Libri > Twilight
Segui la storia  |       
Autore: Bellamy    26/03/2021    1 recensioni
La battaglia tra i Cullen e i Volturi termina in maniera inaspettata: i Cullen perdono, Edward e Bella si uniscono alla Guardia di Aro e Renesmee perde la memoria. I pochi mesi di vita vissuta da Nessie vengono spazzati via.
Dopo quasi un secolo, Aro invita Renesmee a Volterra.
Genere: Malinconico, Suspence, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Nuovo personaggio, Renesmee Cullen, Volturi | Coppie: Bella/Edward
Note: What if? | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Breaking Dawn
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
I trenta ibridi davanti a me non davano segni di reazione: erano fissi nelle loro posizioni intenti a scrutarmi. L’altro gruppetto, a pochi metri da quello in cui mi trovavo, si stringeva intorno al fuoco lanciandoci, a volte, veloci sguardi. Aguzzando gli occhi verso l’orizzonte notai tantissime altre luci rosse: altri falò. Altri mezzi vampiri? Battei la palpebre come se dovessi destarmi.
Mi stesi di nuovo sulla sabbia, al di fuori del cerchio di corpi attorno alla pira, mentre il vento freddo della notte andava contro il mio corpo adattandosi alle mie forme. Il vento portava delle nuvole che coprivano la luna e le stelle rendendo l’ambiente ancora più scuro, ombroso.
Passò soltanto un minuto quando la stessa voce maschile di prima mi pose un’altra domanda: “Da dove vieni? Chi è il tuo creatore?”
Aprii gli occhi ed osservai il ragazzo: era a petto nudo, carnagione ambrata, occhi scuri così come i capelli corti e le iridi. Indossava solo un pantalone logoro, i piedi erano scalzi.
“Creatore?” mi domandai tra me e me più che al ragazzo. Non capivo se ero sconcertata dal termine o meno ma non era la prima volta che lo sentivo. Lui aggrottò la fronte, confuso dalla mia reazione e aspettò la mia risposta. Tutti gli altri mezzi vampiri continuarono a fissarmi ma non erano incuriositi. Seguivano la conversazione perché non c’era nient’altro da fare.
“Stati Uniti.” Risposi dopo qualche secondo alla domanda più semplice. Per quanto riguardava la domanda su chi fosse il mio creatore, risposi con verità e senza dilungarmi in particolari: “Non so chi sia il mio creatore. Non lo conosco.”
“Non lo conosci?” domandò scettico. Gli altri cercarono di rimanere impassibili ma la loro curiosità li tradiva.
Scossi la testa a destra e a sinistra. La sabbia, sotto la mia testa, seguiva i miei movimenti. Mi sentivo in un sogno e avevo bisogno di risvegliarmi ma non sapevo come fare. Risposi con un tono basso di voce: “No. E’ un problema?”
Il ragazzo ghignò e chiese: “Allora come sei arrivata qui?”
Mi misi a sedere sulla sabbia e il giovane, forse interpretando il mio gesto come una richiesta silenziosa, spinse il compagno accanto a sé per farmi spazio e inserirmi nel gruppetto. L’ibrido, imperturbabile, si scostò, stessa cosa fece il ragazzo delle domande.
Guardai quel piccolo posto creato a posta per me: non volevo far parte della combriccola. Nonostante fossi in prossimità di persone della mia stessa razza, umana e vampira, non m’interessava approcciarmi a loro. Se le circostanze fossero state diverse sarei impazzita, li avrei inondati di domande cui risposte l’avrei riportate, poi, a Carlisle.
Vedevo tutto intorno a me con tale pessimismo e indifferenza che questi strozzavano anche la mia fervida curiosità oppure qualsiasi cosa che potesse risaltare alla mia attenzione. Inoltre, mi sentivo come sotto effetto di qualche sostanza soporifera.
Riguardai quella pozione di sabbia e l’occupai, avvicinandomi di più al calore del fuoco. Dentro o fuori il gruppo non aveva molta importanza, eravamo destinati a fare la stessa cosa in un momento all’altro.
“Oh!” feci con tono ironico rispondendo alla domanda, “Sono arrivata qui grazie ad Aro.”
“Aro?” fece il ragazzo alla sinistra.
“Sì, lui.” Risposi accarezzando la sabbia fredda con i polpastrelli senza indagare il volto di nessuno, per non studiare la loro espressione. Non avevo voglia di farlo, tantomeno dilungarmi ancora in quella conversazione.
“Come ti ha trovata?” domandò Anastasia, la figlia di Liev, con un forte accento russo ma col tono della voce molto pacato. “Io e mia sorella ci ricordiamo di te. A Volterra.” I suoi capelli biondi, illuminati dal fuoco, sembravano bruciare.
“Aspetta.” Fece il mezzo vampiro delle domande alzando le mani davanti a sé, “Sei sua figlia?” domandò.
Mi irrigidii e sentii i miei occhi uscire dalle orbite.
“No.” Risposi immediatamente a denti stretti, “Conosce il mio clan e sapeva già che io ne faccio parte.”
