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Autore: Signorina Granger    20/03/2021    10 recensioni
INTERATTIVA || Iscrizioni Chiuse
21 Dicembre 2019.
Due Auror, a seguito di una missione in Germania, salgono su un treno che da Berlino li porterà a Nizza, in Francia. I loro piani e quelli degli altri passeggeri vengono però sventati completamente quando sul lussuoso Riviera Express viene rinvenuto il cadavere di una donna. Fermato il treno in mezzo ad una bufera, il Ministero tedesco, d’accordo con quello britannico, assegna ai due il compito di rivolvere il caso trovando il colpevole che, di certo, viaggia sui loro stessi vagoni.
[Storia liberamente e umilmente ispirata a “Assassinio sull’Orient Express” di Agatha Christie]
Genere: Comico, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Maghi fanfiction interattive, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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Capitolo 7 – Ratatouille
 
 
Cucine del Riviera Express, 1 pm
 
“Ma quanto cazzo mangiano questi inglesi?! Chi ha ordinato due contorni più il dolce?!”
“L’Auror. Quello che parla tedesco.”
 
L’espressione tesa di Ruven si addolcì nel sentir nominare l’Auror, che era entrato nelle sue simpatie dopo avergli fatto i complimenti per la sua cucina. Chinato lo sguardo sulla comanda che aveva davanti lo chef annuì con un borbottio, intimando al suo Sous-Chef di preparare gli spinaci mentre lui pensava alla carne.
Chissà, magari servendogli pasti su pasti lo avrebbe tolto dalla lista dei sospettati.

 
*

 
“Più tardi chi interroghiamo?”
Seduto di fronte ad Asriel ad un tavolo vicino al finestrino – appartato rispetto agli altri per evitare che i passeggeri origliassero le loro conversazioni – James sorrise allegro mentre infilzava con la forchetta uno degli smile di patate che aveva sul piatto: ancora non riusciva a credere che fossero riusciti a prepararli apposta per lui. Tra la torta di quella mattina, l’interrogatorio portato avanti da lui e ora il suo piatto preferito per pranzo, quel compleanno tanto atipico sembrava molto meno triste rispetto alle sue aspettative.
Clodagh non rispose, continuando a mangiare in silenzio e a ripensare alla porta aperta della cabina di Asriel mentre il collega – gustandosi la sua tagliata particolarmente al sangue – asseriva di dover ancora decidere:
“Prima preferisco fare un punto della situazione. Che ne pensi?”
Rivolgendosi alla collega Asriel si voltò a guardare Clodagh, che dopo un breve silenzio parve ridestarsi e annuì, mormorando distratta che andava bene sotto lo sguardo perplesso di James e scettico di Asriel, che le chiese se stesse bene aggrottando leggermente le sopracciglia color biondo cenere.
“Sì, tutto bene. Stavo solo pensando alla faccenda della porta. Mi dispiace.”
Il tono cupo, l’espressione grave e dispiaciuta della strega stupirono non poco il più giovane del trio, poco avvezzo a vedere Clodagh priva del suo contagioso sorriso. Asriel invece accennò per un rapido istante un lieve sorriso con le labbra, dandole un colpetto affettuoso sul braccio come a volerla rincuorare:
“Lo so. Non preoccuparti, non è successo niente di grave. Per fortuna Zorba sta bene.”
Le parole del collega sembrarono rilassare la strega, perché l’espressione tesa di Clodagh si ammorbidì e accennò un sorriso un sua volta prima di annuire e riprendere a pranzare: avrebbe voluto far notare ad Asriel che più che per Zorba lei si sarebbe preoccupata per la sua di incolumità, ma decise di lasciar perdere.
James stava per rassicurare l’ex compagna di Casa asserendo che quella distrazione era stata di entrambi, ma Asriel fece qualcosa che gli fece scordare ciò che avrebbe voluto dire: chiedendogli se poteva assaggiare uno smile, l’Auror allungò la forchetta verso il suo piatto e ne infilzò uno esattamente al centro.
James strabuzzò i limpidi occhi azzurri mentre guardava come al rallentatore Asriel portarsi la crocchetta alle labbra e poi addentarla, sentendosi più che mai offeso e tradito mentre Clodagh, cogliendo il repentino cambiamento nel giovane collega, aggrottava confusa la fronte.
“Buone, ma preferisco quelle al forno.”
Senza badarci, Asriel masticò pensieroso prima di accennare al piatto quasi vuoto di patate al forno che aveva ordinato e invitare garbatamente James a prenderne una, ma il più giovane rimase immobile e continuò a guardarlo stringendo le mani a pugno sul tavolo e una piccola ruga a fare capolino sulla fronte.
“Mi hai rubato uno smile!”
“Scusa, non li avevo mai assaggiati… Puoi prendere una delle mie se vuoi.”
“Ma mi hai rubato uno smile! Non ci si può fidare più di nessuno!”
“Dai James, è solo una crocchetta…”
“No, è il mio piatto preferito!”
Asriel stava per replicare, ma Clodagh si intromise con un sospiro mettendogli una mano sul braccio e rivolgendosi pacatamente ad entrambi: essendo cresciuta con un mare di fratelli, era più che avvezza a risolvere stupide diatribe.  
“Bambini, basta, abbiamo un caso da rivolvere. Fatevi una linguaccia, mangiamo il dolce e procediamo. Asriel, fai l’adulto.”
“Io fare l’adulto? Ha venticinque anni, non è un ragazzino nemmeno lui!”
Clodagh scosse il capo, asserendo che “essendo il più vecchio del gruppo doveva essere più maturo” e Asriel si limitò a sbuffare e a borbottare qualcosa di poco comprensibile prima di mangiare un’enorme fetta di torta lanciando occhiate torve ad entrambi.
Su quel dannato treno pieno di pazzi solo Zorba lo capiva.

 
*
 

“Questa faccenda degli interrogatori è davvero snervante, stavo morendo di fame! Senza contare che posso bere caffè solo all’ora dei pasti, non è affatto corretto!”
Delilah infilzò un boccone di gâteau di patate con risentimento mentre Prospero, sedutole di fronte, non toccava cibo e teneva invece gli occhi scuri fissi sui tre Auror impegnati a discutere per furti di patate. O almeno così gli sembrava, ma era così ridicolo che si convinse di aver frainteso.
“Come se tu avessi bisogno di caffeina…”
“Lo dice sempre anche Cecil, ma non capisco cosa vogliate intendere. Non mangi, Ro?”
“Non ho molta fame. Sto pensando a… quella cosa.”
“Continuo a pensare che dovresti andare dagli Auror, confessare che appartiene a te e specificare di non toccarla senza le giuste accortezze. Vorrei almeno arrivare ai trenta, prima di passare a miglior vita e porco Salazar, non ci tengo a raggiungere quell’arpia della Sutton.”
“Nessuno ci tiene, dolcezza.”
Prospero tornò a concentrarsi sull’amica, sorridendole prima che la strega venisse colta da un pensiero improvviso: nella foga del misterioso ritrovamento nella valigia della panterona e di andare a pranzo si era completamente dimenticata di aggiornare Ro sulla novità.
“Mi stavo scordando… Non immagini che cosa è capitato mentre parlavi con gli Auror! Kiki si è fatto accarezzare!”
“Intendi il mio Kiki? Il mio gatto? Un gatto si è fatto accarezzare da te? Non scherzare, fogliolina.”
“Sono serissima! E’ successo davvero!”
Delilah, più seria che mai, annuì con decisione agitando la forchetta a mezz’aria sotto lo sguardo dubbioso dell’amico, che la osservò brevemente prima di distendere le labbra in quello che Laila chiamava “il sorrisetto da sberle” e parlare con una voce fastidiosamente zuccherosa:
“La mia piccola Laila cerca attenzioni, per caso?”
“Che cosa? No, è successo davvero! Perché nessuno mi vuole credere quando – una volta ogni dieci anni – un gatto si fa accarezzare da me? La prossima volta farò una foto, così avrò prove schiaccianti e le sbatterò in faccia a te e a Cecil, stanne certo!”
Prospero annuì cercando di non ridere e Delilah – non potendo fare nessuna uscita di scena drammatica causa il rifiuto di lasciare il pranzo a metà – infilzò solennemente un altro pezzo di gâteau.

