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Autore: Moriko_    19/02/2021    1 recensioni
Due compleanni, due persone, un'unica data: 12 Marzo.
Lo straordinario cammino della vita dai primi passi alla maturità, verso più grandi ed importanti traguardi.
[Il titolo, che riassume il tema dell'intera opera, è ispirato a una citazione di Jean Paul, scrittore e pedagogista tedesco: "I compleanni sono piume sulle ampie ali del tempo."]
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alan Croker/Yuzo Morisaki, Nuovo personaggio, Shingo Aoi
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Fanfiction
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Spiccare il volo

{Quindici anni | Morisaki's side}

 

 

BGM: Zack Hemsey - The Way (Instrumental)

 

 

 

[12 Marzo. Nankatsu, prefettura di Shizuoka.]

 

Attraverso le ampie vetrate panoramiche dell’ultimo piano della struttura, Hideki osservò il risveglio della vita in tutta l’area universitaria di Shizuoka.

L’immenso spazio dell’atrio alberato che precedeva l’ingresso dell’edificio dove l’uomo si trovava era attraversato da un continuo via vai di gente, tra studenti che andavano a lezione e docenti che, come lui, si preparavano per un’ennesima giornata di lavoro nelle aule o nei loro uffici. Poco distante, gli addetti alle pulizie si stavano recando presso le zone che non sarebbero state occupate dagli studenti nel corso della mattinata, come il vicino centro di tennis o il campetto da calcio universitario, mentre alcuni che lavoravano presso le aree di ristorazione stavano correndo verso i loro luoghi di lavoro come se non ci fosse stato un domani, per cercare di colmare il più possibile il ritardo che rischiavano di fare.

Con una mano che sorreggeva il bicchierino di caffè e l’altra penzolante lungo il corpo, Hideki si incamminò lungo il corridoio, delimitato su un fianco da quelle grandi vetrate che, seguendo la planimetria dell’edificio, davano un ampio sguardo della zona circostante fino ad arrivare all’inizio del laboratorio forestale della facoltà di Agricoltura, costituita da alberi sempreverdi e serre di vario genere. Lì, nonostante tutto il chiacchiericcio che proveniva dalla tromba delle vicine scale, Hideki si immaginò di udire il canto degli uccelli che avevano nidificato sui rami di quegli alberi secolari che scorgeva in lontananza, e che erano rimasti in piedi anche dopo la costruzione di tutto quel plesso di studi.

Ora che ci penso...

Hideki amava osservare gli alberi, soprattutto quelli antichi come querce e sequoie: con il loro aspetto maestoso torreggiavano sulle zone che ricoprivano con le chiome colme di foglie, resistendo fermamente a qualsiasi intemperia che si fosse abbattuta su di loro.

Quegli alberi, così robusti e silenziosi, gli ricordavano le sue origini. I molti rami che si diramavano dai tronchi e che spesso si intrecciavano tra loro ma altrettanto spesso dipartivano in direzioni diverse, assomigliavano così tanto ai componenti della sua famiglia. Come lui e Noburu si erano separati dai loro genitori per prendere strade diverse e costruire due vite l’uno distante dall’altro, in un tempo ormai lontano, così stavano per fare i suoi figli che, man mano che diventavano grandi, erano sempre più vicini alla soglia dell’indipendenza. Ancora qualche anno e lui e Izumi sarebbero rimasti di nuovo soli, dentro quella casa che avevano costruito con le loro forze e che gli sembrava sempre più grande man mano che passava il tempo.

Forse un giorno i loro sforzi sarebbero stati ripagati, o forse no; quel che era certo era che, a dispetto della lontananza, proprio come la quercia anche i membri della sua famiglia sarebbero stati indissolubilmente ancorati tra loro, come le robuste radici di quell’albero che tanto amava e che era simboleggiato nel suo cognome.

Dando un fugace sguardo al cielo colmo di nubi bianche, Hideki finì di bere il suo caffé. Lanciò il bicchiere verso il cestino che era poco distante da lui, centrandolo in pieno; dopodiché guardò le lancette dell’orologio che portava al polso.

Bene!

Aveva ancora qualche minuto prima che gli altri componenti del Centro di formazione professionale del suo Dipartimento lo avessero dato per disperso.

Con un sorriso Hideki prese il cellulare dalla tasca e, scorrendo tra i contatti della rubrica, chiamò uno dei numeri presenti. Quando, dall’altra parte, udì una voce di donna che sembrava quasi spezzata da un grande affanno, arrivò al punto di trattenere le risate.

«Tutto bene, laggiù?»

 

Nello stesso istante, a circa una trentina di chilometri di distanza da suo marito, Izumi stava velocemente salendo le scale che l’avrebbero portata al suo luogo di lavoro. Vestita di tutto punto, con un tailleur di un delicato color rosa, la donna si sistemò la spilletta che era sulla giacca mentre parlava al telefono con suo marito attraverso un auricolare.

«Che dire? Oggi non è proprio giornata!» esclamò, mentre prese una chiave elettronica dalla borsa. Con essa aprì la porta del bagno privato e, una volta dentro, posò la borsa sul lavandino e si ammirò allo specchio per vedere se fosse tutto a posto. Ovviamente no: quella dannata spilletta a forma di delfino, il simbolo del suo luogo di lavoro, non voleva sapere di andare nella giusta direzione.

«Lasciami indovinare... oggi ci saranno anche i genitori dei bambini, vero?» chiese Hideki, e l'immaginare sua moglie alle prese con qualcosa che la stava facendo innervosire lo fece bonariamente sorridere. Sapeva che solo una cosa al mondo avrebbe alterato la sua Izumi. «Scommetto che sei ancora in lotta con “quel maledetto delfino”, vero?»

«Esatto!» sbuffò Izumi, sbattendo le mani sui fianchi. «Mi spieghi a cosa serve mettersi in ghingheri in un asilo? Non siamo mica al gran galà dell’Imperatore: mi sembra un po’ esagerato!»

«Gli ordini sono ordini, cara Izumi.»

«Ma io non riuscirò mai ad abituarmi a questo concetto del “Siccome siamo in un asilo privato dobbiamo essere impeccabili di fronte ai genitori, perciò anche le educatrici dovranno vestirsi bene!” Avrei preferito di gran lunga la nostra cara casacca da lavoro... mi manca già.»

Izumi tornò a sistemarsi la spilla a forma di delfino, che alla fine riuscì a restare al suo posto, mentre suo marito riprese a parlare: «Stai tranquilla. Sono certa che lascerai una buona impressione: in fondo è l’ultimo giorno.»

«Già. L’ultimo giorno di asilo... e anche l’ultimo per i miei piccoli. Alla fine, anche quei pupetti sono cresciuti...»

Izumi appoggiò le mani sul lavandino e guardò dritto nel riflesso dello specchio. Erano trascorsi tre anni dal giorno in cui, di comune accordo con suo marito, aveva preso quella decisione che l’aveva riportata al lavoro che amava, lo stesso che - dopo il matrimonio - aveva lasciato senza costrizioni, per dedicarsi a tempo pieno ai figli che sarebbero arrivati.

In quel momento Izumi si ricordò del dialogo che aveva avuto con Hideki, prima della nascita di Ken'ichi.

