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Autore: Circe    15/03/2021    3 recensioni
Il veleno del serpente ha effetti diversi a seconda delle persone che colpisce. Una sola cosa è certa: provoca incessantemente forte dolore e sofferenza ovunque si espanda. Quello di Lord Voldemort è un veleno potente e colpisce tutti i suoi più fedeli seguaci. Solo in una persona, quel dolore, non si scinde dall’amore.
Seguito de “Il maestro di arti oscure”.
Genere: Drammatico, Erotico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Rabastan Lestrange, Rodolphus Lestrange, Voldemort | Coppie: Bellatrix/Voldemort
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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- Questa storia fa parte della serie 'Eclissi di sole: l'ascesa delle tenebre'
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Lord Voldemort : “Non innamorarsi mai”


Alzai gli occhi e la guardai fissamente, senza che lei se ne accorgesse. 
Mi soffermai qualche istante a godere del suo fascino misterioso, a tratti malato, totalmente dipendente da me, a compiacermi di quanto fosse sensuale e bella.  
Poi, con lentezza tornai a parlarle.
“Ora che il mio incantesimo è terminato, dovremmo approfittare dell’energia di Beltane. Devi accrescere i tuoi poteri di fuoco, io farò lo stesso per rigenerarmi.”
Mi sentivo meglio ed ero pronto a riprendere l’uso della magia.
Mi ero fatto portare anche il quaderno degli Horcrux, lo sfogliavo, mi accingevo ad appuntare le ultime cose per poi chiuderlo per sempre. 
Oppure, se non proprio per sempre, per un bel po’ di tempo.
Lei mi guardò incerta. Tentennò per un attimo, poi mi rispose con gentilezza.
“Mio Signore, Beltane è passato da un po’. Siamo al tramonto, ma del due di maggio. Ormai non si fa più in tempo a fare nulla.”
Rimasi stupito e riflettei per un momento. 
Quella volta Bella mi aveva fatto una puntura che mi aveva mandato in paradiso per ore ed ore, ma non immaginavo di aver perso così tanto la cognizione del tempo, addirittura un giorno. 
Le avevo indicato io le dosi, ero consapevole di avere esagerato, ma l’avevo fatto di proposito. Sapevo che tanto lei era lì accanto e mi fidai, fu una decisione presa d’istinto. Mi ero fidato lasciandole la coppa, potevo fare lo stesso anche su questo.
Sfidai dunque anche in quell’occasione tutte le mie capacità di resistenza.
Non riuscivo più a fermarmi, superare ogni possibilità e ogni limite era diventata una mania, un modo per misurare la mia forza e la mia potenza.
Non ho mai fallito e questa consapevolezza mi spingeva sempre più oltre.
Da tutta quella roba che avevo preso, mi stavo riprendendo lentamente in quei momenti. Se mi guardavo allo specchio vedevo ancora bene le mie pupille strette come spilli. 
Però avevo perso molto più del tempo da me previsto e questo non mi piacque.
Restammo per un attimo zitti, la guardai a lungo, decisi di non dare importanza all’accaduto.
“Siamo al due di maggio? Non mangio da giorni, allora.”
Mi sorrise, si mise quasi a ridere.
Mi piaceva come reagiva e seguiva sempre le mie parole, i miei malumori, le mie proposte di ogni genere. Sapeva perfettamente come comportarsi con me, al centro del suo mondo c’ero sempre e solo io, qualsiasi cosa succedesse.
Ogni volta che mi era accanto, cercavo un modo per torturarla, provocarla e farle del male, la mettevo alla prova con le cattiverie più sottili e dolorose, giusto per vedere come lei rispondeva, per capire se mi restava vicina.
“Mio Signore, volete qualcosa da mangiare? Siete tanto magro.”
Era vero, le siringhe di morfina mi toglievano tutto: fame, sete, voglia di sesso, non sentivo più nulla. Non mangiavo quasi mai.
Mi sforzai di pensare a qualcosa.
“Vorrei dello yogurt, portami dello yogurt.”
“Dello yogurt, mio Signore?”
Le sorrisi.
“Sì, dello yogurt! Non ne hai mai sentito parlare? È l’unica cosa che posso pensare di mangiar e ora.”
Si alzò dal divano e scomparve dalla stanza velocemente.
“Vedrò di trovarlo, mio Signore.”
La guardai uscire.
Poi sorrisi.
Cosa poteva trovarci di strano in questo alimento che avevo chiesto non mi era chiaro, eppure aveva sempre quella capacità di cambiare il mio umore in meglio anziché in peggio, succedeva anche per queste cose così sciocche.
Appoggiai la testa sul divano e tentai di concentrarmi, i pensieri fluivano da soli, tranquilli, senza il minimo controllo, cercai di riprenderne le fila.
Decisi di approfittare della solitudine per provare a concludere il quaderno. Lo sfogliai lentamente e mi fermai sull’ultima pagina, quella della coppa.
