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Autore: Kimando714    10/03/2021    1 recensioni
Giulia ha solo quindici anni quando impara che, nella vita, non si può mai sapere in anticipo che direzione prenderà l’indomani. Questa certezza la trova durante una comune mattina di novembre, quando il suo tragitto incrocia (quasi) del tutto casualmente quello di Filippo, finendo tra le sue braccia.
E cadendo subito dopo a causa dell’urto.
Un momento all’apparenza insignificante come tanti altri, ma che, come Giulia scoprirà andando avanti nel suo cammino, potrebbe assumere una luce piuttosto differente.
“Il camminare presuppone che a ogni passo il mondo cambi in qualche suo aspetto e pure che qualcosa cambi in noi” - (Italo Calvino)
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Walk of Life'
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Prima di lasciarvi al capitolo, approfittiamo di questo breve spazio per lasciarvi il link ad una nuova one shot che abbiamo pubblicato: https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3965906&i=1
Chi ci segue sarà un po’ stranito per il cambio di tono, atmosfere e temi, ma fateci sapere i vostri pareri 🤗

 
CAPITOLO 69 - ALWAYS


 

Non appena mise piede giù dal treno avvertì la pelle del viso venire sferzata dal vento freddo che si era alzato poco prima, regalandogli un brivido lungo la schiena.
Nicola si strinse nelle spalle, cercando rifugio nel caldo della giacca a vento e della sciarpa che teneva attorno al collo, mentre percorreva velocemente lo spazio che lo separava dal binario, dove era appena sceso, alla strada attigua alla piccola stazione di Torre San Donato. L’aria gelida della tarda mattinata non faceva altro che spingerlo ad accelerare ancora di più il passo, sperando di arrivare a casa non completamente congelato da capo a piedi.
Si guardò intorno, mentre camminava con il borsone sulla spalla, dove teneva alcuni vestiti e altre cose, riconoscendo il suo vecchio paese; gli faceva strano trovarsi di nuovo lì, dopo due mesi di completa latitanza.
“Chissà se ne varrà la pena”.
Sarebbe stato un compleanno strano da festeggiare, a partire dal fatto che era tornato a casa con il pensiero di festeggiare all’ultimo posto della sua personale lista di propositi per il weekend. C’era altro che gli riempiva i pensieri, e che lo faceva da quando una settimana prima Alessio gli era piombato in casa dicendogli che doveva tornare lì.
In fin dei conti il suo compleanno era un’ottima occasione ed un’ottima scusa per giustificare il suo ritorno ai suoi genitori – e anche a se stesso-, quando in realtà era parlare con Caterina ad averlo condotto lì, con ancora idee confuse e propositi aggrovigliati nella sua mente.
Nutriva ancora qualche riserva sulla sua scelta finale, quella di seguire il consiglio di Alessio e tornare, ma ormai si trovava lì. E non sarebbe ripartito se non dopo il suo compleanno, altri due giorni dopo.
Si chiese, se mai Caterina avesse deciso di rispondere a uno dei suoi messaggi o alle sue chiamate, se avrebbe mai accettato davvero di rivederlo. Non poteva fare a meno di sentire lo stomaco chiuso al pensiero. Aveva voglia di vederla, quello non poteva negarlo, ma aveva anche altrettanta paura di sbagliare di nuovo.
Aveva una tale confusione in testa che, trovarsi di nuovo lì, non faceva altro che complicare il suo bisogno di trovare una soluzione.
 
*
 
This Romeo is bleeding
But you can see his blood
It’s nothing but some feelings
That this old dog kicked up
It’s been raining since you left me
Now I’m drowning in the flood
You see I’ve always been a fighter
But without you I give up
 
