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Autore: PhoeBeSound    07/03/2021    1 recensioni
È davvero un bel nome.
A quanto sembrava era assieme a una certa Violet ed era la stanza numero 8.
Io sono nato l’otto!
Non ti sarai mica già preso bene per una che nemmeno hai mai visto!
Ha solo un bel nome…

“Basta!” Mormorò per far tacere i pensieri. Non era parte di un suo possibile disturbo, semplicemente si era abituato così tanto a parlare tra sé da prenderci troppo l’abitudine, o almeno così sperava.
...
Stiles ha un disturbo, o forse più di uno, per questo è costretto a passare un certo periodo di tempo alla clinica psichiatrica di Eichen House.
Conoscerà vari ragazzi, ognuno con diversi problemi, diversi passati: Theo Raeken, l'affascinante ragazzo atletico, Liam Dunbar, che abbaia ma non morde, Violet Lorey, che, a quanto pare, detesta qualsiasi essere maschile, Isaac Lahey, chiuso e diffidente e Malia Hale, la ragazza sorridente che "come può essere rinchiusa qui?".
Imparerà a conoscerli e conoscere sé stesso, perché non siamo il nostro problema, siamo tutti persone con sentimenti ed emozioni, paure e debolezze: siamo umani.
...
Accenni alla Stydia, alla Sterek (no romantic) e alla Scallison/Scira.
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Isaac Lahey, Liam Dunbar, Malia Hale, Stiles Stilinski, Theo Raeken
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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!TRIGGER WARNING!
(la storia ha già il rating arancione, ma volevo comunque specificarlo)



L’acqua pioveva bollente lungo il suo corpo. Prono a terra, con il volto rivolto a destra, Stiles teneva gli occhi chiusi, cercando di non alimentare il dolore abnorme alla testa.

Aveva paura, non sapeva di cosa, non sapeva nemmeno dove era, ma era terrorizzato. La sensazione di star per morire lo attanagliava, eppure rimaneva disteso, ad occhi serrati, come se stesse dormendo, mentre una fitta pioggia calda cadeva su di lui.

Prese possesso dei suoi sensi, in un momento di lucidità, l’aria aveva un odore acre e penetrante e l’unico rumore era quello della pioggia, ma meno forte, come se la consistenza dell’acqua si fosse addensata rallentandone il processo, infine tastò il suolo con le mani, con gesti involontariamente agitati: erba. Era l’erba sintetica del campo di Lacrosse, ci piantava spesso la faccia durante le partite, era sicuramente quella.

L’ansia si estendeva sempre più dentro di lui, attraversandogli i nervi tesi e i muscoli paralizzati, devi aprire gli occhi Stiles, aprili.

No, non posso, non ci riesco.

Non voleva vedere cosa lo circondava, impaurito da ciò che poteva presentarsi; aprì leggermente la bocca, per favorire la respirazione non del tutto regolare, e le goccioline d’acqua gli colarono sulla lingua. Solo allora si accorse che aveva davvero una consistenza più densa dell’acqua, mentre gli segnava il viso pallido, e il gusto era metallico, aspro.

Non è acqua.

Balzò in piedi urlando, la pioggia di sangue continuava a scorrere sul campo che era completamente deserto; si guardò le mani, sporche di quel liquido rosso, e in preda al panico iniziò a strofinarle sulla maglia, gesto pressoché inutile, dato che anche quella era completamente macchiata.

È un sogno Stiles è un maledetto sogno, svegliati!

Si colpì più volte, sulle gambe, sulle braccia, sulla testa, ma nulla, era ancora lì. Si accovacciò prendendosi la testa e dondolando lievemente: svegliati diamine, svegliati!

Si guardò nuovamente i palmi sporchi e la sensazione di morte aumentò, era come se sapesse che stava per succedergli qualcosa di terribile. Il sangue sulle mani era in parte secco, e questa volta non sembrava la sua coscienza a parlare, era come se provenisse da fuori, da qualcun altro: hai le mani sporche eh? Chi hai ucciso questa volta?

Si alzò nuovamente, guardandosi attorno, “non ho ucciso nessuno!” Gridava, urlava con tutto il fiato che aveva, sperando lo potessero sentire, e alla costante discesa di sangue, si aggiunsero le sue lacrime.

“Non ho ucciso nessuno! Non è stata colpa mia!”

