Quel
colpo raggela il sangue di tutti, incluso quello di Gandia. Non
è stato lui,
infatti, a sparare e in pochi secondi a cadere a terra è
proprio il militare,
preda di un dolore lanciante alla gamba destra.
Denver
sgrana gli occhi quando riconosce la persona che ha appena salvato la
vita di
Nairobi. “Manila!” - esclama, mai così
tanto felice di vederla intromettersi.
“Credevate
davvero che sarei rimasta a guardare mentre questo bastardo si
divertiva a
torturare la nostra compagna di squadra?” – dice la
donna, fiera di se stessa,
ricevendo subito l’abbraccio del suo migliore amico.
“Grazie
di cuore” – la voce debole di Nairobi è
diretta a Manila che le si avvicina e
sorridendo, commossa, le risponde -“Non dirlo nemmeno per
scherzo” – poi si
rivolge al nemico, con aria di sfida – “ Non osare
mai più ribellarti a noi, chiaro,
Gandia? O vuoi che la prossima parte del tuo corpo che
colpirò sia il cervello?”
Di
fronte ad una scena a tratti inquietante, a tratti esilarante, la banda
si
rimette in moto.
Palermo
e Rio legano l’uomo a gambe e mani con delle funi.
“Maledetti,
sapete che riuscirò a liberarmi di nuovo e poi vi
ammazzerò. Non esiterò
più…” –
a quanto pare le parole di Manila sono state vane.
“E’
una minaccia, figlio di puttana?” – Denver perde
subito le staffe e gli punta
contro una pistola, esattamente sulla fronte –
“Fossi in te, mi tapperei la
bocca e non azzarderei altre missioni impossibili”
“Che
si fa? Perde sangue” – interviene Rio, chiedendo
consiglio a Palermo,
interrompendo la furia del compagno di squadra.
“Lo
cureremo, non è nel nostro piano far morire dissanguato un
ostaggio. Poi, però,
stabiliremo il da farsi” – afferma Denver,
prendendo per quei minuti il comando
della situazione.
“Adesso
pensiamo a chiudere la faccenda. Bogotà…ai forni,
subito!” – ordina Palermo
all’amico.
Ma
Bogotà sembra più intenzionato a stare accanto a
Nairobi ed esita.
“Vai,
io sto bene” – sussurra la donna al saldatore
– “I nostri chicos de oro hanno
bisogno del loro capo”
“Ma
sei tu il capo” – risponde lui, regalandole un
sorriso che vale più di mille
parole.
“Appena
mi rimetto in sesto, torno a comandarvi a bacchetta”
– Nairobi cerca di
guardare il lato positivo. Eppure
tali
parole non tranquillizzano Bogotà che lancia
un’occhiata a Helsinki.
Mentre
Stoccolma e Rio si occupano di Nairobi, pronta per l’ennesima
operazione,
stavolta alla mano, e alla sistemazione di alcuni punti di sutura, i
due omoni
del gruppo si confrontano sulla situazione di salute della loro amata
compagna.
“Non
può rimanere qui! E’ troppo debole ed esposta alle
mire dei lupi solitari. Se
la polizia entrasse, sarebbe la prima che catturerebbero. Al momento
della fuga
non avrebbe le forze per venire fuori dalla Banca”
– spiega Bogotà a
malincuore.
“Hai
ragione! Dobbiamo dirlo al professore. Lei deve lasciare la
missione”
“Tranquilli”
– interviene Palermo – “Contatteremo il
professore e faremo in modo che mandi
qualcuno che sostituisca Nairobi. Però adesso va salvata
anche Tokyo, e questo bastardo
non è intenzionato a collaborare”
La voce beffarda e soddisfatta del militare riecheggia in
quell’enorme atrio ed
è ben udibile.
“Morirà
di fame perché non vi dirò nulla,
stronzi” – poi inizia a ridere, con aria
provocatoria sembra incurante che le sue azioni non hanno niente a che
vedere
con la protezione degli ostaggi o del suo ruolo istituzionale. Lui non
è altro
che un criminale, un assassino senza scrupoli, un folle. E questo
dà molto a
cui pensare.
“Come
può un essere tanto ignobile, lavorare per lo Stato?!
E’ il capo della
sicurezza, cazzo! Ma come ha guadagnato questo titolo?”
– si domanda Palermo
guardando il nemico con disprezzo.
“Io
sono tentato di prenderlo a pugni. Voi che dite?” –
Denver è davvero fuori
controllo e seppure in quegli anni diventare padre lo ha cambiato, la
sua
indole ribelle e aggressiva esce ogni qual volta si tocca una persona a
lui
cara. In questo caso, vedere Nairobi crocefissa e Tokyo nascosta
chissà dove,
lo manda in bestia.
“Amico,
calmati! Arrabbiarsi non cambierà le cose. Sbrighiamoci,
bisogna mettersi alla
ricerca! Io mi unisco a voi” – afferma Manila.
Prende le redini della
situazione, chiamando a se Rio e lo stesso Denver –
“Noi ci occupiamo di Tokyo.
Voi contattate il professore” – così
dicendo i tre si allontanano, mentre
Palermo e Bogotà si apprestano a contattare Sergio.