 

«Non devi essere costretta a farlo... lo so meglio di chiunque altro: se ti piace questo lavoro, possiamo affidare nostro figlio ai miei o ai tuoi, se dovessi avere qualche difficoltà...»

«Non preoccuparti, Hideki: ho preso la mia decisione. Voglio provare... voglio vedere nostro figlio in tutte le prime fasi della vita, con i miei occhi. Voglio vedere il suo primo sorriso, i suoi primi passi... voglio essere lì quando dirà la sua prima parola. E poi non è detto che sarà per sempre: posso sempre tornare a lavoro, una volta che nostro figlio sarà grande...»

 

Da quel giorno di figli ne erano arrivati ben quattro e Izumi, forte di quella promessa che aveva fatto, aveva deciso di restare al loro fianco fino al giorno in cui sarebbero cresciuti. D’altronde, lei amava il suo lavoro ma al contempo stava iniziando ad abituarsi a quel tranquillo ambiente familiare che lei e suo marito stavano costruendo a poco a poco.

Per questo motivo, nemmeno con l’arrivo di Takaji aveva pensato nell’immediato di tornare al suo lavoro di maestra d'asilo. Un lavoro che le aveva insegnato molto, soprattutto nella prospettiva di crescere ed educare i suoi di bambini, che già sognava di avere quando era ancora una tirocinante e aveva iniziato a frequentare un giovane Hideki alle prese con il dottorato di Scienze psicologiche, antropologiche e dell'educazione.

Le cose erano iniziate a cambiare con l’arrivo degli ultimi due figli, Yuzo e Hanako. La coppia, che aveva vissuto in tranquillità con il lavoro di Hideki e i risparmi messi da parte fino a quel momento per cercare di mandare tutti alla scuola privata e così assicurare a ciascuno di loro un futuro più semplice da percorrere, iniziò a tornare sull’eventualità di riprendere il lavoro da parte di Izumi. Ma all’inizio lei aveva sempre rifiutato, perché voleva resistere il più possibile, escogitando sempre alternative per non far mancare nulla a ciascuno dei suoi figli e, allo stesso tempo, per permettere almeno a lei di continuare a restare a casa, al loro fianco. Tuttavia, per quanto Izumi e Hideki riuscivano sempre a venirne a capo, il problema delle spese stava diventando sempre più insormontabile e quasi insostenibile se non avessero corso subito ai ripari.

«Di questo passo, se non facciamo qualcosa, ci toccherà trasferire tutti i nostri figli alle scuole pubbliche...» rifletteva sempre Hideki, ogniqualvolta che l’argomento veniva a galla quando erano a letto. «E ora che anche Hanako inizierà a frequentare la scuola... come faremo? Non potremo mai mandarla alla Shutetsu, è impossibile...»

Ma, proprio quando la situazione sembrava diventare sempre più complicata, la provvidenza sembrò venire in loro soccorso offrendo tre aiuti, proprio in occasione del passaggio di Hanako dall’asilo alle elementari.

La prima riguardava l'affidamento a Hideki della direzione del Centro di formazione professionale del Dipartimento di Educazione di Shizuoka: un altro lavoro che avrebbe permesso a Hideki di portare a casa dei soldi in più, ma ciò avrebbe avuto come conseguenza il fatto di separarsi dalla sua famiglia per cinque giorni su sette, combinandolo con i suoi lavori di ricercatore e docente universitario. E questo... questo sarebbe giusto per i miei figli? Il non vedermi più per un bel pezzo? - aveva pensato Hideki.

La seconda riguardava, invece, l’improvvisa decisione del loro terzogenito di cambiare scuola con il passaggio dalle elementari alle medie. Una decisione che aveva colto la coppia di sorpresa, dato che a nessuno dei loro figli era stata fatta menzione della complicata situazione economica che la famiglia stava attraversando; infatti, Yuzo aveva chiesto loro di cambiare scuola non tanto per una questione di spese, ma per poter continuare a giocare a calcio con i suoi amici anche dopo l'ultimo campionato nazionale.

Tale notizia aveva reso orgogliosi Izumi e Hideki che così avrebbero potuto risolvere, sebbene solo in una piccola parte, anche la questione economica, dato che la scuola dove voleva andare il loro figlio era pubblica e non privata: una cosa sulla quale Hideki continuò ad avere qualche dubbio, ma sulla quale poi era riuscito a convincersi.

La terza, quella che forse avrebbe determinato una svolta decisiva anche nella vita della loro famiglia, riguardava proprio il lavoro di Izumi. Lei, tre anni prima di quel dialogo che ora stava avendo con Hideki, aveva ricevuto un’ennesima offerta di lavoro presso l’asilo privato della loro città, ma ci aveva seriamente riflettuto per giorni prima di parlarne con suo marito. A differenza delle altre volte i loro tre figli erano cresciuti: come i loro coetanei andavano a scuola, frequentavano i club dopo le lezioni ed erano abbastanza indipendenti per poter tornare a casa da soli o con i loro amici. L’unico problema restava l’ultima della loro famiglia, Hanako, che proprio in quell’anno doveva iniziare il percorso delle elementari: Izumi pensava che nei primi tempi sarebbe stata molto dura per la piccola, ed era per lei che stava tergiversando sulla decisione da prendere... ma alla fine era riuscita a trovare una soluzione. Dopotutto, quel suo lavoro non le avrebbe portato via tutto il tempo che avrebbe dedicato alla piccola: sarebbe stata via di casa fino al primo pomeriggio, ma per il resto della giornata avrebbe continuato a starle accanto.

Izumi desiderava da tempo di tornare al suo lavoro, a ciò che l’aveva appassionata e per il quale aveva studiato molto insieme a Hideki ai tempi dell’università, e per questo aveva deciso di non nascondere nulla agli occhi di suo marito. E, quando proprio lui le aveva confessato i suoi timori in quella fresca sera di settembre, la stessa nella quale Hideki aveva parlato a Yuzo del suo ciondolo portafortuna, lei aveva deciso che per entrambi era arrivato il momento di discutere della sua decisione, che di certo sarebbe stata proficua.

Con lei al lavoro, tutta la famiglia sarebbe tornata a vivere in modo sereno e senza più pensieri sui soldi che arrivavano a casa e quelli che spendevano per il futuro dei ragazzi, un futuro che da quel momento in avanti non sarebbe più stato in pericolo.

 

«E sai una cosa, caro? Mi è venuta un’idea per l’anno prossimo... Non c’è bisogno di fare tutti questi salti mortali per i nostri figli.»

«Che vuoi dire?»

«Che ho accettato un’offerta di lavoro... proprio qui, all’asilo privato della nostra città. Questa volta ho deciso: dall’anno prossimo tornerò a fare l’insegnante.»

«Ma... ma come farai con Hanako?»

«Se la caverà. La affiderò a Kazue nel pomeriggio, non preoccuparti. E poi... lei e Hoshiko sembrano essere molto amiche; l’anno prossimo non potranno ancora andare a scuola insieme, ma da quello successivo sì. Sarà bello per loro fare come hanno fatto i nostri Ken'ichi e Takaji!»

 

Izumi si ricordava del modo in cui il suo Hideki l’aveva guardata, quella sera. Lui, che quindici anni prima le aveva consigliato di continuare a lavorare, ad inseguire il sogno di essere una brava educatrice di bambini molto piccoli, la stava osservando con molto stupore.