“E voi?” domandai senza dar loro la possibilità di formulare altri quesiti da rivolgermi, continuando a toccare i granelli di sabbia fredda. “Come siete arrivati qui?”, li guardai di sottecchi.
Rispose Anastasia con una tranquillità disarmante: “Aro ha chiesto a nostro padre se potevamo combattere per lui. Nostro padre ha accettato.” La sorella, Tatiana, annuiva silenziosamente.
Sgomenta, cercai di trattenere il mio mento dal cadere come accadeva ai personaggi dei cartoni animati. Ripetei la sua risposta nella mente mille volte nel giro di tre secondi.
“Voi?” chiesi agli altri cercando di sembrare più disinvolta possibile, provando a nascondere il turbinio di pensieri che si arrovellavano nella mia testa. Nel gruppo, notai, c’erano più ragazze che ragazzi.
“Padre.” Rispose il ragazzo delle domande accanto a me.
“Padre.” “Padre.”
“Padre.” Risposero tutti con tanti accenti diversi.
Avrei tanto voluto avere, in quel momento, qualcuno che fotografasse le mie reazioni, le mie espressioni. Se ci fosse stato Emmett con me avrebbe riso per tre giorni, ne ero sicura. Tanti pensieri indefiniti, non ancora espletati, venivano scagliati nella mia testa ad una velocità impressionante rendendomi confusa. Non riuscivo a mettere in ordine i sentimenti che provavo o i pensieri che si accavallavano uno sopra l’altro.
In quel vortice interiore riuscii solo a ricordare Carlisle, le sue ricerche e teorie sui mezzi vampiri. Nonno sosteneva che l’origine di tutto fosse il Brasile dove dei vampiri intraprendenti si univano a delle donne umane per poter procreare dei piccoli ibridi. Le umane erano troppo deboli per poter sopravvivere al parto, troppo deboli per sostenere la forza del feto ed erano tutte destinate a morire.
Cercando di essere più presente a me stessa e consapevole di ciò che ero, sia umana che vampira, domandai: “Le vostre…madri sono morte?”
Fallii nel mio intento nel momento stesso in cui posi il quesito. Ero intimorita dalla domanda, di più farla. Forse nel bon ton dei mezzi vampiri una domanda del genere non si poteva porre, forse era considerata maleducato. Chi lo sa? Avevo vissuto la mia vita, fino a quel momento, lontana sia dalla vita che intraprendevano i vampiri normali che gli umani, salvo alcune eccezioni. Non sapevo nulla degli ibridi, delle persone come me.
Avevo vissuto in una bolla e questa consapevolezza diventava più pesante ogni minuto che passavo con loro.
Il ragazzo delle domande, accanto a me, rispose sicuro: “Morte. Nessuno di noi ha mai conosciuto la propria madre. Non conoscerai tuo padre ma tua madre è morta. Sicuro.”
Smorzai un respiro e mi voltai a guardarlo: era così tranquillo, così sereno con sé stesso. Come se non aver mai conosciuto la propria madre ed essere l’artefice della sua morte fossero cose che meritassero poca importanza e attenzione.
Guardai gli altri, tutti intorno al fuoco, e nessuno sembrava essere scosso da quel dato di fatto.
Un ragazzo sbuffò e si appoggiò ai gomiti, stendendosi un po’ “La mia è sopravvissuta quasi una giornata intera. La ricordo ancora.”
L’osservai: il volto era tranquillo, pallido ma con i tratti molto marcati. I capelli erano biondi e gli occhi verdi, le labbra carnose.
Cercai in lui qualche traccia di tristezza oppure rimpianto. Non trovai nulla. Lui ricambiò il mio sguardo con uno vacuo e interrogativo.
“Cosa ne pensi?” gli domandai e poi, voltandomi, posi la domanda a tutti gli altri “Cosa ne pensate?”
“Di cosa?” domandò il ragazzo della domande.
“Di questo!” feci ad alta voce indicando con le mani niente di preciso. Non potevo credere che tutta questa insensibilità fosse reale davanti ai miei occhi.
Continuai con fare psicotico, dovevo sembrare pazza agli occhi degli altri. “Non avete mai pensato che quelle  donne potevano amarmi? Che potevano diventare qualsiasi cosa? Non siete dispiaciuti? Non avete un po’ di rimorso? Non avete mai immaginato la loro figura accanto a voi? Nella vostra vita?”
Nessuno rispose. Guardavano me come se avessi parlato in una lingua aliena. Ero incredula.
“In che razza di mondo vivi?” domandò il ragazzo dagli occhi verdi. “Da dove salti fuori? Sei sicura di essere un mezzo vampiro?”
Feci un respiro profondo e annuii: “Lo sono e hai ragione. Non so niente… di tutto questo.”
“Davvero?” domandò.
“Davvero.” Confermai guardandolo. “E’ la prima volta che incontro qualcuno come voi. Ho sempre vissuto con altri sei vampiri senza mai incontrare nessun mezzo vampiro prima di questa notte.”
Nessuno pareva credermi.
