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Autore: ALoserLikeMe    02/03/2021    0 recensioni
Gothel è una ragazzina timida e insicura, passa la maggior parte delle sue giornate in casa con la propria famiglia. Il mondo esterno quasi la spaventa. Tutto cambia quando, per la festa dei quindici anni suoi e di sua sorella gemella, incontra una ragazza, Talitha.
Quest'ultima è dotata di poteri magici, argomento completamente evitato in famiglia. I genitori di Gothel, la quale a sua volta è dotata di tali capacità, credono che sia la causa di ogni male della figlia.
Incuriosita, la ragazza vuole approfondire la conoscenza con Talitha, la quale ne modifica completamente sia il carattere che il modo di vedere le cose.
Gothel non sarà più la timida ragazzina di cui tutti si approfittano e che trattano male, imparerà a farsi valere.
Ma questo porterà delle conseguenze, perché una volta assaggiato il potere non riuscirà a tirarsi indietro...
Genere: Dark, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 5

 
 
Da più di un anno a quella parte, Gothel aveva visto sorgere il sole ad oriente innumerevoli notti. Anche quella mattina in cui, con i capelli scapigliati e le mani zuppe di sangue, si apprestava a fare ritorno a casa propria. Nel mentre camminava, affaticata un po’ dai chilometri trascorsi e un po’ da… l’attività che aveva fatto, si rese conto di quanto tutta quella situazione fosse fuori controllo. Era diventata dipendente dal dover fare del male fisico alle persone, e con il passare del tempo si era scoperta sempre più cattiva e crudele. Quando vedeva il sole sorgere, il cielo rischiararsi e la natura risvegliarsi, guardava dentro di sé e si rendeva conto di star sbagliando, di star facendo qualcosa di sbagliato e soprattutto che, se si riduceva a picchiare sconosciuti, voleva dire che non stava bene a livello psicologico. L’alba le donava sempre un po’ di lucidità, le rischiarava i pensieri. La luce del sole faceva luce anche nelle ombre della sua anima. Ogni mattina si riprometteva che avrebbe chiesto aiuto, che ne avrebbe parlato con qualcuno e che si sarebbe fatta aiutare. Ma poi il giorno trascorreva, e tutte le persone con cui aveva a che fare sembravano non capirla nemmeno quando provava a mostrarsi al meglio di sé, figurarsi parlare di un argomento tanto delicato.
Abbassò lo sguardo un attimo sulle sue scarpe vecchie, e logore da quanti chilometri camminava la notte. Quando alzò di nuovo gli occhi vide casa sua: era una piccola ma rustica casetta, con un portico ben curato e le finestre grandi con i vetri leggermente appannati. Era costruita in legno, di un legno molto buono e dal color ebano, lucidato e pulito. Quella casa era esattamente come la sua famiglia: ottima vista da fuori, un incubo se vissuta da dentro. Gothel vide sua madre che si affacciò alla finestra e la guardò, con il suo solito fare accigliato. I suoi genitori sapevano che lei la notte la passava sempre fuori, credendo tuttavia che fosse in compagnia di Talitha e gli altri, non da sola. Quel giorno la signora Gothel sembrava ancora più arrabbiata del solito, più adirata con sua figlia. La ragazza tuttavia non vi prestò molta attenzione ed entrò in casa, strofinandosi prima le mani sulle vesti nere per ripulirsi del sangue.
Seduto al tavolo della cucina trovò Roger, incappucciato e con la testa china sul tavolo. Suo padre guardò lei, poi guardò il ragazzino, e poi guardò di nuovo lei. Le visite di Roger nel corso di quell’anno si erano fatte sempre più frequenti, andava da lei ogni volta che suo padre picchiava lui o sua madre. Diceva che Gothel era l’unica amica che aveva, l’unica persona con cui sentiva di potersi confidare. E lei, nonostante apprezzasse questa sua fiducia nei suoi confronti, sapeva anche di non meritarsi tanta stima, e assolutamente non ricambiava tutto quell’affetto. Per carità, gli voleva bene, ma non era così dipendente da lui. In verità, in quell’ultimo periodo, era diventata insofferente nei confronti di tutto e tutti, in un grande senso di apatia misto a disprezzo da cui non riusciva a liberarsene.
