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Autore: VaniaMajor    26/03/2021    4 recensioni
Kagome possiede un portafortuna. Non avrebbe mai immaginato che a causa sua sarebbe stata portata in un altro mondo, coinvolta in una guerra orribile e legata misteriosamente a un demone dai capelli d'argento...Ma chi è il Principe dai capelli neri dei suoi sogni? Perchè la sua onee-chan deve soffrire tanto? E c'è speranza di tornare a casa...viva?! La ricerca delle Hoshisaki è iniziata. Una AU di Inuyasha e della saga di Cuore di Demone!
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Author’s note: Quanto è difficile questa fanfiction! Non ci crederete, ma forse è una delle più complicate che abbia mai scritto. Ci sono così tante cose da dire! Preparatevi a un discreto numero di capitoli davanti a noi, ormai i preliminari sono belli e conclusi e ci buttiamo a capofitto in questa storia di guerra e amore! Si va!
 
CAPITOLO 12
I DUE PRINCIPI
 
Partirono in tutta fretta quello stesso pomeriggio. Sesshomaru non volle alcuna scorta, quindi preparare quanto occorreva per il viaggio non fu per Jaken un lavoro difficile, tanto più che la prospettiva di poter finalmente seguire il proprio padrone dopo tanti anni confinato a fare il badante dell’Erede di En lo aveva riempito di gioia. I fratelli avrebbero voluto andare soli, ma Kagome si rifiutò di rimanere al castello per chissà quanto tempo in attesa degli eventi, Sango ricordò loro che si era presa l’incarico di proteggere la Portatrice di Shinsetsu e Miroku chiese a Sesshomaru di poter tornare al suo servizio, magari esercitando le proprie abilità per ricoprire il medesimo ruolo di Sango verso il neko-yokai che ora portava Junan.
«Un aiuto in più non farà male, no? Naraku ha già sottratto Junan a En una volta, se ricordo correttamente, e sfruttare la mia maledizione per mettergli il bastone tra le ruote non potrà arrecare danno né a te né a questo gatto dorato. In fondo, l’Imperatore di En non potrà fargli da balia finché tutte le Hoshisaki non saranno attive, giusto?» lo aveva blandito il monaco. Era rimasto sorpreso e insospettito dal lampo rovente che era passato per un attimo negli occhi di Sesshomaru a quelle parole, uno strano miscuglio d’ira, rimpianto e frustrazione che non gli si addiceva affatto, ma poi lo yokai aveva acconsentito a trascinarsi dietro quel gruppo di esseri umani senza fare troppe storie. Aveva fretta e nessuna voglia di discutere. Miroku non aveva fatto domande, ma la sua mente acuta aveva incamerato quanto osservato, in attesa di mettere insieme i pezzi. Doveva esserci qualcosa di mai raccontato riguardo alla perdita dell’Hoshisaki della Passione, scomparsa a breve distanza dalla morte di Kikyo. Qualcosa che aveva lasciato una cicatrice perfino in uno yokai gelido e impenetrabile come Sesshomaru.
Fu subito chiaro che nel gruppo di viaggio ognuno faceva quello che gli pareva. Sesshomaru si spingeva sempre molto più avanti di tutti gli altri, a volte volando, e chi lo seguiva ne distingueva a malapena la scia in cielo, segnata dalla massa morbida e pelosa che gli avvolgeva la spalla e a cui si teneva aggrappato Jaken. Stava nelle vicinanze solo di notte, quando si accampavano, e di rado rivolgeva la parola a qualcuno. Si era chiuso a chiave dietro pensieri cupi che non condivideva e la cosa stava facendo imbestialire Inuyasha. Il Principe di En correva con una velocità sorprendente, ma inferiore a quella del fratello maggiore, e dietro di lui veniva Kirara, che era costretta a portare in groppa tutti gli esseri umani e il piccolo Shippo. Il demone volpe aveva provato a trasformarsi in una palla volante il giorno della partenza, ma dopo un paio d’ore, in cui aveva trasportato Miroku, si era arreso all’evidenza ed era tornato se stesso. La compagna di Sango, quindi, era costretta a un superlavoro che la stava stancando parecchio ma nessuno aveva osato tentare di chiedere un rallentamento nella marcia ai due governanti di En.
Nemmeno Inuyasha parlava molto, anche se non gli era consentito ignorare del tutto coloro che gli correvano accanto. Non partecipava granché alle loro conversazioni, ma non poteva fare a meno di ascoltarle e in pochi giorni aveva imparato molte cose su quello strano trio. Miroku, il monaco, aveva ottimi motivi per odiare Naraku. Lo aveva sentito parlare della maledizione nel palmo della sua mano e il tono frivolo non gli aveva impedito di capire quanto quel giovane uomo vivesse nel terrore della morte e nella sete di vendetta. Non aveva ancora deciso se ammirare il suo coraggio o ritenerlo uno sciocco, visti anche i siparietti in cui si produceva ogni tanto con una o entrambe le ragazze. La Cacciatrice era più facile da capire. Era una di quei rari Ningen votati al dovere e dotati di spirito e intelligenza. Inuyasha aveva conosciuto la sua tribù e gli era capitato di combattere avendoli a fianco, quindi la giovane non gli dispiaceva. La Portatrice di Shinsetsu era tutto un altro affare.
