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Autore: crazy lion    21/03/2021    1 recensioni
Crossover scritto a quattro mani con Emmastory tra la mia fanfiction Cuore di mamma e la sua saga fantasy Luce e ombra.
Attenzione! Spoiler per la presenza nella storia di fatti vissuti da Demi e dalla famiglia, raccontati nel libro di Dianna De La Garza Falling With Wings: A Mother's Story, non ancora tradotto in italiano.
Mackenzie Lovato ha sei anni, una sorella, un papà e una mamma che la amano e, anche se da poco, una saga fantasy che adora. È ambientata in un luogo che crede reale e che, animata dalla fantasia, sogna di visitare con i suoi. Non esita perciò a esprimere tale desiderio, che in una notte d’autunno si realizza. I quattro vivranno tante incredibili avventure con i personaggi che popolano quel mondo. Ma si sa, nemmeno nei sogni tutto è sempre bello e facile.
Lasciate che vi prendiamo la mano, seguite Mackenzie e siate i benvenuti a Eltaria, un luogo per lei e la famiglia diviso tra sogno e realtà.
Disclaimer: con questo nostro scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendiamo dare veritiera rappresentazione del carattere dei personaggi famosi, né offenderli in alcun modo.
Quelli originali appartengono alle rispettive autrici.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Demi Lovato, Nuovo personaggio
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
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CAPITOLO 18.

 

PROBLEMI QUASI UMANI

 
Un rumore distrasse Demi, che giaceva ancora a letto. Erano appena le sei e mezza del mattino secondo l'orologio del suo cellulare e prima di dormire si era assicurata che la porta fosse ben chiusa, ma nonostante tutto, dopo una breve pausa di silenzio, rieccolo. Non il caratteristico bussare a cui la presenza di due bambine in casa l'aveva abituata, bensì qualcosa di diverso, più basso e insistente. Confusa, si alzò dal letto per controllare. Aprì la porta e un cucciolo di Arylu di pochi mesi entrò zampettando. Era molto peloso e aveva delle bellissime focature azzurre.
"E tu chi sei? Da dove salti fuori?" gli chiese, trattenendo a stento una risata.
Si abbassò per leggere ciò che c’era scritto sulla sua medaglietta d’acciaio appesa al collare azzurro:
Cosmo.
Il cagnolino abbaiò una volta sola e, come ipnotizzato dalla sua stessa coda, prese a rincorrerla e ringhiare, segno che la cosa gli piaceva da matti. Poco dopo si guardò intorno e, non trovando ciò che voleva, piegò la testa di lato.
"Che c'è, cerchi Kaleia?” tentò. “Hai sbagliato stanza, signorino."
A sentire quel nome l'Arylu drizzò le orecchie e abbaiò ancora.
"Demi, che diamine…" farfugliò allora Andrew, svegliato da tanto baccano.
"Scusa, amore. Abbiamo un piccolo ospite nella camera sbagliata."
"Ah sì? Beh, indirizzalo verso quella giusta, preferirei dormire" le rispose il compagno.
"Subito." Demetria incoraggiò il cagnolino a seguirla appena oltre il vano della porta e indicò il corridoio. "È nella camera accanto, su, vai" gli ordinò, la voce priva di autorità.
In molti le avrebbero detto che i cani tendevano a beneficiare di una mano ferma, ma armata di convinzioni ben diverse, lei aveva provato a modo suo e ora rideva nel vedere quel cucciolo zampettare lungo il corridoio alla ricerca della sua vera padrona. Non sarebbe mai stata uguale alla madre che aveva perso nei boschi, ma nonostante ciò quel piccolo mascalzone aveva scelto di fidarsi della sua amica fata. Demi tornò dal fidanzato, e seduta sul bordo del letto, gli accarezzò una guancia.
"Il mostriciattolo è sistemato" scherzò, cercando di farlo ridere.
"Ti ringrazio. Qualcuno dovrebbe insegnargli a non abbaiare tanto, non credi?" rispose Andrew, faticando a formulare quella frase.
"Avanti, Cosmo è adorabile! E poi è solo un cucciolo, vuoi davvero incolparlo? Probabilmente voleva soltanto giocare."
"Oh, adesso lo chiami anche per nome? Non bastava Batman, vero?" ringhiò lui di rimando, per nulla in vena di scherzi tanto sciocchi.
