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Autore: Signorina Granger    20/02/2021    9 recensioni
INTERATTIVA || Iscrizioni Chiuse
21 Dicembre 2019.
Due Auror, a seguito di una missione in Germania, salgono su un treno che da Berlino li porterà a Nizza, in Francia. I loro piani e quelli degli altri passeggeri vengono però sventati completamente quando sul lussuoso Riviera Express viene rinvenuto il cadavere di una donna. Fermato il treno in mezzo ad una bufera, il Ministero tedesco, d’accordo con quello britannico, assegna ai due il compito di rivolvere il caso trovando il colpevole che, di certo, viaggia sui loro stessi vagoni.
[Storia liberamente e umilmente ispirata a “Assassinio sull’Orient Express” di Agatha Christie]
Genere: Comico, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Maghi fanfiction interattive, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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Capitolo 5 – Mai fidarsi di una francese!
 
22 Dicembre, 22:30 pm
 
 
Ce l’aveva fatta. Leggere era stato pressoché impossibile negli ultimi giorni, tra il lavoro a Berlino e il manufatto da consegnare al Ministero tedesco, il treno che gli dava la nausea, l’omicidio e i primi interrogatori.
Ma dopo quella lunga giornata finalmente Asriel ci era riuscito: si era coricato dopo aver magicamente ampliato il letto e aveva ripreso in mano il libro che aveva portato con sé con Zorba acciambellato accanto a lui sopra al piumino bianco latte.
Finalmente avrebbe scoperto l’identità del pluriomicida di Nigger Island.
 
Sull’isola erano rimasti solo in due, e Asriel si stava chiedendo se avesse indovinato o meno la risoluzione del mistero quando qualcuno iniziò a bussare alla porta.
Sentendosi raggelare – chi violava la sua quiete a quell’ora?! –, l’Auror non rispose: possibile che non poteva permettersi neanche un’ora di pace per leggere?
Poco male, si disse il mago con una scrollata di spalle: c’erano altri due Auror sul treno. Che facessero affidamento su di loro, per una volta. Insomma, non doveva sempre pensare a tutto lui.
 
Eppure, di chiunque si trattasse, la persona oltre la porta della cabina – sigillata dallo stesso Auror con un incantesimo, vista la situazione – non si arrese e riprese a bussare con maggior veemenza, tanto che lo stesso Zorba si svegliò con un sussulto, spalancando i grandi occhi gialli, e prese a stiracchiarsi.
Esasperato, Asriel stava per alzarsi e andare ad aprire quando la cabina venne scossa da una piccola esplosione che fece saltare la serratura della porta, che venne spalancata con tanta violenza da farla quasi uscire dai cardini.
 
“Ma che cazzo…”
Zorba, spaventato, corse a nascondersi sotto al letto mentre Asriel scattava in piedi e afferrava la bacchetta, pronto ad affrontare il suo visitatore. Quello che però aveva momentaneamente identificato come l’assassino di Alexandra Sutton venuto a sistemarlo si rivelò essere Clodagh, che gli si parò davanti con la bacchetta sguainata prima di spalancare gli occhi chiari a sua volta, sbigottita:
 
“ASRIEL?”
“CLODAGH? Che cazzo stai facendo?!”
“Brutto idiota, perché non rispondi? Pensavo ti avessero ucciso!”
 
“Sto leggendo Dieci piccoli indiani e non voglio essere disturbato!”


Asriel, imbronciato, indicò il libro abbandonato sul letto e Clodagh alzò gli occhi al cielo, dandogli del cretino prima di afferrare un cuscino e colpirlo sulla spalla, non badando al fatto che il collega fosse nella sua tenuta notturna, che prevedeva pantaloni del pigiama e niente maglietta:
“Ma bravo! E se qualcuno fosse stato in pericolo di vita? Clodagh Garvey, uccisa brutalmente, il suo partner non interviene in suo soccorso. Motivazione: stava leggendo.”
Il collega sbuffò e le afferrò il cuscino dalle mani, colpendola a sua volta prima di scoccarle un’occhiata torva. Zorba invece fece timidamente capolino da sotto al letto del padrone, controllando guardingo che fosse tutto a posto prima di correre da Clodagh per strusciarsi sulla sua gamba.
“Non essere assurda, so benissimo che non eri in pericolo. Che ci fai qui?”
All’improvviso l’espressione della strega mutò, facendosi adorabilmente sorridente come suo solito prima di accennare alla porta del bagno della cabina. In effetti, solo all’ora Asriel si rese conto che la collega aveva un asciugamano verde lime e il suo pigiama giallo sottobraccio.
“Volevo chiederti se posso scroccare il bagno.”
“Hai fatto saltare in aria la mia cabina per farti la doccia?!”
“Beh, come ho detto pensavo fossi in pericolo, devi prenderlo come un gesto di estremo affetto!”
 
 
 
In tutti i suoi anni di vita, era capitato ben di rado che Elaine Primrose Fawley-Selwyn non si mostrasse assolutamente impeccabile in pubblico: da piccola era sua madre ad insistere, ma crescendo la stessa strega aveva sviluppato una certa attenzione al proprio aspetto e al proprio abbigliamento, cercando in tutti i modi di essere sempre elegante e in ordine.
Avvolta nella sua immancabile vestaglia di seta, Elaine stava scrivendo a suo zio: era in viaggio per la Francia per passare il Natale con lui, ma di quel passo era probabile che non sarebbe riuscita a fare in tempo.
Niente la faceva soffrire come l’idea di lasciare solo l’uomo per il suo primo Natale senza la moglie, ma si sentiva quantomeno in dovere di avvisarlo. Ailuros già sonnecchiava nella sua cuccia, sistemata come sempre accanto al letto della padrona, ma un acuto boato fece svegliare di scatto il felino e sobbalzare Elaine, che urtò il calamaio versando un po’ d’inchiostro sulla pergamena.
“Merda!”


Una signorina per bene non parla in questo modo!


Mandando mentalmente al diavolo la fastidiosa voce della madre Elaine si alzò, rimettendo a posto il calamaio e cercando di salvare la lettera. Stava per sistemare il danno con un rapido “Gratta e netta”, quando rammentò di non avere la bacchetta con sé.
Sbuffando amareggiata, la strega si chiese cosa stesse succedendo e lasciò la lettera sullo scrittoio prima di dirigersi verso la porta allacciandosi la vestaglia, cercando di non pensare al fatto di essere già senza trucco e con i capelli raccolti sulla nuca.
 
