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Autore: Rota    16/02/2021    1 recensioni
Ultimi gradini della scalinata: l’odore di pioggia e di umido gli arrivò addosso assieme a una folata di vento, e la sua mano fu lesta a recuperare il manico dell’ombrello che aveva rubato a Kunikida, poco prima di lasciare l’Ufficio.
Uscito all’esterno, rimase inebetito a sentire il rumore di gocce scroscianti e dei fiumiciattoli dei canaletti di scolo che scendevano dei tombini – macchine di passaggio e passi veloci, persino il campanello di una bicicletta che riecheggiava dietro l’angolo, all’incrocio tra il negozio di dolciumi e il ristorante di sushi.
Trattenne a stento un’espressione di malinconia, in un sorriso tirato.

[Nekomimi!Au - CatBoy!Atsushi / Human!Dazai]
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Atsushi Nakajima, Osamu Dazai
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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*Titolo: Raccolta da una scatola, la perfezione
*Fandom: Bungou Stray Dogs
*Personaggi: Dazai Osamu, Atsushi Nakajima
*Avvertimenti: What if?, Au (Nekomimi), Shonen ai
*Generi: Commedia, Sentimentale
*Rating: Giallo
*Settimana/Prompt: Seconda settimana/ Pioggia-Sereno (M3)
*Parole: 3732
*Note: La Nekomimi Au è una delle mie AU preferitissime, Loveless mi ha plagiata e condannata a una vita di stenti. Non ho molto da dire se non che forse avrei dovuto scriverla prima cioè nel senso ATSUSHI E’ CANONICAMENTE UN GATTO GIGANTE (tigre) E IO NON HO SFRUTTATO LA COSA vbb eccola qui.
Buona lettura a tutti!
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ultimi gradini della scalinata: l’odore di pioggia e di umido gli arrivò addosso assieme a una folata di vento, e la sua mano fu lesta a recuperare il manico dell’ombrello che aveva rubato a Kunikida, poco prima di lasciare l’Ufficio.
Uscito all’esterno, rimase inebetito a sentire il rumore di gocce scroscianti e dei fiumiciattoli dei canaletti di scolo che scendevano dei tombini – macchine di passaggio e passi veloci, persino il campanello di una bicicletta che riecheggiava dietro l’angolo, all’incrocio tra il negozio di dolciumi e il ristorante di sushi.
Trattenne a stento un’espressione di malinconia, in un sorriso tirato.
E con un altro passo, Dazai si immerse nella pioggia cominciando a dirigersi verso la propria abitazione.
La frescura gli si appiccicò alla pelle del viso, l’unica parte del suo corpo che non fosse coperta o avvolta da tessuti e stoffa, perché persino le mani dalle dita sottili erano protette da guanti spessi. Ossa fragili e problemi alle articolazioni, dopo i tre tentativi stupidi di togliersi la vita della sua adolescenza.
Decise di comprare la cena a un chiosco di panini al vapore che resisteva stoicamente al diluvio universale;
il venditore fu felicissimo di riempire il sacchetto di tre nikuman con carne di maiale e tanta erba cipollina, a tal punto che offrì anche una bibita in omaggio al suo unico cliente della giornata. E con il sacchetto di plastica ben sigillato come bottino, Dazai continuò a camminare lungo la via di casa, un poco più allegro di prima.
Per forza di cose, dovette svoltare l’angolo di un incrocio, imboccando una strada che si allontanava verso un altro quartiere residenziale.
Fu per caso, fu per destino, ma il suo sguardo cadde a terra, dove il marciapiede veniva inondato dallo scolo dell’acqua di una grondaia che scendeva da una costruzione elegante. Sospirò quando vide ancora la scatola di cartone lì dove l’aveva notata quella stessa mattina, con le pareti zuppe per la pioggia.
Non poté che sorprendersi, però, quando vide sbucare all’improvviso due occhietti vispi e grandissimi, di uno stranissimo colore, e quei secondi di stasi furono fatali: quell’unico micetto rimasto si convinse che fosse la persona giusta a cui chiedere aiuto. Cominciò con un miagolio piccino piccino, molto tenero e grazioso, che avrebbe intenerito chiunque avesse ancora un’anima – quindi non Dazai, che solo a quel punto si rese conto di cosa stesse succedendo.
L’uomo fece finta di nulla e tirò dritto. Il gattino, per tutta risposta, non solo cominciò a miagolare più forte, ma riuscì persino a uscire dalla scatola di cartone e schiantarsi sul marciapiede, per poi seguirlo caparbio.
