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Autore: arisky    07/02/2021    0 recensioni
"Un terribile presentimento mi attanaglia le viscere.
Non una parola. Non un gesto. Non il minimo impercettibile mutamento nel mio volto.
Solo la lealtà alla mia missione; al Bene Superiore.
Sempre".
Un viaggio al di là delle barriere occlumantiche più rigide e irremovibili dell'intera saga: quelle di Severus Piton. Quando giunge la sua ora, apparentemente è lo stesso mago freddo, imperscrutabile di sempre... Ma se immaginassimo di utilizzare la Legilimanzia su di lui, ritroveremmo quella stessa freddezza anche nelle profondità della sua mente?
Genere: Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Severus Piton, Voldemort
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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“La Bacchetta risponde a voi; e a voi solo”.
“Davvero?”, mi domanda in un sussurro vibrante di bramosia.
Ho sempre considerato le parole come armi, colpi essenziali, asciutti, taglienti, da assestare al giusto momento, allo scopo di ottenere. Non le ho mai utilizzate per parlare. La mia fredda, imperturbabile maschera è la mia bocca; il silenzio la mia voce.
Trattengo quell’istante sospeso, mentre la mia mente arguta è spinta all’opera da riflessioni e sospetti, morbosamente occultati in me.
Poco dopo, distendo leggermente il volto spigoloso fino ad allora contratto, mentre piego impercettibilmente gli angoli della bocca verso l’alto, in un ghigno appena accennato di calma, sicurezza, malvagia complicità. Queste forme embrionali di acerbe emozioni, si impastano sapientemente anche alla mia voce quando, con riverenza, concludo la mia risposta. Due sole parole.
“Mio Signore”.
In tutti questi anni da Mangiamorte, per vocazione prima, per redenzione poi, ho potuto constatare con i miei occhi come siano sempre state due le passioni a rendere l’Oscuro Signore mortalmente pericoloso: la paura e l’ossessione.
L’ossessione.
La sento, la percepisco ovunque: sul suo volto disumano, nelle sue insistenti domande, nei suoi agghiaccianti silenzi. Cresce ogni secondo che passa, schiaccia col suo peso ogni mio tentativo.
E… la sento iniziare a gravare, poco a poco, un macigno dopo l’altro, sulla mia sorte.
Il Signore Oscuro sgancia gli occhi dai miei, li abbassa pensieroso, quel tarlo che ancora li divora, e riprende a girarmi attorno lentamente, come un serpente che avvolge con letale calma la preda nelle sue viscide spire.
“La Bacchetta risponde veramente a me?”.
Ancora la sua voce, che si sposta insieme a lui, giungendomi da ogni lato come se volesse precludermi ogni via di scampo. Ormai fuori dal mio campo visivo, abbasso le palpebre a terra e serro le labbra, frustrato e impotente.
Lo percepisco di fianco, alle spalle, ovunque. Come un animale braccato che si guarda attorno per individuare il cacciatore, mi volto bruscamente, quello scatto innaturale che tradisce l’estenuante tensione. Lo ritrovo accanto a me, ma dal lato opposto, che mi fissa diffidente dopo aver concluso l’ennesima domanda, la stessa domanda nell’ennesima sfumatura.
Io non rispondo, tutte le mie energie impiegate a tenerlo d’occhio in ogni suo subdolo movimento.
Sono dolorosamente consapevole degli imperdonabili errori che sto iniziando a commettere, logorato dal protrarsi di questo macabro interrogatorio. Un qualunque mago potrebbe definirli dettagli irrilevanti… Ma io so come la più piccola, insignificante sfumatura fuori posto possa risultare fatale al cospetto dell’Oscuro.
Senza darmi respiro, egli sfrutta spietatamente quell’istante di dubbio ed esitazione sfuggito al mio finora impeccabile controllo, e continua imperterrito, sfiancante.
“Sei un uomo intelligente Severus, di certo devi saperlo…”.
Lui sa. È giunto a quella scottante verità che sto tentando di occultare, ne intuisce la presenza in me.
Io so. Io conosco fin dall’inizio la risposta che vuole ardentemente strapparmi. E percepisco sempre più chiaramente, ogni denso e infinito attimo che passa, che questa sapienza, presto, si trasfigurerà nella mia condanna…
Il Signore Oscuro torna furtivo alle mie spalle, poi dal lato opposto, ricalcando passi e parole.
“In chi è riposta la sua lealtà?”.
Lo ascolto immobile, perso nella crescente angoscia delle mie riflessioni. Tuttavia, appena il sibilo si spegne, mi costringo immediatamente a distaccarmene, per evitare una seconda, potenzialmente fatale, risposta mancata.
Tento di riagganciarlo a me. Volto, sguardo, attenzione, energia: ognuno di quei ponti tra il mio essere e il mondo proteso a forza verso di lui. E scandisco.
“In voi”.
Il suono impercettibilmente forzato, una nota stridula a tradirlo. Dietro la mia schiena, le dita incastrate in un tormentato intreccio.
Deglutisco. Respiro. Ingoio controllo; inalo freddezza.
Con rinnovata, rassicurante imperturbabilità, aggiungo:
“Ovviamente, mio Signore”.