Non sapevo nulla. Era vero. Il mondo dei mezzi vampiri mi era totalmente estraneo. Per molti anni mi ero domandata se esistessero altre persone come me, quale fosse il loro stile di vita. Forse avevo immaginato tutto adattandolo alla mia routine con i Cullen e tale illusione non stava rispettando le mie aspettative.
“Non ci credo.” Disse il ragazzo dagli occhi verdi, scuotendo la testa. “Voglio vederti uccidere un umano.”
Risi. Una risata genuina, squillante, sentite poche volte, da parte mia, nell’ultimo anno. Avevo gli occhi di tutti addosso, le espressioni stranite.
“Va bene!” dissi. Immaginai i loro volti quando avrei annunciato che non mi nutrivo, principalmente, di sangue umano ma di altro. Sarebbero impazziti.
“Comunque” continuò il ragazzo dagli occhi verdi. “Ho tanti fratelli e sorelle.” Con i pollici indicò le due ragazze ai suoi lati. I tre erano identici. “E altri ancora in altrettanti gruppi qui. Stessa storia per tutti gli altri in questo gruppo. Non abbiamo mai pensato alle nostre madri come fai tu perché non ci hanno mai dato l’opportunità. Siamo cresciuti con la concezione che gli umani vivono per servici. Tutto qui. Le umane servono per portare in grembo creature come noi. Stop.”
Gli altri ragazzi annuirono. Concordavano tutti.
“Nostro padre”, iniziò Anastasia, “ci ha cresciute insegnandoci che noi siamo esseri assoluti. Migliori dei vampiri stessi.”
“Non dobbiamo preoccuparci del come e del perché.” Continuò la sorella Tatiana. “Dobbiamo solo essere molti.
“Molti?” domandai.
Tatiana annuì ma non spiegò cosa intendesse.
Rimasi in silenzio, metabolizzando le informazioni appena ricevute. Strinsi le ginocchia al petto e vi appoggiai il mento. I capelli, mossi dal vento, mi coprivano il viso. Sentivo trenta paia di occhi su di me.
Ricambiai lo sguardo di alcuni e domandai loro sussurrando: “Da dove venite?”     
“Brasile.” Fece il ragazzo delle domande accanto a me.
“Russia.” Risposero Anastasia e Tatiana. “Australia.” Rispose il ragazzo dagli occhi verdi.
“Giappone.” “Cina.” “Sud Africa.” “Egitto.” Risposero altri ancora.
Quindi sparsi per il mondo esistevano dei vampiri con una concezione degli umani ancora più estrema di quella che pensavo fosse normale, naturale. Era una mentalità, a quanto pare, radicata: dei vampiri utilizzavano gli umani non solo per nutrirsi bensì per creare una nuova, massiccia, razza.
Ero interdetta. Senza parole.
Guardavo quei ragazzi che, all’apparenza, sembravano nel pieno della loro adolescenza ma, in realtà, non avevano più di sette anni. Li guardavo e non riuscivo a capire se il passato che avevo vissuto coi Cullen e il presente che stavo vivendo adesso fossero giusti o sbagliati. Erano due poli opposti che collidevano: la vita passata con i Cullen sembrava, ai miei occhi, qualcosa di anormale, in contrasto con il vero mondo dei vampiri e degli ibridi che stavo conoscendo.
“Io penso a mia madre. Spesso.” Disse il ragazzo delle domande.
Mi voltai verso di lui così come fecero gli altri, aspettando che continuasse a parlare.   
Si guardò intorno e disse: “Non vivo con i miei fratelli e con mio padre. Vivo con mio zia, la sorella di mia madre. L’ho trasformata subito dopo essere nato.”
Fece una pausa, dopo riprese: “Mia zia amava mia madre e, nonostante non approvasse la gravidanza, l’ha sostenuta fino alla fine, fino alla sua morte. Cacciava animali per lei affinché potesse nutrirsi e continuare a vivere.”
Il ragazzo delle domande fece un respiro profondo smorzato alla fine e terminò dicendo: “Mi parla sempre di lei, mi ricorda sempre che l’ama, che le manca e che le dispiace di non essere riuscita a salvarla. La guardo e mi chiedo come poteva essere mia madre. Mi dispiace.”
Silenzio. Tutti noi guardavamo quel ragazzo che sembrava essere sprofondato in una forte malinconia e tristezza. Lo guardavo e capivo cosa provava perché lo provavo pure io: impotenza e tristezza, consapevolezza di essere la causa e non poter fare nulla a riguardo.
Oh! E quante volte avevo immaginato mia madre.
“Non possiamo vivere col senso di colpa per l’eternità”, iniziò il ragazzo dagli occhi verdi, ora con le mani dietro la testa, “gli esseri umani sono deboli e noi, in qualche modo, dobbiamo nascere. Il passato non si può cambiare.”
Nessuno controbatté alle sue parole e non capii se quel silenzio fosse d’assenso o ci fosse qualcos’altro.