 
*
 

“Clara, pensi di riuscire a non coccolare ogni chats che ti passa davanti?”
Corinne non aveva bisogno di guardare l’amica per sapere che cosa stesse facendo, quindi continuò a mangiare la ratatouille che aveva ordinato senza alzare lo sguardo dal proprio piatto. Clara, seduta di fronte a lei, aveva già finito di mangiare e si stava prodigando a dispensare carezze e pezzetti di pane a Loki, il suo gatto nero, come al gatto rosso e a quello dal pelo color sabbia maculato che le si erano avvicinati per elemosinare un po’ di cibo.
“Coco, lo sai che mi reputo destinata a rimanere una femme à chats vieille fille! Tanto vale che mi ci abitui.” [Gattara zitella]
“Clara, ne sois pas ridicule.”  [Non essere ridicola]
La bionda parlò roteando gli occhi chiari al cielo, ma l’amica non le badò e continuò ad accarezzare i gatti sorridendo loro con calore: mai avrebbe pensato di ritrovare così tanti felini a bordo di un treno, ma di sicuro non si lamentava.
“Ad Alexandra piacevano i gatti?”
“Non le piacevano gli animali.”
Se non quelli trasformati in articoli da viaggio
 
Corinne parlò con una tiepida scrollata di spalle e spezzando a metà un grissino prima di portarselo alle labbra, sorridendo divertita di fronte all’espressione seria che il volto dell’amica assunse subito dopo:
“La cosa non mi sorprende. Chi non ama gli animali ha sempre qualcosa da nascondere, credimi. Questo credo che sia il chat dello chef… scommetto che sei abituato a scroccare cibo, vero piccolo?”
Clara accarezzò la testa di Neko con un sorriso, guardando il suo Loki scoccare un’occhiata torva all’”intruso” mentre il bel gatto si lasciava viziare piacevolmente insieme a Scottish.
“So che ami i chats, ma a tutto c’è un limite. Quando torniamo a casa ti trovo un ragazzo.”
Corinne parlò liquidando il discorso con un rapido gesto della mano mentre spostava lo sguardo sul panorama innevato – aveva nevicato per tutta la notte precedente, e ogni conifera era coperta da una soffice coltre candida fin dove la vista si estendeva –, ignorando lo sgomento dell’amica:
“N’y pense même pas!” [Non pensarci nemmeno]
 
*

 
“Allora, non avendo foto a disposizione dovremo fare dei disegni che ci permettano di identificare i sospettati. Qualcuno dotato di una particolare vena artistica?”
Clodagh, seduta sulla poltroncina di velluto blu dopo essersi sfilata le scarpe e tenendo le ginocchia strette al petto, scosse il capo asserendo che la sua vena artistica si fermava al mondo musicale. Asriel invece – dopo essere stato costretto dai due colleghi a sedersi sul letto con Zorba, visto che a sentir loro occupava troppo spazio ovunque si mettesse –  non rispose, limitandosi a sbuffare e a sottolineare cupo che prima di tutto dovevano mettere la vittima al centro.
“Ah, certo. Allora metteremo Alexandra qui… Ecco.”
Armato di pennarello blu, James disegnò un omino stilizzato al centro – premurandosi di aggiungerci una lunga chioma e una valigia di fianco – prima di rivolgersi allegro ai due colleghi, guardando Asriel osservare il suo capolavoro aggrottando la fronte con visibile scetticismo:
“Perché la valigia?”
“Beh, ho pensato che fosse un elemento chiave per identificarla. Adesso mettiamo tutti quelli che abbiamo interrogato fino ad ora.”
Spostandosi sull’estremità destra della lavagna magnetica, James scarabocchiò un altro omino mentre Asriel, alzatosi in piedi, prendeva il pennarello nero e scriveva qualcosa sopra “Alexandra”, guadagnandosi un’occhiata eloquente da parte di Clodagh:
“Splendore, sii serio.”
“E meno male che mi dici sempre di non essere noioso…”
Sbuffando, Asriel cancellò “megera incipriata” e scrisse il vero nome della vittima mentre James, allegro, indicava il suo ultimo lavoro:
“Questo è lo chef!”
“Lo Chef? E come dovremmo capirlo che si tratta di lui?”
“Ma come, non vedete che ha un cappello da chef in testa?”
“Ma non sono più… voluminosi di così? E comunque lui non lo porta, l’ho visto in cucina.”
Clodagh si prese il viso tra le mani osservando dubbiosa il disegnino, ma James scosse il capo con decisione asserendo di esserne assolutamente certo: aveva visto quei cappelli in Ratatouille, dopotutto.
Ratatouille? Che c’entra la cucina francese adesso?”
“E’ un film Asriel, parla di un topo nella cucina di un ristorante francese…”
“Un topo in cucina? Io l’ho sempre detto, che i francesi sono degli zozzoni travestiti da perfettini!”(1)

 
*

 
May non riusciva a stare ferma: seduta nella cabina di Renèe, continuava a far dondolare ritmicamente il piede sinistro dopo aver accavallato le gambe e a tamburellare le dita sul bracciolo della poltrona. Prima di lasciare il vagone ristorante Asriel l’aveva informata che era la prossima con cui intendevano parlare e sapeva che era questione di poco prima che venissero a chiamarla.
“Non essere nervosa May, sei la persona più adorabile che conosca. Nessuno penserà davvero che tu possa essere l’assassina!”
“Credo che tecnicamente siamo tutti sospettati allo stesso modo… Conoscendomi potrei fare un disastro dicendo un mucchio di cose stupide! E se mi chiedono di Morgan, Renèe? Non voglio parlare di lei.”
May parlò con un sospiro, chinando a disagio lo sguardo sulle proprie scarpe mentre Renèe le sedeva accanto, sorridendole rassicurante e promettendole che non avrebbe combinato alcun disastro:
“Rispondi semplicemente alle domande e andrà tutto bene. So che è difficile parlare di Morgan, ma puoi farcela… E Asriel la conosceva, no? Probabilmente non avranno bisogno di chiederti granché.”
“E’ quello che spero. Lo so che ormai è passato qualche anno, ma è ancora difficile ricordarla.”
Renèe non rispose, ma pensò alle sue numerose sorelle e al rapporto complicato che aveva con ognuna di loro, in particolare con la maggiore: lei e Corinne non avrebbero mai potuto vantare il legame quasi simbiotico che aveva tenuto unite Morgan e May fin da piccole. Anzi, la giovane fabbricante di bacchette era sicura che la maggiore, ma anche le più giovani Nova e Nora, provassero una cocente invidia nei suoi confronti per essere l’unica figlia femmina a lavorare nell’attività di famiglia e il conseguente riguardo che padre e nonno nutrivano per lei.
“Lo immagino. Noi siamo sette fratelli, ma non ho un rapporto stretto con nessuna delle mie sorelle… Però so che se perdessi Elian mi sentirei come priva di una parte di me. Mi dispiace per quello che hai passato.”
“Per fortuna ho il mio angioletto. Che al momento probabilmente mi detesta, ma mi farò perdonare con una bambola nuova.”
May abbozzò un debole sorriso che Renèe imitò, lieta di vedere l’amica meno giù di corda mentre le stringeva affettuosamente una mano.

 
*
 

Prospero De Aureo nei suoi 29 anni di vita aveva viaggiato in lungo e in largo, aveva vissuto le più disparate esperienze e soprattutto aveva avuto a che fare con ogni genere di individuo.
Eppure, mai aveva avuto modo di incontrare qualcuno di anche solo vagamente simile alla sua migliore amica.
Lui e Delilah Yaxley erano amici da 18 lunghi anni. Quasi due decadi, praticamente due terzi della sua vita. Lo erano diventati praticamente per caso, quando erano finiti a lavorare allo stesso tavolo ad Erbologia durante la prima settimana di lezione. Avevano combinato un disastro e perso i loro primi punti, ma si erano divertiti come non mai e sancito l’inizio di un’amicizia che sarebbe perdurata nel tempo, anche ben oltre il Diploma ad Hogwarts.
In quei 18 anni, Prospero aveva imparato a conoscere la strega come le proprie tasche. Eppure, anche dopo tutto quel tempo non era ancora perfettamente in grado di udire i suoi movimenti felpati.
“Porco Salazar Laila, mi hai spaventato!”
Il mago era sobbalzato quando, accomodato nella propria cabina a riflettere, era stato sorpreso dal saluto allegro dell’amica, che era entrata senza fare il minimo rumore.
“Tranquillo, sono io. E comunque, dubito che l’assassino colpirebbe in pieno giorno.”
Prospero alzò lo sguardo sull’amica con un sospiro, strabuzzando gli occhi scuri quando scorse Delilah: i capelli corvini sciolti sulle spalle, della liquirizia tra le labbra e le braccia esili strette al petti. Nulla di strano, a parte il maglione rosso che la strega indossava.
“Delilah… cosa ti sei messa?!”
“Questo? Beh, ho pensato di onorare il clima natalizio, altrimenti mi deprimerò ancora di più. Tranquillo, presto tornerò al nero, è solo questione di tempo. Sono venuta per ribadire la necessità di scoprire chi ha ucciso la panterona, non possiamo stare con le mani in mano!”
Le mani della strega andarono a stringere i propri fianchi esili, parlando con tono di rimprovero mentre Prospero – superato lo shock iniziale nel vedere l’amica indossare un colore diverso dal nero – la guardava inarcando un sopracciglio con papabile scetticismo:
“Ma se ti ho vista spaparanzata su un divanetto a guardare foto mezz’ora fa.”
“Quello era il passato Ro, adesso dobbiamo unire le nostre menti brillanti e trovare una soluzione al caso. Devo tornare a casa al più presto, come farà Bolo senza di me?! Allora, chi voleva morta la stronza?”
“Credimi. Un sacco di gente.”
“Allora intanto capiamo chi cazzo ha preso la tua sfera di cristallo esplosiva, bellezza.”
Dopo 18 anni, forse Prospero non era poi così sicuro di aver compreso del tutto Delilah Yaxley. Ma le voleva terribilmente bene in ogni caso.