“Io
mi occupo di Nairobi, assieme a Stoccolma” –
comunica Helsinki ai due compagni
della banda, prendendo l’amica in braccio, dirigendosi verso
la biblioteca
assieme a Monica.
Gandia,
a pochi passi dai rapinatori, è ormai impassibile. Le forze
vengono meno a chi
fino a poche ore prima sembrava invincibile. Questo
dà l’occasione ai due uomini più
“anziani”
della banda di contattare il loro capo.
“Professore, ci
dica cosa fare! Siamo in
questo labirinto e non abbiamo la minima idea di dove possa essere
imprigionata
Tokyo” – spiega Palermo.
“Dividetevi,
sono sicuro che, come ogni abile militare, Gandia avrà una
postazione segreta”
“E
Nairobi? Va portata fuori da qui” – interviene
Bogotà.
“Hai
ragione. Ho intenzione di sostituirla con Lisbona. Sta per essere
liberata
dalla polizia grazie a mie vecchie conoscenze. Voi curate Gandia, deve
essere
in grado di reggersi in piedi”
“Io gli spaccherei la faccia, signore” –
commenta Bogotà.
“Ne
comprendo i motivi, amico mio. Però è la chiave
per scambiare Nairobi con
Lisbona. Avete capito allora? Curatelo!
Tra due ore vi telefonerò per darvi indicazioni
sicure” – il professore chiude
la chiamata, con uno dei suoi folli piani nella mente.
Le
ore seguenti sono buchi nell’acqua, tentativi inutili che
rendono il ritrovo di
Tokyo sempre più impossibile.
E
mentre in biblioteca, Helsinki e Stoccolma si occupano di Nairobi,
assieme alle
premure e le capacità mediche di Paquita, il gruppo vaga e
lavora. Matias e i
suoi colleghi continuano ininterrottamente a fondere l’oro.
Eppure la mancanza di
chi fino a poche ore prima li guidava si fa sentire e i tempi si
dilungano.
Anche
per Tokyo la situazione è tragica. La giovane donna sente
una forte morsa allo
stomaco, la gola secca, la testa pesante. Le braccia le fanno male
vista la
posizione in cui Gandia l’ha costretta.
Adesso
avverte uno strano freddo, frutto della debolezza, della fame, della
stanchezza. E spiragli di luce non ce ne sono.
“Non
può finire così” – con gli
occhi lucidi e la voce singhiozzante, si lascia
andare ad un lungo pianto.
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“Professore,
le ricerche proseguono”- comunica Palermo a Sergio.
“Io
ho il piano pronto. Nairobi come sta?”
“Dorme,
signore! Spero che possa riprendere le forze per l’atto
finale” – prende parola
Stoccolma.
“No,
Monica! Nessun atto finale per lei.
Adesso scatta il piano Parigi”
“Il
piano Parigi? Di cosa si tratta?” – chiede,
confuso, il serbo.
“Quello
che permetterà a Lisbona di entrare nella Banca e a Nairobi
di uscirne”
Nei
minuti seguenti, tutta la banda si riunisce e viene a conoscenza della
nuova
missione.
Gandia,
sottoposto alle cure rapide e basilari, è pronto per essere
sfruttato dalla
banda in vista del successo del piano.
“Adesso
ci dirai dove tieni Tokyo, sappiamo dove è tua moglie, tuo
figlio…vuoi che
soffrano?” – il professore lo minaccia, mostrando
un lato duro che spiazza
tutti.
“Non
li toccare, bastardo” – grida furioso
l’uomo, con le poche forze che gli
rimangono.
“Allora
farai bene a collaborare”
Nel
giro di poco, Rio, Denver e Palermo vengono condotti da Gandia nel
luogo in cui
è chiusa la prigioniera .
“Tokyo”
– urla felice l’ex fidanzato della donna, non
esitando un solo istante a
liberarla.
La
sua liberazione permette alla Banda di riunirsi.
“Adesso
che ci siamo tutti, dobbiamo decidere chi assumerà il
comando” – dice il
professore alla squadra.
“Ovviamente
Palermo è fuori discussione. Se siamo in questa situazione
è colpa sua” –
Denver non ha dubbi in merito.
“Concordo”
– si aggiunge Rio.
“Ragazzi,
ragioniamo. Lui conosce meglio di tutti il piano. Chi si assume il
rischio di
diventare il Leader?” – Stoccolma così
dicendo opta proprio per il ritorno al
comando di Palermo.
“Ma
scherzi, vero? Abbiamo rischiato di perdere Nairobi per colpa di questo
traditore” – replica Denver.
“Lo
so, però non abbiamo molte scelte” –
replica la bionda.
“Lo
scettro del comando lo aveva Tokyo, resta a lei” –
interviene Bogotà, volgendo
lo sguardo alla compagna di squadra, intenta a recuperare le forze con
un
abbondante panino.
“Ricordate
che in momenti cruciali come questi, bisogna essere uniti. Basta
discussioni,
lasciamole a quando ci troveremo tutti di nuovo, pronti per fuggire e
ricominciare le nostre vite. Compattezza, è questo che
serve. Perciò finitela
con le liti, abbiamo rischiato molto ma ci siamo ancora.
Perciò, concordo con
Bogotà. Tokyo resta al comando e possiamo dare il via al
piano Parigi” –
conclude Sergio.