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Autore: crazy lion    22/03/2021    1 recensioni
Crossover scritto a quattro mani con Emmastory tra la mia fanfiction Cuore di mamma e la sua saga fantasy Luce e ombra.
Attenzione! Spoiler per la presenza nella storia di fatti vissuti da Demi e dalla famiglia, raccontati nel libro di Dianna De La Garza Falling With Wings: A Mother's Story, non ancora tradotto in italiano.
Mackenzie Lovato ha sei anni, una sorella, un papà e una mamma che la amano e, anche se da poco, una saga fantasy che adora. È ambientata in un luogo che crede reale e che, animata dalla fantasia, sogna di visitare con i suoi. Non esita perciò a esprimere tale desiderio, che in una notte d’autunno si realizza. I quattro vivranno tante incredibili avventure con i personaggi che popolano quel mondo. Ma si sa, nemmeno nei sogni tutto è sempre bello e facile.
Lasciate che vi prendiamo la mano, seguite Mackenzie e siate i benvenuti a Eltaria, un luogo per lei e la famiglia diviso tra sogno e realtà.
Disclaimer: con questo nostro scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendiamo dare veritiera rappresentazione del carattere dei personaggi famosi, né offenderli in alcun modo.
Quelli originali appartengono alle rispettive autrici.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Demi Lovato, Nuovo personaggio
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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CAPITOLO 31.

 

SCOPRIRE IL MONDO COME SE STESSI

 
Tutti erano usciti da poco. Sky si immerse nella lettura di un libro di magia. Avrebbe ripreso il romanzo iniziato il giorno prima in un altro momento, adesso voleva cercare di imparare qualche incantesimo o scoprire di più sulla storia del suo mondo. Il primo capitolo era dedicato proprio a questo e, guardando le illustrazioni e leggendo, tornò con la mente indietro di secoli e secoli quando ancora le fate, allora sfere di luce, non erano accettate dagli umani.
Per fortuna non sono nata allora, o la cosa mi avrebbe fatta imbestialire.
Anche se, rifletté, adirarsi non sarebbe servito quasi a nulla, gli umani non l’avrebbero di certo ascoltata. Per fortuna quei periodi bui erano finiti e adesso tutte le creature vivevano in pace. Sospirò di sollievo al solo pensiero e accarezzò la fotografia di una piccola sfera luminosa, di sette o otto anni da quanto c’era scritto, che veniva cacciata con un bastone, per fortuna solo puntato contro e non a suon di botte, da un bambino umano della stessa età o pressappoco. La piccola, nella foto seguente, pareva allontanarsi piano, come se fosse stata abituata a quel genere di trattamento e non ne avesse più paura, altrimenti sarebbe scappata. Sky sarebbe rimasta toccata se si fosse trattato di una fata più grande, giovane o adulta, ma lo fu ancora di più vedendo che quella che subiva era una bimba.
Avrei potuto essere io.
Il libro diceva che le fate e i folletti venivano allontanati dagli umani anche con la violenza. Non si trattava solo di un volume di storia per bambini, come quelli della Penderghast, nei quali non si entrava nel dettaglio per non spaventarli, ma di uno per adulti.
Alle fate o ai folletti più coraggiosi, che si avventuravano nei villaggi umani per cercare di avere un confronto con essi, di parlare in modo amichevole per trovare un accordo e spiegarsi, questi ultimi riservavano un trattamento orribile. Si ricorda per esempio Sabra, una fata del vento vissuta circa nove secoli fa, che fu picchiata da un gruppo di uomini umani. Era ancora una sfera luminosa, come tutte le sue simili a quel tempo, e muovendo le mani per assalirla gli uomini non sentirono niente, ma lei si agitava ogni volta e soffriva. Le diedero così tanti schiaffi che non fu più in grado di contarli. In quel momento la sua magia non poté nulla contro di loro, perché la fata era terrorizzata e non fu in grado di usarla. Le sue compagne la trovarono nel bosco, psicologicamente devastata. Alcuni scritti tratti dal suo diario personale fanno capire che non superò mai del tutto il trauma.
Sky tremò e il libro le cadde di mano con un tonfo sordo. Dianna aveva subito le stesse cose, Demi l’aveva raccontato, e anche di peggio. Allora fatti del genere erano accaduti anche nel loro mondo, in passato. Ma perché adesso nessuno ne parlava? Sì, aveva sentito dire qualcosa su di lei, le fate anziane presso le quali aveva studiato l’avevano dipinta come una persona molto importante, ma in seguito erano passati a un altro argomento e Sabra era finita nel dimenticatoio. Era sicura che molte fate non si rammentassero più di lei e anche Sky, prima di leggere la sua storia, non se ne ricordava. Non era giusto: Sabra non avrebbe dovuto essere scordata, così come tanti altri. Per fortuna in quello e di sicuro in altri libri di magia la si menzionava ancora. Era sempre sbagliato dimenticare il passato o mettere da parte certi fatti come se non fossero mai accaduti, perché per quanto brutti formavano comunque parte della storia di un luogo. Ne avrebbe parlato anche con Kaleia mostrandole il libro. Magari non quel giorno, però. Il capitolo in questione trattava una tematica seria che come tale andava affrontata, ma c’erano le bambine e ci sarebbe stata la festa, non voleva rovinare l’umore a nessuno. I giorni precedenti erano già stati difficili per Andrew e Demi, meglio lasciare che si rilassassero. In ogni caso, si disse tornando al volume, Sabra aveva sfidato gli umani per dare più libertà alla sua gente.
Ma è stata picchiata e trattata male come tanti altri e nessuno dovrebbe passare una cosa simile, nemmeno per un gesto nobile e giusto come lottare per la libertà.
Ci stava ancora riflettendo quando suonò il campanello e Midnight, dal suo trespolo, gracchiò.
“Tranquillo, piccolo, è solo Noah, o almeno credo” lo rassicurò, mentre l’uccellino reclinava di nuovo la testa tornando a riposare.
A differenza del giorno prima Sky si limitò ad abbracciare il fidanzato, con poca enfasi perché lui le rivolse uno sguardo confuso.
“È successo qualcosa?” chiese con voce dolce.
“No, stavo solo leggendo questo libro e mi sono commossa. Mi ha fatta riflettere.” Glielo mostrò e gli parlò di quanto aveva appena scoperto, o meglio, ricordato. “Non sapevo fosse stata picchiata, queste cose allora non ci venivano dette.”
“Eravate piccoli, è normale.”
“Lo so, ma nessuno mi ha mai raccontato che le fate subivano un simile trattamento, solo che c’erano stati dei diverbi e alcuni problemi. Ho, anzi, tutte noi abbiamo il diritto di sapere cos’è successo davvero.”
“Eliza non ne sa molto, credo, ma non puoi fargliene una colpa. È umana e anch’io non conosco ancora benissimo il tuo mondo.”
“Già.”