Torre San Donato era sempre uguale a se stessa: un paese ormai alla deriva, fermo nel tempo nel modo peggiore, un paese dove i giovani si stavano allontanando sempre di più e dove l’antico splendore stava sfiorendo una volta per tutte. Nicola non riuscì a non pensarlo, mentre percorreva una delle strade che lo avrebbero portato in centro, lanciando solo ogni tanto qualche occhiata alle auto che gli sfrecciavano di fianco, sibilando e oltrepassandolo in pochi secondi.
Era uscito di casa poco prima, stanco di rimanere rinchiuso in un’abitazione che sarebbero rimasta vuota – a parte la sua stessa presenza- fino al ritorno dei suoi genitori quella sera, quando sarebbero rientrati dal lavoro. Il silenzio l’aveva stancato, talmente tanto che in prospettiva quella passeggiata senza meta era comunque decisamente più allettante.
Con il treno era arrivato poco prima di pranzo, e dopo aver mangiato qualcosa piuttosto velocemente e svogliatamente, aveva provato a buttarsi sul letto di camera sua, con il libro di calcolo in mano. Provare a studiare non lo aveva portato da nessuna parte, e in quasi due ore aveva concluso ben poco: più di una volta si era ritrovato a leggere la stessa riga numerose volte, e tentare di svolgere qualche esercizio non lo aveva aiutato affatto nella concentrazione. Sembrava che la sua mente viaggiasse completamente verso un’altra strada, ben lontana dalle formule delle equazioni e delle derivate che riempivano le pagine del libro.
Era uscito di casa senza un’idea precisa su dove andare, né per quanto tempo se ne sarebbe stato fuori: non erano nemmeno le quattro del pomeriggio, e la visibilità si era già ridotta a causa della nebbia scesa. E faceva freddo, molto più di quanto si era aspettato, e l’odore di umido nell’aria gli faceva quasi presupporre che avrebbe cominciato a piovere di lì a poco. Passeggiare in quel modo, senza una meta  e solo con i propri pensieri, sembrava quasi surreale, come se la realtà attorno a lui non esistesse davvero. Gli sembrava di sentire solo in lontananza il rombo dei motori delle auto e l’odore di benzina.
Si rese conto di aver perso la cognizione del tempo quando una goccia di pioggia calò sul suo viso. Alzando gli occhi al cielo si rese conto che più che la nebbia erano ora le nuvole plumbee ad aver fatto capolino, come aveva sospettato un po’ di tempo prima.
“Ci mancava solo che iniziasse a piovere sul serio”.
Non aveva pensato minimamente ad essersi portato dietro un ombrello quando era uscito, ed era troppo distante da casa per poter pensare di poterci arrivare senza prima inzupparsi d’acqua.
Ci vollero solo pochi minuti prima che iniziasse a scendere la pioggia fine che precedeva un temporale, ed ancora meno prima che iniziasse il temporale vero e proprio; aveva già invertito la rotta, ma non ce l’avrebbe mai fatta ad arrivare a casa in tempo, nemmeno correndo.
Si guardò intorno, cercando una soluzione temporanea per ripararsi: si trovava nel parcheggio di un supermercato, il cui ingresso era decisamente più a portata di mano.  Si sarebbe potuto riparare all’interno del negozio nella speranza che la pioggia smettesse in fretta di cadere, evitando così di bagnarsi e prendersi un raffreddore.
Nicola accelerò il passo, arrivando subito all’entrata del supermercato: non appena superò la soglia le luci luminose e giallognole del negozio gli si presentarono davanti agli occhi, costringendolo a fermarsi qualche secondo per abituare la vista a tutta quel chiarore. Muovendo i primi passi verso l’interno, non si sorprese affatto di vedere quel posto particolarmente affollato: era pur sempre venerdì sera, la maggior parte della gente stava facendo la spesa per la settimana dopo.
Continuò a camminare, sistemandosi i capelli arruffati e umidi, e lanciando occhiate disinteressate verso gli scaffali. Gli sembrava tutto così anonimo ed ordinario, attorno a lui, che nulla attirò per davvero la sua attenzione: vagava zigzagando in mezzo ai carrelli e alle persone che si allungavano per prendere le cose dai ripiani più alti degli scaffali, sperando che il temporale fuori finisse il prima possibile per poter tornare a casa, buttarsi sul letto e non pensare più a niente.
Gli sarebbe piaciuto riuscirci, liberare la mente anche per poco di ogni pensiero che lo tormentava. Eppure c’era sempre il perché era tornato, quel che gli aveva detto Alessio, a tenerlo inchiodato sullo stesso punto da giorni.
Rallentò il passo mentre si trovava in un’ala particolarmente poco frequentata del supermercato. Strano a dirsi, visto che era davanti agli scaffali degli alcolici.
Quando tirò fuori il cellulare dalla tasca dei jeans, lo guardò qualche secondo ancora con lo schermo spento, l’improvviso istinto che si stava facendo largo in lui. Forse era perché si trovava lì senza sapere cosa fare, bloccato lì dentro fino a quando la pioggia non sarebbe diminuita, o forse era perché tanto valeva fare l’ennesimo tentativo a vuoto tipico di chi non ha nulla da perdere.
Non era la prima volta in quella giornata che aveva provato a scrivere a Caterina. In treno doveva aver fatto almeno una ventina di tentativi, alla fine rinunciandovi: non era riuscito a trovare la parole adatte per poter esprimere il suo desiderio di voler vederla, non per un tentativo di riconquista, ma solo per parlarle dopo due mesi di totale silenzio. Non c’era riuscito, un po’ come non ce l’aveva mai fatta in tutto quel tempo passato.
Fare un tentativo in più mentre era lì dentro, in quel supermercato anonimo, non avrebbe fatto alcuna differenza.
Sbloccò il telefono, andando tra le chat di messaggi. L’ultimo con Caterina era datato ancora a dicembre, e poi non c’era stato più nulla. Sentì la nausea salirgli, come ogni volta che si ritrovava di fronte alla consapevolezza che si erano persi definitivamente, come due sconosciuti che nemmeno si riconoscono camminando fianco a fianco lungo la stessa strada.
Eppure le parole di Alessio gli dicevano che non doveva lasciar perdere così. C’era stato qualcosa, forse nel suo sguardo o nella voce, quando gli aveva parlato, che gli aveva dato la sensazione che ci fosse qualcos’altro sotto. Non aveva idea di cosa, non aveva nemmeno idea se fosse davvero così, ma non era riuscito a scrollarsi di dosso quella sensazione.
E poi, per quanto fosse difficile da ammettere, Caterina gli mancava. Gli mancava sapere come stava, cosa faceva nelle sue giornate, cosa pensava, e se c’era anche solo la minima possibilità di poter riparare almeno in parte le cose forse doveva afferrarla.
Nessun messaggio scritto avrebbe mai funzionato, ma c’era un altro modo per contattarla. Compose il suo numero, che dopo tutti quegli anni sapeva ormai a memoria, e con il cuore in gola fece partire la chiamata.
Per un attimo ebbe la tentazione di terminare quella chiamata ancora non iniziata, ma prese un sospiro profondo e cercò di allontanare quell’idea: doveva pur fare qualcosa se voleva cambiare la situazione.
Alzò il braccio, portando il cellulare accostato all’orecchio. Contò gli squilli a vuoto, il cuore che gli batteva così velocemente in petto che faticava a distinguere le due cose.
Gli squilli continuarono, senza nessuna risposta, quando ormai ne dovevano mancare pochi prima che partisse la segreteria.
“Non risponderà”.
-Pronto?-.
Nicola trattenne il respiro e sbatté gli occhi un paio di volte, domandandosi se aveva sognato la voce di Caterina provenire dall’altra parte della linea.
Non c’erano più squilli, ora solo silenzio, e dentro di lui sapeva che avrebbe dovuto dire qualcosa, qualsiasi cosa, ma per diversi secondi sentì il groppo in gola che si era appena formato impedirgli di formulare anche la parola più semplice.
-Pronto?- Caterina ripeté ancora, inequivocabilmente – Sei tu, Nicola?-.
Nicola annuì, anche se lei non poteva vederlo. Sapeva che gli era mancato ascoltare la sua voce, ma si rese conto di quanto davvero gli fosse mancata solo in quel momento.
Si schiarì la voce, tossendo appena.
-Sì, sono io- gracchiò, accostandosi meglio il telefono all’orecchio – Ciao-.
Non sapeva cosa avrebbe dato anche solo per averla lì di fronte a sé anziché al telefono, potersi avvicinare a lei, e poterla abbracciare. L’avrebbe abbracciata cogliendola all’improvviso, magari baciandola per farle capire che era lui, il suo Nicola. Era solo un sogno che ricordava il passato, un passato che ormai avrebbe dovuto lasciarsi alle spalle, perché era già tanto se non l’aveva ignorato. Aveva risposto alla sua chiamata contro ogni aspettativa, ed era consapevole che dovevano andare così: a piccoli passi, senza forzature di alcun tipo.