 
*
 

Dopo che il vagone ristorante era stata svuotato per permettere agli Auror di continuare le indagini, May sedette sulla solita sedia posta davanti al tavolo occupato da James, Asriel e Clodagh con leggero nervosismo, ricambiando debolmente il sorriso gentile che il più giovane dei tre le rivolse.
“Allora, Signorina Hennings… se per lei va bene possiamo cominciare.”
Clodagh le sorrise e May annuì, stringendosi le mani in grembo mentre ripensava alle parole di Renèe: non ti preoccupare.
“Quanti anni ha?”
“26, sono nata nel 1993. Mio padre è Babbano e mia madre una strega, Nata Babbana.”
“Ad Hogwarts in che Casa era?”
“Grifondoro.”
 
*

 
“Piccola, mi spieghi che cosa stai facendo?”
Dinah Hennings non seppe se mettersi a ridere o preoccuparsi quando un pomeriggio, dopo averla portata a casa dall’asilo, trovò la minore delle sue figlie impegnata a spalmarsi malamente del fondotinta sul visino coperto di lentiggini.

May era stata di cattivo umore per tutto il tragitto fino a casa e non aveva risposto a nessuna delle domande della madre: giunte a casa, la bambina di cinque anni era andata dritta in bagno e non aveva risposto ai richiami per la merenda, scatenando la curiosità di Dinah. Ora la strega, sulla soglia del bagno, guardava divertita la bambina in piedi sullo sgabello davanti al lavabo che di solito usava per lavarsi i denti.
“Mi sto truccando.”
“Questo lo vedo, ma perché ti stai truccando? Le bambine piccole non lo fanno.”
Come al solito la bambina tenne a ricordare alla madre di non essere più una bambina piccola, visto che ormai era all’ultimo anno di asilo. Non rispose però alla domanda della donna, chinando lo sguardo sulle mani sporche di fondotinta prima di mormorare di non voler vedere le sue lentiggini.
“Perché dici così? Le tue lentiggini sono bellissime, amore.”
Dinah si avvicinò alla figlia circondandola con un braccio e sorridendole affettuosamente mentre le accarezzava i capelli biondo cenere, invitandola a lavarsi le mani. Mentre le strofinava sotto il getto d’acqua con il sapone, May mormorò che i suoi compagni la prendevano in giro e che le lentiggini non le piacevano più.
“Tesoro, tutti vengono derisi almeno una volta per qualcosa che non possono cambiare… ma le tue lentiggini sono bellissime, ti rendono speciale. Non ti riconoscerei più se non le avessi.”
Sorridendo teneramente alla figlia, Dinah prese il pacchetto di salviette struccanti e prese a strofinarne delicatamente una sul viso della figlia, togliendole a poco a poco l’enorme quantità di trucco che la bambina si era spalmata sulla pelle.
“Non puoi toglierle tu con la magia, mamma?”
“No tesoro, e non lo farei nemmeno se potessi. E nemmeno tu tenterai mai di farlo quando avrai una bacchetta, intesi?”
Aveva vaghi ricordi di compagne di scuola che aveva tentato di apportare piccoli cambiamenti al proprio aspetto con incantesimi e pozioni, e i risultati erano sempre stati disastrosi. Fortunatamente May annuì obbediente e Dinah si rilassò, sorridendole prima di gettare la salvietta nel cestino accanto al lavabo.
“Bene. Adesso facciamo merenda, poi andiamo a prendere anche Morgan a scuola… Domani, se qualcuno ti deride, non badarci e gioca con qualcun altro. Così la smetteranno.”
May era un po’ titubante, ma la prospettiva della cioccolata calda per merenda la rasserenò, e si convinse ad ascoltare la madre ricordando ciò che il padre ripeteva sempre: la mamma aveva sempre ragione.

 
 
*

 
“E conosceva Alexandra Sutton? Eravate compagne di Casa.”
May esitò, mordendosi il labbro inferiore prima di annuire: mentire non aveva alcun senso. Senza contare che i suoi rapporti con Alexandra a scuola erano stati sporadici e poco significativi.
“Poco, lei aveva tre anni più di me, e a scuola tre anni sembrano tantissimi.”
“E che opinione aveva di lei?”
“Io… non saprei. Era difficile averne un’opinione precisa. Da un lato non mi piaceva affatto come a volte si comportava con alcuni dei nostri compagni, ma aveva una sicurezza e un carisma che forse un po’ invidiavo.”
Lo sguardo di May indugiò sulla mano di James, osservandola trascrivere le sue parole mentre la Grifondoro ripensava alla bellissima ex compagna di scuola. Era vero che non l’aveva conosciuta molto bene, ma aveva omesso di specificare di essersi presa un’immensa cotta per lei al terzo anno. Alexandra era stata la prima ragazza che le fosse mai piaciuta.
“Alexandra non era molto gentile con tua sorella.”
 

*

 
Il giorno in cui salutò i genitori e partì per Hogwarts, May era semplicemente al settimo cielo: finalmente avrebbe visto il castello di cui madre e sorella parlavano tanto. La vita dei Babbani le piaceva, ma era rimasta affascinata dai maghi fin da quando aveva messo piede a Diagon Alley per la prima volta qualche anno prima, e non vedeva l’ora di imparare a fare magie.
In particolare, tuttavia, May era felice di andare ad Hogwarts perché finalmente avrebbe potuto stare vicino a sua sorella: nonostante Morgan avesse ben quattro anni più di lei la bambina aveva sviluppato un forte senso di protezione nei confronti della maggiore, infinitamente più timida ed introversa rispetto al suo temperamento energico.
La mattina di quel particolare primo settembre May salutò i genitori con la mano finchè non li vide sparire dietro una curva, rivolgendosi subito dopo alla sorella con un enorme sorriso radioso sul volto cosparso di lentiggini:
“Sei felice che ci sia anche io, Morgan? Io non vedevo l’ora, voglio imparare a fare tutte le cose che sai fare tu! Spero di essere nella tua stessa Casa!”
“Lo spero anche io, ma non rimanerci male se così non fosse, ok? Staremo molto insieme in ogni caso.”
Morgan le accarezzò i capelli e sorrise paziente alla sorellina, salutando attraverso la porta di vetro un ragazzo alto che passò davanti al loro scompartimento.

“Va bene, ma io ci spero comunque. Quel ragazzo è nella tua Casa?”
“Sì.”

“E’ bello, è il tuo fidanzato?”
“May, no che non lo è!”

May rise mentre la sorella, ormai avvezza alla tremenda curiosità della sorellina, le dava un pizzicotto sul braccio senza però riuscire a non sorridere.
Alcune ore più tardi i desideri della ragazzina non vennero esauditi e giunta nella Sala Grande insieme ai suoi coetanei venne Smistata a Grifondoro. Mentre prendeva posto al lungo tavolo di legno posto all’estrema destra della sala illuminata May intercettò lo sguardo della sorella, che le sorrise incoraggiante dal tavolo dei Corvonero, seduta accanto al ragazzo che avevano visto in treno. La minore – nonostante la delusione – ricambiò il sorriso, ripetendosi che avrebbero potuto passare molto tempo insieme in ogni caso.
 

*

 
Il tagliente commento di Asriel la ridestò, portando a deglutire e a ricambiare lo sguardo gelido dell’Auror prima di annuire e tornare a guardarsi le mani: non era pronta a parlare di sua sorella, tantomeno con qualcuno che l’aveva conosciuta bene.
“Lo so, per un periodo quando ero ai primi due anni si divertiva a prenderla in giro. Le nascondeva i compiti, era davvero spiacevole con lei. Morgan non ci faceva caso, ma a me dava molto fastidio. Per fortuna poi smise.”
Asriel avrebbe voluto specificare che se la strega aveva smesso di prendere Morgan Hennings di mira era stato solo perché lui le aveva intimato di smetterla minacciando di riferire al Direttore della sua Casa qualche piccolo particolare sulla tendenza di Alexandra ad infrangere le regole e ad usare passaggi segreti per andare ad Hogsmeade senza permesso, ma evitò di inferire sul già evidente disagio di May quando Clodagh, curiosa, gli lanciò un’occhiata perplessa:
“Conosci sua sorella?”
“Eravamo compagni di Casa. C’è altro su Alexandra?”
Asriel appoggiò i gomiti sul tavolo, sporgendosi appena verso di lei mentre la strega deglutiva, chiedendosi se essere sincera o meno. Probabilmente non sarebbe contato niente, si parlava di più di un decennio prima, ma aveva comunque timore che gli Auror potessero vederla come una cosa più grande di quanto realmente non fosse.
“Ammetto di essermi… presa una cotta per lei, a scuola, per qualche tempo. Ovviamente non c’è mai stato niente, Alexandra mi considerava a malapena.”
“E ha avuto contatti con lei, dopo Hogwarts?”
“Dopo il diploma ho fatto diversi corsi di fotografia, poi ho iniziato a lavorare e per un paio d’anni ho viaggiato molto. Non ho più saputo nulla di lei per diverso tempo.”
Era la pura e semplice verità e May si strinse nelle spalle, ricordando quei primi anni dopo Hogwarts con una morsa allo stomaco. La sua vita era stata meravigliosa. O almeno finchè non aveva compiuto 21 anni e qualcosa era irrimediabilmente cambiato.
“Quindi fa la fotografa anche lei?”
“No, sono Obliviatrice. Ho dovuto smettere qualche anno fa… ho una bambina piccola di cui occuparmi e non potevo stare troppo a lungo fuori casa.”
Nell’alludere a Pearl May si ritrovò a sorridere quasi senza volerlo, rasserenandosi mentre Clodagh e James, invece, la guardavano con sincero stupore: era davvero giovane per avere una bambina.
“E quanti anni ha sua figlia?”
Asriel si alzò scostando rumorosamente la sedia sul pavimento, dando le spalle a tavolo, colleghi e a May per guardare fuori dal finestrino infilandosi le mani nelle tasche dei pantaloni. Clodagh gli rivolse una breve occhiata prima di tornare a concentrarsi su May, che spalancò gli occhi azzurri e scosse la testa con lieve imbarazzo:
“Oh, no, non mi sono spiegata bene… Pearl non è mia figlia.”
“Non è sua figlia? Ma allora…”
“E’ figlia di Morgan.”


