, indicandosi ripetutamente.

Yuzo prese il sacchetto e lo aprì. All’interno vi erano due fogli arrotolati, che erano scarabocchiati da cima a fondo col colore verde e che accompagnavano quello che alla fine era il vero regalo, contenuto in una spessa scatola e realizzato artigianalmente dai suoi zii: un piccolo fūrin, la campana del vento giapponese, dall’anima con decorazioni floreali, accompagnato da un omamori di colore verde.

«Grazie, zio Hotaka: è molto bello...» disse il ragazzino, riponendo l’oggetto al suo posto e abbracciando i due bambini. «E grazie anche a voi! I vostri disegni sono molto belli... anzi, sono i regali più belli!»

Yuzo indicò i due fogli scarabocchiati e i gemellini diedero un lungo verso di felicità, stringendosi di più al cugino senza mai lasciarlo. Poi si rivolse nuovamente allo zio: «Saranno due pesti, ma sono molto affettuosi.»

«Non lo metto in dubbio» replicò l’altro. «Mi ricordano te alla loro età: sai, io e tua madre eravamo un po’ preoccupati che da grande saresti diventato un teppista...»

«Ehi!»

Hotaka scoppiò a ridere. «Stavo scherzando, stavo scherzando! Però è vero che da piccolo era difficile starti dietro... proprio come loro due.» Posò le mani sulle spalle dei due bambini e proseguì: «Sappi che stai crescendo bene, Yuzo. Continua così, e vedrai che un giorno riuscirai a realizzare tutti i tuoi sogni...»

Il ragazzo sorrise. «Grazie, zio.»

 

«Tao tao!»

Dopo aver salutato il cugino, i due gemelli si allontanarono insieme a papà Hotaka e a mamma Suzume, una giovane donna dai capelli lunghi e neri - nonché moglie di Hotaka - che nel frattempo li aveva raggiunti trascinando un carrello portaspesa completamente pieno di cibo e altri oggetti.

Yuzo mise con cura il regalo nel borsone che aveva lasciato accanto alla panchina e stette per andarsene, quando un’altra improvvisa voce alle sue spalle richiamò la sua attenzione.

«Bang. Colpito e affondato.»

Il portiere si voltò con sguardo tranquillo, riconoscendo già dalla voce di chi si trattasse. Vi era un ragazzo che, dal suo aspetto, aveva circa la sua età: con un sorriso schietto aveva una mano protesa verso di lui, chiusa nel gesto della pistola, mentre con l’altra aveva alzato la tesa del suo cappello per scoprire di più il suo volto.

Genzo Wakabayashi.

«Mai abbassare la guardia, Morisaki» gli disse Genzo con tono scherzoso, e senza perdere il sorriso portò entrambe le mani sui fianchi. «Quindi, era questa l’urgenza? Ammetto di essermi un po’ preoccupato dato che ci hai lasciato con un frettoloso “Scusate, ora devo proprio scappare, ci vediamo più tardi!” senza darci una spiegazione, ma ora che ho visto quei due bimbetti... devo ammettere che potresti essere un ottimo babysitter!»

«Ti chiedo scusa» rispose Yuzo, portandosi una mano tra i capelli. «Hai ragione, avrei dovuto dirvi che–»

«Tranquillo, non devi giustificarti» lo interruppe Genzo, sedendosi sulla panchina, «è il tuo compleanno, non ti sei appartato per progettare la conquista del mondo... a meno che non hai intenzione di conquistarlo con un pallone da calcio; nel caso fammi sapere, perché sai già che posso darti una mano!»

Yuzo si affiancò a lui, e non riuscì a trattenere un sorriso ricordando quanto quel grande portiere gli avesse fatto solo del bene negli ultimi anni di scuola, in modo particolare durante i due campionati nazionali che avevano affrontato insieme: Genzo gli aveva sempre dato una mano e lo aveva sostenuto in tutte le occasioni, fin dal giorno in cui il minore dei due aveva fatto ingresso nel club di calcio della Shutetsu. Quel giorno Yuzo era meravigliato ma al contempo felice nel rivedere quel suo coetaneo, ormai cresciuto, che in via eccezionale era riuscito ad entrare nel club un anno prima di lui e che nel frattempo era diventato il portiere titolare nella prima squadra della scuola.

Nel vederlo in azione sul campo, da quel giorno Yuzo aveva deciso di inseguire le sue orme, allenandosi senza sosta per affinare le sue capacità e avvicinarsi a lui sempre di più.

Nel giro di poco tempo Genzo era diventato il suo punto di riferimento, quasi un modello da seguire per diventare un grande calciatore: era come una roccia che niente e nessuno avrebbe potuto scalfire. Yuzo lo aveva seguito sempre in tutto ciò che faceva, ammirandone i gesti e i movimenti quando era sul campo da calcio, e fin dall’inizio non gli importava se quel suo coetaneo si fosse mostrato a volte un po’ “arrogante” nei suoi confronti e in quelli dei suoi compagni... o, per meglio dire, quasi dall’inizio.

Quando si erano ritrovati sul campo da calcio della scuola, nel profondo del suo cuore il piccolo portiere era rimasto un po’ male dall’atteggiamento spocchioso di colui che fino a quel momento si era sempre mostrato in modo gentile nei suoi confronti: dopo la faccenda della biblioteca i due si erano rivisti più volte nonostante avessero frequentato classi diverse, e Yuzo era stato molto felice per lui quando aveva saputo che Genzo era riuscito a entrare nel club di calcio un anno prima di lui e, soprattutto, diventare in poco tempo il portiere titolare della prima squadra della Shutetsu. Era come se quella precoce promozione avesse portato il suo compagno a montarsi la testa, al punto che la prima cosa che gli aveva detto quando lo aveva visto tra i pali del campo della scuola a esercitarsi era stato un secco: «Per me stai solo perdendo tempo su questo campetto. È inutile che continui ad allenarti in questo modo: non servirà a niente.»

Di fronte a quell’affermazione Yuzo aveva pensato che Genzo stesse dubitando delle sue capacità, e la prima cosa che il piccolo portiere aveva fatto era stato il rivolgergli uno sguardo colmo di tristezza. Non sapeva cosa avrebbe potuto rispondergli, anche perché da una parte il suo compagno aveva ragione: lui era davvero in gamba e, non a caso, era riuscito a diventare il portiere titolare. Tuttavia, non appena aveva visto Genzo affiancarsi a lui per poi sedersi a terra, Yuzo aveva iniziato a capire il vero perché di quell’atteggiamento apparentemente colmo di arroganza.

«Visto che siamo soli sarò sincero con te, Morisaki. Se vuoi essere un bravo portiere, devi essere anche aggressivo. Devi tirare fuori la grinta che è in te: solo così riuscirai davvero a essere come me... e so che puoi farcela!»

Da quel momento, Yuzo si era ricreduto sul suo compagno. L’apparente spocchiosità di Genzo in realtà nascondeva una grande premurosità - anche se non lo dava troppo a vedere - non solo nei suoi confronti ma anche in quelli degli altri membri della squadra: quei suoi atteggiamenti servivano proprio per essere da sprone per alcuni di loro, dei quali aveva riconosciuto le eccezionali abilità e sui quali il portiere titolare era certo di poter far affidamento per raggiungere un obiettivo comune a ciascuno di loro.

Trionfare nei campionati nazionali.

Per Yuzo, tutto ciò che contava per realizzare quel sogno era il continuare a restare al fianco di quel portiere fuori dal comune, un desiderio rinforzato attraverso una sorta di promessa che gli aveva fatto, di fronte al suo consiglio di cambiare scuola per diventare un portiere titolare.

«Di questo passo non importa quanto ti impegni, Morisaki: non potrai mai diventare un portiere titolare fino alla fine delle elementari, perché la squadra ha già me... e così rischi di diventare solo la mia ombra. Se vuoi essere titolare, dovresti cambiare scuola... per esempio alla Nankatsu: lì, per come sono messi, lo diventeresti in un battibaleno!»

Quello non era affatto un consiglio, tutt’altro: Genzo aveva messo alla prova anche lui, per vedere fino a che punto sarebbe stato così determinato e ostinato a continuare per la sua strada. Yuzo lo sapeva molto bene: solo nella sua scuola avrebbe avuto tutti gli strumenti per migliorare le sue capacità... perché era proprio là, dove si trovava, che aveva lo strumento più importante di tutti.

«No, Wakabayashi-san. Non lo farò mai... perché è proprio qui che ho il miglior esempio per imparare ad essere un bravo portiere.»

«Ah, sì?»

«È vero! Il mio obiettivo è diventare il secondo miglior portiere del Giappone... prendendo te come esempio!»

«Sei un ragazzo strano, sai?»

No. Yuzo sapeva di non essere strano... e lo sapeva bene anche Genzo, con il quale era riuscito a fare quel discorso a cuor leggero, senza mai trovare nell’altro un accenno di scherno o di sprezzo. Yuzo era solo perfettamente consapevole delle sue capacità: sapeva che l’unico modo per migliorare nel calcio era il continuare a confrontarsi con chi era più bravo di lui, e aveva visto giusto nel prendere Genzo come modello da seguire.

Solo restando al suo fianco, Yuzo era riuscito ancora di più a mettercela tutta sia negli allenamenti che nelle future partite, guadagnandosi così da parte dell’altro portiere una profonda e sincera stima nei suoi confronti. Una positiva opinione che aveva portato Genzo a fargli quella proposta, quando gli aveva parlato del suo trasferimento in Germania.

«Cosa pensi di fare? Ti va di trasferirti alla Nankatsu... insieme a tutti gli altri della Shutetsu?»

Una proposta che aveva fatto onore a Yuzo, nonostante l’inevitabile assenza che si sarebbe creata con la partenza di Genzo. Una proposta nella quale aveva letto una forte volontà, da parte di quel grande portiere, di affidare proprio a lui il futuro del loro gruppo che all'improvviso si era ritrovata smarrita, senza la sua guida di capitano... forse una responsabilità troppo grande da assumersi, ma che era necessaria per crescere e maturare sempre più.