“In ogni caso, non è detto che le altre fate non ne siano a conoscenza. Si trovano molte copie di questo libro all’emporio e tanti lo comprano. Quello che sto per dirti potrà sorprenderti, ma io sapevo dell’esistenza di questa ragazza. Ho un libro che parla della sua vita. In parte sarà romanzato, come capita sempre in questi casi anche perché non si sa se Sabra sia vera o si tratti di una leggenda, ma molti fatti secondo me sono plausibili. Se vuoi te lo posso regalare.”
Sky gli sorrise e lo abbracciò.
“Davvero?”
“Sì, amore mio!”
“Grazie! Leggenda o no, spero solo abbia avuto una vita felice.”
Se lo augurava anche per le altre creature dei secoli passati, ma sapeva che non in tutti i casi era stato così, purtroppo.
“Non ti anticipo niente. Ti porto tutto oggi pomeriggio. In ogni caso sono d’accordo con te, ma penso anche che il suo gesto, come quello di molte altre fate, sia stato nobile, anche perché da quel che so è stata la fata che si è spinta più in là nel villaggio umano di quanto abbia fatto per secoli qualsiasi altra.”
“Nobile sì, ma a che prezzo?” sussurrò Sky con voce rotta. “Solo da quando Demi ci ha parlato mi rendo conto del fatto che la violenza, sia fisica che psicologica, può essere devastante e che a subirla sia un maschio o una femmina non fa differenza, è comunque un trauma. E chissà, magari quegli umani avranno anche insultato Sabra.”
Noah le strinse le mani e lei respirò a fondo.
“Probabile. Purtroppo non c’è mai fine alla cattiveria. Il modo in cui ti preoccupi per una fata vissuta novecento anni fa è ammirevole. Non dopo molto il fatto raccontato nel libro, è avvenuto un cambiamento e gli umani hanno capito che stavano sbagliando, sia grazie a Sabra sia a tutte le proteste precedenti.”
Si era sviluppato pian piano e l’accettazione completa delle fate nella società era avvenuta, purtroppo, alcuni decenni dopo la morte di Sabra, ma il suo intervento era stato provvidenziale.
“Noi fate le dobbiamo tanto.”
“Sì, infatti. E mi spiace che per molto tempo la mia specie sia stata così ostile nei vostri confronti, solo perché pensava che avreste potuto farci del male e non vi abbia nemmeno ascoltate. Non ve lo meritavate.”
“Non è colpa tua.” La sua voce si era addolcita. “Non ti darei mai delle colpe che non hai, gli unici da criticare sono gli umani vissuti secoli fa.”
“L’importante è che alla fine abbiamo imparato dai nostri errori, ma è brutto che abbiate dovuto soffrire tanto.”
Sky sospirò.
“Chi lo sa, magari anche noi non ci comportavamo proprio bene con voi, la colpa non può stare solo da una parte. Forse la storia non lo dice, anche se non capisco per quale motivo.”
“Può essere, ma non lo sapremo mai. Ora ti andrebbe una passeggiata nel bosco per tirarti un po’ su il morale?”
La ragazza accettò.
Il sole splendeva e gli uccellini cinguettavano allegri, nel villaggio i pochi umani e le creature magiche passeggiavano e chiacchieravano. Ne riconobbero molti, salutarono qualche mamma con i propri bambini e le chiesero come stesse il marito, che in quel momento era al lavoro in città.
“Ora ti spiego come si fa questo incantesimo” disse un protettore, passando accanto a loro con la propria fata al fianco.
Una volta usciti la situazione fu più tranquilla, con meno gente in giro e più silenzio.
“Penso di essere cambiato in questi giorni grazie a loro” iniziò Noah a un certo punto. “Al tentato suicidio e all’autolesionismo non avevo mai pensato, e anche se ho avuto quello scatto Andrew mi ha fatto vedere le cose sotto un’altra prospettiva, cercando di aiutarmi a comprendere il suo dolore. Mi vergogno di aver reagito in quella maniera.”
Più parlava, più il suo tono si faceva grave e Sky lesse nelle ultime parole un profondo senso di colpa.
“Sono cose particolari per noi, amore mio. Non potevi sapere come avresti reagito all’inizio. Penso sia normale rimanere turbati da fatti del genere, soprattutto se non ci si ha mai avuto niente a che fare.”
“Già. Forse non devo sentirmi in colpa.”
“So che è difficile ma no, non dovresti. Lui ti ha perdonato e sarebbe giusto che lo facessi anche tu con te stesso. Non meriti di stare così male.”
Il ragazzo sospirò.
“Non è facile. Ma le tue parole sono sagge. Ci rifletterò.”
“Anch’io ho imparato un sacco e sono cresciuta grazie ai nostri ospiti. Oltre a tutte le cose che ci hanno raccontato, sono rimasta più colpita dalle bambine di quanto mi sarei mai aspettata. Adoro Lucy e Lune e ti giuro, se proverai anche solo a dirlo loro ti strapperò i capelli” lo minacciò, ridendo e puntandogli contro un dito.
“Uuuh, che paura!” scherzò Noah, lasciandole la mano.
Si allontanò da lei per gioco e la ragazza lo inseguì, ma poco dopo si strinsero di nuovo.
“Sul serio. Hope è stata…” Una silenziosa lacrima le corse giù per la guancia e Noah gliela asciugò con il pollice. “Hope è meravigliosa. All’inizio credevo di non sopportarla, che non mi fregasse niente di lei, ma ci siamo avvicinate. E Mackenzie si è rivolta a me per parlarmi di alcune cose e superare una sua paura anche se non mi conosceva quasi per nulla, cosa che mi ha colpita. Non è da tutti sfogare i propri timori con qualcuno che non si conosce. Forse non sono affatto male con i bambini.”
Noah sorrise.
“Questo significa che un giorno potremmo averne uno?”
Noah voleva dei figli, i due ne avevano parlato dopo alcuni mesi dall’inizio della loro relazione riflettendo sul futuro, e benché lei avesse detto spesso di non sopportare un granché i bimbi, lui era consapevole del fatto che anche quella fosse, in un certo senso, una corazza. Sky desiderava un figlio nel profondo del cuore anche se non si sentiva pronta, ma non aveva un buon istinto materno. Magari era solo nascosto come diceva Demi e in quei giorni era un po’ venuto alla luce. In più, e di questo aveva parlato solo al fidanzato, non riuscendo a capire se i suoi l’avessero abbandonata assieme a Kaleia o cosa fosse successo, temeva che non sarebbe stata una buona madre. E se avesse commesso i loro stessi errori? Non che pensasse di abbandonare i suoi bambini, ma se li avesse fatti soffrire, anche in altri modi? E se con il suo carattere a volte un po’ duro li avesse feriti pur non volendolo? E se non fosse riuscita a far sentire loro il suo amore nonostante li adorasse? C’erano troppi “e se” per poter scegliere ora, troppe insicurezze e paure. Erano proprio questi timori a bloccarla. Ma grazie alle due sorelline umane, forse, qualcosa in lei si stava smuovendo, pianissimo, e se era così la ragazza immaginava che ci sarebbe voluto tempo perché quelle brutte sensazioni la lasciassero più libera di pensare e decidere.