In tutti quegli anni Hideki aveva imparato a rassegnarsi: all’inizio tanto era da parte di lei l’insistenza di restare a casa per crescere i loro figli... mentre in quel momento era stata proprio lei a dirgli che sarebbe tornata presto a lavoro. Izumi lo stava facendo non solo per i suoi figli, ma anche e soprattutto per non permettere a lui di uccidersi di lavoro.

«Fidati di me, amore mio. Se te la senti, accetta il posto da Direttore del Centro... ma non farlo se pensi che Hanako e gli altri si sentiranno soli con la mia assenza. Lo saranno... no, lo saremo ancora di più se non tornerai mai più a casa. Siamo tutti consapevoli dei grandi sacrifici che fai, ma noi siamo una famiglia e porteremo questo fardello tutti insieme: ricordati che qui troverai sempre un posto dove sentirti a casa... perciò, fidati di me: siamo tutti sulla stessa barca.»

Di fronte a quella affermazione Hideki l’aveva abbracciata, in lacrime. Per la prima volta da quando stavano parlando di quell’argomento, suo marito era crollato e i suoi timori più nascosti stavano riaffiorando come le onde del mare in tempesta. A Izumi sembrava quasi che potesse sentire i suoi pensieri, attraverso quei sommessi mormorii spezzati dai singhiozzi.

Non voglio che i nostri figli si sentano soli.

Non voglio che abbiano un futuro difficile solo per colpa nostra.

 

Eppure... è stata una nostra scelta avere quattro figli. - avevano pensato all’unisono. E nemmeno di questo ci siamo mai pentiti... perché ci amiamo!

 

Così, a distanza di tre anni, Izumi non si era pentita per quella scelta che aveva fatto. Aveva accettato quel posto di lavoro e lo stesso aveva fatto suo marito, ma con una differenza: Hideki si era liberato dal pensiero di essere odiato dai figli per la sua decisione, e aveva iniziato il suo nuovo percorso a cuor leggero; aveva imparato ad equilibrare i suoi impegni, continuando a svolgere anche il lavoro di docente e ricercatore, ma rifiutando altri incarichi temporanei che avrebbero portato via solo altro tempo prezioso, che invece poteva dedicare alla sua famiglia.

L’assenza di suo marito per qualche giorno aveva pesato un po’ sulla loro famiglia, ma tutti avevano riposto fiducia in lui e ogni volta che tornava a casa lo accoglievano con grande gioia.

Come un vincitore.

 

Lo specchio restituì l’immagine di un’Izumi sorridente, che riprese la borsa e si preparò ad uscire dal bagno. Prima di avvicinare la chiave elettronica alla porta, si tirò dietro la spalla un ciuffo dei suoi capelli con fare tranquillo.

«Quei pupetti sono cresciuti... e anche i nostri figli» sussurrò. «Tra qualche anno, potresti avere un collega a Shizuoka! Lo sai: si sta impegnando molto per il suo imminente percorso all’università...»

Nello stesso istante, alle spalle di Hideki si palesò una giovane dai lunghi capelli neri e con gli occhiali dalle lenti spesse, vestita in modo formale: recava in mano un fascicolo spesso ricco di post it che facevano capolino dalle pagine, con impresso il logo del Dipartimento di Educazione. Vedendo Hideki al telefono, fece cenno di seguirla: la prima riunione della giornata stava per avere inizio.

«Chissà...» sussurrò dolcemente lui, dando un ultimo sguardo alle vetrate panoramiche. «Sono certo che Ken'ichi farà una splendida carriera a Tokyo...»

 

 

 

«Han-chan, possiamo fare una pausa?»

Scuotendosi la polvere dal lungo pantalone grigio che indossava, Hoshiko cercò di recuperare fiato. Si tirò su, si portò una mano sul petto e diede un profondo respiro.

Davanti a lei vi era un muretto di mattoni, che circondava il cortile della sua casa a ferro di cavallo. Lei e Hanako avevano avuto la pensata di disegnare un rettangolo con il gessetto, per simulare la presenza di una porta di calcio quando giocavano in quel cortile ed evitando così di spostare ogni volta la mini-porta del fratello di Hanako, ancora in piedi e funzionante nonostante il passaggio del tempo.

«Che cosa significa fare una pausa?» Hanako stiracchiò le braccia in alto e iniziò a saltare sul posto. «Ti prego, Hoshi-chin: cerca di resistere ancora un po’! Solo qualche altro tiro, ok? Poi ci riposiamo, te lo prometto!»

«Ma io non ce la faccio più... scusami...»

Hoshiko si sdraiò a terra e spalancò le braccia. Fissò il cielo azzurro, dove qualche nuvola bianca stava facendo una dolce passeggiata accompagnata dal vento. «Aspettiamo che arrivi il senpai, così possiamo riposarci un po’... Non vedi com'è bello il cielo, oggi? Possiamo giocare a riconoscere le nuvole!»

Il tono in cui la sua amica aveva pronunciato quelle parole fece sorridere Hanako. Quest’ultima si sdraiò al suo fianco, portando una mano sotto la nuca mentre con l’altra indicò il cielo immenso.

«D’accordo, possiamo fare una pausa... wow, Hoshi-chin: quella nuvola lassù sembra una pecorella!»

«Dove?!»

«Là, sulla destra!»

Hoshiko spostò gli occhi a destra e a sinistra, per poi trovare la nuvola che l’amica le stava indicando. «La vedo, la vedo! E quell’altra che sta sopra sembra un cagnolino!»

«A me quello sembra più uno scoiattolo...»

«Guarda meglio, è un cane!»

«Hoshi-chin, scommetto ciò che vuoi che è uno scoiattolo!»

«Invece è un cane, Han-chan! Non vedi le orecchie lunghe e il naso rotondo? Vedi, lassù!»

La piccola Yamamoto prese la mano della sua amica e, facendo sporgere il suo indice, indicò con esso le forme che stava riconoscendo a poco a poco.

Hanako si rassegnò e sorrise. Quando l’amica lasciò la sua mano, subito la portò dietro la nuca e chiuse gli occhi. «Hai ragione, Hoshi-chin: è proprio un cane.»

 

Nonostante stessero frequentando classi diverse alle elementari, Hoshiko e Hanako non perdevano mai l’occasione di stare insieme. La loro giornata iniziava con l’andare a scuola da sole, parlando di come avevano trascorso la serata con le loro rispettive famiglie, dell’ultimo film di animazione che sarebbero andate a vedere al cinema, della comparsa del loro cantante preferito in qualche programma televisivo, dei loro compagni di classe che avrebbero incontrato a scuola... e terminava lì, su quel cortile dove ora erano sdraiate a pancia in su e con il sole che illuminava i loro volti. Proprio in quel cortile le due amiche giocavano tutti i giorni a calcio e si confidavano i loro più nascosti segreti; era proprio lì che a volte Hanako aiutava Hoshiko nello studio, quando la pioggia non irrompeva a rovinare quel momento di pace.