Demetria sbuffò.
"Andrew Marwell, ora basta. Che ti prende? Non ho intenzione di parlarti quando fai così" sbottò. “E poi parla piano, le bambine dormono ancora.”
Detestava litigare. Respirò a fondo, si impose la quiete e in un attimo il suo cuore rallentò. Attraversò piano il corridoio per arrivare in cucina, senza accorgersi che il compagno aveva già iniziato a seguirla.
"Demi?" la chiamò, la voce rotta e venata di dolore.
"Sì?" rispose lei, pur senza voltarsi.
"Mi dispiace" le sussurrò abbracciandola.
"Lo so, anche a me."
La voce le uscì più grave del normale.
Il silenzio cadde su di loro e i due si presero per mano.
“Non ho fatto il letto” disse Andrew con voce stanca.
Aveva dovuto fare uno sforzo per alzarsi, Demi lo intuì dalle occhiaie e dal suo sguardo un po’ spento.
“Non importa.” Non avere la forza di fare cose anche semplici era un sintomo di uno dei problemi di cui soffriva. “Lo sistemo io.”
“Sto peggio, oggi. Non so perché, ma a volte è così. Mi dispiace.”
“Sì, lo vedo.”
Demetria sapeva che la malattia di Andrew annienta la volontà, così gli aveva detto la psicologa e poi lui gliel’aveva riferito. Gli cinse la vita con un braccio.
“Non preoccuparti. Adesso vieni di là, se te la senti fai due chiacchiere, e magari oggi accadrà qualcosa che ti tirerà su. Prova a fare ciò che ti piace e che non possa stancarti, come leggere per esempio.”
“Ci proverò.”
A volte non ci riusciva, la sua malattia era più forte di lui, ma altre distrarsi lo aiutava a stare meglio e la ragazza si augurò che sarebbe stato così anche quel giorno.
Alla loro vista Eliza sbiancò, diventando pallida come una morta. Lei e l’altra donna avevano deciso, il giorno prima, di alzarsi ancora più presto in modo da arrivare presto all’orfanotrofio e passare comunque diverse ore con i piccoli, pur non uscendo all’una.
"Demi, Andrew. Che vi succede? Cara, non voglio offenderlo, ma il tuo ragazzo ha una cera terribile! E anche tu sei un po’ pallida."
Demetria si sentì malissimo e un veloce sguardo allo specchio del corridoio confermò ognuno dei suoi dubbi. Appena sveglia, stanca e spettinata, doveva sembrare un mostro.
"Scusaci, Eliza, non abbiamo dormito bene" spiegò.
Erano caduti in un sonno agitato, forse dovevano ancora abituarsi del tutto al nuovo letto e ai cambiamenti.
"Non preoccuparti. Piuttosto, cos'è quel coso?" la rassicurò Sky, già seduta a tavola e intenta a mangiare i suoi amati cereali.
Era presto, e grazie al cielo le bambine ancora addormentate non avrebbero sentito né visto niente, ma la fata si riferiva a una scatola bianca con una riga verde e piena di pillole con alcune scritte una sotto l’altra. In particolare, pareva essere rimasta colpita dalle prime quattro, perché non faceva che leggerle e rileggerle:
Carbolithium
300 mg
Capsule rigide
Litio carbonato
"Nulla di importante, Sky, tranquilla" rispose subito Andrew, poi non parlò più.
Si fece dare un bicchier d’acqua da Eliza e ingoiò una di quelle pillole.
Demetria non ricordava nemmeno che lui avesse preso la confezione per portarla in salotto. Nei giorni precedenti aveva preso i farmaci stando in camera. Non sapeva neanche come fossero finiti lì. Non si era di certo addormentato con le confezioni vicino, ma la mattina in cui si era svegliato nel bosco di Eltaria li aveva trovati accanto a sé, prendendoli quando era riuscito a trovare dell’acqua.
Mackenzie sa che sta male, ma non dei farmaci. Come fanno a essere qui, se questo è un suo sogno?
