NON AVERE PAURA
*
Epilogo
*
Tutto
quello che Marinette ricordava prima di perdere i
sensi in quella strada, a pochi passi dalla salvezza, erano delle voci ovattate
che rimbombavano nella sua testa, sussurri incomprensibile alle sue orecchie.
Il
defibrillatore che scaricava la sua scossa un paio di volte.
“C’è battito. Alziamo, un, due, tre”.
Qualcuno
sembrava urlare il nome suo e quello di Adrien,
forse, non ne era certa.
I
suoi occhi si aprivano e chiudevano come se fosse una marionetta.
Luci
gialle, bianche e rosse si susseguivano.
Una
di esse venne anche puntata dentro i suoi occhi per assicurarsi che fossero normoreagenti.
“Sembra svenuta” Anche quella frase era
ovattata e sembrava essere stata detta in lontananza.
“Tieni duro, amica mia.” Non sapeva chi
l’ avesse detta dopo che le era stata lasciata la mano.
“Abbiamo un codice rosso e uno giallo”
Varcò delle porte scorrevoli su di una barella e chiuse gli occhi non appena la
luce delle lampade al neon la investì.
Poi
il buio.
Niente.
*
Aprì
gli occhi di scatto, ma li richiuse subito dopo.
Non
sa quanto tempo era passato, non ricordava nemmeno se quello che aveva vissuto
nell’ascensore e poi nell’Hotel Le Grand Paris, fosse stato solo frutto della sua immaginazione o se
l’avesse vissuto sul serio.
Un
terremoto a Parigi? Quando mai si era visto?
Ma
il dolore al petto, sommato a quello del fianco destro, gli fecero capire che
fosse tutto vero.
Questa
volta, cercò di aprire lentamente i suoi occhi verdi, in modo da abituarsi
gradualmente alla luce.
La
prima cosa che vide, fu il nasone e il volto del suo migliore amico Nino.
“Ehi,
amico. Sei sveglio!”
“S-sono morto?” Aveva la gola secca e faceva fatica a
deglutire la saliva.
Nino
si grattò la testa “Lo sei stato” S’interruppe “…per
qualche minuto almeno.” Ed ecco spiegato il macigno che gli sembrava avere nel
petto, doveva essere stato rianimato, non c’era altra spiegazione.
Lo
aveva letto da qualche parte che dopo aver subito una rianimazione con quell’aggeggio
infernale, ci avrebbe messo un po’ il dolore a sparire.
“C-che è successo?” Chiese sussurrando e perdendo la
fonetica di quella domanda verso la fine, aveva bisogno assolutamente di bere
qualcosa.
Nino
gli passò un bicchiere di plastica con dell’acqua naturale al suo interno, che
trangugiò tutta d’un sorso.
“E’
successo che vi hanno trovato qua fuori, ti hanno riportato indietro dal mondo
dei morti e ora sei salvo!” Fece una pausa “…ah! Ma
quella la cosa meno importate, avevi una brutta ferita e hanno dovuto
trapiantarti un rene di un maiale”. Scherzò ovviamente, ma Adrien
sembrava esserci cascato.
“Davvero?”
Strabuzzò gli occhi.
“Ehi,
rilassati, sto scherzando!” Rise divertito “…ovviamente
solo sul rene di maiale. Avevi una brutta ferita, sei stato in sala operatoria
per ben quattro ore, i medici hanno fatto di tutto per salvarti il rene e il
polmone che sembrava essere stato trafitto da mille lame. Tuo padre ci ha detto
che avevi dei pezzi di vetro anche li”
“M-mio padre è qui?” Sembrava che la sua operazione fosse
passato in secondo piano.
“Si
certo, è andato insieme ai genitori di Marinette e ai
nostri, a mangiare qualcosa.”
“Marinette!!” Esclamò il suo nome, non che si fosse
dimenticato della sua amica che aveva lottato con tutte le sue forze per
portarlo in ospedale.
Si
mise seduto e cercò di strapparsi tutti gli elettrodi e i drenaggi a cui era
attaccato.
“Fermo
amico. Calmati” Cercò di riportarlo in sé “E’ qui” Gliela indicò nel letto
vicino, stava dormendo beatamente.
“Non
disturbarla! Si è appena addormentata” Bisbigliò puntualizzando di fare
silenzio “…non ha dormito molto in questi giorni”.
“In
questi giorni?” Fece di rimando.
“Sei
stato in coma per ben quattro giorni” Rispose lui alzando quattro dita “Marinette era molto preoccupata per te, si colpevolizzava
per non averti portato qui in tempo”.
Adrien le volse un
sorriso pieno d’amore “La mia Lady Bug”.
“Già,
è stata super! Ci ha raccontato cos’è successo e di come è riuscita da sola a
portarti qui. Da’ retta a me, Lady Bug dovrebbe dare il miraculous
a lei”.