Anche quell’Horcrux era compiuto, dovevo solo precisare alcuni appunti e poco altro.
Rimasi per un po’ fermo con la pagina bianca davanti, senza riuscire a scrivere. 
Riflettevo.
Mi ero già deciso a non compiere più riti, questo mi dispiaceva non poco, perché ogni volta che spezzavo la mia anima sentivo come una liberazione dal dolore della mia nascita. Il male fisico immediato era talmente forte da sovrastare, per qualche attimo, un male che non riuscivo a comprendere, ma che era sempre presente dentro di me.
Il sacrificio di morte che necessitava la creazione di un Horcrux, era per me come poter uccidere mio padre ogni volta, più e più volte e ne provavo un grande piacere e un’enorme soddisfazione.
Questo, oltre alla sicurezza dell’immortalità, era il bello degli Horcrux.
Però il mio corpo non resisteva più, il dolore generato dalla rottura dell’anima si allungava sempre più nel tempo e nei giorni successivi, inoltre il male originario che mi portavo dentro tornava subito dopo e restava lì.
Il mio corpo, il mio viso sembravano disfarsi sempre di più.
Dovevo davvero fermarmi. 
Misi da parte tutti quei pensieri e mi concentrai a scrivere ciò che era accaduto, ciò che era successo al mio organismo e alla mia mente. 
Poi appuntai chi fosse la custode della coppa e il luogo dove questa era stata nascosta.
Misi un punto e mi fermai lì.
Guardai ancora il quaderno, fermo sulle mie ginocchia, piegai la testa di lato, iniziai a pensare, riflettere, cominciai a picchiettare con la matita sulle pagine appena scritte.
Improvvisamente, invece di chiudere tutto, voltai la pagina e di nuovo la mia mente tornò a vagare da sola, senza che io potessi farci nulla.
Anche la mia mano sinistra seguiva quei pensieri, sembrava tutto esterno al mio volere, era l’effetto della morfina, forse.
Lasciai fare tutto al mio istinto.
Passai la matita tra le dita, come per connettere atti e riflessioni.
Pensai di nuovo allo stato che seguiva ogni mio rito: ad ogni Horcrux che creavo, qualcosa di me cambiava, non solo fisicamente, anche mentalmente, anche il mio atteggiamento nei confronti del resto del mondo cambiava.
Piano piano tutto ciò che mi circondava diventava nulla più che preda o predatore, le paure aumentavano, la razionalità diminuiva, le reazioni istintive di rabbia, o piacere, prendevano man mano il sopravvento su pensieri e valutazioni.
Un tipo di sesso selvaggio e cruento diventava parte importante della mia vita.
I pensieri più istintivi che avevo, erano formulati a livello mentale quasi esclusivamente in serpentese, mi dovevo poi sforzare di tradurli in lingua comprensibile per comunicare.
Mentre pensavo a tutte queste cose, ecco che la mia mano iniziò a disegnare una forma sinuosa sulla pagina bianca. Man mano che passava il tempo abbandonavo i pensieri e disegnavo. Passavano dalla mente direttamente sulla carta. 
Disegnai prima gli occhi, il corpo poi la coda, mi soffermai sulla posa e le sfumature, poi le ombre accanto.
Era la cosa che mi piaceva di più: concentrarmi sui particolari, eliminare tutto il resto.
Togliere spazi bianchi e vuoti. Delineare l’essenza col potere di matita: era tutto in mano mia.
Disegnavo le scaglie, le onde, la pelle. Soprattutto mi attraevano gli occhi, li riempivo di particolari. Cristallini, attenti, intelligenti.
I movimenti fulminei non li potevo riportare sulla pagina, ma i muscoli tesi, pronti all’attacco quelli sì.
Venne benissimo.
Venne un serpente scattante e attento.
I denti pieni di veleno li disegnai per ultimi, aguzzi, minacciosi, perfetti nella loro letalità.
Mi ero immerso totalmente in quello schizzo, non mi ricordavo nemmeno cosa stesse accadendo attorno a me.
Stavo ancora perfezionando il tutto quando Bella mi riapparve davanti: aveva trovato lo yogurt.
“Eccolo pronto per voi, mio Signore.”
Mi sorrise soddisfatta del suo operato.
Sospirai, preferivo stare solo a finire il disegno, ma quella volta volli farla contenta, per cui appoggiai il quaderno di lato e mi misi a mangiare lentamente.
Vidi che guardava interessata verso il quaderno.
“Che bel disegno, mio Signore, è proprio perfetto, sembra vero.”
Spostò lo sguardo verso di me, ammaliata da quella nuova scoperta. 
Normalmente mi sarei indispettito, avrei voluto tenere il disegno solo per i miei occhi, ma con lei non mi successe. Anzi fui contento delle parole di ammirazione.
“È solo uno schizzo, lo devo terminare.”
Si avvicinò al quaderno con molta deferenza e chiese se poteva prenderlo in mano. Io prima la guardai attentamente, poi annuii.
Restò zitta a lungo ad osservare la pagina e poi guardò di nuovo me.