 
 
Corinne, chiedendosi cosa stesse succedendo, aprì la porta della sua cabina con la camicia da notte azzurra addosso e si guardò attorno, spaesata: si stava togliendo il trucco quando per poco lo specchio appeso alla parete non era caduto sul pavimento a causa di un tonfo sordo che aveva quasi fatto tremare la sua cabina Anche la porta accanto si aprì, e lei ed Elaine si scambiarono due occhiate stranite prima che James uscisse dalla propria in un pigiama azzurro coperto da fiocchi di neve, la bacchetta in mano e tenendo una Alpine tremante in braccio.
“Non ho sentito solo io quel boato, vero?”
“Direi proprio di no.”
Elaine, accigliata e leggermente preoccupata, scosse la testa mentre James si voltava verso la porta della cabina di Asriel.
“Credo proprio venisse dalla cabina del suo collega.”
 
In un inglese perfetto e privo di sbavature, Corinne accennò alla cabina di Asriel proprio mentre James si rendeva conto dello stato disastroso in cui verteva la porta, spalancando gli occhi chiari allarmato:
Oh merda
“Brontolo!”
 
 



Clodagh s’infilò la bacchetta in tasca e si strinse nelle spalle mentre Asriel, rassegnato, si passava una mano tra i capelli con un sospiro. Annuì, borbottando che poteva fare quello che voleva, pur di lasciarlo leggere, quando la voce di James giunse preoccupata dalla soglia della stanza:
“Asriel, va tutto bene? Abbiamo sentito rumori strani…”
“Tutto bene James, Clodagh è solo esagerata e per poco non ci fa esplodere tutti.”
“Tutto perché tu sei troppo prezioso per rispondere quando qualcuno ha bisogno di te!”
“Ci sono sempre quando hai bisogno di me, ma avevi bisogno della doccia!”


Clodagh, offesa, asserì che l’igiene era importantissima prima di chiudersi in bagno, e James parve rincuorarsi: alla fine erano solo Asriel e Clodagh che facevano Asriel e Clodagh, dopotutto.
“Meno male, temevo fosse successo qualcosa… Beh, allora buonanotte. Risolvi tu qui?”
James accennò alla porta scardinata e Asriel annuì torvo, guardandolo uscire prima di riparare il danno.
Il più giovane, uscito dalla cabina, sorrise imbarazzato quando scorse le espressioni curiose di Corinne ed Elaine, entrambe in attesa di risposte, in pigiama e con gli occhi puntati su di lui:
“Ecco… i miei colleghi. Solo un piccolo equivoco.”
“Petit? Mon dieu, questi inglesi…”
 
Corinne scosse la testa con disapprovazione prima di voltarsi e tornare nella sua cabina, premurandosi di chiudersi a chiave. Elaine invece ridacchiò, augurando educatamente la buonanotte a James prima di fare altrettanto.
L’ex Tassorosso sorrise al suo enorme Maine Coon prima di dargli una carezza, asserendo che quelli fossero gli Auror più strambi che le fosse mai capitato di incontrare.
 
*
 
“PORCA PRISCILLA, COSA C’E’ ANCORA?”
 
Era tornato a letto, aveva ripreso il libro in mano. Sconvolto, lo aveva quasi finito. Gli mancava solo l’epilogo, le ultimissime pagine, la lettera dove finalmente avrebbe trovato le sue risposte… finchè qualcuno non aveva bussato alla porta.
 
Chiedendosi cosa dovesse fare un povero Auror per riuscire a finire un libro, Asriel si era alzato, aveva raggiunto la porta a passo di marcia e l’aveva spalancata abbaiando poco garbatamente al povero cameriere che aveva davanti.
Il ragazzo, quasi impallidendo di fronte all’espressione truce dell’Auror in pantaloni del pigiama blu a righe grigie, balbettò che gli aveva portato il servizio in camera e accennò al vassoio coperto da cloches che teneva in mano.
“Ma io non ho ordinato niente.”
 
Asriel aggrottò la fronte, perplesso, e si chiese cosa diavolo stesse succedendo su quel treno quando la porta del bagno si aprì, e una voce cristallina pose fine ad ogni suo dubbio: ma certo. Clodagh.
 
“L’ho ordinato io!”
“E come?”
“Dal telefono del bagno, che domande! Molte grazie!”
 
Ormai in pigiama, Clodagh lasciò i vestiti sul letto del collega prima di prendere il vassoio dalle mani del cameriere con un sorriso, ignorando il profondo sospiro che lasciò le labbra di Asriel.
“Danke. Gute Nacht.”
 
Richiusa la porta, Asriel pregò di non ricevere altre visite prima di lanciare un’occhiata dubbiosa alla collega, chiedendosi cosa diavolo avesse ordinato a quell’ora.
“Ma la cucina è ancora aperta?”
“No, ma è uno dei vantaggi di essere una di quelli che risolverà il caso. Vuoi un sandwich?”
 
La strega, seduta sul bordo del letto, porse il piatto di sandwich al tacchino ad Asriel, che esitò prima di prenderne uno con un borbottio sommesso.
“Lo hai finito il libro, in ogni caso?”
“Sì, mi manca solo…”
 
Asriel stava per dire “l’epilogo”, ma non ne ebbe il tempo: Clodagh lo interruppe sul nascere, annuendo pensierosa e sbocconcellando il suo sandwich.
“Sorprendente, vero? Io ero davvero sconvolta quando ho scoperto che si trattava di…”


Asriel impallidì, senza parole, e guardò la collega restando perfettamente immobile. Incuriosita da quel silenzio insolito, Clodagh si voltò verso l’amico, impallidendo a sua volta scorgendo la sua espressione prima che Asriel iniziasse a balbettare:
“Tu… io… Non l’avevo finito, porca puttana!”
“Ma… ma hai detto di sì!”

“Mi mancava la lettera finale, irlandese mangia-sandwich scroccona di docce!”
 
Stizzita, Clodagh avrebbe voluto correggerlo e ricordargli che lei era nata in Irlanda del Nord, ma Asriel la colpì di nuovo con un cuscino, zittendola sul nascere mentre Zorba si leccava una zampa incurante, ormai abituato a quel genere di teatrini.
 
*
 
 
23 dicembre, 8:30 am
 
 
“Salve! Volevo sapere se è riuscito a preparare la torta.”
Accigliato, Ruven alzò lo sguardo dal pane che stava per infornare per rivolgersi alla strega dai capelli rossi che aveva davanti. Non era sicuro di aver compreso ciò che gli aveva appena chiesto, ma decifrando la parola “torta” intuì che volesse sapere se era pronta. La sera prima lei e il collega alto e barbuto gli avevano fatto visita chiedendogli di preparare una torta di compleanno per il terzo collega.
O meglio, la strega glielo aveva chiesto. L’altro si era limitato a borbottare sommessamente.
 