*

 
“Non posso credere che tu non me l’abbia detto. Anzi, non posso credere che nessuno me l’abbia detto, è ridicolo!”
“May, quando sei partita ancora non lo sapevo… e temevo che dicendotelo saresti tornata di corsa abbandonando la cosa più importante, ossia il tuo lavoro.”

“Pensi che sia quella, la cosa più importante? Siete tu, mamma e papà ciò che amo di più, Morgan.”
Quando era tornata dall’Europa scoprendo che la sorella maggiore era incinta e vicina alla scadenza, May si era infuriata. Si era sentita presa in giro, quasi tradita dalla sua stessa sorella, che non le aveva mai nascosto nulla da quando erano bambine.
La più giovane sedette sul divano per abbracciarla, mormorando che le dispiaceva non esserle potuta stare vicino in tutti quei mesi.
“Non importa tesoro, la mamma mi ha aiutata tantissimo. E non devi certi pagare tu per un mio stupido errore…”
“Ti prego, dimmi che non hai intenzione di crescerlo con quel verme, perché se è così andrò personalmente da lui a prenderlo per le…”
Morgan rise di fronte al cipiglio determinato e quasi minaccioso della sorellina, guardandola con affetto prima di scuotere la testa:

“Non ce ne sarà bisogno, me ne sono andata mesi fa e gli ho detto di non cercarmi mai più. Non avrà mai nulla a che fare con lei… sì, è una femmina. Pensavo di chiamarla Pearl, ti piace?”
Il sorriso dolcissimo di Morgan riuscì come sempre a toglierle qualsiasi dubbio e malumore, e May sorrise emozionata prima di abbracciarla di nuovo, asserendo di non veder l’ora di conoscere la sua nipotina.
 

*
 
“Esatto. Mia sorella maggiore è morta quattro anni fa, io sono la madrina di Pearl e ne detengo la tutela legale.”
James smise di scrivere, guardando la ragazza quasi senza fiato: aveva un ricordo piuttosto chiaro di May a scuola, una ragazza sempre molto energica, divertente e socievole. Non ricordava che avesse avuto una sorella, e di certo non avrebbe mai immaginato che l’avesse persa ritrovandosi a dover crescere sua nipote.
All’improvviso l’Auror pensò alle sue sorelle, tutte e tre più grandi di lui di molti anni e che praticamente lo avevano cresciuto, soprattutto Josephine, la maggiore. Josie gli aveva praticamente fatto da madre e Johanna, la secondogenita, era sempre stata uno dei suoi più grandi punti di riferimento.
Senza una di loro nella sua vita si sarebbe semplicemente sentito incompleto.
Anche Clodagh sembrava turbata, e guardò May senza dire una parola finchè Asriel, voltandosi nuovamente verso la passeggera, tornava a parlare:
“Il padre non si è mai fatto vivo?”
“In effetti sì, quando Pearl aveva circa un anno e mezzo… Morgan era morta da qualche mese.”
 

*
 
Morgan era morta da due settimane, quattordici giorni che May aveva passato quasi ininterrottamente fuori casa. Correre, non faceva altro che correre. Aveva sempre amato l’attività fisica e l’aria aperta, ma da quando aveva seppellito la sorella maggiore la strega aveva passato pochissimo tempo dentro casa, lasciando Pearl alle cure dei genitori.
Si sentiva un’egoista perché conscia che anche loro stavano soffrendo – forse anche più di lei – ma non riusciva a fare altrimenti: stare in loro compagnia, vedere Pearl senza sentire la voce e la risata di Morgan era ancora troppo doloroso.
La giovane strega bionda si fermò sul prato e si lasciò cadere in mezzo al parco, osservando il cielo limpido sopra di lei col respiro affannoso e Brutus, l’inseparabile cucciolo di Bovaro del Bernese, che abbaiava allegro mentre le girava intorno. Si portò una mano sulla fronte per asciugarsi il sudore e deglutì mentre iniziava a respirare normalmente, quasi non badando a Brutus che aveva iniziato a darle leccatine sul braccio sinistro per reclamare la sua attenzione e giocare.
Era inutile: qualsiasi cosa facesse, continuava a pensare a Morgan.
Prima di rendersene conto May scoppiò in lacrime, immobile e in silenzio sull’erba mentre si prendeva il viso tra le mani e Brutus, preoccupato, guardava la padrona dandole colpetti col naso sulla spalla lasciata scoperta dalla canottiera.
Erano passati quattordici giorni, e a volte prendeva ancora in mano il telefono per scriverle un messaggio o chiamarla, dimenticandosi della malattia che glie l’aveva portata via.
Rimase lì a lungo, decisa a sfogare le sue emozioni e a versare tutte le sue lacrime prima di tronare a casa dai genitori e da Pearl: se avesse pianto davanti a sua madre non avrebbe fatto altro che farla sentire peggio, ed era l’ultimo dei suoi desideri.
 

*

 
“Posso chiederle perché ha lei la tutela e non il padre della bambina?”
Clodagh, ripresasi dalla sorpresa, si schiarì la gola e giunse le mani sopra alla tovaglia di lino bianco che copriva il tavolo mentre James riprendeva la piuma in mano e Asriel, in silenzio e ancora in piedi, si limitava ad osservare May.
“Mia sorella lo ha lasciato quando ha scoperto di essere incinta. Io ero in Europa, mi è solo stato raccontato… E’ un mago anche lui, e prese a trattare Morgan molto male. Lei voleva tenere il bambino e lo lasciò, decisamente non era in grado di crescerne uno… Dopo che lei morì infatti perse la causa, riuscimmo a provare che era stato violento sia con mia sorella sia con altre donne.”
“E l’avvocato del padre della bambina era per caso Alexandra Sutton?”
May esitò, tornando a fissare le proprie mani pallide e piene di lentiggini prima di annuire mestamente. Ricordava ancora fin troppo bene l’inizio della causa, di come avesse chiesto ad Alexandra di farle da legale e di come la strega avesse rifiutato per un compenso migliore.
Eppure, nemmeno lei era riuscita a vincere e a portare via Pearl a lei e ai suoi genitori.
 

*
 
May stava dando da mangiare a Pearl, guardandola ridere seduta sul seggiolone mentre il cucchiaio di plastica rosa si librava da solo a mezz’aria per farle l’aeroplanino. La giovane strega le stava pazientemente pulendo la bocca con un lembo del bavaglino quando sua madre si Materializzò nella stanza, facendola quasi sobbalzare sulla sedia mentre si voltava di scatto:
“Mamma, mi hai spaventata! E se Pearl dormiva?”
“Scusa tesoro, lo so… ciao piccolina. E’ importante May, è arrivata questa.”
May si alzò per prendere la lettera aperta che la madre le porgeva, chiedendole che cosa fosse successo vedendo la donna così tesa e preoccupata.
“Leggi.”
Dinah scosse il capo e superò la figlia stringendo nervosamente le braccia al petto, avvicinandosi alla nipotina per darle una carezza sulla testa bionda e un altro cucchiaio di pappa mentre May apriva la lettera, indirizzata alla madre dall’ex fidanzato di Morgan.
Per un paio di minuti gli unici rumori nella stanza furono i versetti e le risate di Pearl, finchè May, furiosa, gettò la lettera sul tavolo voltandosi verso la madre:
“Che cazzo significa?! Non può spuntare nel nulla dopo più di un anno, non esiste! Sapeva che Morgan era incinta, non glie l’ha tenuto nascosto sparendo nel nulla.”
“Ma tecnicamente è stata Morgan a lasciarlo, e ora che non c’è più credo che ne abbia il diritto. Non lo so tesoro, purtroppo non ne so nulla di diritto.”