Roger, che ormai aveva imparato la prassi, prese tue tozzi di pane nero -uno per lui e l’altro per Gothel- ed uscì dalla casa. Di solito si recavano insieme sul tetto, e là parlavano per ore, ore in cui Roger piangeva tra le braccia della ragazza. Gothel prese un terzo pezzo di pane, per poi seguire il ragazzo. In quel momento suo padre le afferrò il braccio, una presa forte e decisa. << Poi noi dobbiamo parlare >> disse a bassa voce, poiché Roger non era ancora abbastanza lontano da non poterlo sentire in caso avesse parlato ad un tono di voce più alto. La guardò fissa negli occhi, occhi pieni di rabbia, e la ragazza gli strattonò il braccio. Non gli rispose, ma gli fece un piccolo cenno della testa per dirgli che aveva capito.
Roger aveva da poco compiuto sedici anni. Ancora non era sviluppato, era bassino e magrolino, e il suo stare sempre con le spalle ricurve lo faceva sembrare ancora più minuto e indifeso. Gothel provava sincera pietà per lui, gli dispiaceva sapere che un ragazzo così di buon cuore dovesse soffrire così tanto nella vita. Non se lo meritava. Ma non se lo meritava nemmeno lei.
<< Un’altra notte difficile? >> gli chiese, porgendoli un po’ di crosta di pane.
Come suo solito, Roger si tolse il cappuccio. Ogni volta che si recava a casa sua lo faceva con il volto ben coperto, nascosto dagli occhi dei genitori di Gothel. E poi, quando loro due erano soli, si tirava giù le pesanti vesti e lasciava che l’altra guardasse tutto il male che il padre gli aveva fatto. Ogni volta che lo vedeva Gothel impallidiva. Quel giorno però la sua faccia non aveva nemmeno un graffio, sembrava che fisicamente stesse benissimo. Però i suoi occhi portavano tanta tristezza, tanto malessere.
<< Ieri… >> Provò a parlare, ma il fiato gli morì in gola e scoppiò a piangere. Spesso piangeva, eppure Gothel non lo aveva mai visto piangere così disperatamente come quella mattina.
E lei, che non era una persona di tatto o in grado di consolare decentemente qualcuno, non sapeva che dire. << Adesso però calmati, altrimenti non riesco a capire. >>
Roger a poco a poco si calmò, strusciandosi il manico della casacca sugli occhi. Addentò il pane e, nel mentre masticava, parlò. << Ieri sera è stata… una sera come tutte le altre. >> Lo disse con una triste consapevolezza, come se subire violenze dal padre fosse un’abitudine come un’altra. Deglutì a fatica, tanto che Gothel poté sentire il rumore del pane che gli raschiava la gola. Poi Roger distolse lo sguardo. << Solo che ieri sera papà aveva bevuto più del dovuto, e le cose sono degenerate. >> Chinò la testa, e i due piombarono nel silenzio.
<< Tu però vedo che stai bene. >> Gothel parlò prima di pensare e, dopo aver finito la frase, si portò una mano alla bocca spaventata. << Tua madre…? >>
<< E’ viva >> si affrettò a dire Roger, guardandola con sguardo consolatorio. << E’ viva. Ma non sta bene. Le sue condizioni ieri notte erano molto gravi, così gravi che l’ho dovuta portare dal primo dottore vicino. Proprio in casa del dottore, sai? Ha detto che rimarrà lì in convalescenza fino a che non si rimetterà in sesto. >>
Una leggera sensazione di sollievo pervase Gothel. Non sapeva che dire, principalmente perché si sentiva l’ultima persona che avrebbe potuto giudicare suo padre, dato che lei non era certo da meno. Ma adesso era giorno, e di giorno lei stava bene, sentiva di essere lucida e in controllo delle sue emozioni. Il problema era quando giungeva la sera, quando la luna cominciava ad affacciarsi in cielo e i pensieri a farsi sempre più nebulosi. La sera Gothel perdeva sempre il controllo di sé e, pur non essendo mai ubriaca o alterata, sentiva questa sofferenza ribollirle dentro, un malessere così acuto e invalidante che non se ne sarebbe andato a meno che non lo avesse passato a qualcun altro. Ogni volta che maltrattava qualcuno piangeva, per una serie di sensazioni mischiate tra di loro che nemmeno lei riusciva a spiegare, ma piangeva con la stessa intensità e disperazione con cui piangeva quella mattina Roger.
