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Autore: amirarcieri    25/02/2021    1 recensioni
Wyatt fin dalla nascita ha sempre sentito la mancanza di qualcosa, come ad essere stato privato di una parte importante di se stesso, ma nessuno gli ha mia dato conferme. Soltanto domande delle quali solo lui era a conoscenza e risposte a cui doveva trovare un riscontro mediante gli altri.
Un giorno Wyatt decide di andare dalla madre per farsi raccontare il segreto che nasconde, ma non è del tutto certo della sua decisione, perché privo di prove certe.
Il caso vuole che proprio nello stesso giorno, Wyatt, incontra una ragazza che lo scambia per un altro ragazzo e allora lì, Wyatt, non ha più dubbi.
Dopo averla invitata a pranzare a un ristorante, è certo che il suo pensiero è pieno di fondamento.
Genere: Commedia, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 6


 

"La ragazza con il vestito blu e i capelli caramellati."


 


 

 

 



«Ma non ti preoccupa minimamente l'idea di poter essere immortalato in una foto con me?» sbandierò Diana preoccupata.
Si era appena barricata nella macchina e non gli passava neanche di striscio l'idea di scollarsi da quel sedile.
In tutto questo, i due martiri rimasti vittime – Wyatt e l’autista si intende - del suo richiamo stavano cercando di farla ragionare, ma lei neanche li stava a sentire.
Teneva le gambe incrociate allo stesso modo delle braccia e fissava il movimento sciolto delle persone che andavano e venivano dall'aeroporto in modo superficiale.
«Tanto nel bene o nel male troveranno sempre qualcosa di illecito sul quale sparlare nelle riviste» comunicò Wyatt più docile del solito.
«Appunto. Meglio che l'illecito sia argomentato su UNO anziché DUE» insistette Diana, appesantendo l’intonazione vocale nei numeri uno e due.
Diana era stata presa da così tanti pensieri che aveva dimenticato quello di più essenziale importanza.
E non si stava parlando di un pensiero frivolo del tipo: ho dimenticato di andare in palestra per capriccio o ancora peggio del dover cambiare lo smalto alle unghie.
Questa era una faccenda seria. Con tutto di annessi e connessi.
Diana se lo chiedeva e richiedeva. Come aveva potuto permettere che accadesse una cosa del genere?
Come aveva potuto dimenticare proprio quello che le interessava direttamente in prima persona?
E come poteva credere che non si verificasse?
Non riusciva proprio a trovare pace e più ci rimuginava, più la sua voglia di farsi prendere a mazzate si faceva lecita nella sua mente.
Non gli andava proprio di essere il nuovo soggetto degli scoop di quei giornali scritti da editori con un cervello paragonabile a quello di una gallina, né la causa dei nuovi scandali di Wyatt, e una volta usciti dalla macchina per prenotare il volo, i loro inopportuni obbiettivi mimetizzati in mezzo al traffico urbano, li avrebbero congelati in una foto equivoca su cui montare su una storia falsa senza alcuna credibilità.
Le inaugurazioni di un nuovo flirt passeggero, lo sviluppo delle minacce aperte delle fan che si sarebbero sentite cornificate dal loro idolo e per finire il ricovero in ospedale dell’innocente di turno a causa di un forte crollo emotivo.
Un brivido si fece strada lungo la scia della sua schiena facendogli muovere celere la testa per sopprimerlo.
Non doveva apportare cose simili nella sua mente o solamente immaginarle.
Non era corretto nei riguardi del chiamato in causa e neanche di grande aiuto per il suo coerente ragionamento.
Se solo ripensava a quanto fosse stato agevole passare per l'albergo, facile come bere un bicchiere d'acqua, una risata tagliente si ampliava nella circonferenza delle sue labbra.