“Vi arrabbiate, mio Signore, se vi dico una cosa?”
Continuai a mangiare il mio yogurt senza guardarla.
“Dipende da cosa mi dici, ovviamente.”
Allora tacque.
“Su, avanti, parla! Parli sempre, anche a sproposito, figuriamoci se stavolta resti zitta.”
Tentennò ancora, sembrava voler pesare le parole, ma alla fine parlò di getto.
“Siete voi…”
La guardai in maniera interrogativa.
“Questo disegno vi assomiglia.”
Insisteva, sembrava proprio mi stesse dicendo una cosa seria.
Posai lo yogurt e mi appoggiai allo schienale. Le presi il mento tra le mani e la avvicinai a me. Ci guardammo negli occhi a lungo, me la portai vicina fin quasi a sfiorarle il viso con le labbra.
“Appena mi sentirò meglio, ti farò tanto male, mia Bella, ti farò pentire di queste tue prese in giro nei confronti del tuo Signore. Ti farò così tanto penare che sarai costretta a chiedere pietà. Mi implorerai di smettere di scoparti perché ti sentirai devastata ovunque, aperta in ogni dove, rischierai di morire di piacere e di dolore, te lo prometto.”
Mi sorrise con una gioia inaspettata, vidi tutta la sua felicità sulle sue labbra e negli occhi sorridenti. 
“Mio Signore, sarei davvero felice di questa punizione, ma io non volevo certo prendervi in giro.”
Lasciai il suo viso e le presi di mano il quaderno, ma lei insistette.
“Avete disegnato la vostra essenza, il vostro io più profondo, basta guardare il disegno, si vede benissimo, vi assicuro.”
Era davvero seria, la guardai a lungo.
“Ti ascolto.”
Si mise comoda sul divano, si avvicinò a me con calma.
“I serpenti, mio Signore, sono come voi: ammalianti, ipnotici, affascinanti. Sono anche estremamente sensibili e schivi e infatti hanno bisogno di tranquillità e di sentirsi al sicuro.”
Guardò il disegno che tenevo in mano, lo accarezzò lentamente con le dita.
“Quando deve attaccare, o si deve difendere è spietato e crudele, ha un istinto fortissimo ed è selvaggio e imperscrutabile, proprio come voi.”
Restò zitta per un attimo e io pensai che aveva ragione: ogni momento di più il mio istinto mi diceva di morderla e non di baciarla, di stringerla fino a soffocarla e non di abbracciarla.
“Sono contenta che abbiate deciso di non ripetere più questi riti così devastanti, mio Signore, ma vi conosco, so che non vi fermerete mai davvero…”
Tacque ancora per un attimo, mi studiò con attenzione. Io non mi mossi, la guardavo negli occhi senza darle tregua.
“Se un giorno doveste decidere di fare un altro rito… allora…”
Fece una lunga pausa, era un pochino titubante.
Le feci cenno di proseguire.
“Allora penso che dovreste sciogliere la vostra anima in un serpente, nel suo veleno, diventerebbero una cosa sola, entrerebbero in risonanza, si esprimerebbero all’unisono, perché, come vi dicevo prima, è parte della vostra essenza e il veleno è parte di voi, scorre anche nel vostro sangue, sempre.”
Rimasi stupito, quella volta mi lasciò senza parole.
Avrei dovuto pensarci io, per primo e subito. Invece l’intuizione era stata sua.
Come faceva a conoscermi così bene?
Cosa aveva, lei, di così maniacalmente speciale?
Era così vicina a me che mi venne naturale passarle un braccio attorno alle spalle e stringerla. 
“Taci, parli sempre troppo.”
La baciai, lungo, con durezza, l’avrei voluta mordere, scoparla a sangue: tutto pur di farla tacere.
Tutto pur di non ammettere che aveva ragione.
La baciai e ribaciai, tenendola in una stretta soffocante, con il braccio che mi doleva a per le punture, ma non mi importava, mi bastava sapere che stavo facendo male anche a lei.
La mia mente tornò a quando era iniziato tutto, proprio con un bacio, uno sciocco bacio dato alla mia allieva giovane e bella. 
Avevo voluto solo sfidarla, allora, era solo un prova per farla diventare una di noi, per marchiarla di me.
In quel momento, invece, il mio veleno le era già entrato dentro completamente, l’aveva ormai pervasa tutta, era completamente mia, avevo ottenuto ciò che desideravo.
Eppure era non successo solo quello, si era verificato anche altro, molto altro. 
Qualcosa che proprio non avevo previsto, era sfuggito al mio controllo: anche lei mi era entrata nella mente, era una continua ossessione che mi pervadeva sempre di più.
Una terribile ossessione di cui non potevo e non volevo liberarmi.
Allentai la stretta e iniziai a baciarle il collo, a morderlo, sentivo il suo sangue pulsare caldo e veloce. Mi beavo di quel calore che percepivo sulle labbra.
Intanto i miei pensieri si allacciarono ai momenti passati.
Le avevo dato delle regole, allora, le avremmo portate avanti assieme, erano fondamentali.