“Sì, Noah. Ma non adesso.”
Sky sorrise appena.
Se non avessero avuto idee simili a riguardo un giorno, tra loro, qualcosa si sarebbe rotto fino a spezzarsi del tutto, ne erano consapevoli.
“Questo per te è un argomento complicato, mi hai già parlato di ciò che temi se dovessi diventare madre. Ma anche se i tuoi avessero sbagliato, tu non lo farai mai così tanto.”
“E come… c-come lo sai?”
La ragazza gli lasciò la mano e strinse i pugni, cercando di non tremare ma senza successo. Chiuse gli occhi per non lasciar uscire le lacrime e deglutì a vuoto.
“Lo so. Lo so e basta” mormorò lui baciandole i capelli. “Ci penseremo quando saremo pronti, d’accordo? Lo vogliamo entrambi ma non adesso, dobbiamo ancora fare parecchia strada. Affronteremo la vita con coraggio come abbiamo sempre fatto, guarderemo in faccia le nostre paure e continueremo a lottare. Tu lo stai già facendo e da tanto, ne sono più che certo perché lo vedo ogni giorno.”
“Non voglio che quel che provo mi impedisca di fare ciò che desidero nel profondo.”
“Lo so. Hai mai pensato di parlarne con una psicologa? Ce ne sono alcune, qui a Eltaria.”
Sky rifletté: no, non le era venuto in mente di rivolgersi a una figura professionale per far fronte al suo passato e i propri problemi.
“Ho sempre pensato che sarei riuscita ad affrontarli da sola, ma forse è il caso di farci un pensierino.” E non solo per ciò che riguardava i figli, ma per stare meglio con se stessa. Demi ci era andata, Andrew e Mackenzie lo facevano ancora e sembravano beneficiarne. Anche se a volte le risultava ancora difficile farlo, negli anni aveva capito che non c’era nulla di male nel chiedere aiuto. “Ci penserò” concluse.
Disse a Noah che forse sarebbe andata a parlarle una volta per capire come si sarebbe trovata.
“Non voglio obbligarti, è solo un suggerimento. Forse potresti averne bisogno, ma non significa che tu non sia forte.”
“No, lo so, capisco il tuo punto di vista.”
“Per quanto riguarda il resto, ne parleremo meglio in futuro e, ripeto, affronteremo tutto insieme.”
Lei trasse un respiro profondo.
“Okay.”
Si augurarono solo di non aspettare troppo tempo e di capire quando sarebbe arrivato il momento giusto.
Procedettero in silenzio respirando il forte e inebriante aroma di resina dei pini, che si godettero chiudendo per un secondo gli occhi.
Una volta tornati a casa, si versarono un bicchiere di tè freddo alla pesca e lo bevvero sul divano. Mangiarono un’altra fetta di dolce. Fecero zapping per un po’, ma a quell’ora non c’era niente che li interessasse, perlopiù programmi di cucina, cartoni e qualche serie tv.
“Come fai a essere sempre così bella?”
Noah le parlò solleticandole l’orecchio e Sky fu percorsa da brividi lungo tutto il corpo.
“Non credo di esserlo un granché, ma ti ringrazio.”
“Per me lo sei. Hai dei capelli chiarissimi e particolari e due occhi azzurri come il cielo.” Le accarezzò con le punte delle dita la testa e il viso. “Ma soprattutto sei bella qui dentro.” Le poggiò una mano sul cuore. “So che te l’ho detto tante volte, però è la verità.”
“Anche tu.”
Si catturarono le labbra a vicenda e approfondirono il bacio, piano, per assaporarne ogni singolo momento. La fata gli accarezzò con delicatezza la schiena e Noah il collo e le passò una mano sotto il mento. Lei si lasciò andare a un lungo gemito di piacere e si avvinghiò ancor di più al fidanzato.
Midnight venne giù dal suo trespolo e prese a gracchiare, mentre Ranger volò silenzioso passando dalla finestra aperta. I due uccelli si guardarono per un momento. Il primo iniziò a cantare come impazzito e il secondo a stridere, coprendo il verso di Midnight finché questo non si fece più intenso.
“Ma che cavolo avete?” sbottò Sky staccandosi dal suo ragazzo.
I due scesero in picchiata poggiandosi ognuno sulle ginocchia del proprio padrone, Ranger si distese a pancia in su in modo da non ferire Noah con gli artigli.
“Ah, non eravate d’accordo che io e la mia fidanzata ci facessimo le coccole, eh?”
L’umano grattò la testa a tutti e due mentre Sky scoppiava in una sonora risata.
“Che birichini” aggiunse. “E se venissimo noi a rompervi le scatole mentre tentate di accoppiarvi o nidificare con la vostra compagna?”
Come se avessero capito, i due poggiarono il becco su una mano dei loro padroni fingendo di beccarli, ma non si mossero per non fare loro male.
In quel momento Lilia, svegliatasi per il baccano, saltò fuori dalla sua cuccia e corse verso di loro reclamando attenzioni. Ranger svolazzò sul davanzale per dare la possibilità alla cagnolina di salire sulle gambe di Noah e lei lo fece, ergendosi sulle zampe anteriori e leccandogli la faccia.
“Anch’io ti voglio bene, non servono tutti questi bacini, grazie” mormorò mentre cercava di farla distendere. Si pulì la faccia con un fazzoletto mentre Sky non faceva che ridere. “Se succederà a te ti prenderò in giro io, stanne certa” la canzonò il ragazzo e mormorò: “Farmi leccare è bello e schifoso al contempo, com’è possibile?”
“Scusa, è che eravate troppo divertenti!”
Agni entrò dalla finestra dopo essere andato a caccia, e si posò sulla gamba libera di Sky accanto a Midnight che ancora riposava. I due animaletti si scrutarono, ma il merlo non ebbe paura.
“Mi raccomando, fai il bravo e non sputare” disse la fata, decisa, riferendosi al fatto che i Pyrados riuscivano a buttar fuori piccole palle di fuoco.
Come se avesse compreso, Agni abbassò la testina e si lasciò fare le coccole.
“Come mai non sono con Mackenzie e Hope?”
“Le bambine sono in gita scolastica al Giardino e hanno pensato di lasciarli a casa in modo da godersela meglio senza dover badare a loro. Saggia decisione, a parer mio, anche se devo badare a quattro animali in questo momento e non a tre.”
Parlò con il sorriso sul volto e voce calma.
“Ci sono anch’io e ce la stiamo cavando bene. Grazie al cielo vanno tutti d’accordo, pur essendo di razze diverse.”
“Già, è una fortuna.”
Sky non sapeva se i falchi mangiassero i merli, ma era sicura che si nutrissero di scoiattoli, ratti, pipistrelli, piccole galline, pulcini e altri animali. Ranger, però, non si era mai avvicinato né a Bucky né a Midnight, non aveva mai fatto del male a nessuno degli animali della famiglia. Forse qualche istinto particolare gli aveva suggerito che non sarebbe stata una buona idea.