Inutile farsi domande. Li aveva e lei ne era contenta, lo stesso doveva valere per lui. Non prenderli avrebbe peggiorato la sua situazione ed era l’ultima cosa che entrambi volevano. Demi capiva il silenzio del fidanzato, o almeno ci provava. Che avrebbe dovuto fare? Aprirsi all'istante e confessare di assumere uno stabilizzatore dell’umore ogni giorno e un ansiolitico al bisogno, che in quel momento però teneva in camera, ormai da mesi per cercare di stare meglio e, nel frattempo, lavorare su se stesso per provare meno dolore per quanto accaduto? Forse colpito dai ricordi, l'uomo strinse gli occhi fino a farsi male e rischiò di piangere. Vicina a lui, Demi non mancò di consolarlo con un bacio e qualche carezza su un braccio.
"Sta’ tranquillo, Andrew" gli sussurrò a mezza voce, per poi alzarsi e versarsi una tazza di caffè. “Sono qui.”
Non ne beveva molto, ma non aveva dormito, e stando alle parole della madre Dianna, non c'era maniera migliore di svegliarsi e prepararsi alla nuova giornata o ricaricare le batterie. Sin da bambina quel modo di dire l'aveva sempre fatta ridere. La prima volta l'aveva sentito ad appena sei anni. Nel tempo, l’episodio era rimasto indelebile nei suoi ricordi.
"Mamma, le batterie sono nei giocattoli!" aveva risposto, facendo uso di una logica semplice ma schiacciante.
Dianna aveva riso con lei.
“Lo so, è un modo di dire.”
A quel solo ricordo, la ragazza sorrise a se stessa e versò una tazza di caffè anche al fidanzato. Questi bevve senza una parola e mangiò qualche biscotto, pur non avendo molta fame, e fu contagiato dalla sua improvvisa ilarità.
"Perché ridete? Che è successo?" azzardò allora Sky, stranita.
"Eh? Oh, niente, solo una storia buffa. Da piccola ero convinta che "ricaricare le batterie" valesse anche per noi umani, capisci?" spiegò Demi, ridacchiando fra una parola e l'altra.
"Sul serio, per noi fate tutto questo non ha senso. Abbiamo solo bisogno di luce e fiducia.”
Dopo un ultimo sorso di quella bevanda, Demi si congedò dai presenti per sparire nel bagno di casa. Rimasta sola, lasciò che la calda acqua della doccia le scivolasse piano sulla pelle e, dopo dieci minuti di totale rilassamento, si vestì con una tuta di un giallo delicato e un paio di scarpe da ginnastica blu. Si pettinò con cura e lasciò i capelli sciolti. Uscì dal bagno sentendosi fresca e piena di energia, e tornata in cucina rivide le sue bambine.
"Mackenzie, buongiorno!"
Ciao, mamma. Ci ha svegliate Eliza. Non siamo in ritardo, vero? Voglio tornare a scuola!
"Tranquilla. La Penderghast vi aspetta, ma manca ancora tempo all’inizio delle lezioni."
"Lucy? Lucy?"
"No, Hope. Oggi forse non verrà. Non si sente tanto bene" le disse, sperando che le sue condizioni fossero migliorate.
"Ha la bua" constatò allora la piccola, teneramente arguta.
"Già, ma tu no, e ti divertirai alla Penderghast" le assicurò Demi, che ora le pizzicava una guancia.
Poco dopo, Eliza e la cantante salutarono le bambine con baci e abbracci e partirono.
 
 
 
A Sky e alle piccole si aggiunsero Christopher e Kaleia.
“Bambine, volete i Fairy O’s?” chiese loro la fata della natura, quando seppe che non avevano ancora mangiato.
Entrambe dissero di no.
Kia avrebbe voluto proporre loro vari tipi di biscotti, ma poi guardò in frigo. C’era un contenitore con delle fragoline di bosco.
“Quelle con la panna montata sarebbero il massimo” suggerì Sky.
Le piccole si illuminarono alla sola idea e, poco dopo, ognuna aveva una ciotolina di quel cibo spumoso nella quale la fata versò le fragole, per poi lasciare che mangiassero tutto con un cucchiaino.
È proprio una colazione speciale, Kaleia, grazie. E grazie anche a te, Sky scrisse Mackenzie.
“Prego” risposero all’unisono.
“Stamattina Kia faticava a svegliarsi” raccontò Christopher. “Come sempre è dormigliona.”