Nella nuova squadra Yuzo non sarebbe diventato mai capitano - questo era certo - ma aveva il dovere di sopperire a quel posto vuoto lasciato da Genzo, se voleva davvero seguire le sue orme. Non sarebbe mai partito per terre lontane come il suo compagno di squadra, non in quel momento e non così giovane, con una famiglia alle sue spalle che forse non glielo avrebbe nemmeno permesso alla sua età; però in quel modo Yuzo sentiva di poter essere ancora vicino a lui, anche se non più fisicamente.

Nel frattempo il piccolo portiere, così come stava avvenendo con gli altri della Shutetsu, si era promesso di trascorrere il più possibile con Genzo tutto il tempo a disposizione prima della sua partenza, che sarebbe avvenuta solo alla fine del loro percorso scolastico.

 

«A proposito di conquista del mondo con il pallone...» proseguì Genzo con un sorriso, e gli diede un buffetto sulle spalle. «nulla contro i tuoi parenti, però ti confesso che ci sono rimasto male quando oggi sei uscito in fretta e furia dalla scuola...»

«Perché?»

«Perché è il tuo compleanno, l’ultimo che possiamo festeggiare insieme... almeno per ora. Un po’ vi invidio: dall’anno prossimo non potrò esserci!»

«Ma possiamo sentirci per telefono! Non sarà la stessa cosa, lo so... però non ci dimenticheremo del tuo compleanno: stai certo che ti bombarderemo di telefonate, così non ti sentirai solo!»

«Da quando sei diventato così schietto, Morisaki? Quando ci siamo conosciuti eri molto più riservato!»

I due risero di cuore, ma subito Genzo si fece serio. «Ascolta, Morisaki. La verità è che non sono qui solo per farti compagnia... ma perché ci tenevo a ringraziarti.»

Yuzo deglutì. Anche se aveva ormai compreso di essere entrato nelle simpatie di Genzo, non era ancora abituato a sentirsi dire certe parole da lui.

Si schiarì la voce e disse: «Davvero?»

«Certo. Sei migliorato molto in questi ultimi due anni di scuola, e ti sei fatto onore. Mi raccomando: in mia assenza, impegnati fino in fondo per diventare il miglior portiere del Giappone. Non puoi più permetterti di essere il secondo, proprio perché non ci sarò io per poter essere il primo!»

Gli occhi di Yuzo si illuminarono, un po’ per l’emozione, un po’ per l’entusiasmo. Con una determinazione rinnovata gli sorrise fieramente. «Sì! Lo farò!»

«Questo è lo spirito giusto, bravo!»

Le labbra di Genzo si unirono in un sorriso smaliziato. «Ah! Un’altra cosa... ma credo che lo sai già.»

Yuzo lo guardò con perplessità, aspettando che l’altro espresse ciò che voleva comunicargli.

«Se vuoi davvero essere come me... impegnati per diventare il portiere titolare della nuova squadra. Non penso ti sarà difficile conquistare il posto... però mi raccomando: voglio vederti giocare da portiere, con la maglia numero uno! E da capitano uscente della Shutetsu, ti ordino di inviarmi una foto quando succederà!»

Yuzo scoppiò a ridere divertito.

«Che c’è?» chiese Genzo. «Non avrai mica pensato di non riuscirci... spero

L’altro portiere si asciugò le lacrime che gli erano uscite dagli occhi. «Ahahah, scusa... è il modo in cui l’hai detto! “Ti ordino di inviarmi una foto!”» e imitò il tono e il modo in cui Genzo aveva pronunciato le ultime parole che gli aveva rivolto. «Comunque, d’accordo. Lo farò... e non mi arrenderò finché non ci sarò riuscito, capitano!»

Genzo lo guardò senza nascondere il suo stupore: Yuzo lo aveva appena chiamato capitano, per la prima e forse unica volta. Il vedere il suo compagno di squadra così estroverso rispetto ai primi tempi lo stava rendendo molto felice e sollevato, e in quel momento ne era ancora più certo: sapeva di aver fatto la cosa giusta consigliando a tutti i suoi compagni di squadra - nonché amici - di continuare a giocare insieme, trasferendosi in un’altra scuola.

Stare insieme a Tsubasa e ai suoi compagni ci ha fatto del bene, a quanto vedo...

Genzo chiuse gli occhi e sorrise, lasciando trapelare dal suo volto un sentimento di pura serenità. «Ripeto: sei un ragazzo strano... ma sono felice che sei riuscito ad aprirti un po’. So che non mi deluderai.»

Yuzo stava per rispondergli, ma la sua vista si offuscò di colpo.

«Indovina un po’ chi è arrivato?»

Da quella voce il portiere capì subito di chi si trattasse, e subito ci non pensò due volte: con grande divertimento afferrò le mani che erano sul suo volto e, non appena esse si sollevarono, vide di fronte a sé tre membri del Quartetto con un’aria interrogativa nei loro volti.

«Si può sapere perché oggi sei andato via prima?» chiese con un sorriso malizioso Teppei Kisugi, dai capelli ricciolini. «Dì la verità: ci stavi nascondendo qualcosa? Hai fatto il misterioso quando sono finiti gli allenamenti!»

«Guarda che non puoi sfuggire alla sorpresa di compleanno, eh!» aggiunse con un leggero ardore Shingo Takasugi, un ragazzo alto e robusto.

«Non abbiamo una torta... ma questo non vuol dire che non possiamo festeggiare come si deve!» Hajime Taki, il ragazzo che si era appena rivolto a Yuzo, si era avvicinato a lui con le mani chiuse a pugno sui fianchi. «Non ti molliamo finché non ti deciderai a stare con noi!» esclamò.

«Quindi da questo ne deduco che alle mie spalle... c’è Izawa: conoscendovi, non credo proprio che l’avete lasciato a scuola...»

«Esattamente!» A quella frase Mamoru Izawa lasciò le sue mani e si piazzò davanti a lui, per poi rivolgersi ai suoi compagni. «Dato che è l’ultimo compleanno che festeggiamo con il capitano, rendiamolo memorabile! Siete d’accordo con me?»

«Sì!»

Il gruppetto si radunò intorno alla panchina, iniziando a discutere sul da farsi. Ciascuno di loro propose un’idea, come andare al bar vicino o allenarsi ancora nell’ampio cortile di casa Wakabayashi, finché Yuzo non esclamò: «Perché non andiamo al Nankatsu Bowl? A quest’ora è aperto!»

«Al Nankatsu Bowl?» domandarono tutti.

«Izawa ha detto “un compleanno memorabile”» rispose il portiere, «e quale modo migliore per trascorrere un giorno indimenticabile se non in un luogo dove possiamo divertirci come vogliamo? Possiamo giocare a biliardo, a bowling, a ping pong...»

«Ci sto!» affermò Genzo. «Ricordo che l’ultima volta che ci siamo andati Takasugi stava per centrare il bersaglio delle freccette con la pallina da ping pong... voglio vedere questa volta dove va a finire!»

«Anch’io!» replicò il ragazzo possente. «L’ultima volta ho perso contro di te, ma sta a vedere che oggi ti batto!»

«Sempre se la pallina non distrugga qualche finestra...» aggiunse Taki.

«Volete finirla?» tuonò Takasugi, che subito si avviò in direzione del Nankatsu Bowl. «Su, andiamo, così vi dimostro di che pasta sono fatto!»

Il resto del gruppetto lo raggiunse e gli sorrise, proseguendo la loro allegra chiacchierata mentre alle spalle il sole stava tramontando.

 

 

 

Quando tornò a casa, Yuzo fu accolto gioiosamente dalla piccola Hanako nel loro cortile: stava ormai scendendo la sera ma la sorellina era ancora fuori a giocare con il pallone, divertendosi a calciarlo nella mini porta da calcio che lei utilizzava in assenza del fratello.

Poco distante da lei, sulle scale dell’ingresso Takaji era intento a leggere un libro, mentre di tanto in tanto apportava delle note. Era stato incaricato dalla madre di dare un occhio alla sorellina, dato che lei era impegnata nella cucina e Ken'ichi era ancora immerso nella sua stanza in preda allo studio per una difficile verifica del giorno dopo; il loro padre doveva ancora rincasare, e anche lo zio Noboru sarebbe stato lì a momenti, dato che era riuscito ad organizzarsi con il lavoro.

Non appena vide Yuzo e Hanako che si stavano avvicinando a lui, Takaji alzò lo sguardo. «Ciao fratellino...» disse con tono indifferente, e subito tornò a osservare il libro.

Il portiere ricambiò il saluto ma guardò suo fratello maggiore con stupore, dopodiché si inginocchiò e si rivolse sottovoce a sua sorella: «Ma... che gli è preso?»

«Non lo so, fratellone...» rispose lei. «Sta guardando quel libro come tu guardi il pallone: non lo ha mai lasciato!»

Yuzo ridusse ulteriormente le distanze da Takaji e si chinò per osservare la copertina del libro. Il titolo, Probabilità e statistica, gli fece subito capire che si trattava del libro di matematica, di fronte al quale il portiere diede le spalle e cercò di trattenere una risata: conosceva molto bene suo fratello, e sapeva che lui e la matematica erano due mondi totalmente opposti. Se Takaji aveva proprio quel libro tra le mani e non si decideva a lasciarlo nemmeno per respirare, con molta probabilità doveva affrontare qualche verifica nei giorni successivi, prima della fine dell’anno scolastico.

A differenza degli altri due fratelli, Takaji non era una cima a scuola. Come Ken'ichi e Yuzo anche lui cercava di dare il massimo negli studi, ma su alcune materie non riusciva ad essere così bravo come loro; così ben presto arrivò anche a provare un pizzico di gelosia nei loro confronti, perché su alcune materie egli riusciva ad arrivare a malapena alla sufficienza.