“Non mi interessa. Spiegheremo perché Morgan lo ha lasciato e nessuno si sognerà mai di affidargli una bambina. Non possiamo perdere Pearl mamma, è tutto ciò che ci resta di lei.”
Dinah, seduta su una sedia, annuì senza dire nulla mentre alcune lacrime iniziavano a solcarle il viso pallido. May aveva visto sua madre piangere solo quando Morgan era morta, ed era una vista che non aveva gradito affatto: era strano vedere i suoi genitori, sempre reputati infallibili e forti, in quelle condizioni. Era doloroso.

Forse, per la prima volta in vita sua, era lei a dover essere abbastanza forte anche per loro.
“Non preoccuparti mamma. Nessuno affiderà mai una bambina ad una persona violenta, anche con tutto il denaro del mondo. Stai tranquilla.”
La ragazza si sforzò di sorridere mentre sedeva acanto alla madre, abbracciandola più forte che poteva mentre Pearl, momentaneamente abbandonata a se stessa, si agitava sul seggiolone reclamando il suo pranzo.
 

*
 
“Quindi Alexandra Sutton per poco non riusciva a portarle via sua nipote… e ha rifiutato di assisterla legalmente. Perché è su questo treno, Signorina Hennings?”
“Quando mia sorella morì mi avevano proposto di allestire delle mostre dei miei reportage in alcune città Europee. All’epoca non potei farlo tra il funerale, il processo, Pearl così piccola, il nuovo lavoro… la possibilità si è concretizzata solo di recente, stavo andando a Nizza a per questo. Ovviamente ho dovuto posticipare ancora, visto come sono andate le cose.”
“E sapeva che Alexandra viaggiava qui?”
“Assolutamente no. Non abbiamo mai avuto contatti, non avrei potuto saperlo. So che io e lei abbiamo una sorta di trascorso, ma voglio solo tornare a casa da mia nipote il prima possibile. Lei è tutto per me.”
La decisione con cui May pronunciò quelle parole sembrò convincere Clodagh, perché dopo aver scambiato un’ultima occhiata con Asriel le sorrise e le assicurò che per il momento poteva andare.
“Approfondiremo e in caso le faremo qualche altra domanda. Per ora è tutto, Signorina Hennings.”
May annuì e si alzò, congedandosi con un cenno educato ma esitando sulla porta prima di lasciare il vagone: voltatasi nuovamente verso gli Auror, parlò un’ultima volta rivolgendosi direttamente ad Asriel.
“Volevo ringraziarla, Signor Morgenstern. Per aver sempre difeso mia sorella quando io non potevo.”
 

*

 
“Sei contenta di restare con la zia, patatina? Sì che sei contenta!”
May sorrise raggiante mentre tirava fuori Pearl dal lettino con le sbarre per prenderla in braccio e darle un bacio sulla guancia, accarezzando dolcemente la fascetta di lana lilla che aveva fatto apposta per lei la settimana prima e che copriva parzialmente la testa della bimba.
Visto che aveva già dormito May lasciò la nipotina sul suo tappetino rosa in mezzo ai giochi, controllandola dal divano mentre riprendeva il coniglietto di lana a cui aveva iniziato a lavorare da un paio di giorni. La bambina, che stava iniziando a camminare abbastanza stabilmente, dopo qualche minuto lasciò perdere il trenino colorato con i numeri sui vagoni e raggiunse May sul divano incespicando leggermente e con le braccine tese, sorridendole mentre appoggiava le manine sulle ginocchia della zia – e, dal giorno prima, tutrice legale a tutti gli effetti –.
L’ex Grifondoro ricambiò teneramente il sorriso della nipotina – che diventava sempre più simile a Morgan – prima di mettere da parte il lavoro a maglia e mettersela sulle ginocchia, stampandole un sonoro bacio su una guancia mentre la bimba giocherellava con la sua collanina:
“La zia non permetterà mai che ti succeda niente, intesi? Non l’ho fatto con la tua mamma, ma con te ci riuscirò.”
 

*

 
Ruven si annoiava. Si annoiava a morte. Poteva stare in cucina solo per poche ore, visto che al di fuori dell’orario dei pasti veniva chiusa e il vagone ristorante veniva lasciato a completa disposizione degli Auror. A quel punto tutto il personale della cucina e della sala, dopo aver tirato a lucido ogni singola superficie, veniva congedato.
Ruven non era affatto abituato a stare sul treno senza dover passare ore ed ore in cucina – nella sua cucina – e se in un primo momento poteva aver gradito un po’ di riposo extra, alla lunga tutte quelle pause iniziavano a dargli noia.
Disgraziatamente lì sul treno non poteva dedicarsi a nessuna delle sue passioni, al di fuori della cucina: di certo non poteva imbrattare il treno, e neanche boxare. Di uscire a fare una passeggiata neanche a parlarne anche se il treno era fermo, visto che nessuno aveva il permesso di lasciare il veicolo tranne gli Auror e il capotreno.
“A volte mi chiedo se non ti annoi, tutto il giorno a dormire, mangiare, curiosare in giro o farti coccolare.”
Disteso sulla sua branda, Ruven sorrise mentre accarezzava dolcemente il pelo color sabbia maculato di Neko, che come suo solito – quando non era impegnato a gironzolare per il treno, cercare di infilarsi nella dispensa o a fare compagnia ai macchinisti – si stava godendo le attenzioni del padrone e gli si era acciambellato accanto.
Dopo essersi incontrati a Nara, in Giappone, quando Neko aveva pochi mesi ed era solo un gattino magro e abbandonato, erano diventati inseparabili: il gatto era l’unica cosa a cui Ruven non avrebbe mai potuto rinunciare in nessuno dei suoi viaggi o nel suo lavoro, tanto che il micio l’aveva accompagnato in lungo e in largo.
“No che non ti annoi, conduci una vita da far invidia… Speriamo di ripartire prima di dare fondo alla dispensa, vero piccolo? Non mi va proprio di morire di fame su un treno fermo in mezzo alla neve. Per di più a Natale.”
 Con il suo lavoro Ruven era ormai avvezzo a trascorrere le feste lontano dalla madre e dai suoi fratelli, ma Hilda e Siatr, ormai a casa per le vacanze natalizie, gli mancavano in ogni caso. Lo chef prese delicatamente il gatto e mentre si metteva a sedere sulla branda lo strinse al petto, grattandogli affettuosamente le orecchie e ignorando la sua smorfia contrariata per averlo disturbato mentre sonnecchiava.
 

*

 
“Porco Godric, siamo super in ritardo! Pearl mettiti le scarpe, dobbiamo andare all’asilo!”
May attraversò il salotto appellando la sua giacca e quella della nipotina, che entrò nella stanza tenendo un paio di piccoli scarponcini bianchi in mano e con Brutus al seguito:
“Te l’ho detto che facevi tardi con la doccia, zia.”
“Niente te l’avevo detto, in questa casa è vietato. Hai bisogno che ti allacci le scarpe?”
“No, ho già imparato, basta fare le orecchie del coniglietto.”
La bimba sedette sul tappeto e s’infilò gli scarponcini, allacciandoseli abilmente sotto lo sguardo orgoglioso della zia, che le schioccò un bacio sulla testa prima di infilarle il berretto di lana un po’ bitorzoluto che aveva fatto qualche settimana prima:
“La mia bambina bravissima! Cosa ho fatto per meritare una piccola sveglia come te?”
May le sorrise mentre raccoglieva la borsa da una poltrona, i capelli legati in uno chignon disordinato sulla nuca – al contrario di quelli perfettamente pettinati di Pearl, che ormai insisteva per vestirsi da sola al mattino – e il viso completamente privo di trucco: non aveva mai più cercato di nascondere le sue lentiggini.
“La maestra dice che sono molto procace zia, sto imparando a leggere un po’.”
La bambina – finito di allacciarsi le scarpe – si alzò in piedi parlando con aria di superiorità prima di prendere la mano che May le porgeva cercando di non ridere:
“Spero che tu intenda precoce, e dovrò fare due chiacchiere con la maestra… Vieni Brutus, accompagniamo Pearl all’asilo e poi vado al lavoro. Su, in marcia!”
Allacciato il guinzaglio alla pettorina del cane May condusse lui e Pearl verso la porta di casa, ignorando le lamentele della bambina su quanto molti dei suoi compagni di scuola fossero “ancora infantili e si mettessero le dita nel naso”.
“Che cosa vuol dire procace, zietta?”
“Ti ricordi Jessica Rabbit? Lei è procace. Adesso andiamo, su!”

“La nonna dice che lei non faceva mai arrivare te e la mamma tardi all’asilo.”
“Ma la nonna aveva il nonno a preparare la colazione, qui devo fare tutto io, signorinella!”
 

*

 
Caro diario,
Oggi è il mio compleanno! All’inizio l’idea di passarlo qui sul treno era molto triste, ma infondo non posso lamentarmi: alloggio in prima classe, e stamani Clodagh e Asriel mi hanno fatto fare una torta bellissima, sono stati davvero carini. Andrò a ringraziare lo chef più tardi. Comunque, anche se Asriel mi ha rubato uno smile – non ci si può fidare più di nessuno quando c’è del cibo di mezzo – fino ad ora è stata una bella giornata: mi hanno anche fatto interrogare una dei passeggeri. Prima abbiamo interrogato una ragazza che ricordo vagamente a scuola, era un anno davanti a me e sembra adorabile, spero che non sia lei l’assassina… Ha una storia davvero triste, poverina, ma Asriel e Clodagh si chiedono se non abbia qualcosa a che fare con Alexandra.
Alpine stamattina si è fatta coccolare un po’, forse ha capito che era il mio compleanno e ha voluto farmi un regalo?
 