-Ciao- lo salutò di rimando Caterina, forse sorpresa solo in parte. Per qualche attimo di nuovo nessuno di loro disse nulla, come se la linea fosse caduta definitivamente.
-Io non … - Nicola si passò la lingua sulle labbra secche – Non pensavo avresti risposto-.
Caterina si lasciò andare ad una breve risata tutt’altro che divertita:
-Neanche io lo pensavo-.
Nicola non le poteva dare torto. Visto come e cosa si erano detti l’ultima volta che si erano visti, immaginava lo sconcerto di Caterina nel vederlo contattarla e nel vedere se stessa decidere di accettare di ascoltarlo.
O forse, in fondo, anche lei voleva parlargli quanto lo voleva lui, anche solo per poco.
Prima che potesse aggiungere qualcos’altro, fu di nuovo Caterina a parlare:
-Come mai mi hai chiamato?-.
Quella risposta poteva essere semplice e complicata allo stesso tempo.
-Volevo sapere come stavi- iniziò a dire Nicola, con cautela – Il fatto è che sono a Torre San Donato in questi giorni. Per il mio compleanno-.
-Lo immaginavo- gli rispose lei.
Anche se stavano parlando in maniera piuttosto tranquilla, Nicola riusciva a palpare la tensione presente. La sentiva attanagliarlo non solo alla bocca dello stomaco, ma anche alla gola, impedendogli di pensare lucidamente e parlare senza ostacoli. Odiava quel senso di disagio, e lo odiava ancor di più al pensare che tutto stesse avvenendo proprio con Caterina. Gli sembrava di essere tornato a quattro anni prima, quando erano davvero due sconosciuti: la consapevolezza di quanto si fossero allontanati in pochi mesi, distruggendo tutta l’intimità che avevano raggiunto in anni ed anni insieme, lo stava rendendo nervoso e tutt’altro che fiducioso.
Se lo sarebbe dovuto aspettare, ed in fondo sapeva che la realtà non poteva essere differente da quella che si ritrovava davanti.
-In realtà non ti ho chiamato per dirti solo questo- ammise a mezza voce. Era sicuro che l’avesse intuito sin dall’inizio anche lei, ma era pur sempre meglio mettere in chiaro le proprie intenzioni.
-Volevo chiederti se ti andava di vederci- disse ancora, con voce incerta – Per parlare un po’-.
Dall’altra parte giunse ancora silenzio. Forse Caterina non si era aspettata del tutto una proposta del genere, o forse stava ancora pensando ad un modo non troppo meschino per rifiutare, o forse ancora stava pensando se quella era una buona idea o meno.
Sospirò a fondo, odiando quel senso di disagio che non accennava ad andarsene.
-Se non vuoi lo capisco- mormorò, con voce gentile. Non voleva che si sentisse costretta a farlo, anche se sperava dentro di sé che accettasse, nonostante il panico che avrebbe provato alla sola idea di rivederla dopo tutto quel tempo e rischiare di dire o fare ancora qualcosa di sbagliato.
Dall’altra parte della linea arrivò un sospiro pesante:
-Non credevo che me l’avresti davvero chiesto- sussurrò Caterina, come se lo stesse dicendo più a se stessa, prima di alzare la voce per farsi sentire meglio – Quanto rimani qua?-.
-Non lo so ancora- rispose sinceramente Nicola, senza capire se quella domanda equivaleva ad accettare la proposta o meno – Forse riparto già domenica, forse lunedì … Non so-.
-Ho il weekend già impegnato. Però … - Caterina si interruppe come per pensare ad una soluzione, segno definitivo, pensò Nicola, che forse c’era davvero la possibilità che accettasse – Possiamo vederci domani quando esco da scuola, a mezzogiorno e quaranta? Non sarà per molto tempo, ma è meglio di niente-.
La risposta di Caterina era finalmente arrivata: da come parlava, ora, meno esitante e ugualmente imbarazzata, sembrava davvero si stesse rivolgendo a qualcuno con cui non aveva la benché minima confidenza. Nicola cercò di ignorare quella sensazione per concentrarsi di più sul fatto che, nonostante tutto, avessero appena concordato un giorno, un luogo ed un orario per vedersi e parlare.
Era molto più di ciò che aveva sperato.
-Ti posso aspettare in parcheggio- le rispose, sperando che non si capisse quanto fosse stupito dalla sua voce – Non credo di farcela ad arrivare subito, forse per l’una dovrei esserci-.
In realtà, si rese conto, non era nemmeno sicuro di avere un’auto disponibile – che fosse quella di sua madre o di suo padre non importava-, e si ripromise, una volta tornato a casa, di guardare eventualmente anche gli orari dei treni. Non poteva mancare, per nessuna ragione al mondo.
-Non importa, va bene così- lo rassicurò Caterina, con vago distacco.
-Allora a domani- Nicola lo disse con molta più leggerezza di quanto non aveva provato per tutto il resto della loro conversazione.
-Sì, a domani-.
Chiuse la chiamata con uno strano senso di sollievo misto ad ansia ancor più forte di quella che aveva provato quando aveva deciso di chiamare Caterina.
Gli ci vollero alcuni secondi per riprendere contatto con la realtà e comprendere ciò che era appena successo.
“La rivedrò domani”.
Quasi senza accorgersene, ormai impossibilitato a star fermo oltre quel momento, Nicola si mosse verso l’uscita del supermercato. Aveva troppa tensione da scaricare per pensare di restare lì ancora a lungo.
Fuori la pioggia si era calmata rispetto a prima, anche se non si era ancora fermata, nell’oscurità della sera che calava sempre di più. Nonostante la pioggia continuasse a scendere, scivolosa sulla pelle del viso sempre più fredda, Nicola non si voltò indietro: poteva resistere fino a casa, ora che il temporale aveva smesso di scendere per lasciar spazio ad una pioggia fine primaverile.
Continuò a camminare, passo dopo passo, il peso dei vestiti umidi sempre più pesante sulle sue spalle, e l’interrogativo sul domani che gli oscurava la vista.
Cercò di immaginare come sarebbe stato rivedere Caterina l’indomani, alla loro vecchia scuola – il luogo dove si erano conosciuti-, dopo più di due mesi di totale silenzio. Sarebbe stato strano? Si sarebbero sentiti a disagio? Avrebbero inevitabilmente litigato di nuovo? Per un qualche motivo, Nicola si sentiva di poter escludere quell’ultima ipotesi. Caterina gli era parsa sufficientemente calma per telefono, anche se distaccata, e se gli aveva risposto e accettato la proposta doveva avere una qualche ragione per farlo.
Forse anche lei sentiva il bisogno di parlargli, dopotutto.
Ripensò ancora una volta a ciò che gli aveva detto Alessio, al fatto che avessero bisogno entrambi di una chiusura: poteva essere una chiusura su ciò che non era funzionato tra loro, una conversazione chiarificatrice per entrambi, da cui poteva nascere qualcosa di buono. Nicola voleva convincersi che poteva essere così.
Arrivò a casa con quel senso di coraggio che non provava da moltissimo tempo. Non si era nemmeno reso conto di averci messo così poco a tornare, camminando spedito come aveva fatto; si sentì rabbrividire quando, dopo aver aperto la porta ed essere entrato nell’ingresso, sentì il tepore dell’interno dell’abitazione accoglierlo.
Fu sollevato nel ricordarsi che, almeno ancora per un po’, i suoi genitori non sarebbero tornati: si sarebbe potuto risparmiare spiegazioni per come si era ridotto – ormai bagnato fradicio-, spiegazioni che non avrebbe voluto dare in ogni caso. Si apprestò a salire le scale, pensando che avrebbe fatto bene a raccogliere un po’ di idee per l’indomani. Non valeva la pena inventarsi un qualche lungo discorso da fare – sarebbe solo sembrato falso e artificioso-, ma c’erano troppe cose che voleva ancora dire a Caterina, e non poteva permettersi di perdere l’occasione per potergliene parlare.
Voleva dirle che gli era mancata. Gli era mancato poterla vedere in viso, poterle parlare, gli era mancato anche solo farle sapere di quella mancanza.
E voleva dirle che gli dispiaceva. Che ora aveva avuto tempo, molto di più di quel che avrebbe mai potuto chiedere, per riflettere su ciò che aveva sbagliato. Che forse scusarsi non avrebbe cambiato nulla ormai, ma almeno avrebbe saputo che si era sinceramente pentito di tutto ciò che di erroneo aveva fatto in passato per farla arrivare a quel punto.
Non le avrebbe detto che l’amava. Non perché non fosse vero – l’amava ancora, di questo ne era più che sicuro-, ma non l’avrebbe messa nella posizione di dover subire quella confessione in un momento in cui, molto probabilmente, le avrebbe fatto solo male sentirselo dire.
 