Impegnarsi sempre fino in fondo, al limite delle proprie capacità, per imparare tutti gli insegnamenti delle arti oscure.

Era la prima che le avevo insegnato: aveva appreso tutto, non aveva mancato in nulla. Il suo potere era straordinario, ben oltre le mie aspettative. 
Sorrisi tra me e me, mi insinuai a succhiare la sua carne ai lati del collo, sentivo il profumo dei capelli, le afferravo e stringevo i capelli con forza.

Non aver mai paura di oltrepassare, anzi, sbaragliare i limiti imposti alla magia normale.

La seconda: non aveva mai avuto paura di nulla, nemmeno di me e della mia follia distruttiva, nemmeno dell’oscurità più profonda e devastante in cui l’avevo spinta. Non aveva avuto paura del mio umore, delle mie crudeltà e del mio potere su di lei. 
Era stata perfetta.
Mi staccai un attimo dalla sua pelle morbida per guardarla negli occhi, poi tornai a baciarle la base del collo, l’incubo delle scapole, le lasciavo grossi lividi accanto alle ossa, dove la carne e poca.

Non innamorarsi mai…

La terza regola, la più importante. Era vero che non si era innamorata di me? Mi aveva ubbidito sul serio e fino in fondo?
La nostra magia oscura parlava, il vento e il fuoco si mescolavano l’uno con l’altro continuamente, senza sosta. 
Esattamente come noi, incessantemente e carnalmente. Non ero affatto certo che mi avesse ubbidito.
Scesi più in basso seguendo il fremito delle sue vene, mi soffermai a leccare dove queste si diramavano nel petto, le morsi le scapole, poi le spalle, abbassandole appena il vestito. Sentivo i suoi gemiti di dolore e desiderio.

Non innamorarsi mai… 

No, non poteva amarmi, era troppo il dolore che le procuravo, troppi i tormenti che le davo. Solo una folle potrebbe innamorarsi così, di tutto questo, solo una folle potrebbe disubbidirmi proprio su un tema come l’amore. 
Le scostai leggermente i capelli e le sfiorai il seno con le labbra. Respirai lentamente il profumo della sua pelle.

Non innamorarsi mai…

Aveva un profumo inebriante, morbido e vellutato, al quale non sapevo resistere, aveva un seno così perfetto, caldo, saporito, accogliente.
Le leccai i capezzoli, desideravo solo sentirla godere. Spegnere con le sue grida i miei pensieri, frenare quest’ossessione che ho per lei che non si appaga mai, non si ferma mai, ma cresce sempre, cresce in continuazione.

Non innamorarsi mai. 

Ma io? Io mi ero innamorato di lei?
Lei, la mia ossessione…
Quell’idea mi trapassò la mente come un lampo doloroso e violento. Per un attimo tutto mi fu chiaro, come un fulmine che illumina il cielo in una notte di tempesta.
Trattenni il respiro, alzai lo sguardo e la osservai con attenzione, senza mai allontanarmi dal suo seno, sentivo il calore della sua pelle su quella del mio viso.
Per un attimo lo pensai davvero.
Passavano gli istanti, lenti, uno dopo l’altro, fatti solo dell’oscurità dei nostri occhi.
Ci scambiammo uno sguardo di fuoco, pieno di parole non dette. Impronunciabili.
Poi, come il fulmine si eclissa nella tempesta, anche quell’idea assurda e malsana scomparve dalla mia mente.
Ero di nuovo il suo padrone, potente e forte.
Le sorrisi, sempre senza parlare. 
Forse accennò ad accarezzarmi i capelli, ma io la presi freneticamente e violentemente, senza lasciarle alcuno spazio.
Sentii subito che era già completamente bagnata. Quel suo calore mi eccitò ancora di più, le venni dentro molto velocemente, non prima comunque di aver sentito le sue grida di piacere. 
La guardai sempre, mentre veniva, mentre urlava, mentre era persa nelle sue voglie, mentre mi lasciava fare tutto ciò che desideravo.
La mia Bella.
No, certo che non la amavo, ma lei era mia fino in fondo, l’unica, la sola con cui avrei mai condiviso tutto il veleno che sentivo nel corpo.
L’unica a cui il mio veleno piaceva davvero.
 
 
   
 
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