Una ragazza asiatica con dei capelli neri molto lisci e lunghissimi sbadigliò e appoggiò una mano sulla sabbia, premendo forte contro fino a quando la mano era del tutto coperta dai granelli.
Mentre la mano spariva sotto la sabbia, le fiamme del fuoco si fecero più vive e alte. Il calore colpì tutti senza preavviso e con grande forza. Anche la sabbia sotto di noi si fece molto calda.
“Buonanotte.” Bofonchiò la ragazza sbadigliando e stendendosi sulla sabbia. Molti la imitarono.
Feci la stessa cosa, raggomitolandomi su me stessa, ma ero sveglissima e il mio corpo non aveva intenzione di addormentarsi. La mia mente viaggiava ad altissima velocità.
 
 
 
 
 
Mi svegliai. Non ricordavo quando mi ero addormentata, il sonno aveva preso il sopravvento. Il sole era già abbastanza alto ma non ancora nel pieno della sua forza. L’aria era tiepida ma tendeva a scaldarsi ogni secondo di più. Il fuoco del falò era ancora acceso, le fiamme alte e vivaci, intaccate dalla notte.
Del gruppo alcuni erano già svegli: altri erano seduti, distesi oppure facevano qualche passo attorno. Altri dormivano ancora. Notai che dei gruppi si erano avvicinati al nostro.
Mi alzai, stiracchiandomi, senza sapere dove andare, cosa fare o cosa aspettarmi. Eravamo nel bel mezzo del deserto, forse erano le otto del mattino, più o meno. L’unica cosa da fare era attendere.
Mi sedetti di nuovo sulla sabbia, portandomi le gambe a petto. La mia gola stava iniziando a diventare arsa.
Si svegliò la ragazza con i tratti asiatici, stropicciò gli occhi, stiracchiò le braccia e poi riportò la mano sotto la sabbia come fece qualche ora prima. Il fuoco si spense in un battibaleno.
Lei, notando la mia espressione stupita, mi fece l’occhiolino e si presentò: “Mi chiamo Nao.”
Le sorrisi. “Piacere di conoscerti.”
“Io sono Nahuel.” Il ragazzo delle domande si presentò, si stiracchiò e si alzò. “Vado dai miei fratelli.” Fece un cenno ad una ragazza e andarono insieme nel gruppo più vicino.
“Anche tu hai dei fratelli qui?” domandai a Nao sussurrando perché alcuni, ancora, dormivano.
Nao annuì: “Sì ma non molti. Sono sparpagliati qua e là.” Disse con estrema tranquillità.
Questo approccio calmo mi mandava alla follia. Non riuscivo a capacitarmi del fatto che non trovassero niente di strano nella situazione che stavano vivendo.
“Cosa succederà oggi? Cosa faremo?” domandai. Un ragazzo si svegliò.
Nao fece spallucce e si morse il labbro inferiore guardandosi intorno: “Mi auguro che ci portino qualche spuntino. Ieri non l’hanno fatto e sto morendo di fame.” Disse borbottando più a sé stessa che a me. Continuò dicendo: “Per la giornata aspettati degli allenamenti.”
“Allenamenti?” sussurrai.
“Sì.” Rispose Nao alzandosi, gli occhi puntati verso l’orizzonte. “I Volturi riescono a prendere qualche licantropo un po’ troppo avventuroso e ce lo danno per fare pratica in vista della battaglia. Sono tosti.” Mentre parlava mimava la loro grandezza e furia.
Lupi. Gli unici con i quali avevo avuto a che fare erano stati gli schivi, seri e rispettosi Quileute. Con loro, e con nessun altro, non eravamo mai stati costretti ad uno scontro.
Venni colta da un brivido su tutta la mia schiena nonostante la temperatura calda dell’ambiente.
Tutto era così sbagliato.
“Eccoli!” esultò Nao. Indicò un punto dell’orizzonte: una larga massa nera e colorata allo stesso tempo si muoveva veloce verso di noi. Alle mie spalle, i vari gruppi ci raggiunsero in un solo secondo e il numero dei mezzi vampiri aumentò in maniera considerevole. Eravamo più di cento. Nahuel ritornò con la sorella e si mise a mio fianco.
Riconobbi i Volturi nella macchia nera che, man mano, si avvicinava. Le varie forme colorate erano delle persone stanche, malate. Erano sia uomini che donne, di tutte le etnie ed età. Erano essere umani.
Nonostante fossero ancora lontani, camminavano ad una velocità insostenibile per un umano: alcuni cadevano e, alzandosi, lamentavano dolori. Altri piangevano e chiedevano di fermarsi. I loro vestiti erano stracciati, i corpi sporchi.
Mi guardai intorno, cercando di contare quanti ibridi erano presenti. In una prima occhiata sembravamo in minoranza rispetto agli umani che stavano raggiungendoci. Il respiro si smorzò nella mia gola.
Non potevo sostenere tutto questo. Il cuore batteva forte incalzato dallo shock, dal disgusto e dallo sbigottimento. Volevo muovermi, fare un passo avanti, fermare quello che stava accadendo: una carneficina.