“Allora, questa è Corinne Leroux, ho scritto le sue iniziali e per essere ancora più chiaro ho disegnato un cavallo alato vicino a lei.”
“Ah, è un cavallo alato? Pensa che a me sembrava un drago…”
James alzò lo sguardo dal suo “diario” pieno di fiocchi di neve, bastoncini di zucchero e allegri pupazzi sorridenti per lanciare un’occhiata a Geraldine e al disegno di Asriel. In effetti non somigliava molto ad un cavallo, ma a differenza di Clodagh decise di non denigrare le doti artistiche del collega – anche se dopo l’affronto del furto subito poco prima se lo sarebbe anche meritato – e chiuse il quadernino prima di alzarsi e proporsi di disegnare May.
“Altrimenti potremmo sempre chiedere alla fotografa se per caso ha con se una macchina istantanea, riflettendoci.”
“E’ quello che ho detto, ma Brontolo non vuole.”
Clodagh, seduta sul letto a sgranocchiare noccioline sotto lo sguardo attento di Zorba, che aspettava solo di vederne cadere una per acciuffarla, parlò con una stretta di spalle mentre Asriel – cancellando nervosamente il disegnino per ritentare il cavallo alato – borbottava qualcosa contrariato:
“Mi rifiuto di chiedere qualcosa alla Yaxley, ieri continuava a fotografarmi le braccia, ne sono assolutamente certo.”
“Secondo me sei solo paranoico, chi mai dovrebbe fotografarti le braccia?”
“Ti dico che è così, ma lasciamo perdere.”
 
“Senti Ro, dici che queste foto potrei venderle, quando torniamo a casa? Non mi farebbero male introiti extra, sai…”
“Sì, ma sarebbe ancora meglio beccarlo senza maglia, dobbiamo lavorarci su.”
 
“Allora, che cosa sappiamo? Seguiamo l’ordine degli interrogatori… Delilah Yaxley.”
Asriel cerchiò il nome della prima sospettata – disegnata con quella che secondo James era evidentemente una macchina fotografica in mano – con il pennarello nero mentre Clodagh, abbandonate le noccioline e facendosi improvvisamente seria, prendeva il rotolo di pergamena dove fino a quel momento avevano segnato i resoconti degli interrogatori e iniziava a snocciolare informazioni ai colleghi:
“29 anni, ex Serpeverde, fotografa… Famiglia un tempo molto ricca, decaduta dopo la guerra… Ha un fratello gemello, Cecil. Se non ricordo male era Serpeverde anche lui. Gestisce il negozio di famiglia, lo so perché ogni tanto ci arriva qualche segnalazione su presunta merce illegale, ma non abbiamo mai trovato nulla.”
Clodagh finì di parlare con evidente scetticismo, più che certa che fossero semplicemente molto abili a nascondere ciò che non andava messo in vetrina più che completamente innocenti mentre Asriel, chinandosi leggermente, scarabocchiava il nome del fratello e del celebre negozio accanto al nome della strega.
“Che cosa ha detto sulla Sutton?”
“Che la conosceva di vista, nulla di più. Comprensibile, stesso anno ad Hogwarts ma evidentemente molto diverse, e apparentemente le loro professioni non hanno particolari connessioni. Per saperne di più dovremo aspettare che arrivino le informazioni da Londra, temo.”
“Persone sul treno che conosce… Prospero De Aureo.”
Per quello Asriel non aveva bisogno di conferme, e scrisse il nome del passeggero accanto a quello di Cecil Yaxley, sottolineandolo con veemenza.
“Pensi che possano essere complici? Non è un mistero che si conoscano bene… Ma Delilah ha detto che ignorava la presenza di Prospero qui.”
James parlò incrociando le braccia al petto, osservando Geraldine con lieve scetticismo mentre Asriel sbuffava, asserendo che non potevano esserne sicuri e che avrebbero dovuto sentire anche la versione del mago.
“Sicuramente De Aureo per ora è il più sospetto, siamo praticamente sicuri che ciò che abbiamo trovato nella valigia della Sutton sia suo, vista la presenza di Clo qui. Ma perché incriminarsi da solo?”
“De Aureo dice che non può aver messo la sfera nella valigia perché è stato tutto il tempo con Delilah, ma sono amici, è una testimonianza che regge fino ad un certo punto… e non è da escludere che siano complici, come abbiamo detto. O è stato lui ad uccidere la Sutton, qualcuno ne è consapevole e ha messo quella… cosa nella valigia per darci una spintarella in quella direzione, oppure l’assassino ci vuole indirizzare verso di lui. Manca però un collegamento tra la Yaxley e la Sutton.”
Tra i nomi delle due streghe – con quello della vittima posto al centro della lavagna – Asriel disegnò un grosso punto di domanda prima che James accennasse al nome del negozio di famiglia della strega:
“Qualcosa che abbia a che fare con il Borgin & Burkes? Magari Alexandra sapeva qualcosa… mi sembra evidente che quella donna sapesse davvero un po’ troppo su molte persone.”
“E’ una possibilità, sì. Peccato che usare il Veritaserum sia illegale, avremmo già risolto tutto dieci minuti dopo aver trovato il corpo.”
Asriel osservò la lavagna mettendosi le mani sui fianchi coperti dai pantaloni grigi, spostando lo sguardo dal nome della vittima a quello di Delilah con la fronte aggrottata mentre Clodagh, alle sue spalle, sorrideva allegra:
“Ma se così fosse noi Auror non avremmo motivo di esistere, Asriel. Passiamo allo chef…”
Il cappello che ho disegnato è davvero carino! E anche il mestolo che gli ho messo in mano.”
Sì James, dovresti proprio darti all’arte… Ruven Schäfer, se non ricordo male 27 anni, nato a Berlino… Studente di Durmstrang, purtroppo è uno di quelli di cui possiamo saperne ben poco.”
“Ho parlato con il capotreno, e pare che sul lavoro sia molto apprezzato, ha buoni rapporti con tutti e non ha mai dato problemi. Il padre è morto suicida una decina di anni fa, da allora ha iniziato a lavorare per aiutare sua madre a mantenere i fratellini. Poverino.”
L’espressione di Clodagh si rattristò, osservando dispiaciuta le parole che James aveva trascritto durante l’interrogatorio mentre Asriel riportava sinteticamente ciò che la collega aveva detto.
Lei aveva avuto la fortuna di crescere in una famiglia numerosa, caotica e molto unita, una famiglia che l’aveva sempre sostenuta – anche se la sua anziana nonna Babbana insisteva a chiamarli tutti “pagani”, ma infondo era entusiasta dell’avere nipoti magici – e che non le aveva mai fatto mancare nulla. A volte, quando lavorando si scontrava con realtà così diverse da quella che lei stessa aveva vissuto provava quasi una sorta di senso di colpa. Così come poco prima, udendo le parole di May, aveva cercato di chiedersi come l’avrebbe fatta sentire perdere sua sorella Aoife.
La strega provò una fastidiosa morsa allo stomaco, cercando di non pensarci mentre Asriel, voltatosi verso di lei, le chiedeva se andasse tutto bene.
“Sì, benissimo, scusa Asriel. Dicevo… ha sostenuto di non conoscere la vittima, e così su due piedi non abbiamo nessuna prova del contrario, immagino.”
“Beh, spero che non sia lui il colpevole. Sarebbe un peccato visto che cucina così bene… Passiamo alla francese cavallerizza.”
“Asriel, scusa se te lo chiedo, ma come mai detesti tanto i francesi?”
James abbozzò un sorriso, sostenendo a disagio l’occhiata terribilmente cupa che Asriel gli rivolse. Anche Clodagh guardò curiosa il partner, visto che in tanti anni di conoscenza, collaborazione e infine amicizia non era mai riuscita a comprendere il motivo del profondo disprezzo di Asriel per i francesi.
Asriel che strinse le labbra ed esitò prima di tornare a guardare la lavagna, mormorando che le sue opinioni personali non avessero nulla a che fare con il caso prima di chiedere a Clodagh di ripetergli le informazioni salienti del suo interrogatorio:
“Ha avuto una relazione con la vittima, direi che questo la mette al primo posto dei sospettati.”
Clodagh annuì e tornò a concentrarsi sugli appunti, ma non prima di aver scambiato un’occhiata delusa con James: ancora una volta la loro curiosità non era stata soddisfatta, e all’improvviso la strega si chiese perché, dopo tuti quegli anni, ancora sapesse così poco del suo amico.
 