Nel giro di tre anni quel cortile era diventato il loro regno, dove si rendeva manifesto il legame speciale che le univa da diversi anni: un regno incontrastato, dove loro erano le regine e i loro familiari gli aiutanti, dove niente e nessuno avrebbe potuto recidere il loro vincolo di amicizia. Ed era lì che le due bambine stavano coltivando il loro piccolo sogno: un sogno forse impossibile da realizzare, ma che loro avrebbero continuato ad inseguire nonostante tutto, sulle orme di coloro che, in fondo, non erano poi così distanti da loro.

E tra quei giovani, grandi eroi che avevano portato alto la bandiera della loro città negli ultimi campionati nazionali, c’era anche colui che Hoshiko chiamava con l’appellativo di senpai. Era lo stesso ragazzo che, proprio in quel momento, con un gran sorriso aveva fatto capolino sulle due bambine che stavano osservando le nuvole.

«Sorpresa! Non mi aspettavate così presto, eh?»

 

«Ma come, oggi sei venuto a prendermi prima?» Hanako incrociò le braccia e si concesse un sorriso di sfida, rivolto al fratello che la stava sovrastando.

«È il mio compleanno, concedimelo. Non posso tornare prima a casa, per una volta?»

La voce di Yuzo era sommessa ma dolce: in essa non vi era alcun tono di rimprovero verso la sorella. Il ragazzo si tirò su e, appoggiando la cartella a terra, mise le braccia sui fianchi. «Ed è meglio così: anche questa sera ho molto da studiare... è vero: ho superato l’esame di ammissione per le superiori, ma l’ultima verifica delle medie è alle porte.»

«Eddai: oggi non potresti fare una pausa?» chiese Hanako, alzandosi in piedi e guardandolo negli occhi. «È il tuo compleanno, studia domani! Tanto sei bravo!»

«Lo sai che vorrei tanto farlo, ma non posso: i compiti sono tanti...»

«Ma non è che così ti stanchi troppo? Ti faranno male gli occhi!»

«Tranquilla, non succederà. Anche per questo ho bisogno di studiare tutti i giorni, perciò anche oggi...»

Nel frattempo che Yuzo e Hanako erano nel pieno della loro conversazione, Hoshiko iniziò a sgattaiolare via senza farsi notare da loro. Come previsto dalla bambina, i due erano talmente immersi in quello scambio verbale al punto di non accorgersi di nulla.

Di soppiatto Hoshiko andò sul retro della casa, dove prima di andare a scuola aveva lasciato una scatola di cartone. La aprì, prese il piccolo pallone che c’era dentro e tenendolo nascosto dietro la schiena tornò dagli altri due, che intanto stavano ancora parlando tra loro; lo posò a terra e indietreggiò di qualche passo e, dopo aver inspirato profondamente, corse verso di esso e lo calciò verso un punto ben preciso: il volto di Yuzo.

Tutto avvenne in un attimo. I due fratelli, accortisi del lancio di quell’oggetto sferico, si voltarono in sincronia; nello stesso istante il portiere della Nankatsu afferrò il pallone con una mano, evitando che gli arrivasse dritto in faccia.

Hoshiko ne fu entusiasta: spalancò la bocca e diede un urletto di gioia, poi la sua voce divenne un sussurro colmo di imbarazzo. «Com’era il tiro, senpai

«Ottimo,» le rispose Yuzo, posando il suo sguardo sereno su di lei.

Anche Hanako le sorrise, facendo al contempo spallucce. «E dire che fino a cinque minuti fa Hoshi-chin era fin troppo stanca per fare altri tiri... mah!»

«Han-chan!» protestò Hoshiko, per poi sorridere. «Non dovevi dirlo al senpai... ah! A proposito, senpai!»

La bambina si avvicinò a Yuzo e, alzandosi sulle punte, posò le mani sul pallone che gli aveva lanciato. «Questo è il mio regalo di compleanno per te!»

«Davvero?» domandò Yuzo con sguardo fraterno. «Posso tenerlo?»

«Sì, è tutto tuo! L’ho anche firmato!»

Con un sorriso Yuzo spostò la sua attenzione sull’oggetto che aveva in mano: era di un rosa tenue e su di esso vi era scritto “Buon compleanno, senpai! - Yamamoto Hoshiko” in una grafia ancora irregolare ma che cercava di imitare il più possibile un tratto elegante.

«Grazie mille, è molto carino!» rispose il portiere.

Hoshiko gli rivolse un inchino, e soddisfatta raggiunse Hanako. «Dai, ora facciamo vedere al senpai cosa abbiamo fatto oggi!»

«Ok!»

Le due amiche si diedero il cinque e tornarono a giocare a pallone.

«Guardaci, fratellone!» esclamò Hanako.

Yuzo annuì, riprese la cartellina e si sedette più indietro per lasciare spazio alle bambine che ora correvano nel cortile, provando a rubare il pallone a vicenda per poi tirare sul muretto.

Il muretto...

Il segno del gessetto che avevano tracciato le due piccole era ancora ben visibile. Yuzo sorrise malinconico e si ricordò della prima volta che Hanako e Hoshiko avevano tracciato quei segni, ricalcando quelli che già c’erano: allora le due amiche avevano solo cinque anni, e avevano iniziato a dedicarsi al gioco del calcio seguendo proprio i suoi consigli.

Era capitato tutto per caso: Hanako l’aveva sempre visto allenarsi nel suo cortile, e così anche Hoshiko quando si trovava là per giocare con la sua amichetta. Lo avevano sempre ammirato e fin da subito lo avevano preso come modello da seguire, soprattutto dopo i due campionati nazionali ai quali aveva partecipato con la sua squadra.

Dopo l’ultimo torneo delle scuole elementari, le due gli avevano chiesto di diventare il loro coach personale, confidandogli di voler diventare brave a giocare a calcio.

 

Cavoli... non sono proprio la persona giusta per loro!

 

Questo era stato il primo pensiero di Yuzo, che in tutta Nankatsu si sentiva il meno adatto a dare consigli di calcio, tanto meno allenare due bambine che stavano ancora imparando il significato della parola “calcio”.

Tuttavia, fu proprio il guardarle negli occhi che lo fece riflettere su quella decisione: quei piccoli occhi brillavano di pura ammirazione nei suoi confronti, come se egli fosse diventato il loro idolo. Le due bambine avevano scelto già prima di sentire la sua risposta, che non poteva essere un semplice e secco “no” per via delle sue paure e delle sue insicurezze: Yuzo non poteva farle trionfare di fronte a loro, che lo avevano visto allenarsi fin dal momento che avevano iniziato a muovere i primi passi e che provavano una sincera ammirazione nei suoi confronti. Con loro, i suoi timori si attenuavano ed egli si sentiva più fiducioso delle proprie capacità.

Quella risposta, quel “no”, non era ammesso di fronte a sua sorellina e alla sua migliore amica.

Da quel giorno Yuzo aveva preso entrambe sotto la sua ala, cercando di fare del suo meglio per dare loro delle buone basi di calcio. Le due piccole kōhai avevano la giusta determinazione per essere costanti nell’impegno, e sembravano essere molto brave: Yuzo le seguiva passo dopo passo, osservando la loro crescita e il diventare sempre più forti, e ne fu quasi orgoglioso di vederle così determinate.