Ma ero ferma, lo stress e l’ansia mi mantenevano ancorata alla sabbia.
L’orda umana era guidata da Andrew, il volto e la mani coperti per sfuggire al sole ma riuscii a riconoscerlo. Lo sentii dare agli umani degli ordini, stava obbligando loro a camminare verso di noi. Le lamentele, incessanti, diventavano sempre più forti.
Erano arrivati, i passi stavano rallentando. I rumori sordi dei piedi contro la sabbia cessarono, le lamentele no. 
“Fermi!” ordinò Andrew con voce gelida ed autoritaria e gli esseri umani fecero come comandato. Notai che pure io non riuscivo a muovermi.
Andrew si rivolse a noi: “Buon appetito. E non trasformate nessuno questa volta.” Il tono di voce era simile a quello di un automa ma percepii un filo di ironia.
Tutti i mezzi vampiri non diedero tempo ad Andrew di terminare la frase. Con una forza sovraumana, tutti gli ibridi si mossero all’unisono verso gli umani impauriti, accompagnati da urla selvagge e ringhi inferociti. La sabbia si alzò creando una nebbia fitta color ocra. Rimasi ferma al mio posto, sulla sabbia, mentre gli altri mi spingevano in avanti per farsi spazio e conquistare una preda.
Cercai Andrew ma divenne invisibile in mezzo alla grande massa che si era formata davanti ai miei occhi: creature sia celestiali che selvagge, durante la caccia l’istinto vampiro predominava, che si scontravano per trovare qualcuno da cui nutrirsi, per cercare anche l’ultima goccia di vita rimasta. Molti si scontravano, litigando per chi andava la preda appena presa.
“Andrew!” lo chiamai e mi mossi ai lati dello scontro ma questo si faceva sempre più grande inglobandomi. La sabbia riempiva il mio capo visivo.
“Andrew!” lo richiamai e finalmente lo notai, si stava allontano insieme ad altri vampiri che non avevo mai visto prima. Scansai alcuni ragazzi che, per raggiungere gli umani, andarono contro di me, spalla contro spalla.
Uscii dalla mischia e lo raggiunsi. Cercai di fare un respiro profondo, la gola era piena di sabbia.
Fece segno agli altri di proseguire senza di lui e si voltò verso di me, scrutandomi “Dovresti mangiare.” Disse indicando la carneficina che stava accadendo di fronte ai nostri occhi. “Domani sarà una giornata impegnativa.”
Il suo tono di voce era strano, indecifrabile, incomprensibile.
“Domani? Sarà domani?” domandai, la voce mi uscì squillante.
Andrew annuì “Sì, i Figli della Luna stanno avanzando sempre di più. Aro ha programmato di attaccarli domani, di giorno, perché crede che non se lo aspettino. Questi mostri sono più deboli durante la giornata e più forti la notte.”
Adesso aveva voglia di snocciolare informazioni? “I lupi.” Ripetei sussurrando.
“Ne abbiamo catturato qualcuno questa notte. Fra poco li porteranno.”
“Pratica?” domandai.
Il vampiro rise “Pratica.”
“Ti stai divertendo? Hai fatto amicizia?” domandò con un tono che riuscii a captare: divertito. Le sue iridi rosse scintillavano contro i raggi del sole che, ormai, si era fatto altissimo e caldo nel cielo.
Sbuffai “Molto.”
Guardammo gli ibridi, persone come me, combattere tra di loro per accalappiarsi gli ultimi umani rimasti vivi i quali chiedevano aiuto e pietà. Il resto era a terra, sulla sabbia, morto. Alcuni, con gli occhi vitrei aperti, guardavano l’orizzonte.
La visione era agghiacciante, il senso di colpa opprimente.
“Dovresti nutrirti.” Ripeté Andrew. “Prima che non rimanga più nessuno.”
Scossi la testa “Sto bene così.” Risposi.
Mi voltai verso lui “Voi non parteciperete, vero?” domandai.
Andrew scosse la testa guardando l’ammasso di corpi davanti a noi “No, farete tutto voi purtroppo. Poi Aro farà una cernita e si porterà a Volterra quelli che ha adocchiato.”
“Quanta fiducia sta riponendo in noi!” dissi ironica. “Secondo te accetteranno?” domandai in seguito, scettica. Pareva tutto già stabilito.
“Perché non dovrebbero?” domandò a sua volta.
Meditai qualche secondo: aveva ragione. Nessuno di loro aveva vissuto la mia stessa esperienza con i Volturi e quindi, dal momento che combattere per loro non sembrava costituire qualcosa di grave, mi rendevo conto che la proposta di far parte del loro clan appariva allettante.
“Ciao Renesmee” disse Andrew facendo un passo verso la direzione opposta “cerca di non farti mangiare dai lupi.  Dovresti farcela, siete maledettamente forti e veloci.”
Sparì.
“Grazie.” Gli risposi ma non c’era più.
Sentii dei passi leggeri dietro di me e mi voltai: era Nahuel. Il colore dei suoi occhi era vivo. Il collo e il petto erano sporchi di sangue.
