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Autore: Slytherin_Divergent    22/03/2021    1 recensioni
In un mondo dove la popolazione ha tatuato sul proprio corpo il nome della propria anima gemella, quando si compie una certa età sul corpo di chi può rimanere incinta compare una macchia bianca.
Kenjirou tiene nascosta la sua da anni a causa del terrore dei genitori e quando scopre di aspettare due gemelli allontana Eita e tutti i suoi cari. Per tre anni lui e la sua anima gemella non si vedono e quando riprendono i contatti sembra andare tutto per il meglio, almeno fino a quando Kenjirou non trova il suo migliore amico svenuto in bagno e scopre che qualcuno ha rapito i suoi figli e vuole ucciderlo.
Genere: Angst, Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Eita Semi, Kenjiro Shirabu, Nuovo personaggio, Taichi Kawanishi
Note: Soulmate!AU, What if? | Avvertimenti: Mpreg, Spoiler!, Violenza
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Una bolla scoppiò all'interno della pentola piena d'acqua e Kenjirou abbassò il fuoco. Rimase ad osservare il liquido bollire all'interno del contenitore e lanciò un'occhiata al timer. Mancavano ancora cinque minuti perché la pasta potesse essere pronta.

Si voltò e s'incamminò lentamente verso il bagno, sentendo tirare ad ogni singolo passo le ferite cicatrizzate sul busto, laddove appena due mesi prima le schegge di vetro e la pallottola lo avevano colpito. Si appoggiò al lavandino e guardò in silenzio il rubinetto senza aver davvero la voglia né la forza di vedere il suo riflesso nello specchio.

Con un profondo respiro, alzò lo sguardo e sentì le labbra tremare mentre si osservava. Doveva aver perso almeno una buona decina di chili in quei due mesi. Aveva due profonde occhiaie e alcuni dei capillari nel suo sclero erano scoppiati. Con due dita si afferrò qualche ciocca di capelli troppo lunghi e li portò dietro l'orecchio, scoprendo lentamente la fronte. Lì, sopra al suo occhio destro, troneggiava una macchia nera. Strinse tremando il bordo del lavandino e tornò ad abbassare lo sguardo, senza aver più il coraggio di guardarsi.

Quando due mesi prima si era svegliato in ospedale non ricordava molto delle ultime ore. Aveva trovato Eita seduto al suo fianco, chinato su di lui con gli occhi cerchiati di rosso come se avesse pianto fino a quel momento, che quando lo aveva visto sveglio gli aveva rivolto lo sguardo più distrutto che il castano avesse mai visto.

Kenjirou non aveva visto i corpi di Yukine e Fuyuki. I dottori non glielo avevano permesso, quindi al funerale aveva semplicemente osservato le due bare senza saper esattamente cosa ci fosse dentro, se fossero ancora riconoscibili, se la loro pelle fosse diventata grigia. Aveva pensato che avrebbe visto anche la bara della bambina, ma Eita gli aveva detto che avevano preferito così. In un certo senso lo ammirava, perché lui era riuscito a sembrare forte quando Kenjirou tutto ciò che era riuscito a fare era stato incolparsi.

Era stata colpa sua se ora erano morti. Era stato lui ad andare da Shibuzawa. Era stato lui a portar lì la polizia. Era stato lui a lasciare che la ragazza uccidesse i suoi figli, senza fare nulla per fermarla e rimanendo ad osservare. Se n'erano andati nel sonno e non aveva avuto nemmeno il tempo di vedere ancora una volta i loro occhi, di stringerli tra le braccia.

Prese in mano un piccolo tubetto di pillole e sfiorò con il polpastrello del pollice la scritta. I dottori – e lo psicologo – gli avevano prescritto una serie di farmaci per evitare che impazzisse del tutto. In qualche modo gli facevano dimenticare tutto quello che era successo per qualche ora. Lui avrebbe solo voluto dimenticare per sempre.

Aprì la scatola e lasciò cadere sulla sua mano una decina di pastiglie, osservandole. Forse, prendendone così tante, avrebbe veramente dimenticato per sempre. Lasciò cadere a terra il resto della confezione e le ingoiò una per una, poi tornò in cucina. Aprì il cassetto e prese un coltello, avvicinandosi al tagliere e incominciando ad affettare le verdure. Nella sua mente figurò la gola di Shibuzawa ed immaginò che i pomodori fossero lui, poi che le carote fossero la ragazza.

Si appoggiò al tavolo e guardò il proprio avambraccio. Il rilevatore era ancora sotto la sua pelle. Avevano insistito per lasciarglielo "per sicurezza". Stronzate, a suo parere.

Senza pensarci due volte si conficcò il coltello nell'avambraccio e tracciò una lunga linea verticale, dal gomito fino al polso. Per un attimo, tutto ciò che la sua mente poté fare fu concentrarsi su quel dolore e un moto di gratitudine attraversò il castano. Un fiotto di sangue schizzò fuori e con lui anche la piccola sonda. Kenjirou non ci badò.

Posò nuovamente il coltello sulla pelle e aprì un secondo solco verticale, poi un terzo e un quarto, fermandosi solo quando i suoi vestiti furono completamente inzuppati di sangue. Confrontò le proprie braccia e decise che quella insanguinata era la migliore.

Dovette aggrapparsi al bordo del lavandino di marmo per non crollare a terra quando anche il braccio destro fu percorso da tre profonde linee verticali. Ne tracciò una quarta, poi il coltello cadde a terra con un tonfo e lui scivolò lentamente lungo il mobile e si accasciò lì di fianco. Osservò il vuoto per parecchi secondi mentre la sua testa si faceva sempre più leggera e quando chiuse gli occhi si sentì gratificato.

Quando si sarebbe svegliato, di certo non avrebbe più ricordato tutti i brutti avvenimenti degli ultimi mesi.

<°>.°.<°>

Eita entrò dentro casa chiudendo la porta con un tonfo. «Ciao. Sono tornato.»

Non ci fu risposta. Lasciò cadere la giacca sul divano e si diresse in cucina – i dottori avevano consigliato loro di trasferirsi per evitare inconvenienti e qui salotto e cucina erano separati – per salutare Kenjirou. Quando entrò non vide nessuno. L'acqua sul fuoco bolliva e le verdure sul tavolo erano state tagliate. Non ebbe bisogno di girare attorno al tavolo per capire cosa fosse accaduto: la scia di sangue lasciata contro al mobile era più che evidente. Si avvicinò ai fornelli e rimase ad osservare il corpo macchiato di rosso del suo ragazzo. La pelle era bianca e quando gli sfiorò una guancia non sentì altro che freddo.

Il biondo si tirò su e tornò in salotto. Frugò in una tasca e tirò fuori un accendino e un pacchetto di sigarette – non aveva mai veramente avuto l'intenzione di fumare in vita sua, ma la nicotina lo aiutava a calmarsi e a dimenticare a volte, quindi aveva incominciato poche settimane prima. Si avvicinò al corpo del suo ragazzo e vi adagiò delicatamente la giacca sopra, poi si avvicinò alla finestra della cucina e la aprì.

Si sedette sul davanzale e accese una sigaretta, sbuffando un pennacchio di fumo nell'aria.

 

Nota autrice:

Penso che ormai si sia capito quanto poco mi piacciono i lieto-fine... Fatemi sapere cosa pensate di questa storia :)

Eevee

   
 
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