 
“Sì, è in frigo.”
Lo chef annuì e accennò al frigo prima di lasciare la teglia piena di pagnotte di impasto, pulirsi le mani su uno strofinaccio e infine aprirlo per mettere la torta glassata al cioccolato a due piani sul bancone, scatenando un largo sorriso da parte dell’Auror:
“Grazie, è bellissima! Gli piacerà da matti.”
Lo aveva implorato di metterci degli omini di marzapane, e in effetti la superficie della torta era coperta da omini sorridenti e bastoncini di zucchero colorati sparsi qua e là.
“Prego. La rimetto in frigo, intanto.”
 
Clodagh annuì, allegra, e lo ringraziò di nuovo prima di uscire dalla cucina sotto lo sguardo accigliato dello chef, che si domandò sinceramente con che razza di Auror avesse a che fare, tra omini di zenzero, bastoncini di zucchero e abiti variopinti al limite dell’immaginabile.
 
*
 
Prospero stava facendo colazione sorseggiando una tazza di caffè, gli occhi scuri fissi sul vetro del finestrino appannato per il freddo e i capelli tendenti al riccio raccolti sulla nuca. Le lunghe gambe accavallate e il braccio sinistro appoggiato con grazia sul bracciolo della sedia, il mago nascose un sorrisetto dietro alla tazza di ceramica bianca quando scorse con la coda dell’occhio l’arrivo del “tornado”.
 
“Ro-Ro!”
“Buongiorno fogliolina, cosa posso fare per te quest’oggi?”


Prospero lasciò che un sorriso gli incurvasse le labbra mentre voltava la testa verso l’amica, che gli sedette di fronte tenendo la sua macchina fotografica appesa al collo e lisciandosi distrattamente la frangetta corvina.
“Numero 1: muoio di fame.”
“Ordina quello che vuoi.”
“Numero 2: ho provato ad accarezzare una bellissima gatta bianca, ma mi ha riempita di graffi, guarda!”
La fotografa sollevò sconsolata la mano destra, piena di sottili graffi rossastri, e Prospero simulò la sua miglior espressione dispiaciuta prima di prendergliela con delicatezza e depositarci un bacio sopra, chiedendole se pensava di poter sopravvivere.
Ignorando la sua domanda, Delilah prese il menù, ordinò dei pancake allo sciroppo d’acero e caffè e poi si rivolse nuovamente all’amico puntando risoluta i gomiti sul tavolo.
Prospero avrebbe potuto riconoscere la sua espressione cospiratoria tra mille, e seppe che l’amica stava per trascinarlo nella loro ennesima impresa folle ancor prima che Delilah aprisse bocca:
“Numero 3. Stanotte non riuscivo a dormire, non per niente ho delle orribili occhiaie…”
“Ma che dici, non si vedono!”
“Certo, ci ho messo due tonnellate di correttore!”
“Davvero? Fantastico… Poi dimmi la marca, così lo provo anche io.”
“Sì, poi te lo mostro…
ma non è questo il punto. Mentre non riuscivo a dormire ho attentamente riflettuto sulla situazione, e sono giunta alla conclusione che voglio tornare a casa il più presto possibile. Motivo per cui dobbiamo capire chi è stato a fare fuori la stronza!”
 
“Tesoro, non penso che additare in pubblico la vittima “la stronza” sia una buona idea per togliersi dalla lista dei sospettati…”
“Ah, hai ragione. Dobbiamo trovarle un nome in codice. La chiameremo “La panterona”.
 
Prospero tossicchiò, cercando di non farsi andare il caffè di traverso per le troppe risate prima di sorridere all’amica, divertito:
“Ci sono non uno, ma ben tre Auror in circolazione. Pensi che potremo essere detective migliori?”
“Pf, chi meglio di me per ficcanasare? Ieri dopo l’interrogatorio mi annoiavo e ho fatto un po’ di foto a tutti.”
“E io che credevo di essere il tuo modello prediletto.”  Prospero scosse il capo con disapprovazione mentre l’amica gli passava la macchina fotografica, inarcando un sopracciglio quando scorrendo le foto s’imbatté in una lunga sequenza di foto di Asriel Morgenstern:
“Fogliolina, perché tutti questi zoom sulle braccia di Asriel?”
“Mh? Le avrò fatte per sbaglio…”
 
*
 
Dopo aver ricevuto le telefonate di auguri da parte delle sue sorelle maggiori – che si premurarono di chiedergli apprensive se mangiasse e se stesse bene, facendogli alzare gli occhi al cielo – James aveva raggiunto il vagone ristorante per fare colazione.
E anche per capire di preciso cosa fosse successo la sera prima.
Clodagh e Asriel erano già seduti, e se il secondo teneva le braccia strette al petto, Zorba sulle ginocchia e aveva l’aria più scontrosa che mai, Clodagh lo accolse con un sorriso e un abbraccio, facendogli calorosamente gli auguri prima di mostrargli un’enorme e colorata torta al cioccolato piena di omini di marzapane.
“E’ per me? Grazie Clo, è bellissima!”
Sorridendo emozionato James abbracciò di nuovo la strega, che si autodefinì la collega migliore del mondo con evidente soddisfazione. A quelle parole Asriel grugnì, lanciandole un’occhiataccia prima di fare a sua volta gli auguri a James con tono pacato.
 
 
“Ragazzi, ma cosa è successo ieri sera?”
Seduto al tavolo e con un’norme fetta di torta davanti, James spostò confuso lo sguardo da un collega all’altro. Clodagh distolse lo sguardo imbarazzata, mentre Asriel ne approfittò per lanciarle un’altra occhiata velenosa e risentita:
“Clodagh mi ha spoilerato Dieci piccoli indiani! Non ti perdonerò mai!”
“Non l’ho fatto apposta, è stato un incidente!”
“Tieni Asriel, prendi un’altra fetta di torta.”
 
Rammentando le sagge parole del “Vangelo Secondo Clodagh”, James si affrettò a porgere un’enorme fetta al collega, che l’accettò e parve rincuorarsi leggermente tra un boccone grondante panna e cioccolato e l’altro.
 