“Beh,” concluse Noah, “stamattina dovremo fare i babysitter di animali, se così si può dire e anche se non sono tutti cuccioli.”
“Voglio qualche rublo di luna per questo lavoro” ridacchiò la fidanzata.
 
 
 
Mackenzie non aveva domandato a nessuno cosa fosse il Giardino, perché non l’aveva ritenuto necessario. Si aspettava un semplice giardino ben curato, con fiori e piante, un tavolo su cui mangiare d’estate e un dondolo, come quello che aveva a casa. O avrebbe anche potuto trattarsi di un parco, un po’ particolare vista la presenza di animali e non di giostrine. Ma durante il tragitto Harmony le spiegò che il nome di questo luogo si scriveva con la lettera maiuscola, e già allora la bambina si domandò cos’avesse di speciale quel giardino per essere addirittura un nome proprio come se si trattasse di un villaggio, un paese o una città.
Mentre gli altri bambini continuavano a chiacchierare, lei fu colpita dallo scorrere dell’acqua in lontananza. Si trattava forse di una cascata? Il terreno lì a Eltaria non era pianeggiante, c’erano salite e discese essendo quello un bosco e vedeva le montagne più in là. Ma non sapeva se ci potesse essere una cascata in collina e, giudicò dal rumore mentre si avvicinavano, non era poi così forte come aveva creduto all’inizio. No, infatti, era solo un fiume, grazie al cielo abbondante d’acqua.
“Eccoci al Giardino.”
È questo, Mister Baxter? gli chiese Mackenzie. È sicuro?
Domande stupide, ma non poteva crederci. Quello era soltanto un grande prato del quale non riusciva a vedere la fine, con un lungo fiume e un ponte di legno e corda sopra di esso.
Gli altri bambini, tranne Mahel e Harmony, scoppiarono a ridere e Mackenzie abbassò lo sguardo.
Perché mi prendono in giro? Ho sbagliato, però io non vivo in questo regno, lo conosco ancora poco. Come mai non lo capiscono? pensò.
“¡Niños!” li richiamò Carlos. “Mackenzie non conosce Eltaria e non è mai stata qui, non ridete, por favor. Dobbiamo essere gentili e spiegarle ciò che ancora non sa, non prenderla in giro per questo, perché è una cosa sbagliata.”
“Scusa, Mac” risposero in coro.
Lei sorrise e ringraziò l’insegnante.
L’offesa le aveva fatto un po’ male, ma si disse che, come per lei era ancora strano trovarsi lì e scoprire tante cose nuove, per i suoi compagni doveva risultare particolare che lei non sapesse ciò che per loro era ovvio, quindi in un certo senso erano pari.
Voglio godermi questa gita e basta.
Il pensiero la aiutò a dimenticare in fretta l’accaduto per proseguire la lenta camminata con un sorriso più convinto.
“Allora,” cominciò Mister Baxter, “adesso visiteremo il Giardino. Se avete domande alzate la mano e chiedete come in classe, e non parlate sopra gli altri. Vi consiglio anche di mettervi il cappellino: presto farà più caldo ed è meglio che ci proteggiamo tutti dal sole. Ricordate di prendere appunti, ma anche di divertirvi, questa è più una visita rilassante che una lezione. Tutto chiaro?”
“Chiarissimo, Mister Baxter” replicarono i piccoli e Mackenzie annuì.
“Ho una domanda.”
“Di già? Dimmi pure, Evan.”
“Pensa che Miss Spellman ci farà scrivere qualcosa riguardo questa gita?”
Non avevano ancora iniziato a fare i temi, erano troppo piccoli, spiegò Mahel a Mac, ma spesso l’insegnante dettava loro qualcosa o dava ai bimbi un argomento semplice sul quale scrivere alcune frasi.
Il maestro rise e, poco dopo, Carlos e Kaleia si unirono a lui.
“Non preoccuparti, le ho parlato e ha detto che ne discuterete soltanto.”
“Ah, bene!”
“Dobbiamo ancora cominciare la gita e già ti preoccupi di questo?” chiese un altro bambino a Evan, che rispose che per lui saperlo in anticipo era importante. Non gli piaceva scrivere quelle frasi che definì stupide ed era meglio prepararsi psicologicamente in anticipo.
“Prima vedremo le piante e faremo qualche approfondimento, mentre i bambini dell’asilo le guarderanno soltanto, più tardi” riprese Mister Ramirez.
“Perché?”
Era stata una bambina a parlare, con i capelli simili a quelli di Sky.
L’uomo sospirò.
Mackenzie si chiese se sarebbero mai riusciti a terminare l’introduzione e a cominciare il giro senza che qualcuno facesse una domanda ogni due secondi?
“Perché, Jessica, sono troppo piccoli e si annoierebbero. Quando impareremo qualcosa sugli animali ci uniremo a loro.”
Camminarono nell’immenso prato e, mentre i suoi compagni parlavano, Mackenzie si godeva lo scricchiolio dell’erba sotto i piedi. Non era né alta né bassa, tagliata in modo perfetto, e doveva essere stata sistemata da poco perché nell’aria si respirava un buonissimo odore, quello che lei percepiva anche a casa quando la mamma la tagliava in giardino. Non riusciva a spiegarsi il motivo, ma se qualcuno le avesse chiesto di dire a cosa lo associava, avrebbe risposto senza esitazione che era un misto di terra e foglie a volte bagnate, tutti odori che si mescolavano e si fondevano in uno solo, alcuni forti, altri più deboli. E avrebbe anche scritto:
Sa di libertà.
Ogni volta che lo sentiva dalla finestra le veniva voglia di uscire e mettersi a saltare, oppure fare una corsa con le braccia abbandonate lungo i fianchi, lasciando che il vento le muovesse a suo piacimento e di aprire la bocca per provare a urlare, rendersi conto per la milionesima volta che non poteva, ma non starci male e capire che in quell’istante di gioia andava bene anche così.
La voce di Kaleia la riportò al presente: gli insegnanti dovevano averle dato la parola affinché spiegasse qualcosa.
“Qualcuno sa come si chiamano questi frutti?” chiese indicandoli. Erano rossi, di media grandezza e appesi a una bassa pianta vicino a dei cespugli. Mackenzie, che li aveva già visti, alzò la mano. “Sì?”
Non so il nome, ma li mangiano i Pyrados.
“Esatto. Si chiamano fiamirtilli, assomigliano a dei peperoncini come potete vedere e sono piccantissimi, anche se ai draghi non sembra importare e li mangiano come fossero caramelle.”
“E dove crescono?” domandò Mahel.
“Solo accanto ai cespugli, su questo tipo di pianta e ci sono tutto l’anno, altrimenti i Pyrados non riuscirebbero a nutrirsi. Per crescere hanno bisogno di un terreno fertile. Se è secco fanno fatica, vengono fuori lo stesso, ma la loro qualità sarà più bassa e il sapore peggiore.”