Vorrei concedermi un ghigno di simulata complicità con l’Oscuro per rafforzare ulteriormente la mia precaria posizione. Ma, dinanzi a lui, nessuno ha mai avuto il diritto di potersi prendere qualcosa, qualsiasi cosa, senza che gli venisse concessa come il più prezioso dei privilegi, per il quale dover rendere grazie in eterno. Nulla può essere sottratto al suo controllo.
Neanche il proprio tempo.
Neanche la propria salvezza.
Ancor prima che l’eco della mia voce profonda abbia accennato a spegnersi, il suo sibilo acuto la sovrasta, in una subdola lotta tra melodie. Entrambe macabre, dissonanti, ma opposte.
“La Bacchetta di Sambuco non può servirmi adeguatamente perché… io non sono il suo vero padrone”.
L’inflessione della sua voce, ogni sfumatura, ogni pausa, ogni elemento abilmente studiato per conferire quella sorta di eclatante, ridicola teatralità con la quale egli ha sempre amato irretire i suoi spettatori; quel desiderio di destare una crudele, infida sorpresa per le sue geniali conclusioni come il più sottile dei piaceri per il suo ego.
Mi scruta attentamente per studiare la mia reazione.
Io rimango impassibile, gli occhi fissi su di lui: privi di stupore per la sua rivelazione, di cui conosco la verità ormai da svariato tempo; colmi di preoccupazione nel tentare di comprendere quale personale, precipitosa, pericolosa interpretazione dell’enigma la sua mente avrà stillato.
La mia vita è appesa a un filo che si consuma ogni secondo di più… e io so, che se sarà destinato a strapparsi definitivamente o a ricucirsi ancora, rattoppato dall’ennesima cicatrice, non sarà la verità assoluta a sancirlo; sarà la sua verità.
Non tarda ad esporla.
“Essa appartiene al mago che ha ucciso il suo ultimo proprietario”.
Calca sadicamente sulle ultime due parole, come a volerle marchiare nell’aria.
Il respiro si mozza in gola. La fronte, all’apparenza eternamente piatta, si contorce di dolore.
I miei terribili sospetti si materializzano davanti ai miei occhi, sempre più tangibili…
Attimi di silenzio assordante.
Il Signore Oscuro si avvicina, agile e pericoloso, e pronuncia la sua verità, spogliata di ogni filtro, mistero o enigma. Ruvida nella sua nudità.
“Tu hai ucciso Silente, Severus. Finché vivi, la Bacchetta di Sambuco non può essere veramente mia”.
I sospetti mutano in certezze, i fantasmi in corpi. Violentemente.
Inclino leggermente il viso, un solco che trema fra le mie sopracciglia, ma lascio che gli occhi indugino su di lui, temerari, per poter guardare il volto della condanna che mi attende. Perché, ormai, non ho più dubbi sul mio destino, la sentenza è stata emessa: il mio cuore pulsante nel petto, il mio respiro nei polmoni, il mio sangue che scorre nelle vene sono la minaccia, l’ostacolo al potere assoluto del Signore Oscuro, e come tali, devono essere soffocati. La mia vita deve essere spezzata.
È questione di attimi.
Attimi di frenetiche riflessioni.
Non ho più una ragione a questo mondo per cui vivere. L’unica che abbia mai avuto è morta anni fa, uccisa dall’orrore di ciò che scelsi di diventare. Da allora non ho vissuto un singolo giorno in cui ogni primo bagliore dell’alba, assieme alla luce nascente di ogni nuovo mattino, non recasse con sé   rimorso, pentimento e odio verso me stesso.
Ho votato la mia vita a questa missione, ho sacrificato ogni mio gesto, ogni mia scelta, la mia stessa libertà alla fedeltà e al ricordo dell’amore per quell’unica ragione, per permettere a quel balsamo di lenire in parte il dolore delle terribili ferite che io stesso ho inferto al mio cuore, credendolo inscalfibile come pietra.
In altre circostanze, avrei accolto la morte come la sospirata liberazione da questa vita di vuoto, d’ombra, di menzogne, di diffidenza. Ma morire ora significherebbe aver fallito, significherebbe aver vissuto nel dolore invano, significherebbe esser venuto meno alla promessa fatta a lei. Mi basterebbe anche soltanto un’ora in più di vita, per cercare Potter e rivelargli quel fondamentale segreto. Per tornare finalmente libero.
La mia mente acuta non tarda ad intravedere l’ovvia, semplice soluzione.
Conosco la verità sulla lealtà della Bacchetta di Sambuco, so in chi è riposta: non sarà la mia morte a conferire al Signore Oscuro quel potere così ardentemente bramato. Rivelando ciò, sarei assolto immediatamente…
Ma a quale prezzo? Quali atrocità attenderebbero il vero padrone della Bacchetta? Dovrei forse permettere che venga spezzata la vita di una giovane anima ancora pura, in cambio della mia, ormai sporca e perduta?
Da anni ormai ho promesso che non avrei più visto morire nessuno se non chi non fossi riuscito a salvare.
È ora di scegliere. Scegliere tra ciò che è giusto e ciò che è facile.
Scelgo il silenzio.
E ascolto la sentenza.
   
 
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