“Comunque sia… Ho telefonato a Collins per chiedergli di spiegare a Potter la situazione e mandarci appena possibile quello che trovano sui sospettati… se avessi mandato un gufo ci avremmo messo molto più tempo.”
Clodagh raccolse un po’ di panna con la forchetta da dessert e James annuì, convenendo che fosse stata una buona idea mentre Asriel, infilzando un omino di marzapane sfogando su di lui tutto il suo risentimento, borbottava qualcosa sulle stranezze dei telefoni babbani.
“Non ho ancora capito come diavolo funzionino.”
“Occhioni belli, mi sembra di sentire mia nonna… Se non parlasse solo gaelico te la presenterei, sei il suo uomo ideale.”
“Io oggi con te non ci parlo.”
 
*
 
Lenox scartò la sua Cioccorana pieno di speranze che vennero bruscamente disilluse quando trovò l’ennesima figurina di Albus Silente: del noto ex Preside di Hogwarts negli anni doveva averne collezionate almeno una quindicina.
“Non riuscirò mai a completare la collezione, vero piccola?”
Sconsolato, l’ex Tassorosso addentò il cioccolato lanciando un’occhiata a Polly, che seduta accanto a lui guardò avidamente la rana prima che il mago scuotesse il capo con vigore, intimandole di non pensarci nemmeno e di fare la brava cagnolina.
“Lo sai che il cioccolato ti fa male, non fare l’ingorda. Te lo diceva anche la mamma.”
Polly sollevò la testa per guardare il padrone quasi afflitta, facendolo sospirare mentre portava una mano ad accarezzarle il collo coperto di pelo bianco e fulvo:
“Lo so, non fare quella faccia, ha abbandonato anche me, ricordi?”
 
Talvolta quasi scordava che in realtà a comprare Polly era stata sua moglie Amelie. Ma la donna, quando aveva affermato di non volerne più sapere di lui, se n’era andata e non aveva accettato di vederlo neanche per riprendere con sé la cagnolina, che quindi era rimasta con lui. Non che se ne dispiacesse, ovviamente, visto l’affetto che nutriva per Polly e viceversa: all’inizio la cagnolina aveva dimostrato di sentire visibilmente la mancanza della padrona, ma pian piano aveva smesso di guaire sulla porta di casa e come lui aveva smesso di soffrirne.
Forse però, si disse amaramente Lenox mentre si portava alle labbra l’ultimo pezzo di cioccolato, infondo lui a differenza di Polly quell’abbandono se l’era meritato.
 
*
 
Quando Clara entrò nel vagone ristorante Corinne stava già facendo colazione, seduta da sola ad un tavolo e con un libro in mano. Dopo una breve esitazione la strega si avvicinò al tavolo occupato dall’amica, abbozzando un sorriso:
“Bonjour Coco.”
Corinne alzò lo sguardo dal libro e ricambiò il sorriso, facendole cenno di sedersi.
“Pare che oggi vogliano partire con me.”
La bionda chiuse il libro – un’edizione in lingua originale di “Le affinità elettive” – e parlò senza battere ciglio, limitandosi a volgere lo sguardo fuori dal finestrino mentre Clara, al contrario, la guardò sorpresa:
“Pensi che sappiano…”
“Forse. Ma immagino che se l’avessero saputo avrebbero iniziato da me fin dal principio, no?”
Corinne si strinse nelle spalle con un sospiro prima di vuotare la tazza di caffè sotto lo sguardo dell’amica, che le chiese se l’idea dell’interrogatorio la preoccupava.
“Suppongo che non sarà facile, ma almeno mi toglierò l’impiccio. Come se potessi averla uccisa io.”
“Beh, il partner è sempre il primo sospettato.”
“Tra me e lei è finita da anni, come ben sai.”
Corinne aggrottò la fronte, quasi infastidita nel ripensare alla relazione passata con Alexandra mentre Clara si stringeva nelle spalle incrociando le braccia al petto, osservandola con un sopracciglio inarcato:
Io questo lo so, ma loro no. Glielo dirai?”
“Se non lo facessi lo scoprirebbero comunque, suppongo. In tal caso risulterebbe sospetto se non l’avessi detto… quindi sì, immagino di sì. Tu che ne pensi?”
“Penso che sia la cosa migliore, anche se di certo ti faranno molte domande.”
 
Corinne annuì ma non disse nulla, accarezzando la copertina liscia del celebre romanzo di Goethe che stava leggendo in lingua originale per affinare il suo tedesco. La celebre fantina parlò nuovamente solo quando Clara stava ormai gustando la sua colazione, osservando l’amica con attenzione:
“Non pensi che possa essere stata io, vero chèrie?”
Clara stava per portarsi la tazza di thè alle labbra quando udì la domanda dell’ex compagna di scuola, esitando prima di sollevare lo sguardo su di lei e infine scuotere la testa:
“No Coco. Sai quanto poco mi piacesse, ma non vedo comunque perché avresti dovuto accanirti tanto… e poi non penso che ne saresti capace.”
Le parole di Clara sembrarono rilassare Corinne, che annuì sfoggiando un debole sorriso: non poteva che sperare che anche gli Auror fossero dello stesso avviso.
 
*
 
 
“A destra, a destra… Ho detto a destra!”
“Ho capito, cazzo! Ma perché diavolo non l’avete fatta comparire DENTRO la cabina, questa dannata lavagna? E perché ci serve una lavagna?!”
 
Asriel, sorreggendo l’estremità della lavagna magnetica bianca che James e Clodagh avevano ritenuto “assolutamente indispensabile” per lo svolgimento del caso, imprecò mentre cercava di farla passare dalla porta della sua cabina con l’aiuto di James, mentre Clodagh assisteva dando quelle che a detta di Asriel erano “pessime indicazioni di supporto”.
La strega aggrottò la fronte alla domanda del collega, chiedendosi perchè non ci avessero pensato prima, prima di sorridere e stringersi nelle spalle:
“Asriel, la lavagna è indispensabile per riordinare le idee, la usiamo sempre al Dipartimento!”
“Questo lo so, peccato che ci troviamo su un fottuto treno in mezzo alla neve, non in ufficio! Ok, forse ci sono… James, vai a sinistra. Ma perché dobbiamo occupare la mia, di cabina, per la vostra lavagna?”
 
“Perché io sto in seconda classe, voi avete più spazio! E la mettiamo da te… perché sì.”


Asriel avrebbe voluto informare l’amica che quella risposta non lo soddisfaceva per nulla, ma decise di lasciar perdere mentre riusciva finalmente a far entrare la lavagna nella cabina indietreggiando. Zorba assistette alla scena dalla poltroncina foderata in velluto e lanciò un’occhiata scettica al padrone, quasi chiedendosi cosa stessero combinando.
“Dove la mettiamo, la dannata lavagna?”
Sbuffando, Asriel appoggiò la base della lavagna sul pavimento e si mise le mani sui fianchi, guardandosi attorno con scetticismo mentre Clodagh seguiva lui e James più arzilla che mai.