“Non
serve” Disse a mezza labbra.
“Hai
detto qualcosa?” Per fortuna Nino non lo aveva sentito, avrebbe sicuramente
frainteso le sue parole, o meglio, avrebbe rivelato al suo migliore amico,
involontariamente, l’identità della super eroina.
“No,
no” Avrebbe negato fino alla morte.
“Adrien!” Esclamò urlando Alya,
che con un balzo degno di un felino, andò ad abbracciarlo.
“Sto
bene, sto bene.
“Eravamo
così in pensiero per voi! Non vi trovavano da nessuna parte. Hanno setacciato l’hotel
ben due volte”.
“Dovevano
guardare nel’ascensore.”
“Si,
Marinette ce lo ha detto…solo
è strano che siete riusciti a scappare da quella trappola” Si portò due dita
sul mento per pensare a come erano riusciti a salvarsi “…eravate
senza elettricità, senza arnesi per aprire le porte…”
Adrien simulò un mal
di testa “Scusami, sono ancora confuso, non mi ricordo bene.”
L’occhialuta
increspò le labbra, anche la sua amica Marinette l’aveva
liquidata con quella scusa banale, eppure, ricordava molto bene il tragitto che
aveva compiuto dopo essere uscita dall’hotel.
“La
volete smettere di fare baccano?” Chiese infastidita la corvina, che non voleva
voltarsi, aveva paura ad incontrare il suo sguardo smeraldo.
“Ben
svegliata, Mi..Marinette” Salutò timidamente il
biondo.
Intanto
Nino, aveva fatto segno ad Alya con la testa, che
forse era meglio lasciarli da soli, con grande disappunto di quest’ultima,
sarebbe stata la sua occasione per intervistarli entrambi, e scrivere un grande
articolo, che forse avrebbe intitolato “Escape Room”, come il noto gioco.
Ma
poi pensò che non era il momento adatto per trasformarsi in uno di quei
giornalisti che venivano soprannominati sciacalli
dell’informazione, avrebbe scritto più tardi il suo articolo.
“Vi
portiamo qualcosa da mangiare?” Chiese Nino.
“Non
preoccupatevi, sicuramente tra un po’ ci porteranno il pranzo”.
“Uh,
sai che bontà…brodino e prosciutto cotto” Lo derise Alya
sistemandosi la pancia.
“Andiamo,
Alya. Prime che i panini col crudo e stracchino
finiscano”. Nino cinse le spalle della sua ragazza e salutò i due amici,
avvisandoli che terminato il pranzo, sarebbero ritornati a fargli compagnia.
*
Marinette e Adrien rimasero in silenzio per qualche minuto.
Lui
continuava a torturarsi le mani cercando di prendere il coraggio di parlare, di
dirle qualsiasi cosa gli passasse per le testa.
Aveva
pensato centinaia di volte a cosa avrebbe detto alla ragazza che si nascondeva
dietro la maschera rossa a pois neri, ma nulla che gli ritornasse utile in
quella situazione.
Marinette al contrario,
si stava maledicendo per non essersi accorta prima che il volto di Chat Noir
combaciava perfettamente con quello del suo migliore amico e del ragazzo che le
aveva fatto battere il cuore in tutti quegli anni.
“Senti,
io…” Dissero insieme allo stesso mento, facendoli
imbarazzare da morire.
La
corvina poi, si sedette sul bordo del letto con le gambe a penzoloni.
Adrien notò il suo
polpaccio fasciato sapientemente dalle abili mani di medici di infermieri e i
suoi piedi tumefatti e gonfi, poi qualcosa gli diede il coraggio di alzare il
viso verso il suo e vide anche la spalla fasciata.
“Era
lussata, ma un bravo medico me l’ha sistemata. Per fortuna ero svenuta,
altrimenti lo avrei fatto per il dolore, infatti, quando ha praticato la
manovra, mi sono svegliata”.
“Mi
dispiace, Marinette!” Riuscì a dire dopo aver abbassato ancora lo sguardo.
Si
sentiva totalmente inutile, aveva salvato Parigi un milione di volte, e non era
riuscito ad aiutare un’amica in difficoltà.
“Cosa,
Adrien? Mi hai salvato la vita”.
Il
biondo deglutì il nulla, e quel gesto gli costò un dolore alla gola secca,
doveva essere stato anche intubato, altrimenti non si spiega.
Marinette aveva capito, e
gli passò un bicchiere d’acqua, dopo aver saltellato con un piede per
raggiungere il boccione d’acqua.
“Guardati,
sei messa male!”.
“Posso
assicurarti che stai peggio te” Gli disse tornando nella medesima posizione di
prima.
Adrien pensò che fosse
bellissima anche con quel camice addosso, chissà come sarebbe stato
sfilarglielo e…scosse la testa un paio di volte
diventando color cremisi.
“Passerà…e sono contento, così avrò una scusa per dire addio
alla mia carriera di modello”.