Essendo una scuola privata la Shutetsu era un istituto molto duro per Takaji, e il mezzano aveva iniziato a gettarsi a capofitto negli studi a partire dalle scuole medie, soprattutto in vista del prossimo shiken jigoku che avrebbe dovuto affrontare al termine del percorso scolastico per l’ammissione alle superiori: era nel guardare proprio i suoi fratelli che si era sforzato di impegnarsi sempre di più, anche se sembrava che molte cose non volessero entrare nella sua testa nemmeno sotto tortura. Nonostante fosse orgoglioso e all’inizio non voleva accettare l’aiuto di nessuno, nemmeno di Ken'ichi che era più grande di lui di un anno e a scuola aveva già affrontato molti degli argomenti che il mezzano stava studiando, alla fine era riuscito ad accettare quello di suo padre, che di sera entrava nella sua stanza per spronarlo e dargli qualche consiglio quando era in difficoltà.

Nonostante il rapporto con i fratelli fosse rimasto lo stesso, qualche mese prima il mezzano aveva iniziato a provare un leggero sentimento di freddezza nei confronti di Yuzo, più precisamente dal momento in cui il suo fratellino aveva deciso, quasi in modo inaspettato, di cambiare istituto con l’inizio delle medie.

Questo aveva provocato in Takaji una duplice reazione.

La prima, la gelosia. Yuzo stava per passare da una scuola privata ad una pubblica, con l’immediata conseguenza che il suo metodo di studio sarebbe cambiato. Nella Nankatsu avrebbe sicuramente studiato di meno rispetto alla Shutetsu, e se fosse diventato ancora più bravo a calcio non sarebbe stato “obbligato” ad andare all’università per seguire le sue passioni.

Che furbetto: beato lui, ha scelto la via più facile!

La seconda, la preoccupazione. Yuzo sarebbe stato il primo dei Morisaki a frequentare la scuola media Nankatsu, e ciò significava che dall’anno successivo non avrebbe più percorso la stessa strada che lui e Ken'ichi attraversavano ogni giorno. Ma ciò che preoccupava di più Takaji era il fatto che il fratello minore avrebbe cambiato completamente scuola: certo, sapeva che ci sarebbe andato con i suoi amici di sempre, e questo in parte lo aveva rassicurato; tuttavia un certo pensiero aveva iniziato a frullargli per la testa.

E se qualcuno dovesse fargli del male nella nuova scuola? Io... io non potrò più proteggerlo, e nemmeno il fratellone!

Ad un tratto questa sua ansia era saltata fuori, al punto di confidarla al diretto interessato. La prima cosa che Takaji aveva fatto era stato il preparare Yuzo a quella possibilità, trascinandolo nel cortile quando poteva e insegnandogli tutto ciò che sapeva sul suo amato kendo, ma si era arreso di fronte allo sguardo attonito e sorpreso del fratello minore, che all’inizio non riusciva ben a capire perché di punto in bianco Takaji si stesse comportando quasi da mamma chioccia con lui.

Alla fine il mezzano gli aveva dato un breve ma lampante consiglio, accompagnandolo con un sonoro sospiro. «Non farti mettere i piedi in testa, mai. Male che vada, usa il pallone per difenderti!»

A poco a poco il rapporto tra i due Morisaki era tornato a essere quello di sempre, e da allora Takaji era tornato a concentrarsi sul suo studio fatto per lo più di percorsi a ostacoli. Il sorriso colmo di determinazione che Yuzo gli aveva rivolto in risposta alle sue parole gli aveva dato la certezza che suo fratello se la sarebbe cavata di fronte a qualunque situazione che gli sarebbe capitata, anche senza di lui.

 

Nel frattempo, dopo aver compreso che Takaji non gli avrebbe dato retta nemmeno se avesse usato il megafono per parlargli, Yuzo prese la mano della piccola Hanako e si diressero verso la mini porta da calcio.

Fu allora che la bambina tornò a parlare, con una punta di tristezza nella sua voce. «Perché oggi hai fatto tardi? Io e Hoshi-chin ti stavamo aspettando: anche lei voleva farti gli auguri... e voleva tanto giocare con te!»

Hoshi-chin, il nomignolo che la minore dei Morisaki aveva dato a Hoshiko, era una sua coetanea e, complice il fatto che erano cresciute insieme, le due si consideravano le migliori amiche del mondo. Era la secondogenita degli Yamamoto, i vicini di casa dei Morisaki, nata a pochi mesi di distanza da Hanako, e proprio con lei aveva instaurato un legame speciale fin da subito: le due bambine non si erano mai perse di vista, arrivando a condividere quasi tutta la giornata insieme come se fossero state sorelle. Si recavano all’asilo insieme, e anche quando tornavano a casa si divertivano a giocare nel cortile delle loro abitazioni oppure, quando fuori il tempo non era sereno, a guardare in televisione Pen-Pal, il loro cartone animato preferito con protagonisti due orsacchiotti che vivevano in due parti distanti del mondo ma che riuscivano a incontrarsi di persona grazie al teletrasporto, mentre mangiavano i biscotti preparati dalle loro mamme. Spesso le due bambine si scambiavano i loro giocattoli, soprattutto i palloni da calcio con i quali si divertivano quando fuori c’era il sole.

La piccola Hoshiko, dai capelli castano chiari raccolti in due piccole code e grandi occhi marroni, aveva subito preso in simpatia non solo Hanako anche Yuzo, che spesso e volentieri trascorreva il suo tempo libero con lei e sua sorella. Anche lei, come Hanako, sembrava molto presa dal gioco del pallone, e proprio come lei vedeva in Yuzo una persona molto gentile e disponibile, sempre pronta a dare consigli senza alcuna pretesa.

D’altro canto a Yuzo faceva sempre piacere essere insieme a Hoshiko e Hanako, ma c’era anche dell’altro. Il suo cuore mancava un battito ogni volta che le vedeva insieme: il portiere avvertiva una sensazione dolceamara che partiva dal centro del suo petto e gli correva per tutto il corpo, che puntualmente gli aveva fatto ricordare la sua infanzia.

Era una dolce nostalgia.

Ogni volta che i suoi occhi si posavano sulle figure della sorellina e di quella graziosa bambina, Yuzo si rivedeva in loro, di quando era bambino proprio come loro e la sua unica preoccupazione era quella di poter giocare con il suo amico il più possibile. Hoshiko era molto diversa da suo fratello Hikaru - quel fratello che lei non aveva mai conosciuto - ma nei suoi gesti e nelle sue espressioni gli ricordava molto quel bambino un po’ vispo che era stato suo compagno di giochi solo per poco tempo.

Hikaru era il fratello di Hoshiko, dopotutto.

Forse, era inevitabile quella strana sensazione che Yuzo aveva provato in quei momenti. Nulla sarebbe tornato come prima, ma nel suo cuore aveva sempre augurato silenziosamente che Hanako sarebbe stata più fortunata di lui: l’ultima cosa che avrebbe voluto era il vedere anche sua sorella subire quella drammatica esperienza.

Il portiere sorrise, si inginocchiò e con dolcezza accarezzò la testa della piccola. «Scusami, sorellina... ti prometto che domani torno prima a casa, così giochiamo anche con Hoshiko... va bene?»

Hanako mise il broncio. «Non è giusto... oggi è il tuo compleanno, non dovevi fare tardi!»

«Mi dispiace... davvero...»

Yuzo posò il borsone a terra e strinse a sé la sorellina; quest'ultima tirò su il naso e iniziò a singhiozzare. «Mi fai un favore, da brava?» le disse, guardandola negli occhi, «Vai dalla mamma e dille che sono arrivato.»

«E tu non vieni, fratellone? Dai, vieni anche tu, dai!»

Yuzo avvicinò il suo volto all'orecchio di Hanako e le sussurrò: «Sai mantenere un segreto?»

La piccola annuì.

«Ti prometto che quando tornerai qui... vedrai il fratellone che correrà da un punto all’altro del nostro cortile.»

«Davvero?» Gli occhi di Hanako si spalancarono per lo stupore.

«Davvero. Ora, su: corri dalla mamma!»

Yuzo arruffò i capelli a Hanako che, senza pensarci due volte, entrò subito in casa.

Takaji, che si trovava seduto sullo scalino, vide con la coda dell'occhio la sorella che era rientrata in casa in fretta e furia e, piuttosto incuriosito, chiuse di scatto il libro. Il suo sguardo puntò prima la porta d'ingresso, poi suo fratello che lo stava osservando con le mani sui fianchi, soddisfatto: gli fu evidente che Yuzo stesse nascondendo qualcosa.

«Cosa le hai promesso, stavolta?» domandò con una punta di sospetto nel tono della sua voce.

Yuzo fece finta di cadere dalle nuvole. «Nulla... perché me lo chiedi?»

«Perché entrambi conosciamo la nostra cara sorellina...» replicò Takaji, «inoltre, è vero che sto studiando, ma non sono diventato sordo: in pochi secondi lei è passata dal voler stare con te a “Vabbè, sai che c'è? Ora torno dentro”. Non ti sembra strano, per una come lei che adora giocare qui senza mai stancarsi?»

Yuzo riprese in mano il borsone e se lo caricò nuovamente sulla spalla; poi, a passo svelto accorciò le distanze con suo fratello, gli si sedette di fronte e incrociò le braccia. Lo fissò con un sorriso beffardo, senza dire una parola... atteggiamento che non fece altro che insospettire sempre più Takaji.

«E ora cosa c'è?» chiese il mezzano.

«Senti un po’, fratellone: come va il tuo rapporto con la matematica?» sottolineò maliziosamente Yuzo, senza smettere di osservare suo fratello. «O forse dovrei dire... la tua futura ragazza? Rassegnati, la porterai almeno fino alla fine delle superiori!»

A Takaji mancò poco che perdesse l’equilibrio: il suo fratellino aveva ragione, lui non aveva un rapporto felice con quella famigerata materia. Un altro anno di studio stava giungendo al termine, e il mezzano non vedeva l’ora di concludere un ennesimo percorso di quella che ormai gli sembrava essere più una tortura che una materia scolastica.