Mackenzie ridacchiò e tuffò il cucchiaio nella ciotola. Il sapore fresco e dolce delle fragole unito alla morbidezza della panna creava una magia meravigliosa.
La fata assestò un pugno sul braccio al marito, ma entrambi stavano ridendo.
“Ehi, non ti permettere, custode.” Lo minacciò con il dito e spiegò che dormiva tanto a causa della gravidanza, anche se capitava più spesso dopo i pasti. “Solo la voglia di fragole mi ha convinta ad alzarmi, speravo che mia madre ne avesse.”
“Ha esclamato:
“Voglio le fragole!”
e poi mi ha fatto gli occhi dolci perché gliele portassi, ma sono riuscito a farla alzare.”
Christopher aveva usato una voce in falsetto che fece ridere le bambine.
“Mi stai prendendo in giro, per caso?”
“Io? Ma no, figurati!”
Scoppiarono a ridere entrambi, contagiando gli altri.
Kaleia prese due cucchiai di fragole per sé.
"Scuola!" esclamò Hope, entusiasta.
"Ci vai, piccina? Ti accompagno? Ti ci porta Kia?" le disse allora la fata, sentendo il cuore sciogliersi mentre le parlava.
Da settimane la giovane continuava a tenere il conto dei giorni, sperando che quello dedicato alla nascita del suo piccolo arrivasse al più presto.
"Sì. Zia Kia!" esplose la bambina, felicissima a quella sola idea.
"Va bene. Vieni, andiamo."
La prese in braccio e girò su se stessa, mentre Hope rideva. Reagendo a un misto di magia ed emozioni, le ali della fata si muovevano come se avessero avuto vita propria.
Nell’osservare la scena, Andrew sorrise.
"Puoi volare, piccolina! Puoi volare!" le diceva Kaleia, continuando a sollevarla, promettendole di farle toccare il cielo. “Allora le porto io a scuola, se per te non è un problema.”
Andrew disse di no e la ringraziò anche a nome di Demi.
“Mac, hai preparato lo zaino?"
Certo Kia, devo solo vestirmi, e anche Hope.
"Bene, aiuto io la tua sorellina."
Grazie, io arrivo subito assicurò, affidando quelle parole al disegno di una faccina sorridente e intenta a strizzare l'occhio.
Dopo essersi lavata e spogliata del pigiama, Mac passò in rassegna i vestiti che aveva nell'armadio scegliendo una maglietta a righe colorate, una gonnellina di jeans e il suo solito paio di scarpe da ginnastica nere.
 
 
 
Per la prima volta da quando Demi era giunta al bosco, il cielo era offuscato dalla nebbia. Questa foderava il territorio avvolgendo ogni cosa, ma per fortuna non era tanto fitta da impedire di muoversi. Mentre camminava, la ragazza sentì una speranza nascerle nel cuore. Stando a ciò che aveva imparato nel tempo Eltaria era un luogo di pace, che in quanto tale non prometteva nulla di infausto. Le sue figlie si trovavano bene con Kaleia e gli altri e, al solo pensiero, sorrise. Si era proprio sbagliata su di loro, all’inizio e ora ringraziava Dio di averle fatto incontrare persone tanto speciali. Lei ed Eliza procedettero in silenzio l’una accanto all’altra. La nebbia si diradò pian piano lasciando spazio al sole e, dopo il solito lungo percorso, raggiunsero l'ormai conosciuta Casa degli angeli del cuore nello stesso momento in cui iniziavano le lezioni alla Penderghast.
Accolte come sempre da Jacqueline e dal resto delle colleghe, scoprirono chiuse le due porte che conducevano alle stanze dei neonati e dei bimbi più piccoli.
"Non preoccupatevi. Julie e due altre ragazze si sono già occupate dei piccini. Tutta la mattina, per voi, è dedicata ai più grandi" spiegò la Direttrice, mentre continuava a camminare con loro lungo il corridoio.
"Bene! Dove sono?" chiese incuriosita Demi.
"Seguitemi. Abbiamo parlato loro di lei, Demetria, dicendo chi è e cosa fa qui" rispose la Direttrice, fermandosi di fronte a una nuova porta.