“Ti
ritiri?”
“Chi
mi vorrebbe con cicatrici su tutto il corpo?”
“Sono
ferite di guerra, alle donne piacciono”.
“Anche
a te?” Lo chiese così, di getto, perché nella sua testa l’ultima cosa che
ricordava di quella folle serata erano le parole che la sua amica gli aveva
rivolto.
Quel
ti amo inaspettato, lo aveva sentito
bene.
Poi
si era lasciato andare, perché sapeva che tra le sue braccia era al sicuro,
anche se sentiva che la vita gli stava scivolando via dal suo corpo.
Marinette avvampò, lo
avrebbe amato anche se gli avessero amputato una gamba o un braccio, ma non
parlò, continuò a torturare l’orlo del camice bianco in cerca di una risposta
da dargli.
Che
fosse giunto il momento di dirgli la verità? Oppure le aveva fatto quella
domanda perché aveva sentito le sue ultime parole dettate dalla disperazione?.
“Senti,
Marinette” Continuò a parlare lui vedendo che dalla
sua bocca non stava uscendo nessun suono.
“Le
hai sentite, vero?” Domandò cogliendolo di sorpresa.
“Quella
sera ho sentito qualcosa, si…perché non me lo hai mai
detto?”
“Perché
non ho mai trovato il momento adatto, Adrien”
“E
mentre morivo ti sembrava l’occasione giusta?”
“Avevo
sempre temuto un tuo rifiuto”.
“E
dirmelo mentre ero privo di sensi era la cosa più logica da fare, così avresti
avuto la scusa ma io te l’ho detto, sei stato tu che non mi hai risposto. Ma
non hai messo in conto che non potevo risponderti perché ero morto” Si era
alterato, per la prima volta in tutti quegli anni, Adrien
si stava infuriando.
“Cosa
te ne importa che non te l’abbia mai detto, eh? Tanto tu mi consideri solo un’amica”.
Incrociò le braccia sotto il seno in segno di offesa, e volse lo sguardo da un’altra
parte, non aveva voglia di scontrarsi con il suo volto inquisitore.
“Non
lo sei mai stata”.
Marinette deglutì e
ritornò a rilassare il volto.
“Ma
l’ho capito tardi, quando ormai stavi con Luka…”
“E’
successo quattro anni fa, e poi tu stavi con Kagami.”
“Ti
sei mai chiesta perché l’ho lasciata? Non l’amavo, perché nel mio cuore Lady
Bug era sempre una presenza costante, e tu, Marinette,
ho sempre provato qualcosa per te che andava ben oltre all’amicizia, ma fino ad
ora non sapevo che cosa fosse. Poi quando ho scoperto che siete la stessa
persona, ho avuto la mia risposta, e ogni tassello del puzzle ha trovato il suo
incastro”.
Marinette doveva
sbrigarsi a dire qualcosa.
“Siamo
due idioti, vero?”
“Decisamente
si” Confermò ridendo.
“Con
Luka non è andata bene semplicemente perché provavo
dei sentimenti molto forti per te, come li provo adesso. E averti avuto tra le
mie braccia esanime…ho avuto paura, non so come avrei
reagito se ti fosse capitato il peggio” I suoi occhi si stavano riempiendo di
lacrime e la sua gola riusciva ad emettere solo singhiozzi, gli stava dicendo
che lo amava e che era tutta la sua vita, che non si sarebbe perdonata se
quella sera sarebbe morto, gli aveva promesso che lo avrebbe portato in salvo,
ancora quando erano dentro l’ascensore, e doveva tener fede a quel patto.
“Vieni
qui.” Adrien le allargò le braccia, facendole segno
di accoccolarsi a lui, e nonostante la permanenza in ospedale era stata lunga,
i suoi capelli odoravano ancora di cioccolato e vaniglia.
“Ti
avevo detto che ti avrei salvato” Si avvicinò poi al suo volto, intenta a
stampagli un bacio a fior di labbra.
“Ehi,
piccioncini” Entrò un infermiera con due vassoi del pranzo “Li appoggio qui”.
Poi se ne andò senza aspettare risposta.
Adrien guardò Marinette sorridendo “Non è il pranzo che ti avevo
promesso, ma penso vada bene lo stesso, no?”
“Era
una cena, non cambiare la carte in tavola adesso” Puntualizzò lei sorniona.
*
FINE
*
Angolo dell’autrice: Ciao a tutti! E con il quinto capitolo siamo
giunti alla fine di questa breve storia hurt/confort.
Spero vi sia piaciuta e che non sia risultata troppo banale.
Come sempre
attendo le vostre impressioni.
Ringrazio tutti
quelli che hanno commentato i capitoli precedenti, che hanno insito le storie
tra le preferite, seguite e ricordate, ma grazie anche a chi legge solamente.
Vi abbraccio
forte, Erika