Riaprì il libro e lo alzò, fino a coprire la figura di Yuzo nella sua visuale. «P-Pensa a te e alla tua mania per il pallone!» esclamò con l'imbarazzo che colorò le sue guance di un rosso acceso. «Lo sai che di questo passo finirai per sposarlo? Già ti immagino tra qualche anno: tu che dormi con il pallone, tu che fai il bagno insieme al pallone... te lo dico subito: al tuo futuro e assurdo matrimonio con una palla da calcio non verrò!»

Yuzo trattenne le risate, e cercò di non rispondere nulla. La reazione di suo fratello fu il segnale che il portiere stava cercando: a poco a poco, stava abbassando la guardia.

«Beato te...» mormorò Takaji, «almeno tu ami il pallone e la battuta del matrimonio dovresti prenderla come un complimento; invece io detesto la matematica... che poi: cosa c’entra la matematica con gli animali e la natura? Ah, non vedo l’ora di finire le superiori e lanciare questi libri in qualche falò!»

... ora!

Con un sorriso che non prometteva nulla di buono, Yuzo si alzò e con veemenza rubò il libro dalle mani di Takaji. Quest’ultimo cercò disperatamente di recuperarlo ma il portiere iniziò a scappare, ridendo a crepapelle nel vedere il fratello in difficoltà.

«Ehi!» tuonò il mezzano. «Devo ancora finire di studiare il capitolo! Già non ci ho capito granché, dai: fai il bravo!»

«E invece no! Oggi è il mio compleanno, non si accettano scuse! La mamma ha detto che la tua ultima verifica è solo tra qualche giorno, per cui per stasera basta con i libri!»

«Appunto: tra qualche giorno... mica tra settimane!»

Così i due fratelli si rincorsero senza mai fermarsi... ma in realtà Takaji non sembrava più essere infastidito. Iniziò anche lui a sorridere, cercando di mettercela tutta per recuperare quel libro che ora sembrava essere diventato un gioco.

Forse Yuzo ha ragione: è ora di staccare per un po’ dallo studio!

 

 

Quando Yuzo varcò la soglia d’ingresso con Takaji, l’allegro chiacchiericcio che i due avevano udito da lontano si era fermato di colpo. Incuriositi, dopo essersi tolti le scarpe nel genkan, di soppiatto il duo si recò in direzione della cucina: entrambi fecero capolino dalla porta, guardandosi poi negli occhi e scambiandosi un cenno di intesa.

Ohi ohi, pensò Takaji non appena vide seduti al tavolo i suoi nonni materni che si erano radunati in quel punto insieme a sua madre e sua sorella Hanako. Ora che c’è anche Yuzo, speriamo che nonno Akihiko resti in silenzio stampa... almeno oggi che è il suo compleanno!

«Buona fortuna, fratellino...» mormorò nell’orecchio a Yuzo, prima di dirigersi verso le scale che lo avrebbero portato nella sua stanza.

Rimasto solo vicino allo stipite, il portiere deglutì nervosamente e si decise ad uscire da quel nascondiglio dopo qualche secondo di esitazione; infatti, non appena lo fece, si trovò sua nonna Chiharu e Hanako che si erano gettati addosso a lui, facendolo barcollare.

«Buon compleanno, nipotino mio!» esclamò la donna vestita con un tailleur nero. «Io e tuo nonno non vedevamo l’ora che tornassi a casa!»

«In effetti sei in ritardo. Lo sai che è cattiva educazione far aspettare le persone?»

Seduto poco distante da moglie e nipoti, dopo aver pronunciato quella frase Akihiko prese un sorso dalla tazza che aveva di fronte. All’uomo, con indosso un completo elegante, l’arrivo del suo terzo nipote non sembrava aver fatto né caldo né freddo... anzi: non appena finì di bere il suo té, Akihiko si alzò da tavola e tornò sulla soglia d’ingresso, rimettendosi le scarpe. «Ora, se non vi dispiace, io e Yuzo dobbiamo scambiare due parole: già abbiamo perso troppo tempo, non possiamo perderne ancora. E poi... lui già sa di cosa si tratta.»

Un’altra volta?! pensò il portiere, portandosi una mano sul volto. Capisco che la questione gli stia così a cuore... ma non è giusto: anche oggi deve farmi il terzo grado?

«Ma caro!» esclamò Chiharu, staccandosi da suo nipote e avvicinandosi a suo marito. «Oggi è il suo compleanno, non potresti evitare di...»

«Appunto: è il suo compleanno. Quale miglior occasione per fare una bella chiacchierata tra nonno e nipote?»

Ancora di spalle, Akihiko aprì la porta. Si voltò verso il nipote e con la testa gli fece cenno di avvicinarsi a lui. «Yuzo, per favore rimettiti le scarpe e seguimi... entrambi non vogliamo che la cena si raffreddi, no? Lo sai, tua madre si è impegnata tanto per prepararla.»

Seppur titubante per ciò che era capitato con lui negli ultimi mesi, Yuzo fece come il nonno gli aveva detto: tornò nel genkan e indossò nuovamente le scarpe.

Di fronte a quel gesto, la piccola Hanako corse da lui e si aggrappò alla sua gamba, decisa a non lasciarlo. «Ti prego, voglio venire con te e il nonno!» disse con tono triste.

Yuzo si inginocchiò e rassicurò sua sorella con una carezza sulla guancia. «Tranquilla: io e il nonno facciamo solo un giro; torniamo a casa presto...»

«Non è giusto!» protestò la piccola. «Volevo giocare con te anche prima di cena; il nonno può giocare un’altra volta con te!»

«Hanako.»

Ora era Izumi ad aver richiamato l’attenzione della bambina. Si avvicinò a lei e proseguì con tono dolce, prendendola in braccio: «Il fratellone non uscirà di casa, tranquilla... vero, nonno? Ci promettete che resterete nel cortile anche se dovesse succedere il finimondo? Nel frattempo io e Hanako giocheremo un po’ con nonna Chiharu a fare le cuoche...»

La piccola esplose di gioia e, scesa dalle braccia della madre, raggiunse la nonna e la prese per mano. «Che bello: cuciniamo tutti insieme! Dai, nonna: prepariamo il dolce per il fratellone!»

Mentre Yuzo sorrise di fronte a quella scena, Akihiko tirò fuori un profondo sospiro: il suo piano per portare suo nipote il più lontano possibile era sparito come una bolla di sapone a contatto con il vento. Sua figlia Izumi era riuscita, ancora una volta, a imporre la sua autorità in quella casa: d’altronde lui e Chiharu erano solo ospiti nella casa dei Morisaki, e fare tante scenate non sarebbe servito a granché.

Da una parte, l’uomo fu orgoglioso di sua figlia: l’ho cresciuta davvero bene.

«E va bene,» mormorò Akihiko con un sorriso, varcando la soglia d’ingresso della dimora. «Adesso possiamo andare, Yuzo.»

In silenzio, il terzogenito dei Morisaki lo seguì, pregando in cuor suo che non accadesse davvero il finimondo profetizzato da sua madre.

 

Se doveva dirla tutta Akihiko non era solo fiero di sua figlia, della splendida donna e madre che era diventata, ma in cuor suo mostrava altrettanto orgoglio nei confronti di Hideki e dei quattro figli che Izumi aveva avuto da lui: ciascuno di loro stava crescendo e iniziando un percorso di vita che, grazie all’impegno e alla perseveranza, avrebbe permesso di raggiungere qualunque obiettivo.

Lo stesso poteva affermare ad occhi chiusi per Yuzo... tranne per un minuscolo dettaglio che aveva reso l’uomo un po’ dubbioso nei confronti di ciò che il ragazzino stava combinando: quell’improvviso passaggio dalla Shutetsu alla Nankatsu. Era una decisione che Akihiko non riusciva a spiegarsi nonostante la passione del ragazzo verso lo sport del calcio, uno degli emblemi della cittadina di Nankatsu che poteva vantare la presenza di diversi club in tutto il suo territorio tra i quali proprio quello della Shutetsu, che tra tutti era il migliore.

Se ci tiene così tanto a diventare un calciatore, perché passare in una che finora non è riuscita nemmeno ad approdare al campionato nazionale delle medie? E poi così, all’improvviso...

Ma non solo. In realtà, Akihiko era molto affezionato alla Shutetsu, perché per lui non era solo il prestigioso istituto dove sia lui che Chiharu lavoravano ma era molto di più: era il luogo dove tutta la sua famiglia aveva frequentato l’intero ciclo scolastico di dodici anni, dalle elementari alle superiori, dal momento in cui era stato fondato l’istituto ad opera dei Wakabayashi; era il luogo dove aveva stretto le più importanti e durature amicizie della sua vita, dove aveva incontrato i suoi amici d’infanzia che in seguito erano diventati i suoi migliori amici nonché fantastici colleghi di lavoro con i quali organizzare serie riunioni di lavoro nelle rigide aule dell’istituto o allegre cene in locali dove si beveva e mangiava a volontà. La Shutetsu era un luogo di persone non solo benestanti nel vero senso della parola, ma persone di buon cuore, sempre disponibili e pronte a dare una mano nel momento del bisogno.

Inoltre, la Shutetsu era il luogo dove i Kobayashi, la famiglia dalla quale Akihiko proveniva, avevano insegnato o avevano ricoperto differenti ruoli di direzione. Dopo di lui e sua moglie Chiharu, anche la loro unica figlia Izumi vi aveva fatto ingresso per tutti e dodici anni scolastici, e anche lei - a sua volta - aveva indirizzato Ken'ichi e Takaji in quell’istituto. L’uomo credeva che la stessa cosa sarebbe accaduta anche con Yuzo che si trovava già alle elementari Shutetsu, e avrebbe fatto di tutto per aiutare sua figlia e suo genero a mantenere i nipoti in caso di difficoltà economiche, conoscendo bene gli alti costi che i coniugi Morisaki dovevano sostenere ogni anno. Suo nipote non aveva mai avuto problemi e, anzi, era riuscito a stringere amicizia con eredi di persone facoltose tra i quali spiccava Genzo Wakabayashi, il figlio di Shuzo, il preside della scuola che Akihiko non solo conosceva bene per via del suo lavoro, ma era proprio tra quelle persone con le quali aveva stretto una solidale amicizia nel corso degli anni.