Now I can’t sing a love song
Like the way it’s meant to be
Well I guess I’m not that good anymore
But baby, that’s just me
 
Poteva, però, dirle che ci teneva ancora a lei. Che gli importava, che le voleva bene, che non le portava rancore e che, anzi, era disposto anche a rimanere con lei. Come amico, almeno, se lei l’avrebbe voluto.
Se non poteva dirle che l’amava a voce, gliel’avrebbe fatto capire facendo in modo che non sparisse dalla sua vita. Avrebbe lottato per lei, se Caterina gliene avrebbe dato possibilità.
Non gli importava davvero dover aspettare: poteva essere un giorno, un mese, un anno, non poteva saperlo. Ma sapeva che quello, in fin dei conti, era solo tempo.
Poteva aspettare, cercare di farle capire quanto ancora la amasse.
E doveva iniziare da domani, dimenticandosi degli ultimi mesi passati a vivere per inerzia.
Doveva scrollarsi di dosso quel senso di sconfitta e di perdita, e sapeva che quello non sarebbe stato facile, non dopo aver imparato a conviverci, come se fosse una condizione di normalità.
Magari era troppo tardi – quasi sicuramente lo era-, o forse Caterina non sarebbe stata della stessa idea, ma provarci non gli sarebbe costato nulla, non quando aveva già toccato il fondo e più in basso di così non ci sarebbe mai potuto arrivare.
 
And I will love you, baby
Always
And I’ll be there forever and a day
Always
I’ll be there ‘till the stars don’t shine
‘Till the heavens burst
And the words don’t rhyme
And I know when I die, you’ll be on my mind
And I’ll love you
Always
 
*
 
Il Virgilio era esattamente come lo ricordava, ed esattamente uguale a com’era l’ultima volta che era stato lì. O almeno lo sembrava visto dall’esterno, immobile nel tempo, quando l’ultima campanella del sabato ancora non era suonata.
Nicola tenne le mani nelle tasche del cappotto, già agitato nonostante mancassero ancora pochi minuti prima che scattasse mezzogiorno e quaranta, l’ora in cui sarebbe finita la quinta ora e quando Caterina sarebbe uscita.
Era riuscito ad arrivare in anticipo rispetto a quel che le aveva detto – un miracolo dovuto al fatto che sua madre non aveva avuto bisogno di prendere l’auto quella mattinata-, e di sicuro Caterina sarebbe stata piuttosto sorpresa nel vederlo già lì, a dispetto di quel che si erano detti ieri.
Tirò fuori una mano dalla tasca, e con lei anche il cellulare per controllare l’ora: ormai mancava davvero poco al suono della campanella.
Aveva avuto la fortuna di trovare un posto all’interno del parcheggio della scuola, in una delle file centrali, ed era stato un altro miracolo della giornata, perché quando era arrivato poco prima il parcheggio era già colmo di auto parcheggiate. Aveva trovato quel posto per puro caso, mimetizzandosi tra il resto delle macchine e scendendo subito dopo per prendere una boccata d’aria fresca.
Qualche studente sgattaiolò furtivamente fuori dall’uscita sul retro per avviarsi alla fermata delle corriere, e Nicola si ritrovò a ridere tra sé e sé di fronte a quegli spaccati di vita rubati dei liceali. Probabilmente l’aveva fatto anche lui qualche volta.
Respirò a fondo, abbandonandosi con la schiena contro la fiancata dell’auto: cominciava a soffrire la tensione che l’aveva accompagnato da ieri. Aveva paura che l’ansia potesse farlo sbagliare qualcosa – magari dire qualcosa di sbagliato involontariamente, o farlo sembrare troppo schietto-, e per un attimo ebbe quasi la tentazione di andarsene. Rimase lì, però, perché l’idea di perdere quell’opportunità era ben peggiore di qualsiasi altro scenario.
Rimase lì, con i piedi ben ancorati a terra e le unghie conficcate nella pelle da quanto stringeva forte il pugno. Scappare di nuovo non avrebbe cancellato la realtà, e visto che era lì, tanto gli sarebbe convenuto cominciare ad affrontarla una volta per tutte, qualunque cosa sarebbe successa. In qualsiasi caso non aveva nient’altro da perdere.
Nicola si stropicciò stancamente gli occhi, nel momento stesso in cui sentì in lontananza il trillo ovattato provenire dall’interno della scuola: la consapevolezza che di lì a poco anche Caterina sarebbe uscita da quella porta lo fece agitare ancor di più.
In mezzo a tutti quegli studenti, che si erano riversati fuori già pochi secondi dopo, pensò che sarebbe stato comunque difficile individuarla. Forse avrebbe fatto bene a scriverle per dirle che era già lì, indicarle dov’era ed aspettare che fosse lei a venire a cercarlo.
Stava quasi per farlo, quando la folla diminuì, e appena a qualche metro dall’uscita sul retro, proprio di fronte al parcheggio e accanto al muro dell’edificio, intravide una tracolla azzurra. Una famigliare tracolla azzurra, poggiata a terra accanto ai piedi di due ragazzi.
Esitò qualche secondo prima di alzare gli occhi, e non poté fare altro che pentirsi subito di quella scelta. Avrebbe riconosciuto Caterina ovunque, ed in ogni situazione: di spalle, con un cappuccio a coprirle il viso e i capelli, con il solo tatto, e non aveva alcun dubbio che la ragazza che stava osservando ora, con il cuore che batteva così forte da sembrare di voler scoppiare, fosse proprio lei.
E suo malgrado, un battito perso quando realizzò, avrebbe riconosciuto anche l’altra persona con cui era.
Era stato un flash, veloce ed inaspettato, come se Nicola, in quel breve lasso di tempo, fosse riuscito ad intuire tutti i resti del puzzle che prima non erano andati al proprio posto.
Sentì lo stomaco chiudersi, un groppo in gola che gli impediva perfino di lasciarsi andare ad un pianto liberatorio. Quanto volentieri sarebbe tornato indietro, piuttosto che vivere quel presente che gli stava così stretto e che lo soffocava.
Prima ancora di ragionare in maniera razionale, si infilò in auto in tutta fretta, prima che Caterina potesse vederlo, o anche solo ricordarsi del loro appuntamento. E fu in quel momento, proprio pochi secondi dopo che ebbe richiuso la portiera, che la vide avvicinarsi a Giovanni, allungarsi verso di lui e lasciargli un veloce bacio a stampo.
Nessun bacio sulla guancia, nessun tipo di contatto che lasciasse presupporre che fosse un semplice saluto tra amici, che già di per sé sarebbe stato una novità. Era stato un bacio a fior di labbra, brevissimo ma che c’era stato, e a cui Nicola aveva appena assistito per puro caso, certo che Caterina fosse convinta che lui dovesse ancora arrivare.
Si sentì svuotare di qualsiasi emozione. Ci furono solo ricordi a riempirgli la mente, quelli in cui al posto di Giovanni – a pensarci ancora non ci credeva-, c’era lui stesso.
Ormai era evidente che appartenesse tutto al passato.
 