La stanza era ampia, colorata e piena di giocattoli, come chiunque in un luogo del genere si sarebbe aspettato. In altre parti del mondo dal quale la cantante proveniva la situazione non era, purtroppo, uguale, ma quella era Eltaria e, come aveva sentito dire dalla ninfa Aster e dal protettore Christopher, lì ogni essere magico aveva sempre una speranza.
"Pronte, signorine? I piccoli sanno essere… attivi, ecco."
"Certo! Che male potranno mai fare? Sono solo bambini!" commentò Demi, già divertita all'idea di incontrarli.
La Direttrice salutò e si allontanò, mimando con le labbra qualcosa che né lei né l’altra donna capirono, ma comunque simile a un "Buona fortuna."
"Miss Demi!" gridò una giovanissima pixie, correndo verso di lei e rischiando di inciampare.
La ragazza si chinò per abbracciarla. Pur senza conoscerla la strinse a sé, sfiorandole la fluente chioma biondo chiaro. Avrà avuto quattro o cinque anni e, a giudicare dalle alucce e dal segno sul polso, doveva essere una pixie del vento.
"Sono Kady, felice di conoscerla.”
“Per me vale lo stesso, piccola, ma dammi pure del tu.”
“Va bene, grazie. Lì ci sono due miei amici, Edwin e Misty. Lei usa il vento come me, lui, invece, deve ancora capire cosa riesce a fare. Io sono libera, libera come l'aria!" raccontò, piena d'energie, tutte concentrate nel parlare.
Demi si trattenne dal ridere e con lei anche Eliza, che ancora vicina, non esitò a soccorrerla.
"Va bene, Kady, va’ pure a giocare con loro. Io e Miss Demi ti raggiungiamo fra poco."
"Eliza, l'hai vista? Era così adorabile!" commentò la cantante non appena la bimba si fu allontanata, con gli occhi ancora pieni di stupore.
"Hai ragione, ma…”
Le disse che, lavorando lì da tempo, aveva avuto cura di memorizzare prima i nomi dei bambini e poi le ragioni per cui erano stati abbandonati e, anche se qualche volta la memoria le giocava brutti scherzi, in genere riusciva a rammentare ogni cosa. La bambina era arrivata quando aveva tre anni. I genitori le avevano detto che sarebbero tornati a riprenderla, ma proprio come lei e la Direttrice avevano temuto, non era mai successo. Dopo un’iniziale chiusura e un’apparente ostilità nei confronti di tutti, una sorta di meccanismo di difesa causato dall’abbandono, che aveva messo in atto non legarsi più a nessuno e non rischiare di soffrire ancora, la piccola si era sentita meglio nel corso dei mesi seguenti. Ci era voluto parecchio lavoro da parte dei volontari e di Kady stessa, nonché degli altri bambini, affinché si avvicinasse e giocasse con loro.
“Non dev’essere stato facile, per lei” commentò Demi.
“No, infatti. Non riesco nemmeno a immaginarlo. Ma nonostante tutto è stata molto forte. Non si è mai persa d'animo, e ogni tanto chiede dei genitori fra un gioco e l'altro. Per il primo anno l’ha fatto sempre, più volte al giorno.”
“E dopo cos’è cambiato?”
“Credo si sia resa conto che non sarebbero più tornati.”
Le due sospirarono.
Aveva pianto tanto per questo, continuò Eliza, ma erano molte le volte nelle quali si sentiva serena.
“In ogni caso, è ormai considerata una bambina adottabile da anni. Gliel’abbiamo spiegato, però non accetta che i suoi non torneranno” mormorò per non farsi udire.
“Magari è così espansiva proprio per nascondere quel dolore” osservò Demetria, pensosa. “O vuole vivere e giocare come tutti gli altri, o formare legami per vedere chi resterà con lei e chi no. E, quando qualcuno se ne va, un altro bambino prende il suo posto e la aiuta a riempire in parte quel vuoto.”
Era un’ipotesi, forse sbagliata, ma Eliza rispose:
“Come hai fatto a capirlo se non la conosci?”