Tuttavia, qualche mese prima della fine dell’anno scolastico, era stata proprio sua figlia Izumi a comunicargli quella che per lui gli era sembrata fin da subito come un fulmine a ciel sereno.

«Papà, non so come dirtelo... ma dall’anno prossimo Yuzo frequenterà la Nankatsu.»

Non appena era venuto a conoscenza del perché, Akihiko aveva stentato a crederci. Per lui quella del calcio sembrava una motivazione davvero strana, ed era convinto che dietro alla decisione di suo nipote ci fosse stato dell’altro che lui non aveva voluto rivelare. Forse qualcosa di grave, dato che nemmeno Izumi sembrava saperne qualcosa... o, meglio, l’unica spiegazione che gli aveva dato in più era stata quella di “continuare a giocare al fianco di Tsubasa e dei suoi amici”.

Una semplice spiegazione che non aveva ancora convinto del tutto Akihiko che, da quel giorno, si era messo in testa di indagare per conto suo. Sfruttando la sua posizione di insegnante d’inglese delle superiori Shutetsu nonché le sue conoscenze in tutto l’istituto, Akihiko aveva iniziato a seguire di nascosto la vita scolastica del suo terzo nipote... ma, più che chiarirsi le idee, aveva finito per avere più dubbi di prima: infatti aveva scoperto che Yuzo non sarebbe stato l’unico a cambiare scuola, bensì anche il Quartetto - il cuore dei migliori giocatori della Shutetsu - lo avrebbe fatto insieme a lui.

O la partenza di Genzo ha dato di volta il cervello a tutti... oppure c’è un motivo che ancora non capisco!

Così aveva deciso di chiedere spiegazioni al diretto interessato, ovvero suo nipote, con l’intento di chiarire una volta per tutte la faccenda. Da nonno si sarebbe fatto in quattro per aiutarlo, forse più dei suoi genitori perché lui, più di tutti, avrebbe fatto qualunque cosa per permettere a Yuzo di inseguire i propri sogni: ogni volta che lo aveva visto sul campo, con il pallone tra le mani, a poco a poco anche lui aveva capito che il suo futuro sarebbe stato lì, su un campo da calcio.

Sarebbe fantastico se un giorno diventasse un allenatore, aveva pensato un giorno Akihiko, mentre aveva visto suo nipote giocare con la sorellina e insegnarle tutto ciò che lui stava imparando. Certo: sarebbe il primo dei Kobayashi a essere quel genere di insegnante... però sarebbe bello!

Proprio per questo, sapendo bene che la Shutetsu delle medie e superiori era la squadra migliore della città, anche perché era l’unica che era sempre riuscita ad accedere ai campionati nazionali, Akihiko aveva provato a convincere Yuzo a rinunciare a quel cambio di scuola; ad un tratto aveva provato a chiedergli tutte quelle spiegazioni in più che stava cercando, per capire se davvero c’era dell’altro dietro a quella decisione, ma suo nipote lo aveva sempre rassicurato con un’unica, sincera risposta.

«È lì che andrà Tsubasa... ed è lì che andremo anche noi. È stata un’idea di Wakabayashi-san, e noi abbiamo pensato che sarebbe stato il meglio per tutti noi. Se vogliamo davvero diventare dei bravi calciatori, non possiamo restare alla Shutetsu: dobbiamo andare avanti, insieme!»

Di fronte a quel nome, Akihiko aveva spalancato gli occhi. Era vero che il figlio di Shuzo Wakabayashi non proveniva da una famiglia di calciatori professionisti, ma era molto bravo e preparato riguardo proprio quello sport. Più volte l’aveva visto sul campo, e dalle parole dello stesso Shuzo, attraverso i racconti dei suoi allenamenti con Tatsuo Mikami, l’eccellente portiere della Nazionale giapponese che aveva vinto la medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Città del Messico ‘68, sembrava davvero promettere bene come futuro calciatore professionista.

Per fortuna che Genzo non ha proposto a mio nipote di trasferirsi in Germania con lui, altrimenti sì che a Shuzo gliene avrei cantate quattro! Anzi... mi chiedo come faccia Shuzo a mandare suo figlio in Europa da solo: io al suo posto non sarei per niente tranquillo!

Anche se non aveva trovato le spiegazioni che stava cercando - e quelle che aveva trovato, sebbene gli fossero ancora assurde, in fondo non erano del tutto infondate - anche nel giorno del compleanno di suo nipote Akihiko aveva deciso di fare un ultimo tentativo, ma ormai i giochi erano fatti: Yuzo aveva consegnato tutte le pratiche per l’iscrizione alle scuole medie Nankatsu per cui, di fatto, cambiare scuola all’ultimo secondo sarebbe stato impossibile.

Nonostante fossero rimasti da soli nel cortile della dimora dei Morisaki, sia Akihiko che Yuzo non si erano rivolti la parola. Il primo rivolse lo sguardo verso il cielo ormai notturno, incrociò le braccia e disse, con la schiena ancora rivolta verso Yuzo: «Allora, è deciso.»

«Sì.»

Il ragazzino comprese subito a cosa si stesse riferendo suo nonno: proprio alla sua decisione irremovibile di andare alla Nankatsu a partire dalle medie. «E se mi hai portato qui per farmi cambiare idea...» proseguì, «la mia risposta sarà sempre la stessa: no, non tornerò alla Shutetsu. Perciò arrenditi, nonno: ormai la scuola sta finendo, non penso che avrai più tempo per convincermi...»

«Di questo ne sono consapevole, però te lo chiedo ancora una volta: ne sei davvero sicuro?»

«Sicuro. Non tornerò alla Shutetsu, è una promessa. Ti prego, nonno: smettila di illuderti che lo farò.»

«Sembri davvero convinto...»

Akihiko si voltò verso suo nipote e ridusse le distanze, guardandolo con occhi colmi di serenità nonostante fosse ancora ben visibile un guizzo di tristezza. «Sai che ti dico, nipote mio? Che hai vinto tu: mi arrendo

Yuzo spalancò gli occhi. Conosceva molto bene suo nonno e per questo sapeva che, se c’era un concetto che non faceva parte del suo vocabolario, questo era proprio “arrendersi”. Suo nonno Akihiko aveva una testardaggine che poteva fare a gara con i Morisaki - rinomati proprio per il loro comportamento fermo e risoluto - e per tale motivo lui era talmente testardo e orgoglioso di ciò che pensava o faceva, per cui la parola sconfitta non era minimamente contemplata nella sua vita.

In quel momento suo nonno sembrava tutto tranne quella persona risoluta che ben conosceva, e Yuzo aveva iniziato a capire il perché: lo stava facendo perché ci teneva molto a lui, e insieme ai suoi genitori voleva davvero che lui diventasse un bravo calciatore.

L’uomo posò le mani sulle spalle di Yuzo e proseguì, con un sorriso sempre più limpido: «Lo sai, ci tenevo così tanto che avessi continuato nella Shutetsu: è vero che voi avete vinto un campionato nazionale con una squadra composta dai giocatori più bravi di tutta la città, ma la squadra della Shutetsu resta sempre la migliore. Spero che anche nella Nankatsu farete grandi cose... però c’è un’altra cosa che devo dirti.»

«Quale?»

«I Kobayashi, la famiglia di tua madre... che sarebbe anche la mia famiglia, e in un certo senso anche la tua... è rinomata per aver generato stimati insegnanti in Giappone. Il mio desiderio è che tutti i miei nipoti continuino a seguire le loro orme: non so cosa ci riserverà il futuro... ma sarebbe bello se un giorno diventassi un insegnante di calcio. Nessun Kobayashi è mai stato un allenatore di una squadra di calcio, così come nessun Wakabayashi è stato un calciatore professionista; eppure, sia tu che Genzo vi state impegnando tanto per essere dei bravi giocatori. Nipote mio... sappi che non hai scelto una strada facile, anzi: in realtà nessuna strada lo è, perché non troverai tutto pronto e dovrai impegnarti sempre di più per raggiungere i tuoi sogni. Anche per questo, se davvero ci tieni a diventare un grande calciatore, devi tirare fuori molto coraggio e forza! Io ho fiducia in te, anzi: tutti noi abbiamo fiducia in te: la nonna, i tuoi genitori, i tuoi fratelli... per cui non deluderci: dimostra di che pasta sei fatto... e, soprattutto, ora che Genzo non c’è, dimostra di essere il portiere numero uno in Giappone! Non ti permetterò di essere un pappamolle, e per questo sappi che non avrò pietà della mia stessa discendenza se dovesse deludermi: nemmeno i demoni mi fermeranno!»

L’uomo rizzò la schiena, sorridendo soddisfatto. La sua affermazione colma di provocazione fece tornare la gioia nel volto di Yuzo, che annuì con rinnovata risolutezza.

«È una promessa, nonno. Sono un Morisaki... e i Morisaki non si arrendono mai!»

 

 

 

Le luci della dimora dei Morisaki iniziarono a spegnersi a poco a poco. Era quasi notte fonda, e l’unica della famiglia rimasta in piedi era Izumi: dopo aver sistemato il soggiorno, la donna si lavò e si mise il pigiama.

Quando rientrò nella sua stanza, per Izumi ci fu una sorpresa: stranamente, suo marito Hideki non era ancora a letto.

Forse sarà nel bagno di servizio? pensò la donna. Decise di attendere qualche minuto e si affacciò dalla finestra, che dava sul retro della casa: nell’abbassare lo sguardo, notò Hideki che stava gironzolando per il cortile con un’aria apparentemente nervosa.

Izumi inclinò leggermente la testa, cercando di capire il perché del comportamento di suo marito. Che cosa gli è preso?

Ma, non appena notò che ogni tanto stava stuzzicando con le dita il ciondolo che aveva in mano, la donna sorrise di cuore e si allontanò dalla finestra, mettendosi sotto le coperte.