Now your pictures that you left behind
Are just memories of a different life
Some that made us laugh, some that made us cry
One that made you have to say goodbye
 
Provò un senso di nausea talmente forte che ebbe quasi il bisogno di scappare fuori dall’auto per vomitare, ma strinse i denti, prese respiri profondi che però non calmarono i battiti accelerati del cuore, e rimase in auto. Osservò Caterina salutare Giovanni con un gesto della mano, e allontanarsi da lui subito dopo, guardandosi intorno – anche verso il parcheggio.
Era evidente che lo stava già aspettando, anche se Nicola il giorno prima le aveva detto che l’avrebbe raggiunta solo una ventina di minuti dopo la sua uscita da scuola.
“E forse sarebbe stato meglio così” si ritrovò a pensare.
Continuò a guardarla ancora per qualche secondo, prima di accendere il motore dell’auto. Recuperò il cellulare, andando sulla chat di Caterina, digitando così veloce da non riuscire quasi a vedere ciò che scriveva.
«Scusa, ho avuto un imprevisto a casa. Non posso esserci oggi».
Si chiese se Caterina si aspettasse una cosa del genere, una scusa da parte sua per disdire all’ultimo. O magari ci aveva davvero creduto – come aveva fatto lui fino a pochi minuti prima-, lasciando che la delusione prendesse il sopravvento.
Non aveva idea di quale sarebbe stata la sua reazione a quell’incontro che non sarebbe mai avvenuto, non per quel giorno, ma Nicola non aveva la forza di pensarci.
Posò il cellulare distrattamente sul sedile del passeggiero, e non lanciò a Caterina nemmeno un ultimo sguardo – vederla ferita o delusa quando avrebbe letto il messaggio sarebbe stato troppo da sopportare-, prima di guidare l’auto fuori dal parcheggio, lontana dal Virgilio.
 
*
 
La nausea non era ancora passata, motivo per il quale non aveva toccato cibo a pranzo.
Steso sul letto della sua vecchia camera, a stomaco vuoto ma con la mente piena di pensieri, provò la tentazione di andarsene subito a Venezia.
Non che avrebbe comunque cancellato ciò che aveva visto un paio d’ore prima, ponderò con una punta di amarezza.
“Mi ha lasciato per lui?”.
Non ricordava quante volte si era già ripetuto quella domanda tra sé e sé, ma non importava. Ogni volta rimaneva sempre senza alcuna risposta, dato che avrebbe potuto rispondere solo Caterina, e lui aveva preferito scappare via prima che lei potesse accorgersi della sua presenza.
Doveva ammettere che non si sentiva molto sorpreso dallo scoprire come si era evoluta la sua relazione con Giovanni. Era forse la cosa più naturale che potesse venirgli in mente, vederla con qualcuno che le aveva sempre fatto capire di essere interessato a lei. Doveva riconoscergli una certa perseveranza: non si era perso d’animo ed ora era lui a stare accanto a Caterina, al posto suo.
C’era qualcosa, più una sensazione che qualcosa di tangibile, che gli diceva che però Giovanni c’entrava relativamente. Erano stati altri i motivi per cui Caterina era arrivata al limite, di quello ne era piuttosto certo. La presenza di lui era forse qualcosa in più, qualcosa di accessorio, ma non qualcosa che era stato decisivo.
Rimaneva solo l’unica certezza che, ora per certo, per lui non c’era più posto.
Si strofinò gli occhi, come se potesse bastare quel gesto a cancellare dalla sua memoria quel bacio che aveva visto.
“Forse con lui è davvero più felice”.
Era un pensiero che lo terrorizzava, anche se sapeva che Caterina se lo meritava. Si meritava serenità, con o senza di lui, o con chiunque avrebbe voluto. Non riusciva nemmeno a provare un minimo di gelosia – Caterina era libera di fare quel che voleva-, né rabbia, né nient’altro.
Forse solo invidia.
Invidia verso Giovanni, che poteva baciarla, accarezzarle piano i capelli, facendo scivolare lentamente le dita tra quelle ciocche scure, stringerla a sé e poterle parlare. Poterla avere accanto, guardarla con lo sguardo innamorato che era riuscito a riconoscere anche solo in pochi secondi.
Evidentemente ci doveva star riuscendo meglio di quanto non era riuscito a fare lui.
“Almeno forse ora ha accanto qualcuno che la fa stare bene”.
 
What I’d give to run my fingers through your hair
To touch your lips, to hold you near
When you say your prayers try to understand
I’ve made mistakes, I’m just a man
When he holds you close, when he pulls you near
When he says the words you’ve been needing to hear
I’ll wish I was him ‘cause those words are mine
To say to you ‘till the end of time
 
Il sapore della solitudine non era mai stato così forte come in quel momento.
Ricordò un pomeriggio piovoso a Venezia, simile a quello del giorno precedente, passato a porsi domande su quello che stava vivendo. A domandarsi su cosa e quanto tutto stesse cambiando, e ancora una volta gli parve di ricordare una persona che non riconosceva più come se stesso. Riusciva a malapena a rimanere al passo con i cambiamenti che sentiva avvenire dentro di sé, nel profondo, e men che meno poteva immaginare di riuscire a comprendere i cambiamenti che avevano investito Caterina in quel lasso di tempo.
Poteva solo sperare che a lei stesse davvero andando meglio di quanto non stava andando a lui.
E si sentì di nuovo tremendamente codardo: era scappato di nuovo, non appena ne aveva avuto l’occasione. Non aveva affrontato sul serio la situazione. Non ancora.
Non sapeva che avrebbe potuto fare, ora. Sarebbe rimasto a guardare, a leccarsi le ferite in un angolo? Se ne sarebbe tornato subito a Venezia, lasciando perdere tutto e facendo finta di non aver mai scoperto nulla?
Più riviveva quegli attimi appena passati, e più gli tornavano in mente le parole che Alessio gli aveva detto per spingerlo a tornare.
“Se ci tieni ancora a lei, in un qualche modo, allora devi andare là e farglielo sapere”.
L’unico problema era che la sola idea di parlare con lei, ora come ora, lo terrorizzava ancor di più di prima.
 