Tutti i bambini la ascoltavano. Molti prendevano appunti in velocità, senza mai staccare la penna dal foglio, altri scrivevano solo alcune parole, ma non ce n’era uno che fosse rimasto con le mani in mano.
“Guardate, una margherita!” esclamò Harmony.
Era più grande di quel fiore, ma ci somigliava in tutto e per tutto, quindi poteva essere.
“No, no lo es” rispose Mister Ramirez.
Poco più avanti c’erano altri fiori di quel genere, riempivano una porzione abbondante di prato.
“So io cosa sono.” Mahel alzò la mano, sicura di sé, e ottenuto il permesso di parlare proseguì: “Fiordoro, li abbiamo visti ieri a lezione.”
“Esatto” confermò il maestro di pozioni. “Come vedete è facile confonderlo, non siete i primi né sarete gli ultimi a farlo. Avvicinatevi.”
I bambini obbedirono e, uno alla volta, accovacciandosi accanto a quei meravigliosi fiori, notarono che i petali sembravano proprio d’oro e se non fosse stato per la consistenza avrebbero pensato che fossero fatti di quel materiale, nonostante l’insegnante avesse già detto loro che non era così. Ad alcuni non interessarono un granché, ad altri come Mackenzie e le due compagne piacquero ancor più del giorno precedente. Le tre bambine avrebbero adorato raccoglierne uno, ma si dissero che sarebbe appassito e che non era giusto toglierlo dalla terra nella quale stava tanto bene. Mac si ricordò che, non molto tempo prima, aveva visto a scuola a Los Angeles una bambina che faceva una coroncina con le margherite. Aveva tolto la testa, se così si poteva chiamare, a ognuna e l’aveva infilata nel gambo di una margherita che aveva lasciato intatta, fino a chiudere la corona. Per quanto alla fine fosse diventata bella, a Mac era venuto da piangere. Il colore dei petali sarebbe sbiadito pian piano, e tutti quei fiori erano ormai morti. No, non avrebbe mai fatto una cosa del genere. Era meglio vedere ogni fiore nel luogo in cui si trovava.
“A che pensi?” le chiese Kaleia avvicinandosi. “Ti senti bene?”
Sì, mi dicevo solo che sono bellissimi. “È vero, li adoro anch’io.”
Ma la bimba fu sincera e le parlò di tutto ciò su cui stava riflettendo.
“Il tuo è un ragionamento che faremmo io e le altre fate della natura. Sei sensibile anche se così piccola, sono fiera di te.”
Si sorrisero con calore e si strinsero la mano.
Grazie.
Fu un complimento che la aiutò a sentirsi una bambina più brava di quanto già pensava di essere.
“Coraggio, andiamo avanti!” li incitò Mister Baxter. “C’è ancora molto da vedere.”
Si avvicinarono al fiume, pieno di centinaia di piante acquatiche con fiori bianchi e grandi.
“A differenza delle ninfee, questa pianta acquatica ha radici che arrivano in profondità per resistere alla corrente del fiume mentre le prime crescono solo in acqua stagnante e, come loro, si ancorano al fondale. Le piante che state vedendo si chiamano germogli di fata.”
“Che bel nome!” esclamò qualcuno.
“Poetico” disse Harmony.
“Forse non riuscirete a vederlo bene,” proseguì Carlos, “ma dentro i loro petali c’è una luce debolissima.”
Si chinarono sul ponte facendo attenzione a non scivolare, e osservarono. Mackenzie la vide appena così come Harmony, Mahel invece no.
“Si tratta di polline, è questo che rende il fiore luminoso” continuò Kaleia. “Il germoglio di fata cresce solo ed esclusivamente nei fiumi e la cosa interessante è che secoli fa c’era la credenza secondo cui fossero questi fiori a ospitare folletti e fatine neonati, non le lanterne, e che la loro luce fosse appunto una di queste creature. Lo si pensava anche a causa della loro forma: quando aprono i petali, i loro fiori a volte vengono per così dire assaliti dagli Slimius, che ci saltano sopra e li rovinano. Si credeva appunto che fossero perfetti come culla per i bambini. Ma si è scoperto subito che la luce non era prodotta da loro.”
“Oh!”
“Ringraziamo la fata della natura Kaleia per questo dettaglio così interessante, che personalmente non ricordavo” ammise Mister Baxter.
“Me l’hanno raccontato le anziane” disse la fata.
“Y ahora,” proseguì Carlos, “raggiungiamo gli altri e andiamo a conoscere gli animali.”
 
 
 
Quando vide la sorella, Hope si staccò dalla fila più o meno ordinata dei suoi compagni e corse a stringerla, poi allargò le braccia.
“Mac Mac, tanti animali!”
La più grande le diede un bacio.
“Ciao Hope, io sono Mahel!” si presentò la bambina e allungò una mano che la più piccola strinse dopo un attimo di esitazione.
“Io mi chiamo Harmony, siamo compagne di Mackenzie. Ci siamo già viste, ma non presentate” spiegò l’altra.
La bimba sorrise a entrambe.
“Hope” disse.
Non aveva fatto amicizia all’asilo, in parte perché era ancora troppo piccina per capire cosa volesse dire avere un amico che non fosse un giocattolo, e in parte in quanto si divertiva benissimo anche da sola.
Intanto, Christopher e Kaleia si erano riuniti e abbracciati, non andando oltre vista la presenza di tutti quei bambini.
“Per il momento il Giardino piace a Mackenzie” considerò la ragazza.
“Sì, e Hope lo apprezza. Ne sono felice, è un posto che anche noi adoriamo, perciò il fatto che loro siano qui è importantissimo per me, perché condivido con quelle due bambine qualcos’altro del nostro mondo.”
“Concordo su tutto, Chris.”
Le due insegnanti dell’asilo portarono i bambini a vedere le piante, facendo toccare loro quelle a portata di mano e dicendo i loro nomi, poi tornarono.
“Ti sono piaciute?” chiese Mahel a Hope.
“Sì, tanto belle.”
Non sapeva come dirlo, ma le erano piaciute le foglie, verdi e morbide, che aveva toccato.
“Pensavamo di fare una piccola pausa” fece sapere l’insegnante più anziana. “Siamo qui da poco più di mezz’ora e può non sembrare molto, ma i bambini sono stanchi.”
Non avevano fatto altro che camminare, sentire nomi di animali e provare ad accarezzarli con scarso successo, li avevano rincorsi anche se le maestre avrebbero preferito di no, e adesso avevano bisogno di un po’ di riposo e di qualche distrazione. Carlos e Alan avrebbero voluto continuare il giro tutti insieme, stavolta, e dispiaceva loro aspettare, ma capivano che bimbi di età diverse avevano differenti esigenze che andavano rispettate. Concordarono quindi un breve momento di libertà.
I bambini si sedettero sul prato, tirarono fuori le merende dagli zaini e mangiarono con gusto e continuarono a chiacchierare. I più piccoli strappavano i fili d’erba, cosa che faceva soffrire Kaleia non tanto fisicamente quanto nell’animo e per questo, lottando contro la tristezza e la voglia di piangere, cercava di far capire loro che era sbagliato, ma data l’età non era facile.