Finalmente ti sei deciso... eh? Era ora!

 

Hideki stava ripensando agli avvenimenti di quegli ultimi mesi. Quell’improvvisa decisione di Yuzo aveva messo in allarme proprio lui, che con i figli aveva sempre cercato di instaurare un rapporto sincero e aperto, cercando di farsi dire da loro ogni cosa su ciò che accadeva al di fuori della loro casa.

Yuzo sarebbe stato il primo dei suoi figli ad andare alla scuola pubblica Nankatsu una volta terminato il percorso delle elementari ma, per con buona pace di Hideki, ciò non era avvenuto in seguito ad episodi di bullismo o per i piani di insegnamento troppo rigidi della Shutetsu, tutt’altro: suo figlio lo aveva fatto per continuare a giocare a calcio insieme ai suoi amici, perché era certo che al loro fianco avrebbe potuto realizzare il sogno di diventare un bravo giocatore.

Prima di decidere sul da farsi, Hideki e Izumi si erano consultati con i genitori di quel gruppetto che, all’improvviso, aveva espresso il desiderio di cambiare scuola per poter restare al fianco di quel Tsubasa Ozora e dei suoi compagni di squadra. I Morisaki avevano riscontrato in loro consensi favorevoli: nessuno era contrario a quella comune decisione dei loro figli, così i due erano tornati a casa rassicurati.

Nonostante ciò un dubbio aveva continuato ad arrovellare la mente di Hideki, che una sera si era trovato a non chiudere occhio. Per il suo terzogenito aveva fatto tanti sacrifici - così come in forza ancora maggiore avrebbe continuato a farlo anche per la piccola Hanako -, e in più Yuzo gli aveva dato grandi soddisfazioni a scuola al pari di Ken'ichi: da un lato, la sua decisione inaspettata gli era stato di grande sollievo, dato che le spese per la nuova scuola erano di gran lunga inferiori rispetto a quelle di provenienza, ma dall’altro lato stava continuando a pensare al futuro di suo figlio.

Perché rinunciare alla prestigiosa Shutetsu e continuare il suo percorso in una scuola pubblica?

Nella sua nazione si prediligeva molto la scuola privata rispetto a quella pubblica, al punto che ogni famiglia era disposta a fare grandi sacrifici pur di riuscire a iscrivere un figlio in un prestigioso istituto; le scuole pubbliche non offrivano la stessa preparazione di quelle private, che invece erano garanzia di una buona preparazione per il successivo accesso alle superiori, che a loro volta sarebbero servite per dare agli studenti delle ottime basi per gli esami di accesso alle più prestigiose università del Giappone e, così, garantirsi un ottimo posto di lavoro.

Anche nella sua città era così: la Shutetsu era rinomata per la sua ottima preparazione, e chiunque usciva da quell’istituto aveva un valido biglietto d’accesso per un brillante futuro. Per questo motivo Hideki era preoccupato per il futuro di suo figlio, anche se, conoscendolo, sapeva che si sarebbe impegnato molto anche nella nuova scuola.

Hideki continuò a giocherellare con il ciondolo che aveva in mano, lanciandolo più volte verso l'alto e tornando a pensare a quella notte di settembre dell’anno precedente.

 

 

 

«Qualcosa non va, caro?»

Hideki non riusciva a chiudere occhio. I suoi occhi erano spalancati, rivolti verso il bianco soffitto della camera matrimoniale, e ogni volta che invece il sonno sembrava avere la meglio era sempre colto dal pensiero del suo terzogenito che avrebbe cambiato istituto tra qualche mese. Non riusciva a pensare ad altro, girando i pollici come un forsennato.

Nel vederlo così agitato Izumi si era chinata su di lui e gli aveva preso le mani. «Caro. Se continui così, domani rischierai di sbagliare ufficio... oppure scuola!»

«Urm...»

Lui aveva dato un sonoro sospiro e si era messo a sedere. «È che questa è una bella gatta da pelare... da una parte Yuzo ci ha dato una mano indirettamente perché non gli abbiamo mai parlato dei costi che stiamo affrontando per la scuola, ma dall’altra...»

«Sei preoccupato per il suo futuro, vero?»

Hideki aveva annuito. «Come faccio a non esserlo? Una scuola pubblica non sarà mai al livello di una scuola privata... È vero che ultimamente ho fatto i salti mortali, accettando qualsiasi ruolo che mi avessero proposto a parte la cattedra di Educazione sociale, e dal prossimo anno dovrei diventare il direttore del Centro di formazione professionale. In quel caso... anche se non potrò più essere presente tutti i giorni, l’ho fatto per i ragazzi e anche per Yuzo, per permettergli un futuro migliore.»

«E di questo nostro figlio te ne sarà per sempre grato.»

Izumi gli aveva accarezzato la testa, dandogli un leggero bacio sulla fronte. «Caro... non pensarci più, ok? Ti fidi di lui?»

Hideki l’aveva fissata stralunato. «Co... come?»

«Ti fidi di lui?»

Di fronte a quella ripetizione, Hideki aveva abbassato leggermente lo sguardo. Avrebbe voluto risponderle di sì, ma di fronte alla donna che amava non riusciva mai a dissimulare ciò che provava.

«Izumi... Yuzo è ancora un ragazzino. Ha solo dodici anni, potrebbe anche cambiare idea in futuro; e se un giorno dovesse decidere di diventare... che so, ingegnere? Architetto? Insomma: fare qualcosa di diverso dal calcio?»

«Potrebbe pur sempre progettare uno stadio, se è questo il problema!»

«Non intendo questo.»

«E nemmeno io.»

Hideki aveva alzato di nuovo lo sguardo.

Izumi gli stava rivolgendo un sorriso luminoso, colmo di fiducia. «Hideki. È nostro figlio... io sono sua madre, e tu sei suo padre... lo conosciamo bene, ormai. Capisco la tua preoccupazione, perché è un po’ anche la mia: è vero che è ancora un ragazzino, e che noi dobbiamo ancora continuare a vegliare su di lui, ma non è più un bambino... Fidati di lui: sa quel che fa.»

«Forse viviamo in una società dove le regole sono più rigide di quel che sembrano. Perché la scelta di una scuola dovrebbe pregiudicare il tuo futuro? Anche oggi che sono un professore universitario, dopo aver studiato per anni su libri che avrebbero dovuto aiutarmi a dare delle risposte... continuo a non capirlo.»

Izumi lo aveva guardato con dolcezza: il bagliore dei suoi occhi lo stava toccando fino alle viscere della sua anima. Hideki posò la mano su quella di sua moglie e aveva iniziato ad accarezzarla, mentre socchiudeva gli occhi.

«D’accordo, Izumi: proviamo con la Nankatsu.»

 

 

 

Facendo schioccare le labbra Hideki afferrò al volo il ciondolo che aveva nuovamente lanciato e lo ripose al suo posto, nella tasca del suo pantalone.

Alzò gli occhi al cielo, pensando che nel giro di poche settimane la sua vita e quella del resto della sua famiglia sarebbero nuovamente cambiate. Lui avrebbe iniziato la sua nuova carriera nel Dipartimento di Educazione di Shizuoka, Ken'ichi avrebbe iniziato il percorso delle superiori, Yuzo avrebbe cambiato scuola per le medie, e Izumi...

Già. La sua Izumi.

Anche lei aveva preso la sua decisione in quell’ormai lontana sera di settembre. Di fronte alla sua scelta, Hideki si era mostrato titubante; tuttavia...

Il flusso dei suoi pensieri si interruppe non appena sentì il rumore della porta d’ingresso che si chiudeva e una voce che canticchiava. Hideki fece il giro della casa e dall’angolo dell’abitazione vide il suo terzogenito seduto vicino la porta, che stava osservando il cielo stellato.

«Vedo che nemmeno qui si dorme» disse l’uomo con un sorriso. Si avvicinò a Yuzo e gli si sedette accanto, cingendo le spalle del ragazzino e tirandolo a sé. «C’è qualcosa che ti preoccupa?»

Gli occhi color nocciola di suo figlio lo stavano fissando. Gli ricordarono molto di quelli di sua moglie, così magnetici e sinceri, capaci di confortargli l’anima solo con uno sguardo.

«No, papà. È tutto a posto, mi piace guardare il cielo di notte...»

«Potresti pur sempre guardarlo dalla finestra, così non rischi di prenderti un malanno...»

«Ma non è la stessa cosa. Qui... sto bene. Questo cielo è bellissimo...»

«Già. Il cielo...»

Entrambi rivolsero nuovamente lo sguardo verso la volta celeste serena, brillante di stelle.

«Ti piace così tanto, Yuzo?»

«Sì, papà: molto!»

«Sai che, quando avevo la tua età, anch’io amavo guardare il cielo di notte?»

«Davvero?»

«Sì... e ancora oggi adoro farlo...»

Yuzo sbadigliò, seguito subito dal padre che gli disse: «Senti... non ti va proprio di tornare nella tua stanza e rimetterti a letto?»

«Solo se mi dici che anche tu lo facevi!»

«Certo che lo facevo.»

«Bugiardo: secondo me restavi in piedi tutta la notte... al punto di addormentarti fuori casa!»

«Credimi... con tuo nonno questo non è mai accaduto. Se avessi mai provato a dormire fuori, apriti cielo: si sarebbe arrabbiato come una iena. E ora capisco il perché: uscivo sempre in pigiama, col rischio di beccarmi una bella influenza!»

«E tu? Se io mi addormentassi qui... cosa faresti?»

«Beh... tanto per iniziare, tu hai avuto la premura di metterti un giubbotto. E poi ci sono io... perciò, per una volta si può fare.»

«Grazie, papà! Ma solo se anche tu dormi con me, ok?»

«E poi chi la sente la mamma? A quel punto ci caccerebbe fuori di casa, con tanto di valigie!»

I due scoppiarono a ridere immaginando la scena alla quale avevano appena pensato, anche se entrambi erano certi che Izumi non sarebbe mai arrivata a quel punto; al massimo si sarebbero guadagnati un sonoro rimprovero.