*
 
Non aveva davvero idea di quel che stava facendo.
Non ne aveva idea, ma ormai era di nuovo lì, nel parcheggio pieno del Virgilio, quando all’una e mezza mancavano pochi minuti.
Domenica era passata in una nebbia d’incertezza. Aveva festeggiato il suo ventesimo compleanno con poca energia e poca voglia, ripetendosi tra sé e sé che avrebbe fatto meglio a partire per Venezia già lunedì mattina, prima di rischiare di fare qualche cazzata.
La stava facendo, invece, la cazzata, proprio quel lunedì mattina, mentre era di nuovo nel posto dove sabato aveva assistito al bacio tra Caterina e Giovanni.
Stavolta non era sceso dall’auto, almeno non subito. Stava aspettando pazientemente, picchiettando i polpastrelli sul volante dell’auto ormai spenta.
I minuti prima che scattasse l’una e mezza passarono più velocemente di quel che aveva sperato. Di nuovo, come da copione, la campanella trillò all’ora esatta, e passarono alcuni secondi prima che i primi studenti uscissero dalla porta sul retro, diramandosi tra il parcheggio e la strada sterrata che portava alla strada adiacente, alla fermata delle corriere. Avrebbe dovuto sperare che la ressa di studenti si dileguasse almeno un po’ per poter scorgere la persona che cercava.
Passarono un altro paio di minuti prima che distinguesse, senza troppa fatica, Caterina. Stavolta era sola, mentre camminava velocemente verso la strada.
La osservò allontanarsi, prima di riportare lo sguardo verso la porta. Gli venne il dubbio che Giovanni potesse anche non uscire da lì, visto che evidentemente per quel giorno non si era fermato a parlare con Caterina prima di separarsi, ma attese comunque. Era già stato abbastanza fortunato da non vederli di nuovo insieme, contro ogni sua aspettativa.
Uscì dall’auto poco dopo, quando Caterina ormai non avrebbe di certo potuto scorgerlo né sapere della sua presenza – Nicola non era certo stato lì ad informarla di quel suo cambio di piano-, agitato e chiedendosi ancora se stava facendo una cosa sensata. L’unica cosa che lo stava spingendo a cercare proprio Giovanni, l’ultima persona con cui avrebbe mai pensato di voler parlare, era il bisogno stesso di parlare con qualcuno. E non c’era persona che potesse capirlo meglio di lui, in questo caso.
Era ironico, e si ritrovò a sorridere sarcasticamente tra sé e sé a quel pensiero, cercare comprensione nella stessa persona che fino a mesi prima aveva considerato alla stregua di un nemico.
Nicola attese ancora qualche secondo prima di spostarsi dall’auto, e dirigersi verso il tratto di strada che portava all’uscita del parcheggio, continuando a spostare lo sguardo in ogni direzione.
Aveva fatto pochi passi, quando finalmente gli sembrò di riconoscere la persona che stava cercando: Giovanni, lo sguardo perso in chissà quali pensieri, che camminava velocemente verso l’uscita del parcheggio, senza accorgersi di lui. Nicola fece un respiro profondo, prima di riuscire ad accelerare il passo: non aveva idea di come avrebbe reagito Giovanni vedendolo, né cosa avrebbe provato a dire. Sperava solo non cercasse di scappare, magari difendendosi a suon di pugni o con male parole.
Ogni dubbio, comunque, sembrò dissolversi nel momento stesso in cui gli fu di fronte. Gli sembrò quasi di vivere quel momento al rallentatore, con Giovanni che aveva alzato lo sguardo per caso, vedendolo davanti a sé, sgranando gli occhi e sbiancando di colpo. Sembrava avesse appena visto un fantasma.
Si pietrificò, bloccandosi di colpo, e osservandolo in quello stato Nicola si sentì quasi in colpa: era evidente che fosse terrorizzato.
-Ciao- lo salutò con più naturalezza possibile quando gli fu a poco più di un metro di distanza.
Giovanni lo guardò ancora in silenzio per diversi secondi, quasi stesse decidendo se Nicola era effettivamente reale o solo frutto di una sua allucinazione.
-Che ci fai qui?-.
Giovanni parlò con voce strozzata, gli occhi azzurri ancora spalancati; fece un passo indietro ristabilendo una certa distanza dall’altro.
“Non lo so bene nemmeno io”.
-Dobbiamo parlare- Nicola lo disse con aria vaga, forse perché non avrebbe saputo nemmeno lui cos’altro dirgli. Giovanni dovette intuire che non c’era ostilità da parte sua, perché sebbene fosse ancora particolarmente rigido, perlomeno smise di guardarlo come si guarda uno zombie.
-Di cosa?-.
-Penso tu possa intuirlo da solo- Nicola aveva sbuffato appena, cercando di contenere il nervosismo che cominciava ad emergere – Possiamo andare in un posto tranquillo, dove poter parlare in santa pace?-.
Per i primi secondi, in cui era caduto un silenzio quasi imbarazzante e teso, Nicola ebbe quasi il sospetto che Giovanni gli avrebbe risposto che no, non potevano assolutamente parlare loro due. Non si fidava delle sue parole, glielo poteva leggere in faccia, ma sperava che, perlomeno, non fuggisse via sul serio.
Ogni timore del genere, però, se ne andò via ancora una volta dopo altri attimi passati in trepida attesa.
Il primo passo, dopo il cenno di assenso che Giovanni aveva appena fatto, era finalmente compiuto.
 