Egli non ricordava di essere come sua sorella alla sua età: anche a lui piaceva giocare a calcio, ma rispetto a lei si era sempre sentito più insicuro. Per fortuna, su questo Hanako era molto diversa, più agguerrita e spericolata: sembrava essere nata per ricoprire un ruolo d’attacco, a differenza di Hoshiko che, sebbene risoluta come lei, preferiva più intercettare il pallone per poi rilanciarlo ai suoi compagni.

Yuzo era arrivato a pensare che entrambe le bambine avessero la stoffa per giocare a calcio; se ce l’aveva fatta lui nonostante i suoi timori e le sue insicurezze, di certo loro non sarebbero state da meno.

Forse, tutto ciò lo dovevano alla complicità che avevano condiviso da sempre; cosa che Yuzo aveva iniziato ad avere solo con l'ingresso al club di calcio delle elementari. Loro erano state molto fortunate ad essere vicine di casa e, così, a ritrovarsi.

Yuzo sapeva molto bene quale grande effetto sulle loro vite poteva portare un rapporto del genere. Lui, che l’aveva vissuto - anche se per breve tempo - ne era consapevole, e ogni volta che rivolgeva lo sguardo verso quel muretto, tra i tanti ricordi del passato che riaffioravano come il fumo di un bastoncino d'incenso acceso ne ricorreva sempre uno dove, nel cortile della sua casa, stava scambiando qualche parola con Hoshiko mentre attendevano l’arrivo della sorellina.

 

«Avrei tanto voluto avere un fratello come te... Han-chan è davvero fortunata!»

«Sai... anch’io lo penso. Mia sorella è davvero fortunata ad avere un’amica come te. E sia tu che lei siete fortunate a poter stare insieme.»

 

In quel momento Yuzo aveva notato negli occhi della piccola un fugace bagliore di curiosità per ciò che aveva appena detto, ma poi l'aveva vista sorridere e annuire.

«Una volta mamma mi ha detto che tu giocavi sempre con mio fratello! Era come me?»

Il giovane aveva sgranato gli occhi dallo stupore: per quanto cercasse di ricacciare l’argomento “Hikaru Yamamoto” nel profondo del suo cuore, serbandolo solo per sé nei momenti di solitudine, in qualche modo riaffiorava a galla proprio con Hoshiko e Hanako.

Dopo un attimo di silenzio, Yuzo le aveva messo una mano sulla sua testolina e le aveva accarezzato i capelli.

«Sì, molto. Hai il suo stesso sguardo quando giochi a pallone...»

Di fronte a Hoshiko il portiere avvertiva sempre un groviglio di strane sensazioni localizzate tra lo stomaco e il petto. La reazione che il suo corpo aveva ogni volta che la guardava era la diretta conseguenza di quel dolore che aveva subito in passato: una profonda cicatrice che era ancora lì, all’altezza del suo cuore. Quel dolore era ancora molto grande, forse ancora troppo per superarlo a cuor leggero e lasciarselo alle spalle con il peso di una piuma.

Ci voleva ancora del tempo e doveva essere paziente, però Yuzo ne era certo: prima o poi avrebbe superato quel dolore e il suo cuore non avrebbe più silenziosamente pianto alla vista di Hanako e Hoshiko. Un giorno ci sarebbe riuscito, continuando a percorrere quella strada che lo avrebbe portato a realizzare il suo sogno e così diventare un ottimo modello da seguire per le due bambine.

 

«Fratellone, ci sei?»

Yuzo sobbalzò. Alla vista di quel muretto si era totalmente immerso nei suoi ricordi, senza accorgersi del pallone che gli era finito accanto. Quando le due bambine erano corse per recuperarlo, lo avevano visto imbambolato che continuava a fissare il muretto, con un fermo sorriso sulle labbra.

Hanako entrò nel suo raggio visivo, frapponendosi tra lui e il muretto che subito indicò con un sorriso sornione. «Bello, vero? Lo abbiamo ripassato quando non c’eri. E visto che ti sei incantato...» continuò, prendendo all’improvviso suo fratello per il braccio, «vai alla porta, per favore!»

«Sì, Han-chan! Il senpai in porta!»

Con molta gioia Hoshiko iniziò a spingere Yuzo da dietro, aiutando la sua amica a trascinarlo verso la porta.

«A... aspettate un attimo!» replicò il ragazzo. «Un attimo, così mi fate cadere a terra!»

Ma in fondo al suo cuore Yuzo si stava divertendo. Amava quei momenti trascorsi insieme alla sorellina e alla sua amica, dove di certo non si sarebbe mai annoiato e avrebbe sentito da parte loro l’amore e la forza che lo avvolgeva come una calda e morbida coperta nelle fredde giornate d’inverno.

Loro avevano bisogno di lui... così come lui sentiva di aver bisogno di loro.

 

 

 

«A domani mattina, Han-chan! E grazie per l’aiuto, senpai!»

Hoshiko rientrò nella sua dimora dopo aver salutato Yuzo e Hanako, che accostarono il cancello e iniziarono ad incamminarsi verso casa.

Il cielo ormai era attraversato dai colori del tramonto, segno che stava giungendo la sera. Non appena vide le luci del piano terra accese, la piccola Morisaki si avvicinò al cancello di casa ed era sempre più entusiasta di entrare.

«La mamma è tornata!»

Yuzo prese le chiavi e aprì il cancello; subito Hanako corse verso la porta d’ingresso e suonò più volte il campanello. Nel frattempo il ragazzo alzò leggermente la testa e notò che le stanze del primo piano che davano sulla strada principale sembravano essere completamente spente.

Takaji non è ancora rientrato... deve essere ancora impegnato con il club di kendo...

Mentre Yuzo si avvicinò alla porta, vide sua madre che aveva aperto e stava salutando Hanako con un bacio affettuoso sulla testa; la donna lo accolse con un sorriso.

«Ciao» disse lei.

«Ciao, mamma. Come è andata la giornata? Oggi era l’ultimo giorno, vero?»

Izumi diede un sospiro divertito, fece entrare tutti e richiuse la porta di casa mentre lui e Hanako si stavano togliendo le scarpe nel genkan; si sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio, continuando a sorridere. «Non male. Le mie piccole pesti sono pronte per le elementari... però sentiranno la mia mancanza: oggi non volevano lasciarmi nemmeno per un istante!»

«Che bravi!»

«Che diavoletti, vorresti dire! Mi hanno fatto penare in questi tre anni, ma ne è valsa la pena. Mi mancheranno molto, e chissà se si ricorderanno di me...»

«Lo faranno, mamma. Se li hai voluti bene, si ricorderanno di te per sempre...»

Izumi rientrò in cucina e tornò a sfaccendare per la cena. «Invece a voi due... come è andata?»

«Bene!» esclamò Hanako, appoggiando lo zainetto sullo stipite della porta. «Oggi abbiamo fatto il compito di matematica, è stato facile facile!»

«Ma che brava!»

Yuzo appoggiò le mani sulle spalle della sorellina e si chinò. «Tra poco potresti dare lezioni al fratellone: lui e la matematica non riescono proprio a fare pace... a proposito, mamma: Takaji non è ancora tornato?»

Sua madre fece una scrollata di spalle e scosse la testa. «Ormai lo conosci: pur di evitare i libri preferisce ammazzarsi con il kendo. E poi si lamenta che ha sempre poco tempo per studiare! Mi chiedo cosa succederà l’anno prossimo...»