Dazai continuò a ignorarlo, camminando spedito. Benché incrociasse sul proprio cammino persone divertite dalla scena, quasi stesse portando a passeggio il proprio animale domestico, non si voltò per un bel pezzo.
Però si fermò quando non sentì più miagolare per qualche secondo, preoccupato istintivamente. Nel voltarsi, vide che il gattino tigrato era finito in una pozzanghera ai piedi del marciapiede, e stava finendo in un tombino; a malapena riusciva a respirare, tirato sotto l’acqua dalla pioggia. Era senza forze, parecchio disperato.
Lo prese in mano poco prima che sparisse nell’oscurità, tenendo appeso il sacchetto dei panini al vapore al manico dell’ombrello di Kunikida. Appena percepito il calore del suo corpo, il micino si incollò al suo petto e cominciò a tremare infreddolito, pigolando in modo pietoso. Dazai sospirò ancora e continuò a camminare: a quanto pareva, ora era in possesso di un animaletto di cui prendersi cura.
 
 
Atsushi si rese conto del cambio di atmosfera, e solo a quel punto decise di scollare il musetto dalla giacca del suo salvatore. Ebbe davanti agli occhi l’atrio di quello che riconobbe come appartamento umano, poi subito una grande stanza con un sacco di oggetti altissimi e spessissimi – subito l’istinto di graffiarli accorse alle sue piccole unghie da gatto e gli fece tendere le zampette in aria.
Ma forse l’umano che l’aveva raccolto aveva altri programmi, perché lo appoggiò solo un attimo su un tappetino scuro, mise sull’appendiabiti due strati di vestiti e lo riprese in mano immediatamente, senza neanche lasciargli il tempo di schizzare via e rintanarsi sotto il divano.
Non si agitò tra le sue dita, anzi: cominciò a fare le fusa a contatto con la pelle nuda, accorgendosi delle fasce bianche che gli fasciavano il palmo di entrambe le mani, ormai zuppe per colpa sua. Altra stanza, dalle mattonelle più chiare e dal pungente odore di pulito.
-Ora ci laviamo un po’, neh?
Rizzò i peli d’istinto quando l’uomo aprì il rubinetto della vasca, prendendo con la mano libera il piccolo innaffiatoio e controllando il calore dell’acqua sulla propria pelle. Atsushi si aggrappò con tutte le proprie forze, e tutte le proprie unghie, al suo avambraccio, piangendo come un disperato mentre lui passava l’acqua tiepida sul suo pelo sporco di pioggia e di fango. Niente sembrava smuoverlo, neppure i miagolii più pietosi e le unghie più profonde.
Lo prese poi delicatamente per la collottola e lo appoggiò su un ripiano, lasciandolo solo a tremare per lo shock. Atsushi fu immerso in un telo morbido e profumato, che l’uomo strofinò sul suo pelo per asciugarlo per bene. Canticchiava persino qualcosa di incomprendibile, mentre seguitava a torturarlo in quel modo. Gli tirò persino la coda più volte, di sicuro per fargli un dispetto.
Un altro aggeggio infernale, che Atsushi non aveva mai visto prima: grande, nero e dalla forma strana, azionato sparò aria calda che lo colpì. E se in un primo momento il suo terrore gli immobilizzò le zampette, poi trovò il tutto molto piacevole e si accasciò sdraiato, facendo piano le fusa.
-Sembra che ora tu sia meglio, piccolo marpione.
Gli mostrò la pancia appena l’uomo decise di accarezzarlo piano, con dita gentili.
Lo stomaco dell’uomo poi fece uno strano rumore lamentoso, come se si stesse attorcigliando su se stesso. Lui balzò in piedi e prese il gatto con sé, portandolo nella stanza precedente.
Atsushi miagolò ancora quando sentì di nuovo il profumo della carne provenire da quel sacchetto di plastica, puntandolo con gli occhi affamati. Sentì a malapena l’uomo sospirare.
-Sei proprio un piccolo pestifero, vero?
Ma non smise finché non si ritrovò davanti una ciotolina di ceramica e uno di quei panini al vapore spezzettato e pronto al suo uso e consumo. Mangiò con la coda alzata e tanti versetti felici, proprio sul tavolo dove anche il suo salvatore consumò il proprio pasto in silenzio.