Il centro di Piano all’ora di pranzo era quasi del tutto deserto, nonostante fosse una giornata particolarmente soleggiata e calda per essere ancora inizio marzo.
Anche al Babylon c’erano ancora diversi tavolini non occupati. Lui e Giovanni non avevano fatto fatica a trovarne uno sufficientemente appartato, piuttosto distante dal bancone, in un angolo tranquillo e non molto visibile. Si erano seduti uno di fronte all’altro, come due vecchi amici al bar venuti lì per farsi una bevuta o per un caffè davanti al quale raccontarsi gli ultimi eventi.
Forse la cosa dell’essere vecchi amici non sarebbe mai stata vera, ma Nicola era piuttosto sicuro che lo sarebbe stata la parte del parlare di ciò che stava succedendo.
Giovanni si era sciolto solo un po’, ma non aveva spiccicato parola da quando Nicola gli aveva detto che dovevano parlare. Avevano camminato insieme fino a lì, senza che nessuno di loro aprisse bocca, Giovanni probabilmente per la diffidenza che provava verso di lui, e Nicola perché ancora doveva decidere come iniziare il discorso senza essere troppo precipitoso o invogliando l’altro a rinchiudersi ulteriormente a riccio.
Ora che si trovavano seduti lì, con un caffè davanti a ciascuno, ordinati cinque minuti prima, l’atmosfera non era meno tesa. Giovanni continuava a girare il cucchiaino nella tazzina, lo sguardo perso ancora una volta nel vuoto davanti a sé.
Nicola era sicuro che quel caffè sarebbe diventato freddo prima che si decidesse anche solo a berne un sorso.
-Quindi lo sai?-.
Contro ogni aspettativa, fu Giovanni il primo a parlare. Aveva alzato lo sguardo di poco, a sufficienza per puntare gli occhi azzurri verso il viso inespressivo di Nicola.
-Di te e Caterina?- chiese lui di rimando, quasi del tutto sicuro che la domanda sottintendesse quello – A quanto pare sì-.
Ebbe la tacita conferma che Giovanni si stesse riferendo proprio a quella questione – ed anche la conferma che effettivamente ci fosse qualcosa tra loro- guardando il suo viso sbiancare ancora un po’. Sembrava aspettarsi una qualche crisi di rabbia da parte sua, ma Nicola sentiva solo un immenso vuoto ed un dolore all’altezza del petto, entrambe cose che gli impedivano di provare qualunque altra sensazione.
-Come l’hai scoperto?- chiese ancora Giovanni, dopo qualche attimo di silenzio.
-Non ha importanza ora- tagliò corto Nicola, sommessamente.
Giovanni sbuffò debolmente, lasciando perdere persino il rigirare il cucchiaino nel suo caffè. Sembrava più confuso ora, solo disorientato.
-Non capisco- mormorò infatti – Non capisco perché tu voglia parlare proprio con me. Non dovresti odiarmi o qualcosa del genere?-.
A quelle parole Nicola dovette soffocare una risata amara priva di qualsiasi divertimento:
-Dovrei?- disse, scrollando le spalle – Non ho nessun diritto di sindacare sulla vita di Caterina. Posso al limite pensare che alcune sue scelte siano discutibili, ma non posso fare altro-.
Lo disse con una tale naturalezza che sembrò lasciare Giovanni spiazzato totalmente.
Osservandolo dall’altra parte del tavolo, Nicola si chiese sul serio cosa ci trovasse Caterina in lui. Doveva averci visto qualcosa però, qualcosa che a lui era sempre sfuggito, se alla fine era con Giovanni che aveva voltato pagina. Forse l’aveva sempre giudicato malamente, offuscato dal pregiudizio, troppo in fretta e troppo superficialmente.
-Non ho intenzione di litigare, sul serio- Nicola parlò ancora, con calma – Ora come ora a cosa servirebbe, se non a peggiorare le cose? Per quel che mi riguarda, ho avuto solo ciò che mi sarei dovuto aspettare-.
Giovanni prese un respiro profondo; sembrava in parte tranquillizzato da quelle parole, ma sembrava altrettanto difficile per lui riuscire a fidarsi del tutto. Nicola non riusciva a dargli torto, calcolando i loro dissidi del passato. Con un sospiro pesante, parlò di nuovo per la terza volta:
-Volevo solo chiederti una cosa-.
Giovanni si strinse nelle spalle:
-Perché vuoi chiederla a me e non a lei?-.
Nicola abbassò lo sguardo qualche secondo, prima di mormorare:
-Credevo di essere pronto a parlarle di nuovo- disse con sincerità – Ma penso che in realtà mi serva ancora un po’ di tempo-.
“E strano ma vero, parlare con te è comunque più facile”.
Forse Giovanni ancora non si fidava, o forse lo stava credendo del tutto impazzito, ma dopo qualche secondo annuì impercettibilmente.
-Cosa vuoi sapere?-.
Nicola non attese oltre:
-Come sta?-.
-Non puoi chiederlo a qualcuno dei vostri amici?- replicò l’altro, le mani strette attorno alla tazzina di caffè che ancora non aveva bevuto. Doveva essere ormai diventato completamente freddo.
-Visto che ora siete intimi forse tu saprai rispondermi meglio-.
Giovanni sembrava molto più in difficoltà persino rispetto a quando si era ritrovato Nicola stesso davanti senza alcun preavviso. Scrollò le spalle, mentre scuoteva il capo debolmente:
-Come vuoi che stia … -.
Sbuffò piano, il viso contratto.
-Non è che con me si stia aprendo molto di più- ammise infine – Lo aveva fatto di più prima … Prima che ti lasciasse-.
Nicola corrugò la fronte:
-In che senso?-.
-Si è sfogata quando avete cominciato ad avere i primi problemi. Siamo diventati amici nei mesi scorsi per questo motivo- iniziò a dire Giovanni, prima che la sua voce si affievolisse – Lo so che sembra quasi che io abbia approfittato di un suo momento di dolore per avvicinarla, ma non è così. Ho solo cercato di offrirle una spalla su cui piangere, quando dall’autunno scorso non sapeva più cosa fare con te-.
-Non lo sapevo- sussurrò Nicola con un soffio di voce a malapena udibile.
Provò un senso di sofferenza ancor più grande di quel che aveva provato il sabato prima, o nei tanti giorni passati nella solitudine della sua stanza a Venezia, fermo a pensare a come sarebbero potute andare le cose se avesse agito diversamente.
Ora lo capiva ancora meglio. Gli fece male sapere che Caterina aveva trovato conforto in qualcun altro quando sarebbe dovuto essere lui a confortarla, a farla sentire al sicuro, apprezzata.
Non c’era stato quando Caterina avrebbe avuto più bisogno di lui.
Non se n’era nemmeno accorto, e quando l’aveva fatto aveva continuato ad agire come se non stesse avvenendo tutto sotto i suoi stessi occhi.
Sapeva che Giovanni stava dicendo la verità. Lo sapeva perché, pur non avendo la certezza che le sue parole fossero vere – una certezza matematica che non avrebbe mai avuto-, vedeva sincerità nei suoi occhi chiari. E c’era anche dolore, simile a quello che stava provando lui stesso, e quella cosa lo fece sentire vicino a Giovanni più di quanto avrebbe mai immaginato potesse succedere proprio con lui.
Gli era sempre sembrato quasi impossibile che Giovanni potesse mai provare amore nei confronti di Caterina, eppure in quel momento, gli sembrava impossibile il contrario.
Riusciva a specchiarsi nei suoi occhi, e ritrovare lo stesso dolore e lo stesso amore che sembravano essere le uniche cose ad accomunarli e che li legavano alla stessa persona.
 