Fratello e sorella si guardarono negli occhi e ridacchiarono piano. «Stai tranquilla, mamma,» aggiunse Yuzo, per poi alzarsi in piedi e prendere una banana dalla fruttiera che si trovava sul ripiano bar, alle spalle di sua madre. Mentre sbucciava quel frutto, che nonno Akihiko aveva spedito dal suo ultimo viaggio in Malesia, il giovane le disse: «Comunque anche a me è andata tutto bene... anzi, il solito. Non ho molte novità... se non che ora mi conviene andare in camera a studiare un po’.»

«Di già, fratellone?»

Hanako aprì le braccia e si gettò sul petto di Yuzo, malinconica. «Ti prego, solo cinque minuti! Giochiamo ancora un po’!»

«Ora non posso, davvero.»

Yuzo appoggiò la banana su un piattino che era al fianco della fruttiera e strinse Hanako per confortarla. «Ti prometto che prima di andare a letto verrò nella tua cameretta e ti racconterò una storia, va bene?»

La piccola tirò su col naso, poi sorrise e con sguardo furbesco prese la banana che aveva appena lasciato suo fratello, allontanandosi da lui allegramente. «Va bene, fratellone!»

«Ehi, ladra di banane!»

Yuzo fece per allungare un braccio verso di lei, ma chinò la testa e si rassegnò a recuperare il frutto tanto ambito: con Hanako era difficile spuntarla senza avere in cambio un ricatto o una marachella. Voltò le spalle e iniziò ad uscire dalla stanza, recuperando la cartellina che aveva lasciato nel salotto.

«Allora vado, ci vediamo più tardi!»

Sua madre si allontanò dal piano cottura e gli si avvicinò. «Prima di metterti a studiare...» iniziò con voce sommessa, «c'è Ken'ichi che ti sta aspettando nella sua stanza. Vai da lui: penso che abbia da dirti qualcosa di importante...»

Qualcosa... di importante?

 

 

Nascondendo dietro la schiena l’okutopasu, un polipetto portafortuna di colore azzurro, con le nocche della sua mano libera Yuzo diede due colpi leggeri alla porta che aveva di fronte. Sapeva bene cosa stesse passando per la testa di Ken'ichi, che forse era già intento a preparare gli ultimi bagagli per la sua imminente partenza: suo fratello maggiore si era impegnato molto per entrare in quell’università prestigiosa di Tokyo e, da grande studioso qual era anche lui, Yuzo sapeva che un giorno anche lui avrebbe dovuto affrontare quella grande prova, una volta terminate le superiori.

Dall’interno di quella stanza non si sentiva alcun rumore: un profondo silenzio avvolgeva il corridoio del primo piano, spezzato solo dal vociare allegro di Hanako che stava ancora chiacchierando con la mamma nella cucina. Ad un tratto Yuzo riuscì ad udire una sedia che si spostava e dei lenti passi che diventavano sempre più vicini.

Il ragazzo attese con pazienza che la porta si aprisse, lateralmente sparendo verso destra e rivelando Ken'ichi. Quest’ultimo alzò una mano per salutare suo fratello, con un sorriso dolce sulle labbra.

«Ehi. Ti stavo aspettando, entra.»

Yuzo superò la porta d’ingresso, soffermandosi a osservare ogni dettaglio di quella stanza come era solito fare. Dalle pareti color blu alice, la stanza di Ken'ichi era lo specchio della sua vita e della sua anima: qualunque particolare di quell’ambiente era un chiaro richiamo all’oceano che tanto amava, dai colori ai singoli oggetti che erano presenti.

Sul lato sinistro, il letto dalle lenzuola blu con disegni di onde marine era incastonato all’interno di un mobile, al di sopra del quale correva una libreria: sui suoi ripiani vi erano volumi di diversa grandezza, la maggior parte dei quali trattava della flora e fauna delle distese d’acqua terrestri.

Sul lato destro vi era un armadio scorrevole, dal colore blu notte, al fianco del quale campeggiava un quadro composto da cinque tele, che insieme componevano l’immagine di uno splendido fondale marino popolato da alghe e coralli dai mille colori; sotto, un piccolo pouf quadrato di colore verdemare faceva da guardia al vicino zabuton che Ken'ichi utilizzava quando lo stress predominava sulla sua lucidità.

La stanza aveva un’ampia finestra che si affacciava sugli alberi di tiglio che popolavano la stradina alle spalle della casa: era lì che si trovava il ragazzo, seduto e col capo chino sul libro, al di sopra della bianca scrivania minimalista dalla quale sporgeva una semplice libreria sul fianco. Sulla scrivania era accesa la piccola lampada a forma di delfino che lo zio Noburu gli aveva regalato quando aveva tre anni, e che illuminava tenuamente il libro che era oggetto del suo studio.

Era da qualche giorno che Yuzo non aveva messo piede in quella stanza, anzi: nessuno dei suoi familiari, eccetto proprio suo fratello maggiore, lo aveva fatto. Ken'ichi, infatti, era stato il primo dei fratelli Morisaki ad affrontare lo shiken jigoku, “l’inferno degli esami” temuto da tutti gli studenti che stavano per concludere le scuole superiori e volevano accedere all'università. In confronto all’esame di ammissione che aveva sostenuto tre anni prima per le scuole superiori private Shutetsu, quello dell’università era stato difficile almeno il triplo, se non di più: questo perché Ken'ichi ci teneva ad accedere alla prestigiosa università di Scienze e Tecnologie Marine a Tokyo.

Suo fratello sapeva fin dall’inizio che lo shiken jigoku sarebbe stato l’ultimo ostacolo che lo separava dalle sue passioni e che non sarebbe stato semplice abbatterlo, ma egli aveva le idee molto chiare a tal proposito: studiare giorno e notte pur di riuscire ad entrare in quella università. Era stato disposto ad isolarsi completamente nelle ultime settimane dell’anno, pur di riuscire a memorizzare ogni cosa che gli avrebbe permesso un più facile accesso. Ogni singolo dettaglio che sarebbe entrato nella sua testa sarebbe stato un passo in più verso la realizzazione del sogno che aveva da bambino: vivere a pieno contatto con quel mondo marino che l’aveva affascinato con la sua natura incontaminata e il caleidoscopio della sua bellezza; se avesse superato quell’esame, quelle che ne sarebbero seguite sarebbero state le ultime settimane che avrebbe potuto condividere con i suoi cari, prima di partire alla volta della più grande megalopoli del Giappone.

Alla fine Ken'ichi ci era riuscito: era riuscito a superare quell’inferno maledetto, e dopo mesi di studio intenso l’uscire di casa e passeggiare per le vie di Nankatsu aveva avuto un sapore decisamente diverso. Quando gli era arrivata la notizia della sua ammissione, insieme al resto della famiglia Yuzo era stato testimone della sua grande felicità: suo fratello aveva corso all’impazzata, senza una meta precisa dove andare, per poi giungere al belvedere della città dal quale aveva urlato tutta la sua gioia, e la sua libertà riconquistata.

La porta della stanza di suo fratello, rigorosamente chiusa, era infatti diventata l’unica via d’accesso verso quella piccola frazione del mondo esterno che chiamavano famiglia. E, ora che Yuzo era riuscito a entrare nuovamente in quella camera, sentì che l’atmosfera tesa che l’aveva avvolta nel periodo degli esami era svanita del tutto.