O almeno, questo è quello che vogliono farti credere. 

Pensò stavolta lui, suo padre glielo diceva sempre, e anche i suoi amici lo ripetevano ogni volta che riuscivano a tirare fuori l’argomento: non sei stato tu.

“Non sono stato io!” Ripetè a gran voce, colpendosi ogni tanto la testa: devi svegliarti!

“E invece sei stato proprio tu”.

Si voltò, lentamente, verso quella voce che era sempre stata in grado di tranquillizzarlo ma, ultimamente, lo distruggeva.

“Mamma…” cercò di avvicinarsi, per un attimo non prestò più attenzione al sangue, c’era solo lei, sua madre, allungò una mano nella sua direzione, sembrava un angelo: i capelli lunghi e scuri, la veste bianca che sembrava immune alla pioggia circostante e il viso pallido, non pallido-malato, era più il colorito delle regine fiabesche con le gote rosee e lo sguardo… vuoto, afflitto, accusatore.

“Tu mi hai ucciso, hai ucciso me e ucciderai anche tuo padre, rimarrai da solo

Ritrasse la mano, guardandola ferito, “mamma io…” ma lei urlò, sprigionò un grido terrificante che lo spinse a terra privo di forze e poi la vide accasciarsi, esangue.

“Mamma!” Le corse affianco, piangendo sommessamente.

L’hai uccisa di nuovo.

 

 

“Stiles!” Qualcuno lo afferrò, mentre si dimenava urlando a squarciagola, “Stiles calmati! Stavi sognando non è successo nulla!” Le braccia muscolose lo tenevano da sotto le ascelle, impedendogli di muoversi troppo e quando riuscì finalmente a famigliarizzare con il luogo attorno a sé, capì di trovarsi nella sua stanza, niente sangue e niente erba sintetica; Theo teneva ancora la presa ferrea su di lui che respirava affannosamente nel tentativo di calmarsi.

A quel punto il compagno lo lasciò andare e lui dovette portarsi una mano al petto non ancora del tutto tranquillo.

“Va tutto bene Stiles, Liam è andato a chiamare qualcuno, era solo un incubo”.

Ma era così reale.

Si limitò ad annuire, deglutendo, avrebbe voluto ci fosse Marcelle o ancora meglio suo padre, ma gli educatori non facevano il turno di notte e Noah non sarebbe potuto venire.

 

 

 

Sedeva su una delle poltrone giallo ocra dell’atrio, lo sguardo basso sostenuto dalla mano, rifletteva sulle parola di sua madre: hai ucciso me e ucciderai anche tuo padre.

Non era reale.

Ma non ne era del tutto convinto, si sentiva l’unico e vero responsabile della sua morte da anni e non importava cosa gli dicessero, nulla poteva cambiare quel pensiero asfissiante ed era stufo che nessuno lo capisse.

“Come stai?” Era apparsa all’improvviso, o, semplicemente, era così concentrato sui suoi pensieri da non averla sentita arrivare: Malia era accovacciata affianco a lui con una mano poggiata sul suo braccio e l’espressione preoccupata.

“Theo e Liam mi hanno detto che hai avuto un incubo stanotte” inclinò leggermente la testa trasformando il tocco in una leggera presa, come se volesse sostenerlo.

Lui cercò di sorriderle, lasciando cadere l’avambraccio lungo il bracciolo: “va tutto bene, ci sono abituato ormai, ma ti ringrazio” poggiò la mano  opposta su quella di lei, che ancora lo teneva.

Per un attimo gli sembrò imbarazzata a quel gesto, qualcosa nei suoi occhi era cambiato ma sorrise a sua volta “e di cosa?” Sembrò esitare, ma alla fine gli strinse la mano, spostandola dal suo braccio, “è okay non stare sempre okay” aumentò la stretta, “cioè, è normale, il dolore ci rende umani”.

Stavolta le sorrise davvero e pensò che lei sentisse quella frase sua tanto quanto l’avrebbe sentita lui da quel momento in poi; tornò serio, guardando in basso: “sono terrori notturni, mi risveglio in questi…”

“Stati di agitazione intensa” dischiuse le labbra, “a una certa pensi davvero di star per morire” si mosse un pò per tornare comoda, stare accovacciata a quel modo non era il massimo, “ma sei ancora qui, giusto?” Gli sorrise, “sei vivo Stiles”.