Era stato esilarante come in soli dieci minuti era riuscita a soddisfare tutte le sue esigenze primarie: il cambio di indumenti - con qualcuno seduto sul letto che si era mostrato particolarmente interessato alla sua marca d’intimo – fu più veloce dello strappo di un cerotto.
La messa in piega riordinata – con qualcuno che si lamentava della scocca fissazione che fossero fuori posto quando erano perfetti – un capriccio al bacio.
E la valigia riempita con l'indispensabile – con il totale disinteresse delle persone che l'avevano avuta al suo fianco – liscia come l’olio.
Nessun inciampo comunicativo o riconoscimento della vanesia star.
Ma uscire all'aeroporto insieme a quell'individuo chino davanti a lei, che tra l'alto cominciava a stufarsi del suo infondato comportamento, era tutta un’altra bega. Bega che costituiva in primis la sua tanto amata privacy.
«Dai Diana!» le disse provandola a prenderla con parole complesse e profonde.
«Tanto non cambia niente. Anche se fossi solo troverebbero qualcosa di impensabile e illegale su cui scatenare commenti sgradevoli» caricò quindi più irato.
E in fondo non era una balla per cercare di persuaderla.
Wyatt sapeva a cosa esattamente a cosa stava pensando la ragazza.
Come puoi vivere in una realtà tossica fatta di compromessi e infamie?
Non te ne adattavi, non lo accettavi neanche, semplicemente ti convincevi di volerlo.
Dopotutto, questo il prezzo da pagare per la fama avuta. Il costo che ogni persona famosa che sia stata, doveva puntualmente scontare in cambio del loro successo planetario.
Era da sempre stato così e sarebbe continuato ad esserlo.
Qualunque cosa avesse fatto una celebrità, anche la più innocente, i paparazzi avrebbero trovato un paradosso su cui alimentare stronzate.
Wyatt fuma: drogato.
Wyatt è dimagrito: anoressico.
Wyatt è in compagnia di una sconosciuta: puttaniere.
E ancora Wyatt ha un nuovo tatuaggio: cattivo esempio.
Era un punto di vista arduo da gestire, ma che valeva la pena sopportare per poter continuare a far vivere il proprio sogno. O almeno finché non cominciavi a sentirne il malessere costante della sua massacrante influenza.
«Alla fine ci fai l'abitudine e non ti scalfiscono neanche più» completò, fissandola con fare comprensivo.
Intimidita da quel comportamento, Diana abbassò la visuale nel braccio proteso verso di lei, dove vide il tatuaggio di un cuore tribale.
«E della tua “fidanzata” che mi dici?» nel pronunciare la provocazione, la ragazza tornò tenacemente a guardarlo. Aveva usato la definizione “Fidanzata” con un’astuta acidità perché fin dall’inizio aveva trovato quella commedia Shakespeariana scritta con i piedi più finta della sua prima tinta biondo cenere.
«Metti caso gli venga in mente di accecarmi un occhio con un tacco a spillo dodici» Wyatt fece un mezzo sorriso nel sentire l’ipotesi tragi – comica immaginata dalla ragazza.
«Lana non è un più un problema. Io... non la amavo. Lei... non mi amava. Ci siamo lasciati di comune accordo. E si è tutto risolto in tempo record» le raccontò privo di alcuna emozione nel viso pallido e scarno.
Il pensieri principale di Diana fu “Lo sapevo che era tutto studiato a copione”. Tuttavia, ci pensò comunque su un attimo per trovare un’altra scappatoia su cui marciare e averla vinta, ma avere il suo sguardo stabile su di lei, la faceva sentire a disagio.
Non sopportava proprio che la fissasse in quel modo. Proprio per questo non riusciva a riflettere appropriatamente.
Lamentava di un senso di agitazione spontanea dovuta al riscontro dei suoi occhi che erano il calco simmetrico del gemello.
«D’accordo» si arrese lei, sbuffando scocciata. L’aveva fatto giusto per fargli scrollare lo sguardo dalla sua figura. Non aveva voglia di riaffrontare mentalmente i fantasmi amorosi del suo passato ancora fresco.