*
 
“Corinne ha detto che è stata lei a lasciare Alexandra, ma che lei non l’aveva preso molto bene.”
“Non mi sorprende affatto, non era molto avvezza ai rifiuti. Quando fui io a rifiutarla non mi rivolse la parola fino al diploma.”
“Non mi avevi mai detto che la nostra avvocatessa preferita ti avesse fatto delle avances!”
Clodagh guardò il collega stupita e divertita al tempo stesso, ma Asriel liquidò il discorso con un gesto e le fece cenno di tornare a concentrarsi su Corinne e sui loro appunti.
“D’accordo… pare che Alexandra abbia pensato bene di spifferare tutto alla stampa, casa di Corinne è stata assalita dai paparazzi e anche l’azienda di famiglia… le vendite sono andate in calo… e ciliegina sulla torta, la nostra vittima è diventata il legale della concorrenza. Beh, direi che non era affatto una donna rancorosa!”
“Ma pensate davvero che possa essere stata lei? Sicuramente può averla odiata per ciò che ha fatto, ma da qui ad uccidere qualcuno…”
“E’ vero, ma può esserci altro che Corinne non ci ha detto. E di sicuro è la persona che ha avuto un legame più stretto con lei su questo treno, non possiamo ignorarlo. E ora veniamo alla sua amica, che sostiene fermamente la sua innocenza.”
Asriel disegno una piccola freccia tra i nomi delle due francesi, che James osservò tenendo le braccia strette al petto e con la fronte leggermente aggrottata nel ripensare a ciò che le due streghe avevano detto l’una sull’altra ai loro interrogatori:
“Possono essere complici.”
“Sì, ma apparentemente Clara Picard non ha legami con la vittima, così come lo chef.”
“Apparentemente. Ci ha parlato dell’incidente del fratello, che a lui è costato le gambe e a lei un lavoro che amava e che aveva fatto di tutto per ottenere. Potrebbe essere stata coinvolta con l’incidente.”
Clodagh si strinse nelle spalle e James sorrise allegro, schioccando le dita come se fosse stato appena colto da un’illuminazione:
“O magari in realtà Clara è segretamente innamorata di Corinne e ha ucciso Alexandra per gelosia! Oppure si sono messe d’accordo!”
Voi due guardate troppi film.”
“Ma potrebbe essere come in quel libro della Christie, dove i colpevoli sono gli amanti segreti!”
“Quale libro? Anzi no, non dirmelo, non voglio altri spoiler.”
 

*

 
“Come è morta esattamente la sorella di May? Non glie l’ho mai chiesto. Mi sembrava indelicato.”
“Si è ammalata, l’hanno contagiata alcuni pazienti. Ha vissuto qualche mese e poi è morta.”
“Dev’essere stata molto dura per lei.”
Renèe annuì mentre accarezzava distrattamente il morbido pelo chiaro di Artemis, la sua gatta che le stava in grembo e giocherellava con alcuni dei braccialetti d’oro che la padrona portava al polso. Anche se erano passati quattro anni ricordava ancora fin troppo bene lo stato di profonda sofferenza che la perdita della sorella aveva gettato sulla sua solare amica. In tutti quegli anni, non ricordava di averla mai vista versare tutte quelle lacrime o smettere addirittura di uscire di casa per giorni interi, intervallando allenamenti e corse estenuanti ad interi pomeriggi passati chiusa in camera da letto.
“Erano molto legate, May stravedeva per Morgan. Nonostante fosse la sorella minore era convinta di dover essere lei a proteggerla dagli altri, Morgan era più timida e introversa.”
“Posso immaginare.”
Elaine parlò chinando lo sguardo su Ailuros, il suo Maine Coon dal lungo pelo nero. Sembrava che il grosso gatto volesse saltarle in grembo proprio come Artemis aveva fatto con Renèe, ma Elaine si limitò a sorridere dolcemente mentre gli carezzava la testa, consapevole che fosse ormai troppo grosso per poterlo tenere comodamente in  braccio.
“Dev’essere terribile perdere improvvisamente una persona così cara senza poter fare nulla.”
Pensare alla sua amica serviva a Renèe a ricordarsi quanto fortunata fosse ad avere una grande ed intatta famiglia come la sua, una famiglia che seppur non perfetta l’avrebbe sempre sostenuta.
La bionda incrociò lo sguardo calmo e rilassato di Elaine, che accennò un sorriso amaro prima di mormorare che lo era.
 

*

 
“Eravate molto amici, tu e la sorella di May?”
“Sì, anche se quando si è ammalata non la vedevo da un po’, mi ero diplomato da poco all’Accademia e avevo sempre da fare.”
“Che malattia aveva?”
Clodagh sedette accanto ad Asriel sul bordo del letto guardandolo con curiosità, cercando di ricordare qualcosa di Morgan Hennings ad Hogwarts ma senza grandi risultati.
“Faceva la Curatrice al San Mungo, si prese un’assurda malattia infettiva da alcuni pazienti… è morta dopo pochi mesi.”
“Mi… mi dispiace Asriel.”
Asriel non rispose, limitandosi ad osservare il pennarello nero che ancora si rigirava distrattamente tra le dita mentre i ricordi del funerale della vecchia compagna di scuola tornavano a farsi vivi dopo molto tempo:
“Mi ricordo di May al funerale, anche se sul momento non l’avevo riconosciuta. Teneva in braccio quella bambina così piccola, aveva solo un anno o giù di lì. Dev’essere orribile non poter nemmeno conoscere la propria madre.”
“E il padre?”
“Morgan riuscì a lasciarlo prima che la bambina nascesse. Glielo dicevo da mesi di farlo, era un pezzo di merda… Preferisco non parlarne. Odio il fatto che la cucina sia chiusa, ucciderei anche io per un caffè!”
Di norma Clodagh lo avrebbe ammonito di assumere troppa caffeina al giorno e gli avrebbe consigliato passare a qualche thè rilassante, ma vedendolo così nervoso decise di non interferire e fece l’unica cosa che le venne in mente: visto che il collega non era un tipo di molte parole, si sporse verso di lui e lo abbracciò.
Asriel non aveva mai amato il contatto fisico fin da bambino, e di certo non era avvezzo agli abbracci. Tuttavia, dopo un’iniziale esitazione ricambiò debolmente la stretta dell’amica e appoggiò la testa contro la sua, chiedendole con un mormorio di non farsi mai ammazzare in missione.
“Tranquillo, se sono sopravvissuta alla tua ira post-spoiler nulla potrà scalfirmi. Nessuno riuscirà a liberarti della mia presenza.”
Clodagh parlò con un sorriso e Asriel la imitò, sperando che avesse ragione.
 

*

 
“Non voglio più andare all’asilo, i bambini sono stupidi! E Jimmy mi tira sempre i capelli, è uno stupido!”
“I bambini non sono tutti stupidi, ricorda che sei una bambina anche tu.”
May ridacchiò udendo le parole della nipotina, facendo attenzione a non scottarsi mentre apriva i cartocci di alluminio in cui aveva cotto le patate nel forno. Pearl, seduta di fronte a lei con le braccine strette al petto e particolarmente imbronciata, guardò la zia imburrarne le cavità al centro e cospargerle di erba cipollina pregustando la cena mentre Brutus osservava famelico la padrona.
“Ma la nonna dice che io sono molto sveglia, quindi è come se andassi già alle elementari.”
“Sai, un volta dissi anche io alla nonna di non voler più andare all’asilo: alcuni bambini mi prendevano in giro per le lentiggini. Ma la nonna mi ci mandò comunque, e mi vietò di nascondere le lentiggini. Quindi continuerai ad andarci anche tu, piccola, e dirai a Kevin di smetterla di tirarti i capelli.”
“La vita è ingiusta!”
Pearl sbuffò e fece un teatrale movimento con le braccia che fece annotare mentalmente a May di farle vedere più film per bambini e meno roba per adulti, dopodiché la strega intimò alla nipotina di mettersi il tovagliolo prima di servirle un paio di Jacket Potatoes calde e profumate.
“Lo so piccola, ma cerca di sfogare la tua grande sofferenza sul cibo, se ti riesce.”
Pearl annuì, asserendo seria che ci avrebbe provato senza notare i tentativi della zia di non mettersi a ridere: a volte May – così come la madre – si chiedeva chi fosse la vera adulta di casa.
 

*

 
Finn era disperato: non trovava Alfaar da nessuna parte. Era raro che il topolino si separasse da lui, e con tutti quei dannati felini sul treno temeva per l’incolumità del suo piccolo animaletto.
“Signorina, per caso ha visto un topo?”
Intercettata Elaine, che al solito si muoveva con quell’enorme gatto nero al seguito e con quell’aria composta ed elegante, Finn si affrettò a fermarla più agitato che mai. La strega per tutta risposta deglutì e sbarrò gli occhi, facendosi preoccupata tanto quanto lui.
“Un topo? Merlino, no per fortuna! Perché? Ci sono dei topi?”
“No, il topo è mio!”