Padre e figlio si strinsero e continuarono a contemplare in silenzio il magico spettacolo delle stelle che la natura stava offrendo loro. Ad un tratto Hideki infilò la mano nella tasca del suo pantalone, dove prima aveva riposto il suo ciondolo che ora stava stringendo forte, senza tirarlo fuori.

«Yuzo, anch’io te lo chiedo: sei davvero sicuro della tua decisione? Vuoi davvero andare alla Nankatsu?»

«Sì, papà. Devo farlo, se voglio diventare un giocatore molto forte... e poi non sarò solo: al mio fianco ci saranno i miei amici!»

«E se un giorno... se un giorno dovessi cambiare idea? Se un giorno non ti piacerà più il calcio... cosa farai, da grande?»

Ecco: l’ho detto.

Hideki si decise a togliersi quel dannato sassolino dalla scarpa che ormai portava con sé da alcuni mesi. Si era fatto coraggio, e finalmente dopo tanto tergiversare aveva posto quella fatidica domanda a suo figlio che, in tutta risposta, gli mostrò un grande sorriso.

«Non succederà, te lo prometto! Ma se dovessi cambiare idea... non lo so, però sarebbe bello andare nello spazio! Oppure stare per tutto il giorno in un Osservatorio; quando siamo andati in gita a febbraio è stato bellissimo!»

Non vi era alcun tono di esitazione nella voce di Yuzo, e in quel brillante sorriso che gli stava mostrando nessuna ombra che lasciasse presagire qualche possibile menzogna ancora ben nascosta.

Certo di ciò che stava per fare, Hideki estrasse il ciondolo e lo porse a suo figlio. «Allora penso che sia giunto il momento di darti questo. È stato il mio portafortuna per molti anni... e spero che sarà così anche per te.»

Yuzo prese il ciondolo che gli era stato affidato, e lo osservò con grande stupore misto a meraviglia. Era della grandezza di una spilla e di forma circolare, con diverse intense e brillanti sfumature di blu, costellato da tanti piccoli puntini gialli che assomigliavano a stelle, e tanti cerchi che ruotavano intorno come se fossero stati parte di una galassia.

«È bellissimo, papà...» commentò il ragazzino, per poi guardare negli occhi il padre. «Ma come lo hai avuto? Non ho mai visto una cosa così bella in giro...»

Hideki gli arruffò la testa. «Tanti anni fa, quando dovevo prendere una decisione importante che avrebbe cambiato la mia vita, mi è stato dato questo ciondolo... e da quel giorno non l’ho più lasciato. Mi ha aiutato molto in tutti questi anni, e non l’ho mai mostrato a nessuno... fino ad oggi: ora voglio darlo a te. So che ne avrai molta cura... e sai una cosa? Puoi considerarlo come se fosse un dono del cielo.»

«Del cielo?»

Yuzo alzò la testa verso la volta stellata, per poi riguardare il ciondolo. «Hai ragione: sembra proprio un angolo di cielo!»

Hideki sorrise, e anche lui levò lo sguardo in alto. «Ascolta, figliolo. Sai perché noi uomini siamo così innamorati del cielo stellato?»

«Perché è bello?»

«Non solo. La verità è che noi siamo fatti della stessa sostanza delle stelle: questo mondo e tutto ciò che gli appartiene, noi compresi, hanno avuto origine dalle stelle. E non ti sto mentendo: basta guardare il cielo... e, vedi? L’hai studiato anche tu, il nostro universo è costituito da migliaia e migliaia di stelle... e chissà: un giorno riuscirai davvero a vederle da vicino!»

Hideki si alzò in piedi e aprì la porta di casa. Prima di rientrare, lanciò un’occhiata verso suo figlio che era ancora seduto, e dolcemente gli sussurrò: «Sono molto orgoglioso di te e lo sarò sempre, qualunque strada deciderai di intraprendere! Ancora buon compleanno, figlio mio.»

«Grazie, papà!»

Anche dopo essersi chiuso la porta alle spalle, Hideki sentì ancora aleggiare nella testa la frase che Yuzo gli aveva appena rivolto. Lo aveva ringraziato per gli auguri, sia per il regalo e per le sue parole di incoraggiamento, ma nel profondo del suo cuore Hideki sentì che in realtà doveva essere lui a ringraziare suo figlio e non il contrario.

Ogni volta che l’uomo si ritrovava da solo, quel ciondolo che portava con sé era sempre stato in grado di dargli sicurezza e conforto. Era un dono della sua amata Izumi che glielo aveva regalato quando erano ancora studenti dell’università di Shizuoka; era sempre con Izumi che, nel giorno del loro matrimonio, si erano ripromessi di dare quel ciondolo al loro futuro figlio... da lì la coppia era stata benedetta con ben quattro figli, per cui lo aveva ancora tenuto lui, fino a quella notte di metà marzo: alla fine, nel giorno del compleanno del suo terzogenito, Hideki aveva deciso di passarlo proprio a Yuzo.

In quel momento nella mente di Hideki si fece strada un pensiero che, nel quiete silenzio della notte, risuonò con una forza sempre più crescente.

 

Continua a guardare in alto, figliolo.

Non perdere mai di vista quella stella polare che ti sta guidando, qualunque essa sia.

 

 


 

[Angolo di una piccola pinguina nelle vesti di scrittrice.]

“There is a fundamental reason why we look at the sky with wonder and longing—for the same reason that we stand, hour after hour, gazing at the distant swell of the open ocean. There is something like an ancient wisdom, encoded and tucked away in our DNA, that knows its point of origin as surely as a salmon knows its creek. Intellectually, we may not want to return there, but the genes know, and long for their origins—their home in the salty depths. But if the seas are our immediate source, the penultimate source is certainly the heavens… The spectacular truth is—and this is something that your DNA has known all along—the very atoms of your body—the iron, calcium, phosphorus, carbon, nitrogen, oxygen, and on and on—were initially forged in long-dead stars. This is why, when you stand outside under a moonless, country sky, you feel some ineffable tugging at your innards. We are star stuff. Keep looking up.”

Perché vi ho riportato questa splendida citazione di Jerry Waxman, compianto professore di astronomia e scienze ambientali of astronomy and environmental science al SRJC (Santa Rosa Junior College, in California)? La ragione è che proprio questa citazione mi ha accompagnato nel costruire l'ultima parte di questo capitolo dedicato a Yuzo. Non chiedetemi il perché - forse perché adoro le stelle e Yuzo è il mio personaggio preferito della serie di CT? - ma se c'è un aspetto che riesco ad associare a questo personaggio con immediatezza sono proprio le stelle. Chi mi segue da un bel pezzo lo avrà già intuito: (forse) in qualsiasi storia che ho scritto su di lui, ho sempre finito per inserire il panorama di un cielo stellato - il finale di Everyday life, la prima storia di Seven pages... on the green field, e così via.

Se un giorno dovessero chiedermi "Cara Moriko, se Yuzo non fosse mai diventato un calciatore, secondo te cosa sarebbe potuto diventare?" la mia risposta sarebbe: "Un astronomo, o anche un astronauta". (L'astrologo no, anche se sarebbe stato divertente ;D) Insomma: qualcosa che abbia a che fare con il mondo delle stelle e dell'universo nel quale si trova il nostro piccolo pianeta Terra.

Così, da qualche parte ho deciso di inserire anche questo piccolo dettaglio, dell'amore che Yuzo ha nei confronti di tutto ciò che riguarda quell'immenso mondo ancora sconosciuto su certi aspetti che si trova sopra di noi, a migliaia e migliaia di chilometri di distanza. **

Detto questo, passiamo all'angolo dei personaggi che qui compaiono per la prima volta! L'avevo detto che la famiglia di Yuzo è molto grande... e non è finita qui! All'appello mancano ancora delle persone... ma ci sono quasi tutti XDD

 

- Suzume 「雀」 è la moglie di Hotaka (ebbene sì, nel frattempo il solitario figlio di Sadao si è sposato! :3) e la madre dei gemelli Naoki e Saki. Come per le donne che vivono nel santuario della famiglia Morisaki, anche lei è una persona molto dolce e disponibile... ma nasconde un lato di sé vivace, soprattutto nell'affidare i figli a suo marito ogni volta che ne ha occasione. Il suo nome significa "passero", simbolo della libertà e della forza vitale.

- Naoki 「直樹」 e Saki 「咲」 sono i gemellini che compaiono in questo capitolo, figli di Hotaka e Suzume. Sono rispettivamente un maschietto e una femminuccia, e qui hanno ancora un anno e mezzo ma già hanno dimostrato di essere due piccoli "peperini". I loro nomi significano "albero tranquillo" (Naoki) e "fiore/figlia minore" (Saki).

Piccolo fun fact: se siete arrivati qui dopo aver letto le opere della Melanto, la storia di gemelli in casa Morisaki non vi sarà un argomento nuovo. Vi confesso che fin dall'inizio volevo inserire dei gemelli da qualche parte, in qualche mia fanfiction... a un certo punto ho pensato ai figli di Yuzo stesso (perché lo vedo troppo con dei marmocchi suoi, awww) però, quando ho iniziato a costruire questa storia, alla fine la scelta è caduta su Hotaka. Insieme a Noboru, era uno dei celibi in famiglia: insomma, a poco a poco stanno tutti convolando a nozze! (Ma tranquilli, fino alla fine qualcuno resterà scapolo... :3)

- Hoshiko 「星子」 è la secondogenita degli Yamamoto, i vicini di casa dei Morisaki. Anche se qui viene solo nominata, è una bambina un po' timida ma solare, nonché grande amica di Hanako. Il suo nome significa "la bambina delle stelle".