“Sai qualcosa? In questi giorni non ci hanno detto molto.” Chiese.
Annuii. “La battaglia sarà domani, non di sera, e fra poco ci porteranno i lupi che hanno catturato.”
“Domani?” domandò Nahuel e incominciammo a dirigerci verso il fuoco spento. Cercai di non guardare i cumuli di cadaveri sparsi nel deserto ma non ci riuscii. Il senso di colpa e il terrore portavano i miei occhi a guardarli tutti come se volessero infliggermi una punizione. La sabbia era scura, tinta di sangue.
Camminavamo in mezzo ad altri ibridi. Alcuni, coloro che non facevano parte del gruppo, mi fissavano incuriositi. Lo spirito selvaggio ancora non aveva abbandonato i loro corpi ma tutti, ora, erano estremamente vivaci e nel pieno delle loro energie.
“Sì.” Confermai sedendomi di fronte alla pira spenta. Notai Nao, lontana dalla piccola comunità, accarezzare prima la sabbia e poi battere un pugno contro. Sentii della vibrazioni sotto le gambe e, improvvisamente, i cadaveri scivolarono giù, prosciugati dalla sabbia, come se fossero un tutt’uno con l’elemento. il deserto riprese il suo aspetto originario, desolato e silenzioso. Ero meravigliata dal dono di Nao la quale stava facendo il pieno di complimenti.
“Sentite!” fece Nahuel riuscendo ad attirare l’attenzione di tutti i mezzi vampiri, “La battaglia sarà domani. Il manipolatore l’ha detto a Renesmee.”
Dalla colonia si levarono tantissime voci, commenti circa la notizia. Capii che tutti erano in trepidazione per domani. Smisi di ascoltarli, avevo mal di testa. 
“Era ora.” Disse annoiato il ragazzo dagli occhi verdi.
“Ritorneranno con qualche lupo a breve.” La notizia aumentò in positivo l’animo di tutti, l’aria era diventata frizzante.
Sbuffai, mi alzai e mi misi a camminare, passi piccoli, rimanendo sempre vicina al falò spento. La nebbia si era diradata e i raggi del sole picchiavano prepotenti illuminando i corpi di tutti, compreso il mio. Dalla nostra pelle scaturiva un bagliore leggerissimo.
Ero un fascio di nervi. La rabbia e l’impazienza bollivano nel mie vene. I denti, stretti, digrignavano. Le mie mani si muovevano nell’aria come se volessero aggrappare con forza qualcosa. Avevo voglia di urlare e scappare via.
“Ti prenderanno, stupida!” disse una vocina nella mia testa e non potei darle torto.
Fermai la camminata convulsa e mi abbracciai. In confronto agli altri mi sentivo immatura, codarda.
Feci un respiro profondo, guardai il cielo e tornai indietro. Si erano formati tanti piccoli gruppetti ed io mi aggregai a quello con Nao e Nahuel.
La calma del deserto venne di nuovo disturbata. Ulteriori vibrazioni si alzarono dal terreno ma queste erano molto più forti rispetto a quello scaturite da Nao. I tremiti andavano pari passo a forti colpi sordi contro il terreno.
Centinaia di teste si voltarono verso la direzione dalla quale il suono assordante proveniva, un eco di zampe contro la sabbia, ululati, guaiti, sibili e ringhi. Impallidii. In quasi cento anni, non avevo mai visto creature del genere.
Erano enormi, più grandi rispetto ai lupi Quileute, ed erano delle mostruose caricature dei lupi. Anche da lontano si poteva notare la loro stazza. Erano alti almeno tre metri e larghi due. Tutti avevano il manto grigio con striature nere. Gli occhi, minacciosi, avevano le iridi gialle. Le zanne erano lunghe e affilate.
Avanzarono velocemente e le loro lunghe falcate alzavano molta sabbia. A differenza dei Quileute, i Figli della Luna erano scoordinati nella loro corsa come se non avessero una guida alla quale affidarsi.
“Tenetevi pronti.” Mormorò il ragazzo dagli occhi verdi. Dal suo tono di voce si capiva che il ragazzo stava pregustando il momento in cui avremmo attaccato.
“Ce la puoi fare Renesmee.” Mi dissi, “Non vanificare le lezioni di Emmett e Jasper.”
I lupi ormai erano vicini, ci dividevano poco più di cinquanta metri.
ORA!
Le mie gambe scattarono. Il mio corpo spingeva quelli che mi precedevano mentre, a sua volta, veniva spinto in avanti dai mezzi vampiri alle mie spalle. Dal gruppo si alzarono urla e ringhi, in risposta a quelli dei lupi.
Sapevo dove dirigermi, sapevo quale fosse il target ma non sapevo come attaccare. Non c’era tempo di analizzare l’obiettivo, di capire quali fossero i suoi punti deboli. Sapere che i licantropi erano più deboli durante il giorno era già qualcosa.
Non potevo permettermi altre riflessioni quando la distanza tra me e i Figli della Luna si stava accorciando. Dovevo avere in mente solo un unico scopo: sopravvivere.