Contrasse i muscoli attorno alle labbra, cercando di non piangere, ma gli occhi stavano già pizzicando da un po’, tornò a guardarla, sul punto di esplodere.

Trattieniti.

“Sembra così maledettamente vero” e una lacrima gli solcò il viso, arrivandogli fino al mento tremante; Malia lo strinse, alzandosi, gli circondò la testa in un gesto protettivo come a tenerlo al sicuro dal mondo intero e lui si lasciò andare, silenziosamente, poggiando la testa sul suo petto e afferrandole il braccio che lo stava avvolgendo.

“Non lo è, sei qui e andrà tutto bene” voleva crederle, ma era da troppo tempo che le cose non cambiavano, non miglioravano e non ci sperava più, ma annuì come faceva sempre quando i suoi amici gli dicevano la stessa cosa: andrà tutto bene, starai meglio, le cose cambieranno.

E non succedeva, eppure, lei sembrò capire, come se avesse sentito i suoi pensieri e si ri-accasciò guardandolo negli occhi, con ancora le mani sulla sua testa: “sarai al sicuro finché ci sono io” gli sistemò un ciuffo ribelle dalla fronte, “sarò sempre qui per te, va bene? Promesso”.

Perché sembra tenere così tanto a te? Non ti conosce nemmeno, praticamente.

Il suo sguardò rassicurante, però, era sincero, e si sentì meno perso, come una nave che viene finalmente ancorata.

“Un po’ mi puzza, tutto attorno a lei è misterioso” le parole di Isaac gli attraversarono la mente, classico della sua iper-vigilanza, ma nonostante ciò, non riusciva a non fidarsi di lei, a sospettare dei suoi atteggiamenti.

Annuì, guardandola fiducioso, non serviva rispondere, i suoi occhi erano già pieni di tutta la gratitudine del mondo.

E poi, perché cavolo dovrebbe volerti ingannare? A che scopo?

Più avanti avrebbe scoperto che Malia si rivedeva semplicemente troppo in lui: erano più simili di quanto entrambi potessero mai pensare.

 

 

 

Per un attimo ebbe paura che il getto d’acqua della doccia si trasformasse in sangue, riportandolo sul campo da Lacrosse, ma quando uscì si trovava nel bagno che condivideva con Theo e Liam e tirò un sospirò di sollievo. Si legò un asciugamano in vita e spazzolo i denti aspettando di asciugarsi un po’. Il suo riflesso era distorto: non potendo tenere cose in vetro, lo specchio era un pannello in plastica riflettente che rendeva il suo viso una macchia lievemente sfocata; distolse lo sguardo: se non poteva vedere chiaramente, preferiva non guardare, non si sa mai che la sua mente gli facesse brutti scherzi. Si vestì in fretta e saltò sul letto, Liam e Theo, insieme al resto dei ragazzi, erano a uno dei gruppi, a cui lui ancora non doveva partecipare, anche se, probabilmente, di lì a breve sarebbe stato obbligato a farli tutti, questioni di giorni, forse anche l’indomani.

Si guardò attorno, studiando gli oggetti dei suoi compagni; afferrò uno dei pacchetti di gocciole che avevano rubato e le mangiò pensieroso.

Sopra al letto di Liam c’erano una moltitudine di foto, appiccicate l’una vicino all’altra, formando un enorme quadro colorato davvero carino.

In molte foto, Liam, era con un ragazzo scuro di pelle, dai corti capelli neri e un sorriso eccessivamente luminoso, in altre era con due adulti, probabilmente i suoi genitori, altre lo ritraevano con un cane dal lungo pelo bianco e in tutte queste il ragazzo era molto più piccolo di ora, ce ne era una con un davvero-molto-giovane Liam che teneva una mazza da Lacrosse e poi c’erano quelle fatte lì dentro: lui, Mal e Theo che mangiavano un gelato appoggiati al furgone della clinica, sempre lui e Theo che si sfidavano a calcetto, una con Mal che gli dava un bacio sulla guancia mentre faceva un espressione buffa, quella con Martha, la sua educatrice di riferimento, che gli avvolgeva le spalle e in una c’era persino Violet, appoggiata a Malia che sorrideva mentre Theo alzava il pollice un pò troppo vicino alla telecamera che Liam stava tenendo.