Entrambi poterono tirare un sospiro di sollievo: tutto era tornato come prima... o quasi.

Yuzo si accomodò sul pouf vicino alla finestra, mentre Ken'ichi tornò alla scrivania; subito nascose il soffice peluche che aveva in mano in una delle tasche del gakuran nero che ancora indossava.

Ken'ichi vide la scena con la coda dell’occhio ma fece finta di niente: si limitò a sorridere mentre riordinò il piano con i libri che aveva preso per la lettura in attesa di suo fratello. Per un attimo, gli tornò alla mente quando, circa quindici anni prima, aveva insistito con il suo papà perché il nome di quel fratellino dovesse essere “Same”.

Che storia!

Dalle sue labbra gli sfuggì una candida risata, che l’altro subito notò con sorpresa.

«Tutto bene?»

Ken'ichi si sedette davanti a suo fratello sul zabuton che si trovava accanto al pouf, e i suoi occhi color nocciola si posarono con fermezza su quelli di Yuzo, di analogo colore.

Più lo guardava e più quel nomignolo che gli aveva dato quando erano dei bambini gli sembrava sempre più distante; eppure, se c’era una cosa nella quale suo fratello stava diventando affine a uno squalo era proprio il calcio. Fin da bambino lo aveva visto allenarsi duramente, dalla finestra della casa che si affacciava sul loro cortile o giocando insieme a lui, e sapeva quanto egli amasse quel mondo, al punto da non gettare mai la spugna nonostante tutte le difficoltà che aveva incontrato. Negli ultimi tempi la determinazione di Yuzo lo aveva reso sempre più tosto e difficile da sconfiggere, al punto da riuscire sempre a ottenere ciò che voleva senza mai mollare; tuttavia, allo stesso tempo, quel suo fratellino non era cambiato per nulla, così docile e gentile con chi lo trattava con tenerezza.

Ken'ichi aveva imparato che anche gli squali, noti come feroci predatori, avevano un punto debole: le Ampolle di Lorenzini, speciali organi di senso presenti sul loro muso e che, se accarezzati, permettevano a questi spietati animali di tranquillizzarsi. Di certo suo fratello Yuzo non era uno squalo - e non lo sarebbe mai stato -, ma ne era certo: se un giorno lo fosse diventato per uno strano caso del destino, lui sarebbe stato uno di coloro che sarebbero riusciti a renderlo più mansueto.

«Sai perché ti ho fatto venire qui, Same?» gli chiese divertito.

«Same?»

«Ho deciso che per oggi, e solo in questa stanza, il tuo nome sarà Same

«Perché?»

«Perché, per una volta, voglio vederti come uno squalo: pronto a mostrare i denti quando meno te l’aspetti.»

«Ma gli squali sono sempre pericolosi... e mi conosci bene: io non sono di certo uno squalo, se è per questo.»

«Non è vero. Solo alcuni sono pericolosi, e mostrano la loro aggressività solo quando sono minacciati. Per il resto, quando non ci scambiano per loro prede sono pressoché innocui... anche se devo ammettere che è un po’ raro trovare degli squali così tranquilli.»

«... non penso di essere venuto qui per ascoltare la tua prima lezione di “squalologia”, professor Morisaki

«Squalologia?»

Dopo un attimo di silenzio i due fratelli scoppiarono a ridere, e Ken'ichi pensò che quel quarto d’ora trascorso con Yuzo gli stesse giovando molto. Si stava rilassando in compagnia del fratello, come mai aveva fatto in quelle settimane che erano ancora vicine ma che gli sembravano ormai lontane, sempre chiuso in quella stanza e uscendo solo per mangiare o andare in bagno: lo shiken jigoku era piombato nella sua vita come un grosso macigno scagliato da una catapulta, sacrificando del tempo prezioso per le persone alle quali voleva bene e che vivevano sotto il suo stesso tetto. E anche in quel momento che si sentiva finalmente libero... Ken'ichi stava avvertendo una morsa al cuore.

Quante altre occasioni avrebbe avuto da poter passare con la sua famiglia, ridendo e scherzando come un tempo? La data della partenza alla volta di Tokyo era sempre più vicina: a breve avrebbe avuto solo il tempo di salutare tutti, ringraziando i genitori per tutto ciò che avevano fatto per lui, lanciare un’ultima battutaccia a Takaji perché l’anno successivo anche lui avrebbe dovuto affrontare quel grande muro che lo separava dal mondo dell’università - anche se su questo non ci avrebbe messo troppo la mano sul fuoco, conoscendo la sua indolenza nello studio di certe materie -, arruffare i capelli a Hanako e raccomandandole di mettercela tutta per entrare nel club di calcio della Shutetsu, e infine augurare a Yuzo di vincere i prossimi tre campionati nazionali che stavano attendendo lui e la sua squadra.

In quel momento Ken'ichi riuscì a dimenticare quella malinconica tristezza di non poter rivedere la sua famiglia per un bel pezzo.

«Grazie, fratellino...»

Quelle parole gli sfuggirono di bocca, e Yuzo non potè fare a meno di chiedergli il perché.

Ken'ichi si alzò, andò presso l’armadio e da esso prese una scatolina che aveva nascosto; gliela porse a suo fratello, sorridendo quando l’altro la prese in mano. «Perché sei mio fratello. Questo è per te: buon compleanno.»

All’interno di quella scatola vi era una piccola spilla in feltro che rappresentava uno squalo. Yuzo rimase a bocca aperta, e all’inizio non riuscì bene a capire perché stesse ricevendo in dono qualcosa che era molto caro a lui.

Nel vedere la reazione di suo fratello, Ken'ichi proseguì: «Era il mio portafortuna quando avevo iniziato le elementari. Me l’aveva regalato la mamma dicendomi che mi avrebbe portato fortuna... e aveva ragione.»

«Ma... ma allora perché me lo regali?» domandò Yuzo, alzando lo sguardo esitante verso il fratello. «Devi ancora affrontare l’università: ti servirà ancora!»

«Invece no: sono certo che servirà più a te che a me.»

Ken'ichi lo abbracciò di slancio, così forte senza più staccarsi. Pensò a tutti quei momenti che aveva trascorso insieme a lui: aveva visto quel fratello nascere, muovere i suoi primi passi, giocare e parlare con lui, chiedergli aiuto nei compiti e consigli quando aveva dubbi... proprio come era avvenuto con Takaji ma, a differenza dell’altro fratello, aveva visto in lui un’evoluzione straordinaria del suo carattere.

Da timido e schivo qual era Yuzo era diventato più forte, più coraggioso e sicuro di sé, e forse anche più testardo. Ma questo non importava: sapeva che qualsiasi strada avesse deciso di intraprendere alla fine di quel percorso di tre anni che lo stava attendendo, era certo che avrebbe avuto molta fortuna e che sarebbe rimasto legato a lui per sempre, nonostante la distanza che li avrebbe separati.

Poco lontano giaceva l’okutopasu che Yuzo voleva dargli; fuoriuscito accidentalmente dalla tasca del suo gakuran quando Ken'ichi l’aveva abbracciato, ora vegliava in silenzio su di loro mentre dietro le ampie finestre iniziò a scendere la sera.