«Ma bada che se per caso a qualche tua fan sfegatata venisse l’insana idea di farmi un agguato morale o fisico, sarai tu a farmi da scudo» principiò, volando subito dopo fuori dall'automobile con un salto.
Wyatt fu talmente divertito dalla sua condizione, da mettere in atto una medievale messinscena improvvisata.
«Qui per servirla Milady» le recitò. Poi in contemporanea chinò il capo sul petto, portò una mano sull'addome e piegò leggermente la gamba verso sinistra.
Diana cominciò a pensare che le stesse dando il ruolo della dama indifesa e lui si fosse preso quello dell’ardito cavaliere incaricato di proteggerla durante le sue passeggiate in giardino.
La cosa le parve stucchevolmente sovradimensionata, da fargli rimangiare ogni parola condivisa.
«Ho cambiato idea. Mi basto da sola» sputò dura come la roccia.
«Ogni sua soave parola, corrisponde ad un ordine per me» le disse con un sorriso a trentadue denti che sembrava più uno sfotto.
Quindi le tese la mano come per siglare un accordo tra i due, ma Diana la scaccio via spazientita, per poi avviarsi altezzosamente verso il cofano della macchina così da recuperare la sua valigia.
«Dai andiamo che perdiamo il volo» incitò ora impaziente di partire. Aveva impugnato il manico della sua valigia ciano brillante e si era messa gli occhiali da sole cat eye per sembrare più anonima possibile.
L’autista sollevò le sopracciglia sconcertato. Wyatt in risposta lo guardò facendo spallucce.
«Si lo so. Lei è Diana. Che posso farci?» lo anticipò il più anziano.
«Lei è Jenny» Wyatt marcò il soprannome che le aveva assegnato per tenerglielo bene in mente.
L'autista lo appuntò con una guardata esterrefatta.
«Stare con lei ti ha fuso il cervello» concluse e gli passò il bagaglio.
«Era già fuso di suo e comunque io la trovo strana forte» Wyatt afferrò la valigia, stampandosi sulle labbra il sorriso più paraculo dell’universo.
Così, dopo aver racimolato ogni oggetto da loro caricato, si immersero dentro quella struttura sovraffollata da una chiassosa babilonia che andava dai sessantanni ai quindici.
Con pochissimi passi percorrerono metà del tragitto che avrebbero dovuto fare e mentre si apprestavano a fare il Check-in poterono individuare le varie classi tipiche del posto: c'era chi attendeva l'arrivo del suo volo, chi prenotava, chi partiva o all'opposto tornava da un beneamato viaggio.
L’aria e gli odori cambiavano a secondo della nicchia in cui ti ficcavi.
Questo valeva a dire che poteva profumare di cornetto al cioccolato come appesantirsi in un pestilenziale puzzo di sudore umano.
La fila nella quale si erano posizionati, stranamente non era per niente infinita, anzi, davanti a loro si contavano presso a poco cinque persone. Anche l'andamento era abbastanza svelto.
Quando fu il loro turno, Diana non capì se la ragazza posta nel rispettivo lato inverso avesse riconosciuto la giova star o fosse stata ammaliata al primo sguardo.
Lo guardava come se fosse un Dio appena sceso sulla terra per mostrare noi che esistesse qualcosa di più immane degli spiriti mortali.
Un essere circondato da migliaia di donne, soldi e contratti che davano lui l'opportunità di aprire altre porte utili per la sua formazione ancora in ascesa.
A parte questa piccola parentesi - più simile a uno spudorato flirt che a una prenotazione - fu tutto molto semplice e rapido.
Ora seduti uno di fronte all'altra nella sala d'attesa, i due ragazzi attendevano che le famigerate tre ore che avrebbero segnato l'arrivo del loro volo passassero leggiadre.
Non sapendo cosa fare, Diana si armò di telefono per twittare qualcosa di relativamente sostanzioso.