Gli venne spontaneo sorridere, e una sensazione di nostalgia lo pervase.

Anche lui aveva degli amici a casa, a cui voleva davvero bene e che gli mancavano da morire; all’improvviso non vide l’ora che passassero le due settimane stabilite, per poterli chiamare e ricevere le loro visite.

Chissà cosa avrebbero detto del loro nuovo gruppo, Kira lo avrebbe approvato, approvava sempre tutti lei, Scott lo avrebbe stuzzicato, accorgendosi di come guardava Malia, e Allison e Lydia si sarebbero scambiate occhiate compiaciute nel vederlo alle prese con una ragazza, forse la rossa ne sarebbe stata anche un po’ sollevata: il fatto che non avesse mai ricambiato il sentimento non voleva dire che non gli volesse bene.

Stai dicendo che ti piace Malia quindi?

Pff, non esageriamo.

Beh beh beh…

Portò l’attenzione al letto di Theo, per smettere di pensare ai suoi possibili interessi sentimentali; vi erano solo due foto, una incorniciata sul tavolino, la stessa del gruppo che aveva Liam, e una attaccata con un pezzo si scotch sulla parete.

Era rovinata, stropicciata e in alcuni punti un pò strappata, non era troppo vecchia come foto, sembrava più che altro stata vittima dell’ira di qualcuno; ritraeva un Theo di qualche anno addietro con un ragazza molto simile a lui, ma visibilmente più grande, con gli occhi chiari e i capelli castani, entrambi sorridevano e lei si era abbassata leggermente per far sfiorare le loro guance rosacee.

Deve essere sua sorella, pensò, era sicuramente così, erano identici.

Il momento fu interrotto dallo squillo del telefono: quando era arrivato, Stiles, non capiva il perché ce ne fosse uno, dato che tutte le chiamate andavano fatte in ufficio sotto il controllo del personale, ma poi Mal gli aveva spiegato che erano collegati con i telefoni delle altre stanze, degli ospiti e dei supremi; insomma nessuna chiamata al di fuori della clinica.

Era Marcelle, che lo avvisava di raggiungerlo nel suo ufficio per comunicargli che educatore gli sarebbe stato assegnato e a quali gruppi avrebbe partecipato.

 

 

Era particolarmente di buon umore in quel momento: Marcelle era il suo educatore di riferimento, glielo aveva annunciato un ufficio con il suo solito sguardo bonario e Stiles aveva mosso il braccio in un gesto entusiasta, battendogli il cinque.

Era lì da poco più di un giorno, ma l’educatore gli era subito stato a cuore, facendolo sentire a suo agio e non trattandolo come un semplice utente. 

Marcelle piaceva a tutti, e Stiles si sentì un pò geloso a doverlo “condividere” con altri ragazzi, tipo Theo, l’unico del gruppo a non avere Martha.

Sei l’ultimo arrivato, non ne hai il diritto.

Ma Marcelle era la figura adulta che aveva in quel momento, e ci si era già legato. Stiles si affezionava davvero in fretta alle persone, non sapeva se definirlo un difetto, se poi erano piacevoli, allora avevano tutta la sua dedizione.

Tipo Malia.

Pensò nel vederla arrivare con Theo, Liam e Isaac, che stava leggermente più indietro, con le mani in tasca e il solito sguardo annoiato da… tutto, quel ragazzo odia tutto e tutti, pensò.

I due compagni di stanza si saltavano addosso come due bambini che giocano alla lotta, discutendo di un qualcosa che Stiles nemmeno voleva sapere.

“Ehi” salutò lui avvicinandosi, “da domani ci sarò anche io ai gruppi” sventolò il foglio con il suo programma e Theo scansò malamente Liam per afferrare il documento e controllarlo.

Malia ridacchiò e Isaac alzò gli occhi al cielo con fare infastidito.

Perché è qui se non ci vuole stare?

Prestò attenzione a Malia che gli chiese dell’educatore, “Marcelle” non potè fare a mano di sorridere e la ragazza ricambiò il gesto.

Theo alzò gli occhi dal foglio: “finalmente! Sono tutti team Martha qui, iniziavo a sentirmi escluso” scosse la testa con ironica disapprovazione verso Liam e gli altri, poi aggiunse: “sei in tutti i gruppi, benone…” rise, “appena proverai movimento creativo, arte-terapia e teatro ti farai tirare fuori” si avvicinò “sono noiose” sussurrò, ma tutti lo sentirono.