Si lasciò andare a una lunga serie di fusa appena l’uomo gli toccò la schiena, giocando un poco con il suo pelo. E quando sogghignò, in una risata leggera leggera, sembrò davvero liberarsi di una pesantezza sopita, che si ritrovava alleggerita da un insolito senso di tenerezza. Si lasciò persino mordicchiare le dita, perché continuasse a lamentarsi come un vecchietto.
Sì, Atsushi aveva visto proprio bene: quell’essere umano gli piaceva moltissimo.
 
******
 
Socchiuse la porta, appoggiando l’anta di legno allo stipite scuro, mentre rimarcava il rumore del proprio sbadiglio e alzava la voce mentre diceva di andare a letto perché era stanco, stanchissimo.
Un pessimo attore, ma era abbastanza certo che quell’assurda pantomima sortisse i suoi dovuti effetti.
Messosi il pigiama, si stese sul materasso e alzò le lenzuola fino a coprirsi il mento, per poi spegnere la luce della lampada sul proprio comodino. Represse l’istinto di canticchiare nell’attesa, ma bastò che contasse fino a centocinquantatré per sentire i primissimi rumori secchi provenienti dalla cucina, persino oltre il rumore della pioggia. Non andò subito, ma aspettò invece che le prove si facessero più persistenti, per cogliere il ladro con le mani attorno alla refurtiva.
Quando però il rumore di un tuono coprì ogni cosa, si convinse che fosse arrivato il momento di alzarsi. La pioggia che sbatteva contro le persiane della finestra del suo piccolo salotto attenuava il suono dei suoi passi furtivi, e la porta della camera si aprì senza nessun cigolio.
Passo dopo passo, sul pavimento freddo, si nascose dietro la credenza e si avvicinò all’angolo cottura. Il piccolo ladro era immerso nel frigorifero con tutta la faccia, l’anta aperta che gli colpiva il fianco.
Dazai incrociò le braccia al petto.
-Bene, bene, bene. Cos’abbiamo qui?
Quello sobbalzò, girandosi di scatto verso di lui.
Gli stessi occhi con i colori particolari in viso, le stesse orecchiette bianche tigrate, lo stesso sguardo spaventato. Non potevano esserci dubbi: quello era il suo gattino.
Atsushi, terrorizzato, piegò le orecchiette all’indietro e lasciò andare la salsiccia che aveva tra i canini lunghissimi. Con la coda arricciata, cominciò a camminare all’indietro, allontanandosi dall’uomo e dal frigorifero aperto. Cominciò persino a balbettare.
-I-io… io stavo solo- il cibo! Avevo f-fame e…
Uno scatto: Dazai chiuse l’anta dell’elettrodomestico e gli sorrise, immobilizzandolo sul posto e gettando entrambi nella penombra della notte. Accese una torcia, recuperata chissà dove.
-Non ti hanno insegnato l’educazione? Per ottenere qualcosa, si deve chiedere per favore.
Il gattino – o meglio, il tigrotto umano – lo guardò senza capire. Si era quantomeno aspettato alcune domande riguardo la sua forma e la sua natura, o delle accuse specifiche, o che fosse quantomeno arrabbiato con lui per avergli rubato il cibo di nascosto per tre notti di fila, da quando lo aveva portato in casa sua.
D’altronde, sebbene quelli della sua specie erano considerati a metà tra gli animali domestici e veri e propri esseri umani, non era certo ben visto ingannare i possibili proprietari fingendosi semplici animaletti.
Sospettò che l’amico con gli occhi stretti da cui l’aveva portato, il pomeriggio precedente, gli avesse rivelato la sua vera identità. Ma Dazai non sembrava molto preoccupato della cosa, stava ancora aspettando una sua reazione.
Atsushi abbassò lo sguardo al pavimento e miagolò con un filo di voce.
-Ho fame. Posso avere qualcosa da mangiare, per favore?
L’uomo fece una faccia strana, cambiò espressione almeno un paio di volte.
Parve dubbioso, molto dubbioso, anche un po’ sofferente.
-Se ti fossi presentato prima, non ti avrei servito il cibo per gatti in una ciotola.
Atsushi non reagì subito, quindi l’uomo aggiunse un tono melodrammatico alla propria voce, mettendosi in posa altrettanto drammatica.
-Mi sono costati una fortuna, sai?
-M-mi dispiace!
Soddisfatto, Dazai raddrizzò la schiena.
Era proprio come aveva detto Ranpo, il gattino che si era portato a casa era un Gatto umano. Più guardava le sue orecchiette, le zampine pelose e la coda lunga, più lo trovava adorabile, esattamente come la sua forma animale.