<All'aeroporto con un compagno speciale. C'è gente che ucciderebbe per trovarsi al mio posto>
Diana era sicura che nessuno dei suoi cento follower avrebbe mai decodificato il suo contenuto elusivo.
Se voleva sfruttare la cosa, si sarebbe dovuta fare una fotografia con lui e Twittare qualcosa del tipo "Guardate con chi sto viaggiando? Da non credersi eh?" vedendo i risultati favoriti o disistimati che quel suo momento di popolarità avrebbe scatenato sui social.
Ma a lei non interessava questo genere di attenzione. Era una ragazza abbastanza basica e fiscale sulla sua privacy.
C’era gente che inventava le vicende più fantasiose o scriveva intenzionalmente qualcosa di provocatorio solo per salire di numero di seguaci, tuttavia esistevano anche persone come lei che preferivano continuare ad essere ignorate parlando dell’assoluta verità del loro pensiero.
«Che cavolo stai leggendo?» chiese poi al suo compagno di viaggio che teneva aperto nella mano destra un romanzo, il cui titolo le riusciva difficile da identificare.
La ragazza quindi si alzò dal suo posto e si andò a sedere a quello appiccicato al ragazzo.
«Dieci Piccoli indiani? Cominci con qualcosa di impegnativo» lo stuzzicò dopo essere riuscita a leggere il titolo e l’autrice.
«In realtà la mia primissima lettura è stata Spider Man» le confessò lui passivo.
«Vale no?» si assicurò poi avendo un dubbio esistenziale. Il libro gli era finito poggiato semiaperto sul grembo.
«Si, diciamo che passa come lettura» gliela convalidò poiché la sua era stata un manga.
«Però ora che facciamo? Hai tutto il tempo per leggere durante il volo» chiese quest'ultima per agganciare parola.
«Quello che ti va» capendo ci non poter leggere più di due righe messe inseme, Wyatt rintanò il romanzo nello zaino. Quindi si era accomodato nella sedia come fosse a casa sua: gambe e braccia aperte che gli davano quel suo ormai celebre aspetto da sfaticato.
«Mmm..» Diana chinò la testa a sinistra per aiutarsi a pensare.
«Giochiamo a obbligo o verità» suggerì esuberante senza chiedere. Con lei una scelta non c'era. Per questo non domandava mai.
«Ok! Inizio io?» la assecondò. Anche se parve più che gli avesse chiesto il permesso di andare in bagno.
«Vai sono pronta! Scelgo...» Diana soppesò attentamente lo sguardo ambra del ragazzo. Distogliendolo non poco dopo.
Per non farsi contagiare dall’effetto di quel contatto, si chiese su che livello di malizia venissero concepiti i suoi obblighi.
Ad esaminare la sua persona non sembrava il tipico s*****o con in possesso una quantità di b***********e capace di partorire obblighi disagevoli, ma proprio per questo doveva stare prudente.
Solitamente era proprio questo genere di persone a mostrarsi più perfidi della perfidia stessa.
«Obbligo» disse a mento sollevato. Voleva vedere che cosa avrebbe ingegnato la sua mente perversa. Perché di una mente perversa di stava di certo parlando.
«Mh!» il ragazzo mise una mano sotto il mento per pensare, ma non ideò nessun geniale e spassoso obbligo.
Voleva concepire qualcosa che l’avrebbe abbondantemente irritata. Qualcosa di illuminante e vittorioso
Perciò fu la sua volta di esaminarla più scrupoloso di una visita dermatologa: dei comodi stivaletti scamosciati color petrolio, una camicia verde marino infilata dentro i Skinny Jeans bianchi e totale assenza di trucco.
Wyatt, contrasse la fronte particolarmente risentito.
Nessun indizio utile.
Niente di eccentrico, eccetto che fosse una sfacciata ragazza acqua e sapone.
Stava per dare la sua disfatta, ma poi, Wyatt si voltò, e finì per essere fulminato da una ragazza, il cui caso volle, passasse proprio davanti a loro.