“Non è assolutamente vero!” Esclamò Mal guardandolo con disappunto e lui rise.

“Difatti solo tu e Violet li fate, e lei è stata obbligata da te” aggiunse Liam, poi guardò Isaac, “lui invece non fa nulla, nemmeno i gruppi obbligatori” alzò le spalle e il diretto interessato sbuffò, andandosene dritto verso le camere.

“Isaac!” Lo chiamò Malia dispiaciuta, ma lui non si voltò; inclinò la testa verso Liam, rimproverandolo con gli occhioni scuri, che, secondo Stiles, erano troppo dolci per incutere timore, ma il ragazzo alzò comunque le spalle, a disagio: “scherzavo!”

“A proposito, dove è Violet?” Riprese il foglio dalle mani di Theo che si stava guardando attorno: “vero, non dovrebbe aver finito il colloquio famigliare?”

Dopo un certo periodo venivano inseriti nei percorsi degli utenti i colloqui familiari, alcuni parenti venivano fino a lì anche da posti abbastanza lontani, per discutere del proprio figlio con l’equipe della clinica.

Gli occhi di Malia si spenserò lievemente: “penso non sia andata molto bene, si è chiusa in bagno e non ha voluto farmi entrare, ho insistito un po’ ma non ne ha voluto sapere, ha bisogno del suo spazio ora…”

Tutti annuirono in silenzio, anche Stiles avrebbe capito, andando avanti, che quella era una clinica psichiatrica, non una scuola, e avrebbe vissuto e assistito a momenti per niente piacevoli, anzi, come quello che li avrebbe colpiti tutti di lì a poco.

 

 

La stanza del gruppo terapeutico non era grandissima, aveva le pareti bianche e il pavimento in mogano, diverse sedie erano disposte a cerchio al centro e Ludovica, la strega, sedeva su una di esse.

C’erano tutti i ragazzi Estate, tranne Violet e Isaac, in tutto erano una quindicina all’incirca, Stiles non aveva voglia di contarli, avrebbe perso il conto per via dei pensieri che lo distraevano e si sarebbe irritato inutilmente.

Malia era seduta affianco a lui con le gambe e le braccia conserte, doveva essere abituata ai gruppi della clinica, ma non sembrava comunque contenta di essere lì.

Theo e Liam erano dall’altra parte di lei, il primo proteso in avanti, con i gomiti sulle ginocchia e l’altro stravaccato con le braccia al petto.

Nessuno sembra entusiasta in realtà, è così brutto?

Ludovica sistemò i fogli che aveva in mano e schiacciò il pulsantino all’estremità della penna blu che armeggiava come fosse un coltellino.

Effettivamente non ha l’aria di una persona simpatica.

Mi sa che non ha la laurea in regola…

“Ci siamo tutti?” Li guardò uno a uno, “ne mancano tre” assottigliò lo sguardo, ponendo una domanda implicita.

“Tom è dallo psicologo” disse un ragazzo magrolino e occhialuto, gli occhi grigi scrutavano la psicologa con disinteresse, nemmeno lui voleva essere lì, passò una mano nei ricci scuri, “Isaac non viene mai e Violet non saprei” guardò Malia che strinse le labbra ricambiando lo sguardo, stavano parlando senza parlare, a Stiles non piaceva quel modo di comunicare, anche Lydia e Kira lo facevano e non capiva mai nulla.

Violet non si era fatta vedere nemmeno quella mattina, secondo Mal era rimasta chiusa in bagno, e se era uscita lo aveva fatto mentre dormiva, perché le aveva impedito perfino di farsi la doccia. Non aveva aggiunto altro, ma sembrava davvero molto preoccupata.

Ludovica sospirò rassegnata, “Sarah, andresti a chiamare Violet? Vedi se riesci a convincere anche Isaac” la ragazza a cui si era rivolta si alzò, sistemando la felpa che si era legata in vita, mentre usciva, Stiles, si soffermò sui suoi capelli, le arrivavano sopra le spalle, biondi con la ricrescita scura.

Le stanno male, sono rovinati.

No, no, sei troppo cattivo, smettila.