Si vide bene però dal sorridergli, perché doveva ancora fargli pagare lo sgarbo di quell’enorme pezzo di formaggio che aveva sgraffignato e i chicchi di riso che aveva trovato sparsi ovunque la mattina, sul pavimento. Si fece più inquisitorio e gli puntò la torcia addosso.
-Come ti chiami?
-Atsushi…
Ancora lo sguardo basso.
Aspettò qualche secondo, prima di ritenere sufficiente quella prova. Accese quindi la luce principale della stanza e cominciò ad apparecchiare la tavola per una sola persona.
-Bene, Atsushi-kun. Siccome sono immensamente buono, ti offro la cena per stasera.
Il gattino non si mosse finché non lo vide prendere quella stessa salsiccia che stava rubando non più di cinque minuti prima, assieme a qualche altra verdura. Finestrella aperta, perché da quella parte della casa il muro era coperto da una sporgente tettoia; un profumo di carne in padella salì alla svelta, facendo venire fame al ragazzo.
Con un balzo, Atsushi fu seduto al tavolo, proprio davanti al piatto che Dazai riempì.
-G-grazie mille!
Afferrò le bacchette – l’uomo lo notò subito, e pensò che qualcuno dovesse avergli insegnato qualcosa, prima di abbandonarlo per strada. Si sedette davanti a lui, dall’altra parte del tavolo, e scoprì gioia anche a vederlo mangiare così di gusto.
Ridacchiò.
-Dazai.
Il giovane impiegò qualche secondo per realizzare che si era appena presentato.
Sorrise con tutto il viso, sporche le labbra di salsa.
-Grazie mille, Dazai-san!
E quel sorriso spense ogni espressione sul viso di lui, esterrefatto e ammutolito.
Oh, se doveva sorridere sempre in quel modo per un po’ di carne e mezza zucchina, l’avrebbe sfamato fino alla propria morte.
 
******
 
Atsushi spostò con la zampetta il cuscino sul divano, per l’ennesima volta. Alzò poi il proprio sguardo all’orologio appeso al muro, poco sopra la televisione spenta: Dazai era decisamente in ritardo.
Sospirò e si stese in avanti, muovendo la coda in aria in modo molto nervoso. Ormai era abituato ad aspettare il padrone a casa, tutto da solo, ma aveva imparato i suoi orari e il fatto che si attardasse così tanto non gli piaceva per nulla – la sua ansia fu svelta a suggerirgli che fosse successo qualcosa di brutto e che l’uomo si trovasse nei guai, da qualche parte lontano da lui.
Si agitò molto e cominciò a mordicchiare, a graffiare i cuscini del divano.
Saltò sul pavimento e cominciò a camminare per tutto il piccolo salotto con la coda alzata, nervosissima. Vide la luce del tramonto entrare dalla fessura bassa della serranda e un lampo d’idea gli attraversò la mente: poteva uscire a cercare Dazai, magari persino salvarlo!
Era già uscito all’esterno, prima di allora, ma mai senza la presenza dell’altro, che lo teneva d’occhio e lo proteggeva nel momento in cui perdeva il controllo della propria forma: bastava la presenza improvvisa di un cane, o anche solo un grande spavento, perché Atsushi da Umano tornasse in forma di Gatto all’improvviso.
Si arrovellò sulla questione a lungo, fino a trovare una soluzione semplicissima. Sarebbe uscito da Gatto, così non ci sarebbero stati problemi di sorta.
Deciso questo, si trasformò all’istante, lasciando i propri vestiti a terra in un mucchietto scomposto e disordinato. Si fermò solo un attimo vicino al tappeto spesso, perché il suo istinto lo obbligò quasi a sedersi per leccarsi la zampetta e poi grattarsi anche la testolina, emettendo un piccolo miagolio, proprio flebile. Successivamente, Atsushi corse verso la persiana alzata, ci scivolò sotto e si affacciò al balconcino che dava sul giardino interno.
Guardò giù ed ebbe una sensazione di vertigine, certo se lo ricordava molto meno alto, ma in effetti erano tutti ricordi umani. Ingoiò saliva e contò fino a dieci prima di buttarsi di sotto; atterrò sulle zampette senza farsi male, con sua grande sorpresa – ma d’altronde era un gatto e non poteva essere altrimenti. Quindi, schizzò in strada correndo a più non posso.