“Potete accarezzare i fiori o le foglie, è più bello e a loro farà piacere perché sentiranno il vostro tocco. Li renderete felici, come voi quando la mamma vi prende in braccio” continuò, cercando di fare un esempio comprensibile.
Alcuni bambini, come Hope, la ascoltarono e sorrisero.
 
 
 
Sono felicissima qui, sapete?
Harmony e Mahel lessero la frase di Mackenzie.
“Speriamo che tu non te ne vada più” confessò la prima.
Purtroppo dovrò, anche se non so quando. In parte ho voglia di tornare al mio mondo: là ci sono i miei nonni, i miei animali domestici e la mia migliore amica. Ma mi aspettano anche le cose brutte.
“Cose brutte?” le fece eco Harmony. “Ce ne vuoi parlare?”
Mackenzie si alzò e si allontanò un po’ dagli altri, in modo che non sentissero i probabili commenti delle compagne.
Con i miei genitori avevo una vita felice, anche se non avevamo molti soldi, poi sono successe delle cose e io e Hope siamo state date in adozione.
Mahel avrebbe voluto sapere cos’era accaduto, ma Mackenzie scosse la testa e Harmony capì.
“Forse non se la sente di parlarne” suggerì.
Infatti, scusate. Alzò lo sguardo che, senza accorgersene, aveva puntato verso terra. Mi fido di voi e vi voglio bene, ma sono cose bruttissime e, dato che qui sono felice, non voglio rattristarmi.
“Va bene, non preoccuparti. Scusa se ho chiesto.”
Tranquilla. Comunque non è solo questo.
Raccontò che a scuola c’erano stati tre bambini, James, Brianna e Yvan, che avevano preso in giro lei ed Elizabeth per alcuni mesi, offeso Mackenzie a causa del colore della sua pelle, scritto loro bigliettini con parole cattive e non permesso loro di giocare con nessuno, né di sedersi al loro tavolo a mensa.
Harmony e Mahel rimasero senza fiato: come potevano esistere bimbi tanto cattivi? Da quando avevano iniziato la scuola, almeno a loro, non erano mai capitate cose del genere, dissero a Mac.
“E gli altri compagni?” domandò la pixie del fuoco.
Seguivano quei tre che li avevano un po’ costretti a farlo, soprattutto James. Giorni fa ho raccontato tutto alla mamma e ora le maestre sistemeranno ogni cosa, ma ho ancora paura. Il giorno prima che arrivavo qui quei tre bambini si sono scusati scrivendomi delle lettere dopo che la Direttrice ha parlato loro, James se n’è andato e una bambina, Katie, è molto gentile con noi. Si era arrabbiata spesso quando gli altri ci prendevano in giro. Tremò. Sono contenta che qui non mi sia capitato, siete tutti gentili!
La mamma di James aveva deciso di fargli cambiare scuola, chissà perché visto che la Direttrice non aveva affatto incoraggiato questa decisione, e le insegnanti – dopo aver fatto una riunione con le famiglie di Mackenzie ed Elizabeth – avrebbero parlato del bullismo in classe e spiegato le sue conseguenze anche grazie alla visione di alcuni video, come le avevano detto i genitori. Mackenzie sperava che, in questo modo, i bulli avrebbero capito e gli altri imparato qualcosa.
“Ci dispiace tanto, Mac” mormorò Harmony prendendole la mano.
La compagna le sorrise.
Grazie, ma adesso va meglio. Per ora sono solo contenta di stare qui con voi e basta.
 
 
 
Una volta in piedi, i piccoli ripresero a camminare, mischiati: quasi tutti i bimbi delle elementari ne tenevano per mano uno dell’asilo. Mackenzie fu felicissima di accompagnare Hope, la quale a ogni passo sorrideva e si guardava intorno con curiosità. Sugli alberi, gli uccellini cinguettavano allegri come per salutarli e spesso alcuni di loro volavano, in velocità ma al contempo con grazia, per procacciarsi il cibo. Avendo conosciuto Midnight, Mackenzie riconobbe alcuni merli sia dal colore che dal verso e anche diverse rondini perché ne ricordava il garrito.
Fu proprio mentre passeggiavano, bisbigliando per non spaventare gli animali, che li videro. A pochi metri da loro c’erano dieci conigli, alcuni bianchi e altri marroni, che mangiavano l’erba.
“Che carini!” esclamò Harmony con una vocina acuta.
Sentendo rumori vicino a loro, gli animaletti sollevarono i musi e annusarono l’aria. Guardarono il gruppo, ma non si allontanarono.
“Ricordate,” proseguì Alan Baxter, “i conigli devono mangiare soltanto erba, foglie o, se sono domestici, verdure crude pulite, a temperatura ambiente e che non siano guaste.”
“Hanno bisogno di masticare a lungo” si intromise Carlos “perché i loro denti, a differenza dei nostri, crescono per tutta la vita, e la masticazione li aiuta a limarli. Anche le unghie continuano a crescere. L’erba e le piante che trovano nei prati o nei campi sono un ottimo cibo per loro: rinforzano le ossa perché piene di calcio e sali minerali e sono ricche di fibre che aiutano il movimento intestinale. Al contrario non hanno molti grassi o carboidrati, perciò servono a prevenire l’obesità o l’attacco da parte di batteri cattivi.”
Quelle spiegazioni annoiavano i bambini più piccoli che pestavano i piedi o si lamentavano. Per loro tali parole non volevano dire nulla, ma per i più grandi potevano essere interessanti, quindi gli insegnanti cercavano di fare una via di mezzo ed essere concisi.
“Toccarli?” chiese una dei bambini più piccoli, esprimendo quello che in realtà era il desiderio di tutti.
Gli adulti sorrisero.
“Sì,” disse una delle maestre, “ma fate piano e avvicinatevi uno alla volta, o li spaventerete.”
A mano a mano i piccoli si fecero avanti a passi lenti, alcuni però dopo un po’ si stancarono e presero una piccola rincorsa. I coniglietti si allontanarono battendo una zampa, per segnalare un pericolo come spiegò Mister Ramirez, ma poco dopo tornarono loro vicino capendo che non volevano far del male a nessuno del piccolo gruppo. Mackenzie e Hope aspettarono pazienti il proprio turno, mentre ascoltavano i commenti estasiati degli altri bimbi.
“Noi, noi” disse la più piccola.
La maggiore la guidò con calma, frenandola quando provò a correre, e si accucciò mentre la sorellina la imitava. Le due misero una mano a terra e la mossero appena, per attirare i conigli con il movimento e il rumore dell’erba. Dopo un po’, un coniglietto bianco annusò la manina di Hope e uno marrone quella di Mackenzie. Con il cuore a mille e un sorriso enorme, le bambine fecero correre i palmi sule loro orecchie lunghe e morbidissime, poi sul pelo che assomigliava a una nuvola tanto era soffice. I coniglietti arricciarono il naso, chissà perché, e gli altri si fecero più vicini al resto dei bambini che, seppur emozionati, cercarono di accarezzarli mantenendo la calma. Mackenzie insegnò a Hope come grattare gli animaletti sulla testolina o dietro le orecchie, gesto che gradirono moltissimo sollevandola e leccandole. La più piccola rise di cuore. Poco dopo, forse stanchi di quella folla attorno a loro, i coniglietti corsero via, ma prima di sparire del tutto si girarono verso di loro e spiccarono un salto.