“Quando il procedimento per adottare un bambino è iniziato, ho dovuto partecipare a dieci incontri con possibili genitori adottivi come me e con altri che, invece, desideravano prendere un bimbo in affidamento. Quella sorta di corso è stato interessantissimo. Ho imparato molto sui bambini che aspettano di far parte di una famiglia, i motivi per i quali si trovano in questa situazione e i differenti traumi che possono aver subito, benché quello di Mackenzie non sia facile da gestire, dato che è stata vittima di un evento molto drammatico e violento. A quelle lezioni ho anche imparato in quali problemi incorrono a volte i bimbi anche dopo l’adozione e, nei casi in cui siano stati adottati da piccolissimi, in che modo e quando dir loro la verità. Ho solo pensato che i comportamenti di Kady siano frutto dell’esperienza che ha vissuto.”
“Anche la psicologa, che segue lei e altri bambini una volta a settimana, ha detto quest’ultima cosa. Ha aggiunto che Kady ha paura di un altro abbandono, anche se non ne parla. Ci stanno lavorando da molto.”
“Sì, immaginavo fosse così” rispose Demi, mesta.
Quella piccola doveva stare malissimo, almeno in certi momenti.
“Noi le rimaniamo più vicini possibile, i suoi amichetti la aiutano, pur non rendendosi conto di quanto fanno per lei, la fata che la segue anche, per cui spero che Kady riuscirà a superare i suoi timori prima o poi, soprattutto se troverà una famiglia. Ci sono bambini che restano in attesa anche più di lei, ma due anni sono parecchi.”
Demi sospirò.
“Già. Tutti abbiamo modi diversi di reagire alla sofferenza. Alcuni si lasciano andare, altri no, ma fanno fatica a rialzarsi, altri ancora si comportano come se fosse tutto normale per crollare più avanti, e poi ci sono quelli che cercano di controllare il dolore con una felicità che non sempre è reale. Ecco, io penso che Kady sia una di queste persone.”
Le dispiaceva tantissimo per lei.
“Esatto” rispose Eliza con un gran sospiro, poi sorrise. “Dalla psicologa più che altro gioca o disegna, per ora, ma la chiacchiera non le manca, e almeno là riesce ad aprirsi e a sfogarsi. Quella donna segue bambini con un passato turbolento, rabbia repressa o altri sentimenti che necessitano di venire alla luce, in modo che i piccoli non abbiano problemi in futuro o che ciò capiti di meno.”
“Quanti anni ha, quattro o cinque?”
“Cinque. Comunque, sono sicura che presto avrà una casa con due genitori che la ameranno. Allora, cosa vuoi far fare a questi bimbi?"
"Niente. Non stanno già tutti giocando? Perché dovremmo decidere noi per loro?"
"Demi, sul serio. Questa giornata è dedicata alle attività di gruppo, non possono essere tutti concentrati su un gioco diverso, non credi?"
A riprova di ciò c'era Misty che si divertiva con delle bambole, e poco più lontano i suoi due amici, uno alle prese con un puzzle e Kady con il fallimentare addestramento di un Arylu di pezza.
"Va bene, bello, abbaia" gli chiedeva. Come c'era d'aspettarsi, il pupazzo rimaneva lì.
"Su, abbaia" insisteva allora la piccola. Il peluche non si muoveva di un millimetro. La pixie pestò i piedi per terra e fu ben presto vicina alle lacrime. "Dai, ho detto abbaia, non fermo!" Scoppiò a piangere. "Miss Demi!" gridò mentre correva sul tappeto e rischiava di scivolare a causa del velo di lacrime che aveva sul volto.
"Kady, dimmi."
La giovane la accolse fra le sue braccia e le accarezzò i capelli.
"Il cucciolo… non… obbedisce" spiegò allora la pixie, la voce spezzata dal pianto come l'ala di un uccellino ferito.
La ragazza si fermò a osservarla in silenzio, e persa in ricordi tutti suoi, sorrise appena sia alla bambina che a se stessa. Era piccola, come tutti i bambini adorava i pupazzi tanto da essere convinta che l’Arylu fosse vivo e, in quel caso, disobbediente.
"Perché? Le ho provate tutte!" continuò la bambina, piangendo ancora più forte e tirando su col naso.
Finì per stringersi ancora di più a Demi, mentre lei lasciava che si sfogasse.
"Pixie, anch'io da piccola avevo un cagnolino, sai?" le raccontò, abbassandosi al suo livello e posandole una mano sulla spalla.
"D-davvero?"
Alla cantante si strinse il cuore nel vedere i suoi occhioni verdi versare tutte quelle lacrime.