Era bellissima.
Aveva dei sottili e mossi capelli caramellati che ricadevano sull’ovale sfilato del volto, gli occhi di un ghiaccio disarmante e un fisico leggiadro, ma carnoso nei giusti punti.
L’abito che indossava era in velluto blu a scollo quadrato con la gonna svasata che gli falciava l'attacco coscia, mostrando le sue eccelse gambe.
Ma la cosa che più lo folgorò non fu il suo aspetto fisico quanto la sua stazza, praticamente equivalente a quella di Diana.
Il ragazzo perciò spostò lo sguardo a quest'ultima e per lui fu elementare collegare i due indizi.
«Devi scambiarti di abiti con quella ragazza» la intimò di umore frizzantino.
Certo non era un obbligo abbastanza bastardo da provocare la sua umiliazione e di conseguenza ribellione, però sapeva che l'avrebbe infastidita. Doveva per forza infastidirla notando il caratterino genuino che si ritrovava.
Diana segui la traiettoria del suo dito e spalancò la bocca scioccata.
Le venne da pensare che non fosse più questione di bastardaggine, ma proprio sadicità.
Guardava la ragazza camminare e nel frattempo coglieva quegli irrilevanti dettagli cospiratori di una catastrofe assicurata.
Quei tacchi a spillo - alti più o meno tre centimetri – sarebbero stati una sanguinosa tortura che le avrebbe tolto la facoltà di camminare per dodici ore abbondanti.
E cosa dire del vestito invece?
Con il portamento grezzo che si ritrovava, più che una vamp ammaliante, sarebbe somigliata ad una donna delle caverne ubriaca travestita per la sfilata di carnevale.
A quel punto Diana, si voltò verso di lui con ancora quell'espressione impressa sul volto.
«Cosa c’è? Stai per caso pensando di swishare?» le lesse in faccia Wyatt.
Fu allora che Diana capì di non dovergliela dare vinta.
Non a lui.
E il suo nuovo obbiettivo, adesso si era mutato in quello di strappargli dalle labbra quell'insopportabile sorriso da ebete che la sapeva lunga sul da farsi.
«Scordatelo. Guarda e stupisci» gli disse con l’aria più dignitosa che possedeva. Quindi si alzò e lanciandogli una bomba atomica di sguardo, inaugurò la sua breve marcia verso quella povera ragazza inconsapevole di essere vittima del loro scellerato gioco.
«Scusa» nel chiamarla, Diana la sfiorò per un braccio buzzurra.
«Si?» la ragazza si voltò con un cipiglio sul volto. Cercava di capire per quale arcana ragione una perfetta sconosciuta l’avesse fermata.
«E..ecco.» solo in quel momento si rese conto quanto imbarazzante sarebbe stato lo scontare la condizione dell’obbligo.
«Piacere sono Diana» fece nel pallone totale.
«Io sono Joy. Molto piacere» rispose lei sorridendole candidamente.
«Si senti, nell’attesa del nostro volo, io e un tizio stiamo giocando a obbligo o verità» Diana cercò di buttare fuori dal suo cervello la paranormale idea di fare lo scambio di corpo con quest'ultima, pur di evitarsi quella pietosa figura di popò.
«Okay» Joy acconsentì con lentezza per fargli capire che stava seguendo il suo discorso.
«Io come avrai intuito ho scelto obbligo» Intuito.
Come poteva saperlo?
Diana delle volte era più deficiente di quel baggiano che le aveva dato un obbligo tanto irrisorio.
«E cosa comporterebbe quest'obbligo? Un bacio?» domandò Joy con lo sguardo ghiaccio penetrante. Aveva giustamente ipotizzato che fosse l’obbligo più scontato in questi tipi di gioco.
«No, non è un bacio» rispose fin troppo impulsiva. Poi si voltò per perforare negli occhi il diretto interessato come un proiettile senza aspettare una sua presuntuosa replica facciale.
«E comunque l’obbligo è che dobbiamo scambiarci i vestiti» disse di corsa.
Joy rimase un po’ perplessa da quella proposta e il viso di Diana si stizzi in reazione.