Ma, come già detto, in quel momento era mattina, e Gothel si sentiva perfettamente in controllo delle proprie emozioni. << Ma questa è una cosa buona, giusto? >>
Roger si strinse nelle spalle. << Come potrebbe essere una cosa buona? Adesso mamma starà lontana da mio padre per un po’, e avrà modo di guarire. Ma prima o poi si sarà messa in sesto, e tornerà di nuovo nella tana del lupo. >> La guardò, gli occhi che la supplicavano di risolvergli questo enorme problema. << E se la prossima volte che papà beve dovesse essere ancora peggio per mamma? E se un destino ancora più crudele dovesse capitare a me? >>
Gothel non sapeva che rispondere. In più occasioni gli aveva proposto di andare a vivere con lei e la sua famiglia, di spiegare la situazione ai suoi genitori i quali sicuramente lo avrebbero accolto e trattato come se fosse figlio loro -anche perché comunque, non avrebbe mai potuto essere peggio di Gothel. Eppure lui si era sempre rifiutato, dicendo che non avrebbe mai e poi mai potuto lasciare sua madre da sola in balia di quell’uomo tanto disumano. Sì, Gothel pensava spesso ai termini con cui Roger definiva suo padre: disumano, mostro, demonio, tutti termini che altre persone in passato avevano usato per descrivere lei. Gothel era semplicemente diventata ciò con cui tutti l’avevano sempre descritta.
Roger si decise ad aprire nuovamente bocca. << Sai, a volte mi piacerebbe che mio padre non ci fosse. È brutto sperare che muoia? >>
<< Ma no che non lo è! È una persona orribile. >>
<< Ma è pur sempre mio padre. >>
<< Il sangue non vuol dire nulla, Roger. Se una persona è marcia dentro lo è a prescindere. Forse desiderare che muoia non è il pensiero più buono che potresti avere, ma non è nemmeno da biasimare. >>
Un piccolo, minuscolo sorriso apparve sul volto del ragazzo. Voleva veramente bene a Gothel, un bene genuino e incondizionato. E fu il suo errore madornale, perché Gothel era una macchina di distruzione, capace di disintegrare ogni granello di bontà che qualcuno poteva provare per lei.
 
Roger se ne andò, silenzioso e incappucciato come era arrivato. Gothel lo osservò allontanarsi con la testa bassa e le spalle ricurve, fin quando la sua figura non divenne piccola e sfuocata. Storse un angolo della bocca, voleva seriamente fare qualcosa per lui, aiutarlo in qualche modo, ma sembrava che l’unica soluzione fosse troppo drastica perfino per lei.
Così rientrò in casa, quasi dimentica dell’occhiataccia e delle parole di suo padre poco prima, il quale non se ne era affatto scordato, e sembrava aver riunito tutta la famiglia al tavolino di casa. Erano presenti tutti, perfino Garrett. Annabella tuttavia gli fece un segno della testa, e lui si alzò per andarsene al piano di sopra. Gothel, per quanto apprezzasse quel gesto, sapeva che presto o tardi si sarebbero messi ad urlare, e quell’incapace avrebbe comunque assistito alla discussione.
Suo padre, l’unico che non si era ancora seduto, girava in modo nervoso intorno al tavolo.
<< Sinceramente >> disse Gothel, << di tutta la mia “adolescenza problematica”, questi giorni mi sono sembrati fin troppo normali per meritarmi una riunione familiare del genere. >>
Suo padre sbatté così forte le mani sul tavolo che la ragazza sobbalzò e quasi si spaventò. Inizialmente ebbe quasi timore del suo sguardo arrabbiato, ma poi lo ricambiò decisa. Era sempre stato una persona debole di carattere, incapace di difendere sua figlia di undici anni nel momento in cui ne aveva più bisogno. Di fronte ai bulli, e agli abitanti del villaggio che la maltrattavano non era riuscito a muovere un dito, e adesso, con lei, sua figlia, si comportava così. Forse, forse, se avesse dimostrato di possedere quella spina dorsale sette anni prima, adesso non si sarebbero trovati in quella situazione.