L’anno più bello della loro vita stava per iniziare.

 

 


 

[Angolo di una piccola pinguina nelle vesti di scrittrice.]

Questo è stato un capitolo ricco di importanti cambiamenti. Izumi che ha ripreso il suo lavoro (ora, non so fino a che punto possa essere attendibile il fatto che in Giappone una donna possa riprendere a lavorare dopo ben diciannove anni di pausa... ma ho voluto immaginarla così ^^"), Hideki che è super impegnato con i suoi vari lavori e Ken'ichi che sta per iniziare l'università a Tokyo.

Insomma: non sono cose di poco conto.

Ah, alla lista di sopra dimenticavo di aggiungere che Yuzo ha iniziato a fare da "coach" a Hanako e Hoshiko. E Takaji che antepone il kendo sopra ogni cosa... davvero, come ha detto Izumi, anch'io mi chiedo cosa potrebbe ancora accadere nel giro di qualche anno...

Questa volta niente personaggi nuovi (il quadro è quasi completo) ma le solite note di fondo invece sì. Dunque:

 

- Per la descrizione di tutta la zona universitaria di Shizuoka dove si trova il Centro mi sono basata su questa mappa. Analizzandola, ho notato che c’è un po’ di tutto, cioè ambienti che sono pertinenti ad altre Facoltà;

- A tal proposito, ammetto che una pecca di questo capitolo riguarda proprio i vari titoli e strutturazioni dei Dottorati di ricerca in Giappone. Purtroppo (scrivo "purtroppo" per un motivo che sto per illustrarvi) i siti sull'argomento sono tutti in lingua giapponese... e, dato che al momento conosco questa lingua a livello proprio basico, non sono riuscita a tradurre tutto. (Sì, ok: c'è Google Translate che può dare una mano, però capite che si tratta di siti dove il linguaggio è più tecnico... sarebbe meglio studiare direttamente da libri più specifici sull'argomento per avere un quadro più chiaro della situazione.) Perciò, riguardo la nomenclatura, mi sono basata su quelli che ci sono in Italia, in particolare quello dell'Università di Torino;

- Finora non vi ho mai parlato nel dettaglio di una particolarità che riguarda il sistema scolastico in Giappone, e che qui diventa ancora più chiaro. Siccome l'anno scolastico giapponese inizia nel mese di marzo, Hanako e Hoshiko frequentano classi diverse con un anno di differenza anche se sono nate a pochi mesi di distanza. Come narrato in questa storia, Hanako è nata a gennaio; invece Hoshiko, essendo nata qualche mese dopo (ho pensato tra giugno/luglio), per il percorso scolastico risulta essere di un anno in meno rispetto alla sua amica. Il concetto di primina in Giappone sembra non esistere, per cui Hoshiko non può frequentare la stessa classe di Hanako...

(Piccola curiosità esplicativa perché, in realtà, c'è un altro motivo ben preciso dietro alla scelta di far frequentare classi diverse a queste due piccoline. In origine, questa differenza sarebbe dovuta servire per una side story su Hanako e Hoshiko - che ho deciso di non scrivere più man mano che sono andata avanti con la stesura di questa storia; si trattava di un piccolo spin-off che cronologicamente si colloca tra il capitolo sui diciotto anni di Yuzo e il finale. È vero che non lo scriverò più... però non è detto che non farò qualche accenno a partire dalla prossima parte e nella storia futura (si spera non troppo lontana) "Intrecci"... :3

- Sempre a proposito della scuola, più si va avanti e più le attività del club terminano tardi, molto tardi. Qui e qui giusto qualche link per darvi un'idea.

- E, sempre a proposito dell'istruzione scolastica... ora un piccolo accenno sull'università che frequenterà Ken'ichi. Avevo due scelte: la Tokai University e la Kaiyodai University (entrambe a Tokyo, rispettivamente un'università privata e una pubblica); alla fine ho optato per la seconda, che ha questo portale - in lingua inglese - che ho consultato per conoscere meglio il mondo nel quale sta per entrare il maggiore dei Morisaki;

- Per la serie "Le curiosità (inutili) della Moriko", vi illustro qualche dettaglio della camera di Ken'ichi. Il blu alice esiste e potete trovarlo in questo elenco delle tonalità di blu: prende il nome dalla figlia di Theodore Roosevelt, Alice Roosevelt Longworth. Il quadro composto da cinque tele ha una struttura del genere, mentre la lampada da tavolo a forma di delfino è più o meno così. In generale, la stanza di Ken'ichi è strutturata in un modo simile alla terza foto che trovate nella slide di questo sito.

- Un'ultima curiosità su questa stanza riguarda lo zabuton, che è un cuscinetto di meditazione che si trova in molte camere del Giappone.

- L'okutopasu (sul quale potete trovare un sacco di siti che ne parlano con tante coloratissime immagini! **) è il famoso polipetto portafortuna dei giapponesi. Il nome ha origine dal termine inglese del polipo, octopus, che in lingua giapponese si pronuncia "okutopasu" - appunto - che si può dividere in oku-to-pasu che tradotto in italiano significa "Se lo appoggi, passi". Infatti questi polipetti si appoggiano sulla scrivania in prossimità di un esame.

Ora, è ovvio che Yuzo non lo sta regalando a suo fratello in vista dell'esame di ammissione all'università (ha già dato, LOL) ma in vista del primo esame che dovrà affrontare all'interno del suo corso di studi. (Anche se all'inizio - lo ammetto - avevo scritto questa scena riferendomi proprio allo shiken jigoku che Ken'ichi ha affrontato... si nota, vero? Ops ;P)

- Per concludere quest'ampia sezione delle note, una piccola curiosità sugli squali. Vi confesso che non sapevo della caratteristica delle Ampolle di Lorenzini, il "punto debole" di questi feroci animali, finché non mi sono imbattuta in questo testo che le ha nominate: sono speciali organi di senso che si trovano sul muso degli squali: oltre a servire da "bussola" per l'orientamento, se quella parte viene accarezzata gli squali possono diventare più mansueti. Da non crederci, vero? Qui potete trovare un video che illustra molto bene questo effetto; può sembrarci strano perché questi animali sono rinomati per essere terribili...

... e, sempre a proposito della fama degli squali, contrariamente a ciò che si pensa, non tutti gli squali attaccano l'uomo per la loro feroce indole ma solo quando si sentono minacciati o sono direttamente attaccati. Qui e qui qualche informazione in più.

Potete affermare meglio di me che paragonare Yuzo a uno squalo significa paragonarlo a una tigre, oppure a un qualsiasi predatore esistente sul nostro pianeta, però ora si comprende di più il significato del soprannome "Same" che Ken'ichi gli aveva dato quando era nato: un soprannome nato per gioco, ma che potrebbe rivelarsi veritiero in futuro... o forse no? Tutto è possibile!

 

E per oggi chiudo qui. Come sempre vi ringrazio per essere giunti fino a qui, e vi anticipo che nel prossimo capitolo dedicato a Yuzo rivedremo qualcuno che fisicamente manca da un bel pezzo... cioè: in realtà un sacco di personaggi mancano da un bel pezzo, gasp! XD

Al prossimo aggiornamento!

--- Moriko

 

 

   
 
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