“Asriel, non parlare con quel tono di Geraldine!”
“Chi diavolo è Geraldine?! Anzi, no, non voglio saperne nulla. Muovetevi, andiamo ad interrogare la francese. E occhi aperti, mai fidarsi di una francese!”


“Perché odia i francesi?”
James si rivolse a Clodagh con un sussurro mentre seguiva il collega fuori dalla cabina, guardando l’amica stringersi nelle spalle con nonchalance, affermando di non averne idea ma di chiederselo a sua volta da diverso tempo.
 
*
 
“Ci sono ci sono ci sono! E’ stata la cantante lirica!”
“Lo dici solo perché ti ha svegliata ieri mattina! Perché diamine avrebbe dovuto farlo?!”
 
“Uffa Ro, sei barboso! Ok, va bene… CI SONO! Uno dei passeggeri uomini l’ha uccisa perché… perché è un suo ex amante!”
Delilah, in piedi davanti a Prospero nella sua cabina, sorrise raggiante mentre smetteva momentaneamente di misurare la stanza a grandi passi per rivolgersi speranzosa all’amico, che si limitò ad inarcare un sopracciglio con evidente scetticismo:

“Tra questi rientro anche io?”
“No Ro-Ro, anni fa mi hai giurato di starle alla larga, e se sapessi che come mio fratello ti sei fatto abbindolare dalla panterona ti toglierei il saluto.”
“Tesoro, siamo soli, puoi chiamarla per nome.”
“Nah, così mi piace di più. Allora, che ne pensi della mia geniale teoria?”
“Dico che è meno originale di un tubino nero.”
“C0s’hai contro il nero?!”


Delilah si portò entrambe le mani al maglione nero che indossava quasi si sentisse offesa, guardando l’amico scuotere la testa con un sorriso divertito prima di rassicurarla:
“Nulla Laila, scherzavo. Ma non pensi che il delitto passionale sia banale?”
“Beh, è un luogo comune, ma i luoghi comuni nascono da un fondo di verità, no? Chi può saperlo, magari ha fatto la stronza con altri, oltre che con mio fratello… e magari non tutti sono dei tonti come lui, qualcuno potrebbe aver reagito male.”
“Hai considerato una cosa? … e se l’ex amante… fosse donna?”


*
 
Corinne prese posto davanti ai tre Auror senza battere ciglio, guardandoli parlare tra loro seria in volto e rigidamente seduta sulla sedia.
Avrebbe ucciso per potersi fumare una sigaretta, ma qualcosa le diceva che non era il caso di interromperli chiedendo il permesso, così si limitò ad attendere in silenzio.
 
“D’accordo Signorina Leroux… è un problema per lei parlare in inglese?”
“No.”
Corinne rispose abbozzando un piccolo sorriso divertito, astenendosi dall’informare Asriel di parlare perfettamente quasi tre lingue, oltre al francese.
 
“Dov’è nata?”
“In Costa Azzurra, vicino a Nizza.”
“Quindi stava tornando a casa?”
Corinne annuì, e quando Asriel le chiese perché fosse stata a Berlino la strega gli spiegò di aver accompagnato il “carico” destinato alla vendita ad un ricco mago tedesco.
“Si chiama Lothar Von Alten, potete verificare, confermerà quanto dico.”
“Che genere di carico?”
“Cavalli alati, ovviamente. La mia famiglia alleva esemplari di Abraxan, Granio ed Etone da anni. Il nostro Haras (scuderia) è molto famoso in Europa.”
Corinne sorrise, leggermente compiaciuta, e fu allora che Clodagh realizzò perché il viso della strega le era familiare: l’aveva visto sui giornali.
“Ecco dove l’ho vista… lei è la campionessa!”
Corinne annuì, ringraziandola con un debole sorriso:
“Lo ero, a dire il vero ho smesso da due anni.”
“Perché? E’ giovane.”
“Ero stanca, gareggiavo nelle corse di cavalli alati da quando ero una bambina, praticamente. Ora collaboro con la vendita di cavalli insieme ai miei fratelli.”
 
*
 
Célestine, non correre!”
Ignorando i richiami della madre Pauline, che stava in disparte tenendo in braccio Cyril, il piccolo di casa di soli due anni, Célestine continuò a correre tra le gambe degli Abraxan, zigzando in mezzo agli alti cavalli alati. Corinne, al contrario della sorella gemella, teneva ubbidiente un secchio pieno di whisky di malto come il padre le aveva mostrato, lasciando che un paio di cavalli lo bevessero.
“Miel (Miele in francese Nda) è bellissima, vero papà?”
Corinne alzò la testa e sorrise al padre, indicando la cavalla palomina che aveva davanti. Gaston, in piedi accanto alla bambina di otto anni, annuì accarezzandole la testa prima di sfiorare il collo color crema dello splendido animale.
“Sì Coco… penso che la venderemo molto in fretta.”
“Perché vuoi venderla?! Non le vuoi bene?”
“Certo tesoro, ma è quello che facciamo… anche la scuola dove tu e Célestine studierete acquista Abraxas da noi, sai?”
Corinne annuì, dubbiosa, e sollevò una mano per accarezzare il muso della cavalla, che la lasciò fare placidamente scuotendo la lunga goda dorata e le grosse ali bianche.

“Dopo posso provare a montarla?”
“Lo facciamo insieme, d’accordo tesoro?”

Il padre le sorrise e Corinne ricambiò prima di appoggiare il secchio vuoto sul prato e dare un’altra carezza a Miel, che le diede un colpetto affettuoso sulla spalla con il naso.
Di certo, si disse la bambina con fermezza, sarebbe riuscita a convincere il padre a non vendere la cavalla, che lei stessa aveva battezzato Miel per via della particolare e calda sfumatura dei suoi occhi.
Corinne guardò fiduciosa l’animale, certa che sarebbe rimasta nella loro scuderia ancora per molto tempo: riusciva sempre ad ottenere quello che voleva.
 
*
 
“Ha viaggiato sola?”
“No, ero con Jerome, il mio assistente, ma dopo la vendita è tornato subito in Francia e io sono salita sul treno da sola. Anche lui potrà confermare quanto dico.”
“Conosce qualcuno sul treno?”
“Clara Picard. Eravamo compagne di scuola a Beauxbatons.”
“E conosceva Alexandra Sutton?”
Corinne esitò, guardando James scrivere la sua ultima risposta. Ripensò alla sua conversazione con Clara, e a tutte le volte in cui avevano discusso per colpa della strega. Infondo aveva sempre avuto ragione lei, fin dal principio.
 