If you told me to cry for you
I could
If you told me to die for you
I would
 
-Mi sa che ti sei perso un po’ di cose- Giovanni parlò con ironia sottile, ma senza renderla tagliente – Pensa ancora a te. Non è che lo dice, ma lo sento-.
Giovanni si portò una mano al viso, passandosela davanti agli occhi, come a voler cancellare quel senso di insicurezza che sembrava pervaderlo.
-Stupidamente speravo di riuscire a farla stare meglio, pensando che i miei sentimenti sarebbero bastati per entrambi. Non è andata così- sbuffò di nuovo con poca convinzione, e ora a Nicola parve quasi di vedergli gli occhi velati e lucidi – Continuiamo solo a prenderci in giro, come se la realtà non fosse già abbastanza evidente-.
-Perché non la lasci?-.
La domanda di Nicola era arrivata a bruciapelo, e nonostante fosse ben consapevole di aver disorientato Giovanni, non si pentì affatto di aver parlato. Non era stato in grado di trattenersi, come se quello stesso interrogativo avesse premuto fino a quel momento per uscire dalla sua bocca.
Il viso di Giovanni si rabbuiò, ancor di più di quanto già non fosse.
-Dovresti saperlo come si sta anche solo al pensiero di lasciare qualcuno di cui si è innamorati-.
“Lo so fin troppo bene”.
Nicola annuì silenziosamente, senza dover aggiungere nulla. Era piuttosto sicuro che Giovanni sapesse esattamente cosa gli stava passando per la testa in quel momento.
Lo capiva maledettamente bene, suo malgrado.
-Perché lo stai dicendo proprio a me?-.
Giovanni lo guardò con un sorriso esitante:
-Non lo so- ammise, prima di lanciargli un lungo sguardo – Tu sei ancora innamorato di lei?-.
Nicola alzò repentinamente gli occhi, incontrando quelli turchesi di Giovanni: ora era stato lui a prenderlo in contropiede, lasciandolo completamente spiazzato e senza una risposta pronta.
Rimase in silenzio, rivolgendo lo sguardo in basso, pur con la consapevolezza che Giovanni continuava a fissarlo, come in attesa di una risposta che, con tutta probabilità, conosceva già.
-Credo che tu l’abbia capito-.
Si strinse nelle spalle, continuando ad evitare gli occhi dell’altro, che ancora indugiavano sulla sua figura.
-Ma non ero venuto qui per dirle questo- Nicola si morse il labbro inferiore.
“Anche se vorrei poterlo fare”.
-Volevo solo parlare- disse ancora, a fatica per il groppo in gola che gli impediva di parlare – Non ero tornato qui per riconquistarla o qualcosa del genere-.
 
There’s no price I won’t pay
To say these words to you
 
Nicola prese un respiro profondo, scostando lo sguardo: gli faceva strano riuscire a lasciarsi andare così proprio con Giovanni, eppure non aveva saputo trattenersi. In un certo senso il sentirsi compreso proprio da lui lo destabilizzava e lo calmava allo stesso tempo.
-Dovresti parlarle-.
La voce di Giovanni era risultata pacata, quasi atona, ma priva di qualsiasi animosità.
Nicola sbuffò piano:
-Lo sai, vero, che non ti sto chiedendo il permesso per farlo?-.
-Lo so- Giovanni annuì – È a lei che devi chiedere se vuole parlarti-.
-Infatti- Nicola sospirò a fondo – Dovevamo vederci sabato all’uscita da scuola. Ma poi vi ho visti per caso e me ne sono andato. Troppo shock-.
Era evidente che di quel particolare – il fatto che Caterina avesse acconsentito a rivederlo- Giovanni non sapesse nulla. L’aveva guardato con fare attonito, la sorpresa evidente sul suo viso.
-Fino a sei mesi fa, se vi avessi visti insieme, non ci avrei più visto dalla rabbia- proseguì ancora Nicola – Ora … È come se fossi solo uno spettatore-.
Quella sua stessa sincerità cominciava a fargli male. Pronunciare quelle parole a voce alta sembrava il modo migliore per rendere il tutto più reale, più tangibile. Il fatto, poi, che lo stesse dicendo davanti allo sguardo stupito di Giovanni non rendeva altro che la realtà ancor più dura e concreta di quanto già non fosse.
Passò almeno un minuto dopo quelle parole, il silenzio calato tra loro interrotto solo dalle altre presenze nel bar.
-Forse dovresti ricontattarla ancora-.
Giovanni si azzardò a parlare, sebbene sottovoce e con una certa dose di esitazione.
-Credo che le farà bene parlarti. Meglio di quanto non riesca a fare io-.
Nicola alzò lo sguardo verso Giovanni, e non si stupì affatto di incontrare il viso pallido e crucciato dell’altro che lo fissava di rimando.
Si rese conto, ormai definitivamente, che lo aveva sempre giudicato male. Che non aveva mai visto oltre la cortina di competizione e mal sopportazione con cui lo aveva sempre guardato.
Ma davanti a lui c’era una persona corretta, che stava mettendo il bene di qualcun altro davanti al suo. Era ciò che lui non era riuscito a fare, un errore che si sarebbe sempre portato con sé.
Provò dolore anche per Giovanni, provò dolore per il suo dolore.
-Lo so che non sono affari miei, non più, ma se stare con lei ti fa così male, forse non è una buona idea continuare- mormorò infine, pacato – A volte l’amore non basta-.
Ed era vero, ne era consapevole: a volte non bastava.
Ma ne avrebbe sempre provato, almeno un po’, per Caterina, qualsiasi cosa potesse succedere.
Giovanni gli aveva detto che a Caterina poteva fare bene parlare con lui, ma era soprattutto lui – e ora lo capiva sul serio- che ne aveva bisogno.
 
Well, there ain’t no luck
In these loaded dice
But baby if you give me just one more try
We can pack up our old dreams
And our old lives
 
Provò una malinconia sconfinata. Gli mancavano i momenti passati insieme, le risate, le carezze appena accennate. Anche i loro silenzi gli mancavano: quei silenzi che potevano durare interi minuti, senza sentire l’imbarazzo tipico di quei momenti. Non sapeva se anche Caterina provava ancora nostalgia per quei momenti: una parte di lui lo sperava ardentemente.
Voleva una seconda possibilità come non l’aveva mai voluta, ma non poteva nemmeno costringere Caterina a volerla allo stesso modo. Non avrebbe fatto nulla per indurla a riavvicinarsi a lui, a meno che non fosse lei a volerlo per prima.
Il futuro non sarebbe mai potuto essere simile al passato che avevano vissuto insieme, lui e Caterina. Nemmeno nelle migliori delle ipotesi, nemmeno se fossero tornati insieme davvero.
Una seconda possibilità era solo ciò che voleva: un’occasione preziosa che non poteva sprecare. L’opportunità per mettersi in gioco per la prima volta sul serio, e cercare di rendere il futuro ancor meglio di quel passato che tanto gli mancava.
 
We’ll find a place
Where the sun still shines*






 
*il copyright della canzone (Bon Jovi - "Always") appartiene esclusivamente alla band e ai suoi autori.
NOTE DELLE AUTRICI
E finalmente Nicola came back to town! Ebbene sì, a quanto pare il discorso motivazionale di Alessio ha avuto qualche risultato: Nicola ha deciso di seguire il suo consiglio e tornare a casa, per festeggiare il suo compleanno (e fare anche altro). Solo che, partito con l’intenzione (che finalmente stava anche per mettere in atto) di parlare con Caterina … Contro ogni aspettativa, è finito a parlare con Giovanni (non senza un po' di masochismo). Per questo finale di capitolo le parole appaiono quasi superflue, anche se possiamo dire che Giovanni, che è da sempre al centro di sospetti e opinioni poco positive nei suoi confronti, sta imprevedibilmente facendo cambiare idea a tutti. Questa volta, infatti, è il turno di Nicola. Chissà se questo confronto tranquillo e pacifico servirà ai due ragazzi. Qual è la vostra opinione a riguardo? Cosa succederà ora?
Diteci la vostra e tornate mercoledì 24 marzo per scoprire cosa riserverà a Nicola e Giovanni il loro futuro!
Kiara & Greyjoy

 

 
   
 
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