<< Quante altre volte ancora dovremo vedere quel ragazzino venire a casa nostra conciato a quella maniera? >>
Gothel non rispose, ma espresse chiaramente tutta la sua confusione. E lei cosa avrebbe dovuto saperne? Magari Roger avesse smesso di andarla a trovare per parlarle di suo padre.
Sua madre, forse provando a mitigare gli animi, intervenne: << Tuo padre pensa che forse dovresti smetterla di farlo cacciare nei guai. >>
<< Credete che sia colpa mia se Roger è ridotto così? Voi siete fuori. >>
<< Gothel! >> La riprese Annabella.
Tra tutti, lei era la persona che Gothel meno sopportava. Era facile stare sempre dalla parte di mamma e papà quando loro a loro volta stavano dalla tua. Annabella era sempre stata la preferita di suo padre, perché era avventurosa, intrepida, espansiva e spiritosa. E negli ultimi anni aveva ottenuto anche tutto l’amore della madre, la quale prima non voleva più bene a Gothel, semplicemente aveva avuto pietà di lei. Nonostante l’affetto iniziale per la figlia più emarginata, ora sembrava aver quasi paura di lei. In casa Gothel aveva completamente smesso di utilizzare i propri poteri magici perché lei si spaventava a priori, anche se l’incantesimo era estremamente semplice e innocuo.
<< Ma credi che non ce ne accorgiamo delle gore di sangue che hai sui vestiti? >> continuò suo padre, e Gothel subito mise una mano sul punto della veste in cui poco prima si era strusciata le mani.
<< Guardate che io non c’entro niente con quello che succede a Roger >> si sentì in dovere di precisare.
Sua madre scosse le spalle. << Ma anche fosse, tu non puoi sparire tutta la notte senza dirci dove vai, e tornare la mattina piena di graffi ed ematomi. Siamo semplicemente preoccupati per te. >>
<< Lasciatevelo dire: vi preoccupate nel modo sbagliato. >>
<< La Gothel che conoscevo non avrebbe mai scaricato la colpa sugli altri >> disse Annabella, guardandola con occhi languidi. << Si sarebbe presa tutta la responsabilità delle sue azioni. >>
<< La Gothel che conoscevi non è la vera Gothel. >> La guardava e, nonostante continuassero ad essere biologicamente gemelle, le sembrava che si assomigliassero meno che mai. Se prima erano state inseparabili, e due persone con una connessione mentale forte e genuina, ora erano completamente su due lunghezze d’onda differenti. Il loro rapporto era irrecuperabile, e a Gothel faceva troppo male il fatto che proprio lei, sua sorella, non capisse che in passato non è che si fosse presa la responsabilità delle proprie azioni, bensì si fosse fatta carico di tutte le colpe degli altri. Si era data la colpa per sbagli che non aveva commesso, per errori che avevano fatto gli altri nei suoi confronti, solo per non farli sentire a disagio o tristi.
<< Non è vero >> continuò imperterrita Annabella. << Io l’ho conosciuta la vera Gothel, ed è una persona meravigliosa. E farò di tutto perché tu ritorni sui tuoi passi, anche se questo vorrà dire che per un po’ di tempo mi odierai. >>
<< Annabella ha ragione >> convenne suo padre, e Gothel non poté fare a meno di roteare gli occhi al cielo. Figurati se la cocca di papà non ha ragione, pensò. L’uomo tuttavia fece finta di non notare quel gesto, e proseguì il discorso. << Siamo stati fin troppo accondiscendenti con te, ti abbiamo lasciata esprimerti come meglio credevi, frequentare le amicizie che volevi senza opporci più di tanto. Ma quando è troppo è troppo. >>
<< Tutto ciò è assurdo, vi comportate come se non vi foste mai opposti a niente di quello che ho fatto. Quando non avete fatto altro che dirmi che stavo sbagliando. >>
<< Scusa, Gothel, ma cosa avremmo mai dovuto dirti? Di continuare così come stai facendo? >> Sua madre la guardò scioccata, con un sopracciglio inarcato e la bocca spalancata.