 
 
*

 
Dopo pranzo Lenox si era ritirato nella sua cabina insieme a Scottish e a Polly, che si era subito appisolata nella sua piccola cuccia mentre il gatto rosso gli si era acciambellato sulle ginocchia.
Avendo finito di leggere entrambi i libri che aveva portato con sé, Lenox decise che per combattere la noia bisognava ricorrere a soluzioni drastiche, così aveva Evocato momentaneamente una tv.
Insieme a Scottish, ormai abituato a quelle visioni, stava guardando un vecchio film in bianco e nero quando qualcosa attirò la sua attenzione: c’erano dei rumori, o meglio dire delle voci, provenienti dal corridoio.
Incuriosito, il mago mise in pausa il film su un primo piano di Laurence Olivier e si alzò, aprendo la porta della cabina per capire che cosa stesse succedendo.
“Che cosa succede?”
“Alfaar è sparito, non lo trovo da nessuna parte! Sarà caduto vittima di qualche gattaccio!”
Finn, in piedi in mezzo al corridoio, gesticolò disperato mentre Elaine, in piedi di fronte a lui, sbarrava gli occhi quasi inorridita:
“Lei ha un topo come animaletto?! Santa Tosca, sono tutti pazzi su questo treno! Vieni Ailuros, andiamo a nasconderci in cabina.”
Elaine si allontanò con stizza – chiedendosi come fosse possibile avere un topo come animale di compagnia – e Finn avrebbe voluto informare la strega che il suo Alfaar era un topolino adorabile, non certo un ratto uscito dalle fogne, ma decise di non aver tempo per quelle sciocchezze e corse verso il vagone ristorante.
Se la cucina era aperta, era probabile che Alfaar fosse andato verso la dispensa.
“E ora dove vai?”
Incuriosito – e sempre più perplesso dagli eventi bizzarri che quel treno sembrava concentrare su di sé – Lenox guardò l’ex Corvonero superarlo trafelato e visibilmente preoccupato:
“A cercare Alfaar in cucina, sperando che non abbia fatto da pasto a sua volta!”
L’ex Tassorosso volse lo sguardo su Scottish, che si stava leccando una zampetta con noncuranza. Per un attimo il mago si domandò se non fosse stato lui l’artefice di una disgrazia, ma infondo non l’aveva mai perso di vista, anche quando il micio si era avvicinato ad una delle passeggere francesi per farsi viziare.
Chiusa la porta, Lenox abbozzò un sorriso mentre si rivolgeva al gatto, dandogli una carezza sulla testa prima di tornare a sederglisi accanto:
“Speriamo che Finn trovi Alfaar… Non so se sarei in grado di salvarti dalla sua ira, se fossi stato tu.”
Le immagini in bianco e nero tornarono presto a muoversi, catapultando nuovamente Lenox all’interno del mistero di Max De Winter(2) e permettendogli di non pensare, almeno per un po’, ad omicidi e sparizioni di topolini.

 
 
*

 
“Chef, che facciamo?!”
“Come cazzo ci è entrato un topo nella mia cucina?! Siamo passati da Assassinio sull’Orient Express ad un film Pixar? Che nessuno si muova!”
Ruven aveva appena messo piede in cucina – era riuscito a farla momentaneamente aprire per iniziare a preparare gli ingredienti per il servizio successivo – quando lui e il suo sous-chef avevano scorso l’incubo di ogni cuoco: un topo in cucina.
E per quanto gli fosse sempre piaciuto Ratatouille, di sicuro non era qualcosa che poteva accettare.
 
Lo chef, che teneva un ampio scolapasta di acciaio in mano come fosse stato un’arma da fuoco, avanzò lentamente verso l’isola dove si trovava il topo.
“Non. Fate. Movimenti. Bruschi.”
Lo chef parlò a denti stretti e scandendo molto lentamente le parole, pronto a mutilare e ferire gravemente chiunque avesse fatto scappare il topo, che avevano attirato con un pezzetto di formaggio.
Alfaar stava sgranocchiando ignaro il suo groviera. Ruven stava per intrappolarlo sotto lo scolapasta, chiedendosi dove accidenti fossero tutti i gatti del treno quando c’era bisogno di loro.
Infine la porta si aprì con un improvviso scatto metallico, facendo sobbalzare i cuochi e Ruven in primis:
Salve, c’è lo chef? Volevo ringraziarlo per la…”
“ALFAAR! Non uccidete il mio topolino!”
Da dietro James – sbigottito per la scena che gli si prospettava davanti agli occhi – apparve Finn, che senza indugi oltrepassò l’Auror per correre all’interno della cucina e raccogliere il topolino con sollievo, ignorando le imprecazioni in tedesco di Ruven;
“Avevo detto niente movimenti bruschi! Il topo sarebbe suo? Lo tenga lontano dalla mia cucina!”
Ruven, furioso, ridusse gli occhi verdi a due fessure e agitò minaccioso un mestolo per spaghetti contro il topolino, che andrò a nascondersi nella taschina della camicia di Finn mentre il padrona lo accarezzava sollevato:
“Mi dispiace molto, è scappato… Per fortuna non ha incontrato nessun gatto.”
L’ex Corvonero emise un sospiro di sollievo mentre James, alle sue spalle, quasi non credeva ai propri occhi: incredibile, aveva praticamente assistito ad una scena live action di Ratatouille! Peccato che Clodagh non avesse potuto assistere.
Certo Ruven non somigliava molto a Skinner o Finn a Linguini, ma ci si accontentava.
 
“Mi scusi Chef, ero venuto a ringraziarla per la torta di oggi… Ehy, ma voi due siete identici!”
Era la prima volta in cui James aveva modo di osservare i due da vicino contemporaneamente, e spostò sbigottito lo sguardo da un mago all’altro mentre chef e scrittore si scambiavano occhiate assorte, studiandosi scettici a vicenda.
“Continuano a dirlo tutti… a me non sembra. Lei che ne pensa, chef?”
“Nah, non sembra nemmeno a me. Io ho gli occhi più verde chiaro.”
“E’ vero, e la mia mascella ha una forma più dolce.”
“Sì ma… siete identici comunque! Non è che per caso siete parenti separati alla nascita?”
“Che io sappia non ho origini crucche, quindi lo escluderei.”
“Questo teatrino è stato affascinante, signori, ma ora vi chiederei di levare le tende dalla mia cucina, se non è di troppo disturbo. E il prossimo topo che trovo lo do in pasto a Neko, siete tutti avvisati.”
Più allegro che mai per aver assistito a quella scena, James lasciò la cucina insieme a Finn, che abbassò lo sguardo su Alfaar chiedendosi perché nessuno comprendesse il suo affetto per quella dolce creaturina.
 

 
*

 
“Amore mio, ciao! Come stai? Mi mancate tanto tu e Brutus.”
“Bene, prima io e la nonna abbiamo fatto gli omini di pan di zenzero.”
Sentire la voce di Pearl era esattamente ciò di cui sentiva di avere bisogno dopo essere stata costretta a parlare di Morgan, e udendola così serena e allegra – che avesse scordato l’arrabbiatura nei suoi confronti? – May non poté far altro che sorridere mentre stringeva il cellulare con la mano guantata, in piedi al freddo all’esterno del treno.
“Mi piacerebbe poterli assaggiare… Una volta proviamo a farli anche noi, che ne dici?”
“Va bene. Quando torni, zia?”
“Spero presto piccola… ma per farmi perdonare avrò un sacco di cose da raccontarti. Sai, prima mi hanno interrogata come nelle serie tv che guardiamo.”
“Wow! Perché?”
“Diciamo che qui è successa una cosa strana, e stanno interrogando tutti. Ma presto tornerò a casa da te e Brutus, te lo prometto. Fai la brava con i nonni.”
“Io sono sempre brava!”
May sorrise, annuendo anche se la bambina non poteva vederla e assicurandole affettuosamente che lo sapeva prima di salutarla e chiudere la telefonata. Prima di riporre il telefono nella tasca del cappotto bianco ne osservò lo schermo, dove sullo sfondo faceva capolino una fotografia cha la ritraeva con una Pearl di pochi mesi in braccio e Morgan a stringere entrambe in un abbraccio: era una delle poche foto a ritrarle tutte e tre insieme che aveva, e come la nipotina – che da un anno le chiedeva spesso di vederla e faceva molte domande sulla madre – non si sarebbe mai stancata di guardarla.
Un debole sorriso increspò le labbra della strega, che sfiorò lo schermo prima di riporre il telefono e rientrare all’interno del treno sperando di riabbracciare presto il suo angioletto.
 
 
 
 
 
 
 
 
(1):Tengo a precisare che non è mia intenzione offendere nessuno e che mi dissocio dal pensiero sui francesi del mio figliolo.
(2): Il film che guarda Lenox è “Rebecca la prima moglie”. Ovviamente l’originale di Hitchcock, non la ciofeca di Netflix.
 
 
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Angolo Autrice:
Per dirla alla Asriel, Guten Morgen a tutti.
So di essere decisamente in ritardo, scusatemi, tra università, ansie e qualche malessere mi sono presa indietro un po’ con tutto… C’è da dire che il capitolo è il più lungo della storia fino ad ora, quindi spero di essermi parzialmente fatta perdonare così.
Come sempre spero che il capitolo vi sia piaciuto, e grazie per le recensioni. Scusate se spesso non vi rispondo, ma fatico a trovare il tempo.
Per il prossimo vi chiederei di votare tra:
 
Lenox
Finn
Elaine
 
Per favore, cercate di votare entro una settimana, altrimenti non prenderò i voti in considerazione.
 
A presto,
Signorina Granger
   
 
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