«Ma se non vuoi no eh?» le evidenziò, malgrado questo significasse perdere vergognosamente contro quel baggiano di prim’ordine.
«Però ti avverto che il tizio che l'ha dettato si crede un uomo di mondo e poi non ha mai mangiato la pizza Italiana. Cioè, la pizza Italiana. Capisci?» con quella battuta sarcastica
Diana riuscì a convincerla perché la ragazza sprigionò un sorriso che avrebbe fatto concorrenza alla Venere di Botticelli per quanto dolce e splendete fosse.
«Ok! Mi hai convinto!» esclamò divertita. Poi la incitò con la mano a seguirla nei bagni dell'aeroporto.
Ci misero poco a cambiarsi – ognuna in un divisorio di bagno diverso - e quando Diana si infilò il vestito, immediatamente, avvertì l'alternanza del suo modo di vestire con quello che sporadicamente maneggiava su se stessa, ma che intimamente adorava.
«Il tuo amico ha un ottima vista» improvvisò Joy nel mentre che sbottonava audacemente i due bottoni iniziali della camicia.
Quando uscendo dal rispettivo divisorio, si erano viste dentro le vesti dell’altra, aveva fatto ad entrambe uno strano effetto, ma furono pervase anche da un insopprimibile entusiasmo.
«Come faceva a sapere che ci sarebbero stati a pennello?» le chiese Joy.
«Già, come faceva a saperlo?» domandò Diana alla sua ragione. Aveva come l’impressione che avesse memorizzato le sue misure quando si era cambiata in albergo.
Come era potuto risalire alle sue taglie da donna con una sola occhiata?
Possedeva forse un metro da sarto per cervello?
Diana era a conoscenza di gente dotati di capacità sovrumane quali l’orecchio assoluto o la memoria fotografica. Ma questo superava persino il surrealismo truffato con cui i mentalisti ti leggevano la mente.
L’immagine di mammifero bisognoso di carezza che aveva di lui, si stava sollecitamente tramutando in quella di uno specialista di porno come Rocco Siffredi.
«Stai da favola!» le disse Joy franca. Si era messa dietro di lei a braccia incorniciate e ne ammirava le forme morbidamente seducenti ben evidenziate dalla stoffa di velluto del vestito.
«Grazie! Non pensavo potesse donarmi così bene» Diana accettò il complimento, non riuscendo a smettere di guardare il suo riflesso. In fin dei conti il suo reale pallino non era mai stato il vestito.
Diana adorava i vestiti. Adorava sopratutto ogni qual tipo di capo, oggetto o accessorio che le avrebbe valorizzato il corpo femminile.
Tutto, eccetto i tacchi.
Non sapeva il perché, ma aveva sempre avuto questa insana paura e forse l'insicurezza di non saperli portare era stata sua complice giurata fin dalle origini.
«Potrei sapere chi è il tuo amico? Dovresti farmelo conoscere» Joy le fece una richiesta opportuna, ma che per Diana figurò come una tragedia senza pari. Ed ecco che la spettrale sinfonia di Beethoven si faceva spazio nel suo cervello.
E adesso?
Adesso, cosa avrebbe dovuto fare Diana?



NOTE AUTRICE: Ma ciaoooo. Si, non smetterò mai di rompervi le scatole con le mie storie. Che potete farci? 
Beh, questo è il sesto capitolo. Che ve ne pare? 
I due protagonisti vi piacciono sempre di più o di meno? 
E di Joy chemi dite? Se per adesso non vi ha detto molto vedrete che nel propssimo e i prossimi avrà modo di imporsi di più nella trama. 
Ma  secondo voi ora che farà DIana? Glielo presenterà o no? 
Beh, non so cosa altro aggiungere oltre che farò presto i personaggi della storia con Picrew e che ringrazio chi leggerà silenziosamente, chi recensirà, mi manderà messaggi per dirmi cosa pensa della storia e di me come scrittrice, o ancora, aggiungerà alle varie scelte di preferenza. 
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Alla prossima. Byeeee. 

 

   
 
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