"Sì. Era bianco e si chiamava Buddy."
Le sfiorò i capelli lunghi lasciati sciolti sulle spalle e regalò un altro sorriso sia alla bimba che al suo ricordo.
Non l'avrebbe detto ad anima viva ma, dati i suoi trascorsi, parte di lei era convinta che quel dolce cucciolo fosse stato – almeno durante quel periodo – l'unico amico oltre ad Andrew capace di comprenderla. In fin dei conti, lui era rimasto con lei quando i ricordi di Patrick che tornava a casa ubriaco e incapace di muoversi senza barcollare, drogato e arrabbiato con la moglie, l’avevano tormentata. Non l’aveva lasciata sola nelle tante sere in cui, nonostante da un certo punto in avanti ci fosse stato Eddie nella loro vita, la piccola si era ritrovata a pensare ancora al padre che, in notti orribili, aveva sfogato la sua rabbia sulla mamma picchiandola e facendole del male, e c'era stato anche quando la paura del vento, unita a quella del papà che nonostante tutto amava moltissimo, le aveva impedito di dormire. Buddy le era rimasto sempre vicino, spesso seduto accanto a lei, con lo sguardo fisso nel suo.
La voce della giovanissima pixie bastò a riportarla alla realtà dalla quale si era estraniata senza volere.
"E adesso?" chiese, il tono calmo e con il respiro più regolare.
"Adesso, pixie, non c'è più. Se n'è andato tanto tempo fa, ma sarà sempre con me" le rispose, ormai in pace con quella realtà.
"Ma come… come lo sai?"
"Kady, ascolta, sai cosa succede dopo la pioggia?"
"Sì, c'è il sole, e anche l'arcobaleno" replicò la bambina, con un nuovo sorriso sul volto.
"Ecco, brava. Tu non lo sai, ma tutti gli animaletti che se ne vanno attraversano un ponte, che si chiama proprio Ponte dell'Arcobaleno. Sono sicura che sarà con me perché lo vedo ogni volta, felice e in alto nel cielo."
Demi la imitò e sorrise, nascondendo una lacrima prima che la bambina riuscisse a vederla.
"Che bello!" esclamò la piccola, meravigliata.
"Sì, moltissimo."
Annoiato, o forse incuriosito dalla sua presenza, un bambino le si avvicinò. A occhio e croce aveva la stessa età di Kady. Demetria capì che era Edwin, l'amico che la piccola le aveva descritto in precedenza. Portava con sé una palla di gomma colorata.
"Miss Demi? Miss Eliza dice che possiamo giocare insieme, vieni?" le chiese.
"Anche subito, Edwin, andiamo."
Il bambino la guidò fino all'altro lato della stanza, dove Eliza si stava occupando di intrattenere lui e un altro gruppo di amichetti. Aiutati da lei, quattro o cinque si erano radunati in cerchio lanciandosi la palla mentre altri, sempre insieme, si divertivano a giocare a campana, saltellando. Demi si unì al primo dei due gruppi. Fra un gioco e l'altro il cuore le si faceva più leggero, mentre con lo scorrere del tempo si chiedeva cosa, in quel secondo giorno di lezioni, Hope e Mackenzie avrebbero scoperto.
 
 
 
NOTE:
1. la scritta appartiene proprio alla scatola del Carbolithium, che assumo dalla fine del 2018.
2. Il corso a cui ha partecipato Demi, chiamato pre-service training, è propedeutico per adottare o avere in affidamento un bambino. Le modalità possono cambiare da stato a stato, ma anche da contea a contea. Ad ogni modo, a quanto riporta il sito www.healthyplace.com e  www.helpuskids.org, le lezioni in genere variano da quattro a dieci e servono per capire cos’hanno passato i bambini che sono in attesa di una famiglia e come integrarli al meglio nella propria. Servono anche a incontrare altri genitori e ad aiutarsi a vicenda, se necessario.
In Cuore di mamma ho solo accennato alla cosa, perché non sapendo come si svolge il corso nei dettagli non me la sono sentita di approfondirlo. Demi aveva già fatto parecchie riflessioni sull’adozione con l’assistente sociale che le aveva fornito diverse informazioni sull’iter e anche sui bimbi, per cui aggiungere altro sarebbe stato, in un certo senso, inutile.
   
 
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