“Sì.”
 
Corinne era la prima ad ammettere candidamente di conoscere la vittima, tanto che Asriel, Clodagh e James ne furono quasi sorpresi. Tuttavia, ripresasi in fretta dallo shock iniziale, Clodagh si affrettò a chiederle come l’avesse conosciuta e se sapesse della sua presenza sul treno.
“Non ne avevo idea, non ci parlavamo da molto tempo. Ho scoperto che viaggiava qui solo quando mi è giunta la notizia… beh, del decesso.”
“Alexandra Sutton viaggiava in Prima Classe, come lei. Davvero non l’ha vista sul treno? Alloggiava ad una cabina di distanza dalla sua.”
Asriel aggrottò la fronte, scettico, ma Corinne non si scompose e si limitò a ricambiare il suo sguardo prima di rispondere in tutta calma:
“Lei l’aveva vista, Monsieur Morgenstern? Prima di scoprire che era morta.”
“No.”
“Anche lei viaggia in prima classe. Dunque è plausibile che neanche io l’avessi incrociata. Sono sempre rimasta nella mia cabina per tutta la sera.”
 
Clodagh si voltò verso Asriel con un sopracciglio inarcato, guardandolo osservare la bionda prima di limitarsi ad annuire.
Era raro che qualcuno lo lasciasse senza parole. L’ex Tassorosso abbozzò un sorriso prima di passare alla domanda successiva, dicendosi che quella strega le piaceva.
 
*
 
“Parti di nuovo, principessa Coco?”
“Ho una gara importante. Non vieni a vedermi?”
Corinne, che stava sistemando con cura dei vestiti all’interno di una piccola valigia di cuoio italiano, si voltò verso la sorella gemella, che stava sfogliando un libro seduta sul suo letto.
“Non posso, domani c’è il test di Pozioni, ricordi? Non tutti hanno il privilegio di poterli recuperare quando vogliono andando e venendo.”
“Guarda che la Preside Apolline tratta con riguardo anche te, non solo me.”
Corinne fece la linguaccia alla gemella, che alzò gli occhi chiari al cielo e si strinse nelle spalle prima di alzarsi, osservandola con le braccia strette al petto:

“Solo perché comprano cavalli da noi. Dovrai accontentarti del tifo di Cyril.”
“Cyril ha 9 anni, non è la stessa cosa.”
Célestine si strinse nelle spalle prima di iniziare ad aiutarla a piegare i vestiti, chiedendole perché diavolo se ne portasse così tanti per stare via solo una notte prima che qualcuno bussasse alla porta della camera. Voltandosi Corinne sorrise nel vedere Clara entrare, guadando la compagna asserire di essere venuta a farle gli auguri:
 
“Ho visto che stanno sellando il tuo cavallo, sei pronta?”
Clara sorrise all’amica prima di abbracciarla, e Corinne ricambiò la stretta mentre la gemella esaminava il suo bagaglio:

“Oh, quasi Clara, prima sta mettendo in valigia tutto l’armadio. Ehy, ma quel vestito è mio, ladruncola!”
La maggiore delle due gemelle sollevò indignata un vestito azzurro che Corinne cercò di afferrare con una risata, implorandola di prestarglielo mentre Célestine lo teneva sollevato fuori dalla sua portata, asserendo categorica che poteva anche scordarselo.
 
*
 
“Come conosceva la Signorina Sutton?”


Asriel detestava Alexandra Sutton. Se gli avessero chiesto cosa pensava della strega, avrebbe candidamente risposto che l’aveva sempre ritenuta una vera stronza.
Non gli era mai piaciuta nemmeno a scuola, quando la Grifondoro si aggirava tra i corridoi con aria altezzosa. Non avrebbe mai dimenticato quando Alexandra, ritenuta dai suoi coetanei una delle studentesse più avvenenti del castello, gli aveva fatto delle avances chiedendogli di andare con lei ad Hogsmeade. Il rifiuto di Asriel era stato piuttosto brusco – vedeva come scaricava di continuo poveri ragazzi troppo ingenui – e sospettava che l’ego della ragazza non lo avesse mai perdonato.
Divenuti rispettivamente Auror e Magiavvocato, Asriel l’aveva vista spesso in delle aule di tribunale, impegnata a far assolvere maghi che lui stesso aveva acciuffato. Una mattina di un anno prima, dopo aver assistito disgustato e furioso all’assoluzione di un criminale che lui e Clodagh ci avevano messo settimane a stanare, si era dovuto trattenere dall’urlarle contro davanti a tutto il Wizengamot, o a lanciarle contro una fattura quando gli era passata accanto sorridendogli soddisfatta.
 
“Stronza di merda…”
“Asriel.”
Clodagh, seduta accanto a lui, gli aveva afferrato la mano e lo aveva guardato scuotendo vigorosamente il capo, intimandogli di lasciar perdere. Così Asriel era rimasto seduto, profondamente amareggiato, finchè la collega non aveva appoggiato la testa sulla sua spalla e gli aveva proposto laconica di mangiare una pizza per consolarsi.
 
Dovette fare appello a tutta la sua professionalità per chiamarla “Signorina Sutton”, osservando Corinne esitare prima di parlare con un debole sospiro, chinando lo sguardo sulle proprie mani curate.
“Io e Alexandra abbiamo avuto una relazione, alcuni anni fa.”
 
*
 
“E’ davvero bellissimo. E’ veloce?”
Corinne accarezzò il collo del cavallo grigio che aveva davanti, osservandolo affascinata mentre suo padre la guardava con le braccia strette al petto e un sorriso sulle labbra, curioso di assistere alla sua reazione.
“Velocissimo. Ne ho visti pochi di così, in tutti questi anni.”
“Beh, sono certa che andrà a ruba, faranno offerte da capogiro per averlo, una volta addestrato a dovere.”

Corinne sorrise all’animale, dandogli una pacca sul lungo collo mentre Gaston le si avvicinava, mettendole una mano sulla spalla:
“A dire il vero non pensavo di venderlo.”
La figlia si voltò e lo guardò confusa, capendo quando decifrò il sorriso divertito del padre:
“Vuoi dire che…”
“Io e tua madre pensavamo di farti un regalo. Dopo la tua serie di vittorie dell’anno scorso, ci sembra il minimo.”
Corinne spalancò gli occhi azzurri prima di sorridere radiosa e abbracciarlo, ringraziandolo a ripetizione e promettendogli di trattare più che bene il cavallo.
“Grazie papà! Ti voglio bene.”
“Anche io Coco. Prometti di vincere anche il prossimo campionato?”
“Che domande, è ovvio. Io e Éole faremo faville insieme, ne sono sicura.”
Corinne, le braccia ancora strette attorno al collo di Gaston, volse lo sguardo sul cavallo all’interno della scuderia con un sorriso luminoso, guardandolo compiaciuta.