Perché non sono scappati quando ci siamo avvicinati? Sono animali domestici? E se sì, dove sono i loro padroni?
Mac mostrò il foglio a Kaleia che rispose per tutti.
“Non sono conigli domestici. Il Giardino è una parte del bosco e loro vivono qui, come animali selvatici, allo stesso modo in cui lo fanno le lepri. Ma come quasi tutti sapete nel nostro mondo gli animali del bosco, di qualsiasi bestia si tratti, non temono le persone, ne hanno paura solo se queste ultime cercano di ferirli.”
Mackenzie rimase attonita. Sulla Terra, gli animali del bosco scappavano sempre dagli umani o, la maggior parte delle volte, non si facevano nemmeno vedere, e di certo i genitori non glieli avrebbero fatti toccare per paura che si sarebbe presa qualche grave malattia, ma lì era tutto diverso. Stava accarezzando, ormai da giorni, animaletti magici che sul suo pianeta non esistevano e altri che, per quanto l’avesse desiderato, non sarebbe mai riuscita nemmeno a sfiorare. Stava imparando tanto a Eltaria, aveva delle compagne fantastiche e si augurò che, una volta sveglia, avrebbe ricordato tutto, come faceva ogni tanto quando si svegliava dopo un particolare sogno. Di solito, purtroppo, accadeva con gli incubi, ma quella volta sarebbe stato diverso, lo dimostrava già il fatto che stava vivendo un sogno bellissimo.
Si spostarono in un'altra parte del prato, molto più in là, risalendo una piccola collinetta sopra alla quale si trovavano cinque femmine di cervo, tutte con il pelo bruno rossastro che brucavano l'erba ma, quando sentirono delle voci, alzarono lo sguardo verso il gruppo con curiosità. Erano giganti, o almeno apparivano così ai bambini e facevano una certa impressione, vista l’altezza, pur essendo senza corna. Ma per il resto erano animali maestosi.
"Questi sono cervi." Kaleia lo chiarì nel caso qualcuno non lo sapesse. "Hanno il pelo del colore che vedete solo in primavera ed estate, mentre d'inverno diventa grigio."
"Cevvi" disse un compagno di Hope, convinto.
"No, cevi" rispose quest'ultima e i loro commenti fecero sorridere gli insegnanti e la fata.
"Imparerete presto" riprese questa. "Forse non tutti lo sapete, ma solo i maschi hanno le corna.”
"Si chiamano palchi" intervenne Mahel.
"Esatto, e sai dirmi altro a riguardo?"
"Possono arrivare a pesare anche quindici chili e cadono in inverno, poi quando si riformano provocano dolore, o almeno così mi ha sempre detto la mamma."
"E ha ragione. Qui non ci sono cuccioli, ma nascono tra maggio e giugno."
I bambini rimasero in silenzio ad ascoltare i cervi che riprendevano a mangiare, ma gli animali sembravano infastiditi dalla loro presenza perché continuavano a sollevare la testa dal pasto, per cui gli insegnanti presero la saggia decisione di allontanarsi. I bambini rimasero delusi: sarebbe piaciuto a tutti accarezzarli.
Ritornarono al fiume e trovarono, sulla sponda, alcune rocce liscissime, o almeno Mackenzie e le due compagne credevano fossero tali.
“Questi sono Slimius, anche se li avrete scambiati per sassi.” Una maestra dell’asilo li indicò. “Si sono appiattiti per proteggersi da qualche predatore, forse un Nesper.”
Nesper? chiese Mackenzie. Che cos’è?
Non aveva mai udito quella parola, nemmeno nella saga se ben ricordava.
“Un gatto selvatico con le ali da pipistrello, gli occhi verdi e il pelo bianco e nero” le spiegò Harmony. “Sa subito di chi fidarsi e, quando gioca, si nasconde e diventa letteralmente invisibile.”
Per quanto l’ultima parte di spiegazione fosse interessante, a Mackenzie la sola idea di un gatto volante, per di più con ali del genere, faceva accapponare la pelle.
Non sono sicura che vorrei incontrare una creatura come quella, anche se è buona pensò.
Dal fiume uscì un animale con il pelo folto e marrone, che fece un verso strano e si avvicinò a Kaleia battendole una zampa sulla scarpa. Mackenzie non seppe definire quel suono, era un misto tra uno squittio e quello che sentiva quando, a casa, schiacciava i giocattoli della sorellina, per la maggior parte animali, che facevano rumore.
“Tarka, ciao!” esclamò la fata abbassandosi per accarezzarla. “Questa è una lontra, bambini, è mia amica, la conosco perché vengo spesso qui al Giardino e ci siamo incontrate tante volte, vero piccola?”
Questa sembrò risponderle e Kaleia le fece il solletico. Tarka si rialzò e mangiò il pesce che aveva catturato e appoggiato a terra.
“Potete accarezzarla, ma uno alla volta.”
Quando fu il turno di Mackenzie e Hope, queste si chinarono piano e le sfiorarono la pancia e la schiena. Erano bagnate e la sensazione dell’acqua sul pelo a Mac fece un po’ schifo, ma questo era comunque soffice e liscio. Prima d’allora non aveva mai sentito parlare della lontra. A differenza del dorso la pancia di Tarka era grigia e la lontra aveva le zampe corte.
“Tra le zampe ha una membrana che la aiuta a tuffarsi, tutte ne possiedono una” spiegò Kaleia. “Le lontre mangiano soprattutto pesci, ma anche granchi, gamberetti o rane a seconda della specie e del luogo in cui si trovano. Il pelo è impermeabile e questo le aiuta a nuotare.”
Tarka era alta una trentina di centimetri, la stessa misura della sua coda, e corpo compreso superava il metro di lunghezza.
Mackenzie le accarezzò le orecchie, forse la parte più carina del suo fisico slanciato, arrotondate e piccole. Sfiorò i baffi.
“Si chiamano vibrisse, come quelle del gatto” spiegò ancora la fata. “Servono a trovare le prede.”
L’unica cosa che spaventava un po’ la bambina erano gli artigli della lontra. Le zampe avevano cinque dita ed erano palmate, ma quelle unghie non promettevano nulla di buono. Kaleia si affrettò a rassicurare tutti: era docile e, se loro non le avessero fatto del male, lei non avrebbe attaccato. Si lasciava toccare, emetteva il suo verso, li leccava e strusciava il musetto contro le manine dei bambini. Poco dopo ne arrivò una seconda uguale a lei.
“Tex, ciao. Questo è il suo compagno.”