- Kobayashi 「明彦」 è uno dei cognomi più diffusi in Giappone. Significa "piccola foresta"... e vi ricorda qualcosa? Esatto, proprio il cognome "Morisaki": l'ho scelto proprio per questa somiglianza di significato. ;D A parte ciò, in questa storia i Kobayashi sono una famiglia di stimati insegnanti e professori originaria di Nankatsu che si è formata presso la Shutetsu, ragione per la quale inizialmente Akihiko si stupisce della decisione di Yuzo... augurandosi, però, che in qualche modo continui la tradizione di famiglia, un giorno. (Così come il resto dei suoi nipoti... però vedremo cosa riserverà il futuro ai piccoli di casa Morisaki! ;D)

 

E ora, come sempre, qualche precisazione e curiosità in più:

 

- Prima di tutto, in base a ciò che ho accennato nei precedenti capitoli riguardo proprio la suddivisione dei cicli scolastici, ho provato a fare due calcoli... e (sperando di non aver sbagliato, altrimenti sarà una tragedia!) alla fine del percorso delle elementari Yuzo dovrebbe aver appena compiuto dodici anni. Ammetto che il sistema scolastico giapponese mi ha mandato in tilt su certe parti, e questa è una di quelle; fortuna che questa storia è già segnalata come "What if", così nel caso potrei giocarmi quella carta e...

... a parte questi pensieri scemi, proprio a proposito della fine del percorso delle elementari, ho ritenuto opportuno inserire la partenza di Genzo per la Germania al termine del suo percorso scolastico. Questo per un motivo più personale che pratico, perché ho pensato che sarebbe stato bello se il portiere più forte del Giappone avesse terminato l'anno insieme ai suoi compagni. Poi, ormai lo sappiamo: per esempio in Italia l'anno scolastico inizia a settembre (così come in Germania, dove ho letto che inizia tra agosto e settembre - chi ne sa di più può tranquillamente informarmi) mentre in Giappone ad aprile. Ora capite perché a un certo punto sono andata in tilt? XD

Piccola curiosità che ho trovato qualche sera fa, mentre sistemavo le note: qui c'è una spiegazione dettagliata del come funziona il sistema scolastico in Germania, e così ho scoperto che le elementari durano ancora meno... solo quattro anni! A questo primo ciclo seguono due anni di orientamento - uguali per tutti - improntati a far decidere all'alunno quale scuola frequentare. Insomma: la situazione cambia di nazione in nazione...

- Normalmente i bambini così piccoli come Naoki e Saki non sanno disegnare da soli quindi, in questo caso, si sono fatti aiutare dai loro genitori. A un anno e mezzo d'età i disegni sono dei semplici scarabocchi, senza l'intento di rappresentare qualcosa di preciso... ma, comunque, resta il fatto che i genitori hanno detto a loro che quei due fogli sarebbero diventati il regalo per il loro cuginetto. A questo link, se siete interessati, trovate un approfondimento sul rapporto tra i bambini e il mondo del disegno.

- Il fūrin è il campanellino giapponese che, in modo particolare, si usa nel periodo estivo. Gli usi sono molteplici: quelli più famosi sono il rendere il caldo afoso dell'estate meno pesante ed opprimente, nonché un modo per tenere lontani gli spiriti maligni grazie al loro suono.

- A proposito della prima parte di questo capitolo, ho cercato di attenermi il più possibile a ciò che è stato rivelato nel primo Memories (qui potete trovare le traduzioni in lingua inglese), uscito circa un anno fa e con protagonista proprio Genzo. In quell'occasione abbiamo scoperto che Yuzo era uno dei portieri della squadra di calcio della Shutetsu, che all'interno della scuola vi sono ben cinque Team, e che all'inizio quasi nessuno aveva un'ottima opinione di Genzo - che, però, aveva degli ottimi motivi per comportarsi in un certo modo con alcuni di loro: giusto per farvi un esempio, la frase che Genzo rivolge a Yuzo riguardo un suo probabile trasferimento alla Shutetsu proviene proprio dal Memories... e non l'ha detto con cattiveria, tutt'altro! ;)

(Io, che sono di parte e voglio troppo bene a Yuzo - lo ammetto! - ho aggiunto che anche lui inizia a essere più preso in considerazione dopo il torneo che tutti ben conosciamo dalle pagine del manga di Captain Tsubasa. In fondo, nonostante tutte le difficoltà che ha dovuto affrontare, non è uscito a testa bassa da quel torneo, e se a questo aggiungiamo - sempre dal Memories su Genzo - che è uno dei giocatori del Team A, la squadra più forte di tutta la Shutetsu, beh... ;D)

- Chi ha letto il manga di Captain Tsubasa sa che la reazione del quartetto della Shutetsu di fronte alla partenza di Genzo è molto forte. A pagina 26 del capitolo 50 si vede quanto restano sconvolti, e un po' smarriti perché credono che senza Genzo non riusciranno mai a battere Tsubasa... ma come ben sapete, Genzo farà loro una proposta davvero interessante...

- Per la scenetta della fotografia di Yuzo che indossa la maglia con il numero "1" come portiere, mi sono ispirata ad una simpatica fanart che circola sul web, dove il nostro caro Yuzo invia una foto a Genzo mostrandogli la maglia numero uno (e Genzo in versione "You’re doing amazing, sweetie", LOL!) L’immagine è questa, per chi fosse interessato.

- A proposito dell'esame di ammissione da un ciclo a un altro: se nel manga di CT abbiamo visto come Ishizaki e Urabe si siano impegnati molto per entrare nelle superiori Nankatsu (capitolo 112 e capitolo 114)... non oso immaginare quanto siano più rigide le ammissioni in una scuola privata come quella della Shutetsu. Ragion per cui il nostro Takaji si sta impegnando molto, ma proprio "molto" eh! ;P

- A proposito delle battute che Takaji rivolge a Yuzo sul suo rapporto con il pallone da calcio... vi sono familiari? In caso negativo, ci penso io: questa e quest'altra scena sono tratte dal primo episodio di Captain Tsubasa J (noto in Italia come "Che campioni Holly e Benji"); qui il protagonista non è Yuzo ma Tsubasa, e sono situazioni che Sanae pensa quando Tsubasa le confida che il pallone è il suo migliore amico. Lascio a voi ulteriori commenti. XD

- Il -chin è un suffisso non molto comune in Giappone (almeno, rispetto ai vari -chan e -kun che leggiamo e ascoltiamo nei manga e negli anime). Come avete visto, in questa storia ho sempre cercato di non inserire i suffissi giapponesi - un po' per mia pigrizia, lo ammetto, altrimenti sarebbero fioccati un sacco di "chan" e "kun" fin dal primo capitolo XD - però in questo caso non ho potuto evitare di farlo, così come per il "-san" affiancato al cognome di Genzo da parte di Yuzo. Questo perché il "chin" si usa solo tra bambini, e tra amiche molto strette... questo per sottolinare come Hanako vuole molto, ma molto, ma proprio molto bene alla piccola Hoshiko... :')

- Forse può sembrare un po' strano che Hideki, da giapponese, si faccia delle paranoie riguardo la decisione di Yuzo di passare da una scuola privata a una pubblica e che, ad un certo punto, arrivi a criticare il rigido sistema di istruzione della sua nazione. La questione è la seguente: da quel che ho capito leggendo informazioni relative a questo argomento, in Giappone le scuole private forniscono una più valida preparazione di base rispetto a quelle pubbliche, sia riguardo l'accesso alle superiori e sia per l'università - che, rispetto a quella italiana, è meno "dura" e più "pratica", proiettandoti già nel mondo del lavoro. Per questo motivo molti ambiscono alle scuole più importanti, tanto è vero che molti studenti frequentano anche corsi serali pur di diventare bravissimi nello studio, in modo tale da avere più possibilità di entrare nelle università più prestigiose. Vero che alla fine scopriremo che a Yuzo non servirà frequentare un'università per diventare un bravo calciatore degno di questo nome, però è normale (anche se per noi può essere strano) che Hideki sia preoccupato per il futuro del suo terzogenito perché passa da una scuola privata come la Shutetsu (con un'ottima preparazione) a quella pubblica come la Nankatsu (che è vero che è altrettanto dura ma, essendo pubblica, ho pensato che la preparazione per accedervi fosse minore rispetto a quella "rivale").

- E, a tal proposito... la questione economica. Nel capitolo sui sei anni di Yuzo (qui il link), vi ricordate la piccola precisazione che ho approfondito nelle note finali? Qui siamo tornati sull'argomento, perché se è vero che da un lato Hideki sia preoccupato per il futuro di Yuzo riguardo la preparazione scolastica, dall'altro lo "ringrazia" proprio per la sua scelta. Beh, l'avere quattro figli in una scuola privata non deve essere una cosa facile, soprattutto dal punto di vista economico...

- La facoltà di Educazione e il Centro di formazione professionale dell'università di Shizuoka esistono nella nostra realtà. Vi confesso che ho utilizzato il traduttore automatico per navigare nel mondo delle università di questa città perché - purtroppo - non esiste una versione in lingua inglese. (Ho scritto "purtroppo" perché per alcune facoltà dell'università esiste anche una versione in inglese, ma non per quella che serviva a me. Sigh.)

Per questo motivo, ho dedotto che presso la facoltà di Educazione di Shizuoka sia attivo anche l'insegnamento di Educazione sociale - che esiste davvero e si trova in molte facoltà del Giappone, tra le quali quella di Tokyo. Riguardo quest'ultimo punto, non ci sono molte informazioni sul quante ore possa tenere impegnato il direttore del Centro di formazione professionale... però, sì: ho immaginato essere una cosa piuttosto impegnativa, dato che Hideki è già un ricercatore e un insegnante. Per dirla con le parole di Bonolis: "Questo non rivede più i familiari"... (Stavo scherzando, stavo scherzando, vi assicuro che Hideki tornerà a casa dalla sua famiglia; non spesso, ma sarà sempre di ritorno. ;D)

- Infine, se siete curiosi sul ciondolo che Hideki regala a Yuzo, da questo link potete avere un'idea. Bello, vero? **

 

Con questo penso di aver scritto tutto, e come sempre ringrazio coloro che anche oggi sono giunti fino a qui dopo la lunga pausa dall'ultimo capitolo.

Al prossimo aggiornamento!

--- Moriko

 

 

   
 
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