Voleva tornare dove Dazai lo aveva preso dalla scatola di cartone e da lì provare a sentire il suo odore, per rintracciare la strada precisa verso il suo posto di lavoro.
Il cielo sereno degli ultimi giorni aveva spazzato via ogni traccia della pioggia; sul marciapiede asciutto, camminavano molte, forse troppe persone, felici del bel tempo ed emozionate della vita semplice.
Atsushi dovette fare attenzione a non venire calpestato da una scolaresca di passaggio e persino una signora con i tacchi a spillo, un carrello impazzito del fruttivendolo e un gruppetto di ragazzini chiassosi che per qualche metro lo prese di mira.
Ma la prova più ardua che dovette affrontare fu un’altra.
Arrivato all’angolo dov’era stato raccolto, si fermò per annusare l’aria. Chiuse gli occhi, per concentrarsi meglio, e questo lo fece andare a sbattere contro qualcosa di duro e peloso. Balzò subito all’indietro per scusarsi, e quando aprì gli occhi si accorse di ritrovarsi davanti niente di meno che un cagnolino nero e bianco, che lo stava squadrando in modo molto minaccioso.
Terrorizzato, Atsushi soffiò e lo graffiò sul muso, senza che l’altro facesse nulla per provocarlo; a quel punto però il cane abbaiò e lo ricorse, facendolo fuggire ancora più velocemente.
Atsushi odiava i cani con tutto se stesso.
Disperatissimo, non guardava neppure dove si stesse dirigendo. Persone o oggetti volanti, superava qualsiasi cosa aveva davanti, nel tentativo di porre distanza tra sé e il proprio inseguitore.
Strillò quando qualcosa lo afferrò, e graffiò e morse cose prima di rendersi conto che, ancora una volta, si trovava nelle mani di Dazai per qualche miracolo divino. Se avesse alzato appena gli occhi, avrebbe visto l’insegna dell’Ufficio dove Dazai lavorava, ma era più intento a fissare lui.
L’uomo infatti gli sorrise, appena riuscì a farsi riconoscere, per poi guardare l’interlocutore che lo stava apostrofando.
-Dazai…
Anche Atsushi vide un ometto basso con uno strano cappello e dei lunghi capelli rossicci, appoggiati sulla spalla. Teneva tra le braccia il cane nero che l’aveva inseguito fino a lì, e il guinzaglio che gli era sfuggito di mano.
Dazai mostrò un’insolita allegria nel rispondere al suo saluto.
-Oh, Chuuya-kun! Anche tu qui! E vedo che porti sempre con te Akutagawa-kun!
Il cagnolino fece le feste, cosa che irritò ancora di più il suo padroncino.
-Tieni a bada il tuo micio, altrimenti Aku potrebbe mangiarlo.
-Uh! Quale cattiveria! Eppure, mi ricordo di aver speso ore e ore di addestramento per Aku, quando eravamo ancora assieme! Basta davvero che io mi allontani per due anni per farlo diventare selvaggio? È la tua influenza per caso?
Atsushi vide diventare il volto dell’altro uomo di un insolito colore rossissimo, come se stesse per esplodere. Ne ebbe paura lui, e si aggrappò alle mani dell’uomo che lo teneva stretto.
-Sei fortunato che sia l’ora della pappa di Aku, altrimenti!
La minaccia velata non sembrò sortire molto effetto su Dazai, e Chuuya si allontanò in fretta quando Akutagawa abbaiò per una carezza o quantomeno un poco di attenzione. Bastò che Dazai scomparisse dalla vista dell’altro perché Chuuya si rivolgesse all’animaletto con voce carezzevole e zuccherosa, piena d’amore.
Atsushi non ebbe neppure tempo di voltarsi a guardarlo: Dazai gli fece una carezzina sotto il mento.
-Eri così preoccupato da uscire di casa per venirmi a trovare? Ho fatto solo un po’ di ritardo a lavoro!
Stava sorridendo in modo dolcissimo.
Il gattino cominciò a fare le fusa, accoccolandosi tra le sue mani. Piegando un braccio al petto, l’uomo creò abbastanza spazio perché l’animaletto potesse appollaiarsi senza troppo disagio, cosa che fece subito.
Aspettò che si fosse accomodato per bene prima di infierire sul suo senso di colpa.
-Ah, ti perdono solo perché sei così carino e dolce. Però cucinerai tu la cena, per lo spavento che mi sono preso.
Atsushi si limitò a un minuscolo miagolio per nulla contento, ma andava bene così: era con Dazai, ed era quello l’importante.