Il gruppo si aprì sia a sinistra che a destra in maniera tale da poter rispondere all’offensiva da più parti possibili. Io rimasi nel gruppo al centro. I lupi avevano già attaccato ai lati ma gli ibridi avevano risposto bene contro attaccando.
Avvenne il mio turno.
PUNTA AL COLLO E ALLA SCHIENA!” mi consigliò Nahuel urlando. Seguii il suo suggerimento.
Un lupo si avventò su di me e su Nahuel, scivolai sulla sabbia, passando sotto lo stomaco per poterlo schivare mentre puntava sull’ibrido. Feci opposizione con le mani per fermarmi sul terreno e scattai di nuovo in avanti. Riuscii a mettere un piede sulla schiena del licantropo e camminarci di sopra aggravando tutto il mio peso e la mia forza. Vedendo Nahuel occuparsi del collo, pensai alla schiena: mi aggrappai al dorso con le braccia e feci forza. Sentii le costole del lupo, il quale guaì di dolore, rompersi sotto di me. Strinsi con maggiore forza costringendo l’animale a chinarsi a terra, gli ruppi la schiena, mentre Nahuel era in procinto di strangolarlo.  
Scesi dalla schiena del Figlio della Luna e raggiunsi Nahuel, feci un salto di due metri e con un pugno colpii il collo della creatura. Morto.
Ero sconvolta e senza fiato.
“Non perdere tempo!” disse Nahuel prendendomi per un braccio, “Andiamo!”
Diedi una occhiata veloce a ciò che stava succedendo intorno a me: due o tre mezzi vampiri insieme contro un licantropo, brandelli di carne che cadevano pesanti sulla terra, schizzi di sangue macchiavano la sabbia e corpi altrui. Il silenzio travolgente del deserto era stato sostituito dal caos assordante di urla e ruggiti.
Io e Nahuel aiutammo una ragazza, che non avevo visto prima, sola contro la creatura. Questa aveva dei tagli sia nel volto che nelle braccia. 
“Sali sul dorso!” le dissi mentre Nahuel puntò sempre al collo. Io tenni fermo il lupo stringendo la sua lunga coda con la mano destra e questo si mosse con violenza, ululando. Con la mano sinistra gli bloccai la zampa  e tirai verso di me aumentando la violenza dei movimenti del licantropo. Venni colpita al petto e al volto, il Figlio della Luna utilizzò la zampa libera lasciandomi senza fiato e stordita. Strinsi e tirai con più forza.
Sentii le sue ossa rompersi e vidi Nahuel mordergli il collo. Il lupo tremò, si fermò instabile e cadde. Morto.
Raggiunsi la ragazza e Nahuel. “State bene?” domandai.
Guardai i tagli della ragazza, erano profondi. Nahuel annuì e si guardò intorno forse per cercare altra azione ma cadde un silenzio tombale.
“Tranquilla, si rimargineranno presto.” Fece la mezza vampira con un piccolo sorriso. “Vado a raggiungere i miei fratelli. Ciao!”
La guardai dileguarsi. Quella ragazza mi sembrava molto piccola.   
“Credo sia finita.” Sentii Nahuel sussurrare e anche io mi guardai intorno. Si ripresentò la scena di poco fa solo che al posto dei cadaveri umani, c’erano quelli dei Figli della Luna e molto più sangue e contaminare la sabbia.
“Oggi erano molto pochi rispetto ai giorni passati.” Rifletté Nahuel il quale si voltò verso di me e con un sorriso disse: “Sei stata molto brava!”
“Grazie. ” Borbottai. Il complimento mi turbava, non mi piaceva. Mi guardai le mani e in loro vedevo cosa aveva appena fatto qualche minuto fa. Non ero orgogliosa, ero furibonda e disgustata.
“Tutto bene?” domandò Nahuel.
Annuii sorridendo e fingendo una tranquillità che, in realtà in me, non c’era. “Sì, certo! Semplicemente non mi è mai capitato di andare contro delle creature del genere.” Gli risposi. Non facendolo notare a Nahuel, misi le mani sotto la maglietta per toccare la mia cicatrice e verificare se aveva subito dei danni. Feci un respiro di sollievo: tutto a posto. Mi doleva solo il collo, dove il lupo mi aveva colpita.
Ci avvicinammo agli altri. Nao fece di nuovo la sua magia e i lupi sparirono sotto la sabbia. Avevo tante domande a riguardo.
Ritornammo al nostro ritrovo, di fronte al fuoco spento, e molti fecero la stessa cosa, ripristinando i gruppi della notte scorsa. Si aprirono vivaci conversazioni circa i licantropi, come affrontarli nel modo migliore e cosa aspettarsi il giorno dopo. Se prima i mezzi vampiri erano elettrizzati, dopo la pratica erano su di giri.
Mi stesi sotto al sole e ascoltai i loro dialoghi in silenzio.