“Éole? Mi piace.”
 
*
 
“Come vi siete conosciute? E quanto è durata?”
In quel momento Corinne aveva la più completa attenzione dei tre Auror, e se in altri contesti le avrebbe fatto piacere in quel momento si limitò a distogliere lo sguardo, continuando a tormentarsi le mani l’una con l’altra.
“L’ho incontrata quando ha comprato una grande casa vicino a Nizza, non molto lontano da quella della mia famiglia. E’ durata due anni. L’ho lasciata io, alla fine. Mi aveva colpito il suo carisma, il suo carattere forte… la sua bellezza. Ma non era come sembrava, negli ultimi mesi discutevamo spesso.”
“E lei come l’ha presa?”
“Non bene.” Un sorriso amaro increspò le labbra dell’ex fantina, che si affrettò a continuare e a spiegarsi meglio:
“Provò a riavvicinarsi a me, ma non glie l’ho mai permesso. Immagino che non fosse avvezza ai rifiuti, se l’avete conosciuta potete immaginarlo.”


Asriel si trattenne dall’emettere una risata sprezzante, immaginandolo anche troppo chiaramente mentre osservava la francese, curioso dalla piega inaspettata che l’interrogatorio aveva preso.
 
“Alla fine decise di vendicarsi… la nostra relazione era rimasta segreta, al di fuori della mia famiglia, avevo insistito io. Volevo un po’ di privacy, per una volta. Alexandra pensò bene di spiattellare un mucchio di dettagli… privati alla stampa. Casa mia e l’azienda di famiglia sono state invase dai giornalisti per settimane, i miei genitori non l’hanno presa bene. E gli affari ne hanno risentito parecchio.”
 
“Come mai?”
“Eravamo due donne, suppongo che non tutta la società magica francese sia ancora… abbastanza aperta di fronte a certe questioni. E Alexandra, suppongo sempre per ripicca, divenne il consulente legale del nostro principale rivale in Francia. Da allora gli affari gli sono andati a gonfie vele.”


Corinne accennò ad una piccola smorfia con le labbra, chiedendosi ancora una volta come avesse potuto innamorarsi di un’arpia simile. Forse avrebbe dovuto parlarne a Clara fin dal principio. Magari lei le avrebbe aperto gli occhi come anche sua sorella aveva cercato di fare molte volte.
 
*
 
Finn scarabocchiò sulla frase che aveva appena finito di scrivere con uno sbuffo, ripetendosi che non andava bene prima di provare a rimetterla per iscritto. Alfaar faceva come sempre capolino dalla tasca della sua giacca, ma si nascose quando vide arrivare un piccolo ammasso di pelo bianco e fulvo.
Udendo la cagnolina abbaiare l’ex Corvonero alzò lo sguardo prima di abbozzare un sorriso e allungare una mano per accarezzarla, udendo al contempo il sospiro rassegnato di Lenox, che raggiunse Polly tenendo le mani sprofondate nelle tasche dei pantaloni blu notte del completo che indossava:
“Devi abbaiare ad ogni animale che incontri, Polly? Scusa se ti ha disturbato.”
“Non fa niente, non riuscivo a scrivere nulla di soddisfacente comunque.”
 
L’ex Corvonero accennò con disapprovazione al suo quadernino nero e Lenox inarcò un sopracciglio con curiosità, chiedendogli cosa stesse scrivendo.
“Oh, il mio secondo libro di critica al pessimo sistema giudiziario magico attuale.”

Per un istante, mentre Finn giocava con Polly, Lenox si domandò se non fosse il caso di dirgli di aspirare alla carriera di avvocato fin da quando si era diplomato ad Hogwarts e di essere riuscito a raggiungere quel traguardo di recente, ma decise che probabilmente era meglio soprassedere.
 
*
 
“Per Godric, certo che questo treno è pieno di mici! Peccato che non ci sia anche qualche cane. Mi manca Brutus! Chissà se sta mangiando…”
 
May sospirò tristemente mentre sferruzzava ai ferri con della lana bianca, intercettando l’occhiata perplessa che Renèe – che teneva Artemis in braccio – le rivolse:
“May, dubito che il tuo colosso di cane possa smettere di mangiare… Che cosa stai facendo?”
“Una sciarpa per Pearl, o almeno ci provo. Di certo dovrò farmi perdonare per l’assenza quando torneremo… Cosa potrei regalarle?”
“Non sono esperta di gusti di bambine di cinque anni… una bambola? Alla sua età mi rendevano sempre felicissima. Anche io devo pensare ad un regalo per mio nipote.”
Renèe parlò aggrottando la fronte, accarezzando distrattamente il morbido pelo chiaro di Artemis mentre May ridacchiava pensando ai numerosissimi fratelli dell’amica:
“Ti ci vedo proprio, zia amorevole di un mare di nipotini!”
“Mi piacciono i bambini, ma spero che i miei fratelli non trasformino il negozio di famiglia in un asilo. E riempirsi di marmocchi sarebbe un po’ un impedimento per il nostro lavoro.”
Renèe lasciò Artemis sul pavimento, permettendole di andare a giocare con un sonaglietto rosa prima di voltarsi nuovamente verso l’amica, cogliendo così l’espressione sul suo viso cosparso di lentiggini e maledicendosi mentalmente:
“Oh, scusami May. A volte ho una boccaccia, lo sai.”
La minore scosse la testa e le si avvicinò, sedendo accanto all’amica che però si strinse nelle spalle e sorrise debolmente, continuando a sferruzzare.
“Non importa. Lo sai che amo tantissimo Pearl, e il mio lavoro non mi dispiace. Avrei preferito fare altro, certo, ma è andata così… non serve a nulla guardarsi indietro.”
“Se potessi farlo… cambieresti qualcosa?”
May smise di intrecciare la lana, esitando prima di scuotere la testa con un piccolo sorriso nel pensare alla dolce e fin troppo sveglia bambina che aspettava con ansia il suo ritorno a casa:
“No. Non rinuncerei a lei nemmeno per fare tutto ciò che avrei desiderato. Posso sempre fotografare per hobby, no? E chissà, magari viaggerò di più quando sarò più vecchia… Un po’ come te, che hai lasciato la danza solo come una passione.”
Renèe annuì, sorridendole di rimando prima darle un buffetto affettuoso sul braccio:
“Sì, immagino di sì. Se sei felice, allora va bene così. E anche se devi migliorare le tue tecniche di lavoro a maglia, io e Pearl ti vogliamo bene lo stesso.”
 