Gothel sbuffò, e non rispose.
Suo padre si passò le mani sopra la fronte, la quale negli ultimi anni si era completamente riempita di rughe. Erano invecchiati moltissimo da quando si erano trasferiti, i suoi genitori. Forse era semplicemente dovuto all’avanzamento dell’età, o forse era colpa di tutto il costante stress a cui la loro figlia li sottoponeva.
<< Non credere che ci faccia piacere metterti in punizione. >>
Gothel non poté fare a meno di ridere. << In punizione? Non sono mica più una bambina, ho compiuto diciannove anni appena lo scorso mese. Ormai sono grande. >>
<< No, non lo sei. >> Il tono di suo padre era duro e deciso. << Hai dimostrato di essere una bambina immatura e irresponsabile. Non hai la testa sulle spalle e non ti rendi assolutamente conto di quello a cui portano le tue azioni. Perciò, fino a quando non avrai imparato la lezione, ti proibiamo di vederti con la tua amichetta. >>
<< No! >> urlò Gothel con tutto il fiato che aveva in gola, alzandosi e sbattendo le mani sul tavolo. Sua madre sussultò, e fece pure per abbracciarsi con le mani, forse per difendersi da sua figlia, che nemmeno fece caso alla sua reazione. << Non potete togliermi Talitha. >>
<< Da quando la conosci non sei più la stessa, ha una pessima influenza su di te. >>
<< Non è affatto vero. È forse la cosa migliore che mi sia mai capitata. >>
Annabella alzò gli occhi al cielo. << Papà lascia perdere, finché non si disintossica da questo rapporto morboso che si è venuto a creare non capirà mai il nostro punto di vista. >>
Suo padre, ovviamente, le diede ragione, annuendo la testa. << Infatti tu non la rivedrai più. >>
Gothel, che fino a quel momento si era controllata, abbassò le mani e stese le braccia lungo i fianchi. Non disse niente in un primo momento, ma nei suoi occhi si poteva leggere tutta la rabbia che aveva in corpo. I piatti sul tavolo cominciarono a tremolare, le stoviglie quasi saltellavano sulla tovaglia. Sua madre, che aveva visto quel tipo di sguardo in più di un’occasione, si alzò dalla sedia preoccupata, ed indietreggiò talmente tanto da sbattere la schiena contro il muro. Vedendola così in preda al terrore, la ragazza sorrise. Adesso loro avevano paura di lei, se prima avevano passato anni a provare pietà, impietosirsi per lei, adesso la temevano. Temevano una sua possibile reazione. E facevano bene. E Gothel, adesso che se ne era resa conto, ne avrebbe sicuramente approfittato. Non si sarebbe mai più fatta dire da qualcuno cosa avrebbe o non avrebbe dovuto fare. Non avrebbe più ascoltato i finti consigli moralisti degli altri, che in realtà non volevano fare altro che controllarla, farla sentire in colpa per quello che era così che, presa dalla vergogna, non avrebbe potuto essere un pericolo per nessuno.
<< Gothel smettila! >> Le urlò Annabella. << Accetta la punizione di mamma e papà. >>
<< Ho detto di no. >> E, nel pronunciare quelle parole, la sua rabbia divenne tale che le stoviglie volarono e si andarono a schiantare contro il muro.
Sua madre iniziò ad urlare come una pazza, piangendo e ficcandosi le mani nei capelli. Suo padre corse subito ad abbracciarla, un senso di protezione verso la figlia pericolosa. Annabella fu l’unica che non rimase più di tanto sconvolta, continuò a guardare la sorella negli occhi, senza mostrare il minimo timore.
Ma a Gothel non importava più niente. Per questo motivo, senza aggiungere altro, si voltò di spalle e se ne andò.
 
Quello che accadde dopo, nonostante fu molto veloce e quasi inaspettato, fu in realtà il risultato di un processo molto lungo e frastagliato, costituito da varie fasi e molti passaggi intermedi.