“Qualcuno vuole spiegare come funziona il gruppo a Stiles? Mentre aspettiamo?”

Ci fu silenzio per qualche minuto, poi Liam parlò: “ci sediamo qui, tiriamo fuori un argomento e tutti lo commentano, ma visto che ci sei tu, che sei nuovo, bisogna fare il giro di presentazioni” si sporse per guardalo “che io odio” si riappoggiò alle schienale, “quindi grazie”.

Theo lo ammonì e Stiles ne fu sorpreso, poi notò lo sguardò di Mal verso i due e capì che era stata lei a dare quell’indicazione.

La strega annuì: “puoi iniziare tu allora” e annotò qualcosa sul blocchettoi.

Liam sbuffò. “Sono Liam, sono qui da un anno e dieci mesi… e non bevo da 12 anni, nemmeno l’acqua” sbuffò verso la donna “perché dobbiamo farlo ogni volta? Non è necessario!” Si alterò.

Lei lo scrutò di rimando: “il gruppo funziona così e nessuno ti obbliga a dire cose che non vuoi dire, anche se sai che è utile parlare il più possibile, qui tutti possiamo supportarci e aiutarci l’un l’altro quindi ricomponiti e non alzare la voce”.

Che antipatica… non dovrebbe essere più umana con noi?

Liam roteò gli occhi: “sono qui da un anno e dieci mesi per attacchi d’ira eccessivi e cose simili, va bene?” La osservò me lei non fece un piega, così lui si rivolse verso Theo, invitandolo a continuare.

“Sono Theo e sono qui da due anni e quasi tre mesi” sembrava il più tranquillo, ma dagli occhi si notava che qualcosa lo turbava, “ho un disturbo post traumatico con annessi da quando mia sorella è morta” aveva abbassato leggermente la voce e guardava basso, la cosa doveva ferirlo ancora molto e Stiles si ricordò della foto.

Possibile che sia stato lui a stracciarla?

In teoria ora toccava a Mal, Stiles posò lo sguardò su di lei, in attesa, ma lei aspettò un pò prima di rilassare il viso e parlare: “Sono Malia e sono qui da tre anni e quattro o cinque mesi, non ne sono sicura” si guardò le mani, giocherellando con un filo della felpa blu; Stiles attese me lei non andò avanti.

Si sistemò la coda alta che lasciava cadere i capelli color miele fino al fondo schiena, sembrava sapere che Ludovica si aspettava dell’altro, ma ignorò la cosa.

“Malia” disse infatti la donna, “posso anche sorvolare su chi è qui da poco, ma fai praticamente parte dell’arredo” Stiles si voltò, sorpreso dal fatto che avesse fatto davvero una battuta, non sembrava il tipo, ma riportò la sguardo, con la coda dell’occhio, verso Malia che teneva la testa rivolta al filo.

“Devi iniziare ad aprirti, anche in gruppo, ti serve” lo sguardo si era molto addolcito, non sembrava la strega in cui tutti la definivano.

“No” quasi sussurrò.

“Malia…”

“No!” Aveva praticamente urlato, puntandole gli occhi addosso, era molto infastidita e Stiles credette averla vista tremare leggermente, “non ne voglio parlare” moderò il tono, cercando di rilassarsi. Era strano vederla così, per lui, che nonostante fosse lì da tre giorni si era già abituato al suo atteggiamento pacifico, “ho detto le cose principali, come sempre, e va bene così” fissò nuovamente la felpa.

Ludovica stava per ribattere, ma la ragazza biondo-tinto, Sarah(?), si catapultò nella stanza terrorizzata, “lei…bagno…sta…sangue…” cercò di ricomporsi sotto lo sguardo, ora agitato, di tutti, “dovete chiamare l’ambulanza” ansimò, parlando finalmente in modo chiaro, “Violet si è fatta del male”.






N.A.
Dai ho un po' movimentato le cose finalmente :)
Probailmente nel prossimo capitolo, se va tutto come programma la mia testolina, ci sarà Derek e si scopriranno molte cose in più!
Non sono il tipo che chiede recensioni e cose così, anche perchè non sono un'esperta del sito e scrivo principalemte per me, ma se qualcuno vuole, in qualsiaisi modo, farmi sapere che ne pensa, è il benvenuto.
Grazie<3

 

   
 
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