*
 
 
“Coco. C’è… C’è Clara. Vuole vederti.”


Da quando avevano vent’anni, Corinne e la gemella si erano trasferite nella dependance con piscina presente nell’enorme tenuta sul mare di famiglia. Corinne, in piedi davanti alla finestra lanciando occhiate d’odio puro allo stuolo di paparazzi appostato oltre i cancelli, si voltò di scatto sentendo la voce della sorella: stava per implorare Célestine di dire all’amica che non era in casa – non era assolutamente pronta per vederla, non ancora – quando accanto alla gemella, più seria che mai, apparve la silhouette familiare dell’ex compagna di scuola, che la guardò stringendo qualcosa in mano e con i grandi occhi scuri lucidi.
 
“Clara…”
“Pensavi di dirmelo, prima o poi?! Ti rendi conto che ho dovuto scoprirlo leggendo un giornale?!”
Probabilmente Corinne aveva temuto quel momento sin da quando la relazione tra lei e Alexandra, tenuta segreta per due anni, era finita su tutti i giornali e le riviste magiche francesi. In due anni, non aveva mai avuto il coraggio di dire la verità alla sua più vecchia amica.
“Clara, ti assicuro che è finita, l’ho lasciata io. Si è vendicata spifferando tutto alla stampa, quella…”
Corinne mosse un passo verso l’amica, che però non la lasciò finire e scosse la testa con vigore, lanciandole contro il giornale prima di stringere le mani pallide a pugno lungo i fianchi, quasi tremando di rabbia.


“Non mi importa. Non mi importa chi ha lasciato chi, m’importa che sei stata per due anni con quella stronza e non ti sei neanche sognata di dirmelo. Dopo quello che ha fatto alla mia famiglia, tu… tu ci sei stata insieme? Che razza di amica sei?”
Corinne volse lo sguardo sulla gemella quasi in cerca di supporto, ma Célestine rimase in silenzio in disparte, le braccia strette al petto e il capo chino. Probabilmente infondo la pensava come Clara, visto che non aveva mai approvato quella relazione e Alexandra non le era mai piaciuta.
“Lo so. Mi dispiace tanto. Non ne vado fiera per niente. Ma ti assicuro che non ne voglio più sapere di lei.”
“No m’importa Corinne. Forse invece vi meritate a vicenda.”



Pietrificata dalle parole traboccanti disprezzo dell’amica, Corinne non riuscì a cercare di trattenerla quando Clara, lanciatole un’ultima occhiata gelida, girò sui tacchi e uscì dalla stanza con i lunghi capelli scuri che le ondeggiavano sulle spalle.
Quando udì la porta d’ingresso sbattere con veemenza la strega sospirò, lasciandosi scivolare su uno dei divani bianchi e prendendosi la testa tra le mani.
 
“Ha ragione, vero?”
“No Coco, è solo arrabbiata ed è più che comprensibile, ma sono certa che risolverete. Tu sei migliore di lei. Capito?”

Célestine sedette accanto alla sorella e le prese le mani, costringendola a guardarla prima di abbracciarla, mormorando che avrebbero risolto anche quell’insidiosa situazione.
 
*
 
“Com’è andata?”
Corinne trovò Clara ad aspettarla nel corridoio che collegava il vagone ristorante ai vagoni delle cabine, stringendosi nelle spalle prima di asserire di aver bisogno di una sigaretta.
L’amica alzò gli occhi al cielo, ma decise di lasciar perdere – lei e la famiglia di Corinne tentavano di persuaderla a smettere da anni, ma senza successo – e accettò l’invito dell’amica ad accompagnarla all’esterno del treno.
“Gli hai… raccontato di lei?”
“Sì. Ovviamente ho sottolineato che non sapevo che avrebbe viaggiato qui e che non c’entro nulla. Spero che mi abbiamo creduto. Bonjour.”
 
Uscita sulla terrazza, Corinne rivolse un cenno di saluto a Ruven, che stava fumando a sua volta. Anche Clara guardò lo chef, abbozzando un sorriso divertito:
“Bonjour, Monsieur Le Cuisinier.”
“Devo ancora capire se mi prende in giro o meno.”
“Ci mancherebbe. La colazione era ottima, comunque.”


Ruven si voltò e le lanciò un’occhiata dubbiosa, come a voler comprendere se fosse seria o meno, ma vedendola sorridere gentilmente si persuase che fosse sincera e la ringraziò pacatamente prima di tornare a concentrarsi sulla sua sigaretta.
Corinne si appoggiò alla ringhiera e accese la sua sotto lo sguardo di Clara, che sospirò e si ritrasse per evitare di essere investita dall’olezzo:
“Prima o poi mi spiegherai perché ti ostini a fumare sapendo che fa male… E sei anche una sportiva. C’est de la folie!” (E’ una follia)
“Vorrà dire che mi assisterai al capezzale, chèrie.”
 
*
 
 
Terminato il colloquio con Corinne, Asriel aveva lasciato momentaneamente il vagone ristorante per chiamare un altro passeggero. Nel farlo attraversò il vagone della I classe, fermandosi di colpo di fronte alla porta della sua cabina. Socchiusa.
Non era uscito per ultimo quando lui, James e Clodagh l’avevano lasciata meno di un’ora prima, ma era certo che avessero chiuso la porta dietro di lui.
Eppure, un terribile dubbio s’insinuò rapido nella sua mente: l’avevano sigillata con un incantesimo?
 
Dopo una breve esitazione, Asriel prese la bacchetta e aprì la porta, trovando però la cabina completamente deserta.
 






 
 
 
 
 
 
…………………………………………………………………………………
Angolo Autrice:
So che il capitolo doveva arrivare ieri, ma purtroppo qui il WiFi ogni tanto decide di fare sciopero -.-
Detto ciò, spero che il capitolo vi sia piaciuto, grazie per le recensioni e per i voti super puntuali <3
Il prossimo dovrebbe arrivare il 1 marzo, e vi chiedo di votare tra:
 
Lenox
Renèe
Clara
 
Una piccola precisazione che già ho fatto ad alcune persone in privato… Non ci saranno capitoli di approfondimento sugli Auror, visto e considerato che non sono indagati e che non hanno un movente per la morte di Alexandra.
A presto!
Signorina Granger
 
   
 
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