Gothel si diresse al solito luogo di ritrovo di tutti i suoi amici, dietro il mercato del pesce, dove ormai quattro anni prima vi si era recata per la prima volta, la prima volta che era uscita da sola di casa senza nessuno che l’accompagnasse dopo moltissimo tempo. I suoi compagni erano tutti lì, e quando la videro la salutarono in modo abbastanza caloroso. La ragazza ricambiò il saluto, non con la stessa intensità. Ormai da un bel po’ sentiva che a legarla a quel gruppo non era affetto vero, quanto il timore che, senza loro, si sarebbe sentita sola e abbandonata -di nuovo. Avrebbe voluto girare i tacchi ed andarsene, lasciarsi alle spalle anche questo ultimo fardello che le era rimasto, ma non poteva pensare di affrontare la vita completamente da sola, senza l’appoggio degli amici o della famiglia. Per questo aveva ingoiato il rospo, e si era trattenuta dal manifestare i propri poteri magici. Talitha, nonostante continuasse a trattarla con gli stessi atteggiamenti che le aveva sempre riservato, sembrava aver condiviso insieme agli altri tutti i suoi timori riguardo Gothel e il suo “problemino”. Quest’ultima, per non deludere e ferire nessuno, era stata mansueta, quasi una presenza inesistente.
Quella sera tuttavia -invero, quando arrivò lì, il sole stava lentamente calando- i ragazzi, dopo un saluto veloce, tornarono a parlottare tra di loro. Parlavano con un tono di voce relativamente basso, quasi a non voler farsi sentire dai passanti. Gothel si chiese di cosa potessero mai conversare, e la risposta che ricevette quando lo domandò le fece tremare le ginocchia: avevano visto il padre di Roger passare di lì poco prima, con una bottiglia di liquore vuota in mano, e un fiato da fare invidia agli ubriaconi che tutte le sere frequentavano il locale di Carson. Roger era infatti l’unico a non essere presente in quel momento, probabilmente era a casa. Sicuramente era solo, ed in pericolo.
Gothel non indugiò quindi oltre, e congedandosi in fretta e furia, corse a per di fiato verso la casa del suo amico. Da quello che lui le aveva raccontato quella mattina, temeva per la sua vita. Quell’essere abominevole di suo padre era imprevedibile e molto ubriaco, senza più sua moglie da tormentare avrebbe potuto riversare tutta la sua rabbia sul povero Roger. Gothel sapeva di non essere certamente uno stinco di santo, era piena di difetti e problemi attitudinali, ma se tanto aveva già fatto i conti con il fatto che la sua anima fosse ormai dannata, avrebbe quanto meno potuto salvare quella del suo amico.
Quando arrivò di fronte a casa di Roger, quasi svenne dalla stanchezza -non era per niente una ragazza atletica o in forma. Ripreso fiato, alzò il mento verso l’alto e osservò attraverso la finestra dentro la casa. Vide l’uomo camminare con la testa ciondoloni in su e in giù per il soggiorno, ma non sembrava esserci segno di Roger.
Bene, pensò Gothel. Con non troppa forza, ruppe la maniglia della porta ed entrò. Fece dei passi brevi e cadenzanti, entrò quasi in punta di piedi in quella casa. Poi fu tutto semplice, più semplice di quanto si sarebbe aspettata fosse l’atto di uccidere effettivamente qualcuno. Non toccò nemmeno il corpo, e non gli fece alcun tipo di violenza, cosa molto inusuale per lei. A differenza delle altre volte era calma, molto calma, sentiva il sangue freddo e i nervi saldi. Sollevò con un gesto mellifluo la mano destra, la quale produsse un leggerissimo vortice d’aria, abbastanza tuttavia da scaraventare i coltelli posati sul tavolo contro il padre di Roger, con la lama ben conficcata nel torace e nel petto. L’uomo quasi non se ne rese conto, tanto era ubriaco e colto di sorpresa, non si era nemmeno accorto che Gothel era entrata. Si era voltato giusto in tempo perché i coltelli lo trafiggessero e, dopo aver buttato un fiocco di sangue dalla bocca, cadde a terra esamine, la bottiglia vuota ancora in mano.
Gothel prese un respiro profondo, pensando che ormai fosse tutto finito, e che i demoni di quell’uomo da quel giorno in poi avrebbero solo tormentato lei e non più Roger. Ma si sbagliava, perché non appena si voltò, si ritrovò davanti il volto del suo amico.
 
   
 
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