 
******
 
Si svegliò sentendo l’aria fresca arrivare dalla finestra e stiracchiandosi trovò sul materasso, appena poco distante, il corpo appallottolato di Atsushi: era tornato micio durante il sonno. Eppure, appena si sentì toccato, il tigrotto cominciò a fare le fusa e allungarsi a propria volta, fino ad artigliare le sue cosce con le unghie lunghe e dure.
Dazai si lamentò abbastanza, cercando persino di scappare dalla sua naturale e istintiva manifestazione d’affetto, e per inseguirlo Atsushi si tramutò pian piano in un ragazzo, finendo con il pesargli sopra le gambe con tutto il busto.
Quando l’altro alzò lo sguardo e lo guardò con quei suoi meravigliosi occhi speciali, era già pronto a sorridergli.
-Sai, penso che dovremmo tagliarti via le unghiette.
Subito Atsushi scattò, nonostante l’uomo lo avesse stretto a sé con un abbraccio – e senza volerlo andò a premere con i gomiti proprio sul fianco di Dazai, procurandogli non poco altro dolore.
-Ma, Dazai-san! Dopo come faccio a difendermi dai predatori?
-Ma da quali predatori vorresti difenderti con quelle unghiette, Atsushi-kun? Piuttosto, dovresti pensare a non far male a me.
Gli spettinò i capelli bianchi e si prese certo il gusto di accarezzargli anche le orecchiette sensibili – cosa che lo fece arrossire un poco. Sentì la sua coda morbida arrotolarsi attorno al polpaccio, alla ricerca di un contatto ancora più intimo. Ormai, neppure Atsushi provava timore o ritrosia nel toccarlo o nel cercare attenzioni da lui, e Dazai ne era davvero felice.
Trovava Atsushi, nella sua interezza, così piacevole e carino.
Gli sollevò la guancia allo zigomo con il pollice, mimando un tipo di carezza che gli faceva quando era in forma da Gatto.
-Vuoi venire in ufficio, oggi?
L’altro abbassò le orecchie, mostrando quella certa preoccupazione che neppure il sonno profondo della notte era riuscito a cancellare via, e annuì piano.
Ancora più contento, Dazai cominciò a dargli qualche piccolo colpetto sulle spalle.
-Allora è bene che ti alzi a fare la colazione. Altrimenti che figura ci facciamo, col direttore Fukuzawa? Vogliamo veramente arrivare in ritardo al colloquio?
Atsushi si agitò e gli si incollò di nuovo al fianco, cercando spazio con la spalla sotto il suo braccio e trovandolo pronto solo per lui.
-Beh, ci dobbiamo alzare entrambi, non solo io…
-Non so se la mia gamba dolorante può reggermi!
-Dazai-san, ti ho fatto un graffietto-
-Un incoraggiamento è necessario!
Chiuse gli occhi e piegò il volto di lato, in modo tale da sporgere verso il ragazzo Gatto la guancia sinistra. Ma siccome non successe nulla per diversi secondi, aprì solo un occhio per vedere cosa stesse facendo l’altro, e lo trovò a ridacchiare cercando di nascondersi con la mano davanti alla bocca.
-Ma non puoi chiedere le cose in modo normale?
L’uomo appoggiò una mano sulla sua nuca, per indirizzare il viso di lui verso il proprio, e Atsushi glielo lasciò fare senza protestare o fare resistenza. Il loro bacio fu dolce – un’abitudine che avevano trovato fin troppo piacevole, così come condividere tutte le cene, fare il bagno assieme, addormentarsi davanti alla televisione prima di andare a dormire a letto.
Quella casa, dopo quei mesi di convivenza, sapeva effettivamente di loro due.
Rubandogli un altro bacio, Dazai fu il primo ad alzarsi dal materasso.
-Forza, è ora di andare! Dobbiamo prepararci al meglio, perché non capita tutti i giorni di essere assunti per un lavoro!
-No, non capita davvero tutti i giorni…
Atsushi arrossì e per non farsi vedere rotolò via, lontano da lui. Dazai lo vide allungare le gambe sul tappetino e recuperare le ciabatte, per scappare ancora mezzo nudo verso il salotto e quindi l’angolo cottura.
Uno sbadiglio occupò tutta la sua bocca e lo fermò in un attimo di contemplazione.
Guardò fuori dalla finestra: cielo limpido e macchie bianche di nuvole serene. Era tutto perfetto, finalmente.
   
 
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