 
 
 
 
 
Calò di nuovo la sera e Nao accese il fuoco. Per tutto il pomeriggio i Volturi non fecero nessuna visita, nemmeno per sapere se l’allenamento era andato a buon fine. A quanto pare questo comportamento era sospetto perché, a detta di tutti, Aro mandava sempre qualcuno a controllare. L’episodio aveva lanciato dei dubbi sui mezzi vampiri.
“I vostri padri non sono mai venuti?” domandai dopo essere stata silenziosa per un paio di ore. Una stella cometa apparve nel cielo.
“Si fidano di noi.” Rispose il ragazzo dagli occhi verdi il quale scoprii chiamarsi Noah. La sua sicurezza mi metteva a disagio, era sconsiderata, pomposa.
Sbuffai e mi stesi di lato, la testa puntava verso il fuoco. Anastasia, durante il pomeriggio, mi aveva fatto un traccia, appoggiata ora nella sabbia.
“Vorrei sapere una cosa.” Iniziai giocherellando con il mio medaglione, “Davvero volete partecipare a questa battaglia? Non avete avuto un po’ di ripensamento in tutto questo tempo? I Volturi non si sono degnati di vedere come state, perché dovreste sporcarvi le mani per loro? D'altronde, voi non c’entrate nulla in tutto questo.”
La piccola colonia rimase in silenzio per qualche minuto, meditando le mie parole.
“Noi siamo invincibili.” Disse Noah sicuro e fiducioso. “Possiamo affrontare tutto.”
“Neanche tu c’entri qualcosa in questa faccenda.” Fece Nao. “Ma il tuo clan ti ha mandato qui e tu non ti sei opposta, no?”
Quella insinuazione mi tramortì, il sangue dentro le mie vene si gelò.
Mi stesi di nuovo sulla schiena, ritornando a fissare le stelle. “Sì, mi ha mandato qui.” Le risposi alla fine.
“E tu non hai fatto niente per opporti. Stesso principio.” Disse Nao tranquilla.
Non risposi per controbattere all’affermazione. Nao non sapeva, nessuno sapeva.
La risposta era tutta nella mia testa. Tutti i mesi passati a Volterra, tutti i silenzi, tutti i segreti, sia quelli dei Volturi che i miei per proteggere i Cullen, tutte le domande e i pochi perché ricevuti, le fughe e i ritorni. La frustrazione, la rabbia e il rancore.
Nessuno di loro sapeva.
Pensai alla mia famiglia e la pura paura mi travolse. Avevo paura di non poterli vedere mai più. Per quanto tempo potevano essere pazienti con me? Li avevo delusi troppo, ero imperdonabile.
Avevo paura di non poterli vedere mai più perché non sapevo se sarei sopravvissuta alla battaglia. I Figli della Luna battuti quel giorno erano nulla in confronto a quelli che si prospettavano fra poche ore. Potevo fidarmi delle mie capacità? Alla paura si aggiunse l’insicurezza e l’angoscia. Sentivo di avere solo poche ore da vivere a disposizione, come un condannato prima dell’esecuzione.  
Riportai indietro le lacrime. Dovevo farcela.
Mentre il panico prendeva il sopravvento, una idea scoccò nella mia mente. Non era una idea nuova, ciò a cui stavo pensando aveva tentato di sedurmi per tutta la mia vita ma io ero sempre stata restia ad assecondarla.
Aprire il medaglione.
Nei confronti di quel ornamento che indossavo avevo un timore inspiegabile, inconcepibile. Un timore che era sempre stato con me fin dal momento in cui mi svegliai a casa dei Cullen.
Però quel medaglione con delle piante rampicanti incise era, allo stesso tempo, sia fonte di timore che parte integrate di me stessa. Non me ne separavo mai, non riuscivo ad immaginarmi senza.
La paura o il timore erano causate, principalmente, dall’ignoto, dal non sapere cosa si cela dietro una porta oppure dietro uno ostacolo. Il mio ostacolo era il medaglione.
Perché non aprirlo ora? Questo era l’attimo perfetto dal momento che temevo per la mia vita. Farlo, aprirlo, una volta e per tutte.
Feci un respiro profondo e mi misi a sedere, dando le spalle al fuoco e ai ragazzi. Il cuore iniziò a correre e mi stupii di quella reazione.
Strinsi il medaglione tra le mie mani, tremavano. Potevo farlo, era un semplice medaglione, un semplice gioiello. All’interno poteva contenerci qualsiasi cosa: una scritta, una foto, un orologio, nulla.  
Con l’indice e il pollice della mano destra feci una leggera pressione per aprirlo ed evitare di danneggiarlo ulteriormente.
Click. I due scomparti si aprirono.
In quello sinistro vi era incisa una frase in francese: “Plus Que Ma Propre Vie.”
Più della mia stessa vita.
Nello scomparto destro c’era una foto: io, piccola. Riuscii a riconoscermi perché quando mi svegliai avevo quei tratti, più o meno. Ma nella minuscola foto non ero l’unica ad essere stata immortalata.
Ai lati ero stretta da Edward e Bella, inalterati dal passare del tempo. I volti erano felici e pure il mio.

 
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Twilight / Vai alla pagina dell'autore: Bellamy