Lui si erse sulle zampe posteriori, un tipico comportamento delle lontre disse Christopher che mettono in atto quando, fermandosi, osservano l’ambiente circostante. Dopo un po’ di esitazione si fece accarezzare ma non quanto Tarka, preferendo starsene sulle sue. Infine la coppia se ne andò, non prima di aver salutato.
“Possiamo accarezzare i cuccioli? Ne hanno, vero?” domandò Evan.
“Prima di tutto le lontre fanno il nido in terra, in luoghi riparati da esondazioni o possibili predatori. E sì, Tarka ha partorito poco più di un mese fa. Ma i piccoli non lasceranno la tana prima del terzo ed è meglio non disturbarli in questo periodo. Lei non vi conosce, io ho visto i cuccioli e li ho accarezzati, ma solo perché sono amica di Tarka da tempo. Vi assicuro che sono morbidissimi e hanno aperto da poco gli occhi.”
E come si chiamano? Hai dato loro dei nomi?
“Sì Mac. I maschi sono Sawyer e Cooper.”
“Fanno rima” considerò Jessica.
“Esatto, mentre la femminuccia è Splash.”
I bambini risero, quel nome ricordava un tuffo nell’acqua ed erano sicuri che le calzasse a pennello.
Dopo un altro giro nel quale accarezzarono jackalope soffici come lana, videro un Pyrados adulto. Nulla in confronto al cucciolo di Hope, grande abbastanza da stare su una spalla, questo era un vero drago imponente. Non gigantesco come Mackenzie pensava, ma di sicuro un po’ più alto e lungo degli unicorni che aveva visto nel film e di quelli che la mamma, in un momento di calma, le aveva descritto parlandole della cavalcata. E a differenza di quella sorta di cavalli, il drago era grosso più del doppio. Le sue scaglie rilucevano al sole e la criniera sfolgorava in tutta la sua bellezza. Alzò l’enorme testa ed emise un lieve ruggito, nulla in confronto a quanto i bambini si sarebbero aspettati e segno che era tranquillo.
I più piccoli si fecero più vicini ai grandi che li accompagnavano, alcuni di essi corsero anche dagli insegnanti volendo essere presi in braccio e cominciando a piangere e a tremare. Hope, dopo qualche lamento, rimase accanto alla sorella.
“Non preoccupatevi, bambini, non succede niente” li rassicuravano gli adulti. “È tranquillo, vi sta solo salutando.”
Qualcuno zampettò accanto a lui parandoglisi davanti: un cucciolo, grande poco più di quello di Hope.
Crescono in fretta, Mister Baxter? chiese Mackenzie. Voglio dire, se diventano così grandi e da cuccioli sono tanto piccoli… insomma, mi riesce difficile credere che diventino lunghi e grossi come lui.
“Ottima domanda, potrà essere utile a tutti. Dipende: seguono la crescita dei poteri dei padroni, quindi diventano o no più grandi in base a quanto essi imparano e si rafforzano. Vale anche per Arylu e Slimius. Questi due draghi però vivono in natura, anche se sono tranquilli vicino a noi.”
Il piccolo, incuriosito, si avvicinò ai bambini sotto lo sguardo vigile della mamma che seguiva tutti i suoi movimenti e controllava al contempo le mosse di quel gruppo. Tutti i piccoli accarezzarono il draghetto.
“Come Agni” disse Hope.
La sorella le strinse piano la mano. Sì, gli somigliava.
Dopo la sua generosa dose di coccole, il cucciolo fece un volteggio sopra tutti loro e infine tornò dalla mamma che lo prese in bocca facendolo sparire. Ai bambini mancò il fiato.
Jessica inorridì.
“L’ha… l’ha mangiato!”
“Ma perché? È la sua mamma!” gridò Harmony.
Quale madre farebbe mai una cosa del genere? Era questo che si chiedevano tutti i piccoli.
“Non preoccupatevi, sta bene. L’ha solo preso in bocca per trasportarlo da qualche altra parte. Vedete? Va via” spiegò Mister Ramirez e tutti tirarono un sospiro di sollievo.
Mackenzie si rilassò e si ricordò di aver visto una cosa del genere in un documentario sui coccodrilli, da cui aveva imparato che la mamma trasporta i piccoli mettendoseli in bocca e, cosa sorprendente – o almeno lo era stata per lei – adattando la forza del morso a ogni cucciolo.
Dopo aver guardato alcuni scoiattoli che facevano su e giù dagli alberi come schegge, Mac si augurò di rivedere presto Bucky e, Dio lo volesse, di conoscere la sua intera famiglia.
Era già l’una e la gita ebbe fine.
“Allora bambini, vi è piaciuta?” domandò Kaleia.
“Sì, bellissima!” risposero i più grandi in coro, mentre quelli dell’asilo dissero solo “Sì”.
I genitori o i nonni vennero a prendere i bimbi all’uscita del Giardino, mentre Kaleia e Christopher si avvicinarono a Hope e Mackenzie.
“Andiamo?” chiese il ragazzo, che non aveva quasi mai parlato per tutta la mattina. “La mamma vi aspetta a casa.”
Hope gli afferrò la mano, mentre Mackenzie andò con Kaleia.
“Non hai detto molto, amore. Tutto bene?”
“Benissimo.” Le sorrise. “Mi sono solo goduto la natura in silenzio, che le vocine dei bimbi hanno reso ancora più bella. E poi era troppo interessante ascoltarti mentre facevi la maestrina. Eri bravissima, credo che il tuo sia un dono e non sto scherzando.”
“Tu dici?”
“Sì, sei andata alla grande!”
Mackenzie confermò e aggiunse che sarebbe stata ben felice di averla come insegnante.
“Oh, beh… grazie.”
“Ehi, ragazzi! Ci siamo anche noi!” chiamò una voce alle loro spalle.
I quattro si voltarono e si trovarono davanti Sky e Noah, sorridenti, che si tenevano a braccetto.
“Ciao, amico. Che ci fate qui?”
“Abbiamo pensato di venire a riaccompagnarvi a casa, così le bambine avrebbero potuto raccontarci subito com’è andata la gita. Cucineremo una pasta per pranzo, per cui prepararla adesso o tra qualche minuto non cambia.”
Le piccole abbracciarono i due, felici di rivederli, in particolare Mackenzie lo fu nel sapere che Sky era venuta apposta per loro.
Grazie scrisse, e in quella parola mise il cuore.
“Figurati, piccola. Allora, raccontateci tutto.”
Il tragitto verso casa fu pieno delle loro chiacchiere entusiaste.
 
 
 
NOTE:
1. io ed Emmastory ci siamo informate per parlare degli animali selvatici. Abbiamo preso le informazioni sulla lontra da www.wwf.it, sul cervo da www.parcodolomitifriulane.it e sull’alimentazione del coniglio da www.orsamaggiorevet.it. Non siamo riuscite, però, a trovare il nome del verso della lontra. Un video ci ha aiutate a capire com’era e abbiamo provato a descriverlo mettendoci nei panni di una bambina di sei anni.
2. ¡Niños! = Bambini!
   
 
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