Inuyasha faceva fatica persino a guardarla. La sua voce gli penetrava nelle orecchie, la sua presenza lo rendeva terribilmente nervoso. Sapeva di non doverla confondere con Kikyo, ma i suoi ricordi erano ancora troppo brucianti e non voleva avere nulla a che fare con lei. Ora conosceva i dettagli del suo arrivo a En, ma non aveva fatto commenti. Anzi, non le aveva più rivolto la parola. Ogni tanto, si accorgeva che i suoi occhi, grandi e puri, rimanevano fissi su di lui oltre la luce del fuoco, come se lei stesse osservando un mistero. Altre volte, dalla groppa del demone gatto, gli scoccava occhiate in cui brillava una rabbia offesa e frustrata. Beh, almeno non era il solo a provare certe cose!
Quella sera, Inuyasha tentò inutilmente di parlare con suo fratello di Junan. Gli bastò andare vicino a nominare la piccola umana che tanti anni prima era stata la protetta di Sesshomaru per vedere il fratello allontanarsi in volo senza una parola, lasciandolo lì come un povero sciocco. Ringhiando di frustrazione, Inuyasha tornò al fuoco e si lasciò cadere seduto a terra, con la schiena contro un albero e le braccia conserte.
“Perché non vuole raccontarmi di Rin? Cosa diavolo può essere successo?! – pensò, non per la prima volta – Questo non è un comportamento normale da parte sua, come del resto non lo era tenersi quel cucciolo di ningen in giro per il Palazzo!” Vero che, in otto anni, Rin era cresciuta fino a diventare un’allegra e spigliata sedicenne…ma per lui era sempre quella bambina acciaccata che nemmeno parlava e rimaneva attaccata alla gamba di Sesshomaru come se non potesse vivere senza. Sospirò, avvertendo suo malgrado una fitta di dispiacere. Si era affezionato a sua volta a quella piccola sfortunata.
In quel momento, un profumo dolcissimo gli riempì le narici, seguito a ruota dal corpo di qualcuno che si inginocchiò accanto a lui. Mani bianche e delicate entrarono nel suo campo visivo, tendendogli una ciotola fumante.
«È pronta la cena, Inuyasha» disse Kagome, con voce dolce. L’hanyo, se possibile, assunse un atteggiamento ancora più chiuso.
«Non ho fame» mentì.
«Oh, andiamo! Devi pur mangiare qualcosa! Sarai anche un hanyo, ma tutti hanno bisogno di mangiare! – sbuffò Kagome, allungando di nuovo la scodella sotto il suo naso – È buono, sai? Miroku cucina bene!»
«Ho detto che non ho fame» ribadì Inuyasha, guardando altrove, cocciuto. Un attimo dopo, le stesse mani che prima gli tendevano la scodella si serrarono sulle ciocche di capelli argentati che gli scendevano sulle spalle e tirarono forte, strappandogli un’esclamazione di sorpresa e dolore e costringendolo a voltarsi. Si ritrovò a pochi centimetri dal volto di lei e, anche non volendo, perse un battito di cuore. Di nuovo, notò quanto somigliasse a Kikyo. Di nuovo, gli balzarono agli occhi le differenze.
«Ehi, mollami! Come ti permetti, maleducata?!» sbottò Inuyasha, afferrandole i polsi per costringerla a lasciarlo andare. Erano sottili, caldi. Sentiva il sangue pulsare nelle vene delicate sotto la pelle.
«Sarei io quella maleducata?! E tu, che guardi altrove mentre ti parlo, cosa saresti?! Mi odi così tanto da non riuscire nemmeno a guardarmi?!» gli disse lei, aggressiva. Con allarme, Inuyasha vide che i suoi occhi si stavano riempiendo di lacrime.
«Cosa…ehi…non piangere. Non piangere, stupida!» le disse, allarmato senza nemmeno sapere perché. Lei lo lasciò andare e si alzò in piedi di scatto, sfuggendo a una stretta che si era fatta debole.
«Mi chiamo Kagome!» gli ricordò, caustica, poi si allontanò e tornò al fuoco, dandogli le spalle e lasciandogli vicino la scodella, che si era un po’ inclinata su una radice ma era ancora piena. Inuyasha soffocò la voglia di risponderle a tono perché non credeva che avrebbe sopportato di vederla piangere, poi si alzò e andò a passeggiare nella foresta buia. Tutto, pur di sottrarsi agli sguardi fin troppo consapevoli e pietosi del monaco e della Cacciatrice.
Quando tornò, parecchio più tardi, dormivano tutti tranne quest’ultima. Per un po’, rimasero in totale silenzio. Inuyasha iniziava a pensare di potersi rilassare almeno un po’ quando Sango si alzò dalla sua postazione di guardia e lo raggiunse, abbassandosi rispettosamente su un ginocchio.
«Per favore, lascia stare questa roba. – disse Inuyasha, sbuffando – Che c’è? Se vuoi dormire, fai pure. Sto io di guardia».
«Vorrei parlare di Kagome, Inuyasha-sama…»
«Non ti ci mettere pure tu! Non riuscirete mai ad avvicinarmi a quella ragazza, mettetevelo in testa!»
«Inuyasha-sama, Kagome non è Kikyo. – gli ricordò Sango, corrugando le sopracciglia su quegli occhi tanto seri e posati – Capisco benissimo il vostro rancore, ma lei ne è vittima innocente. Non è giusto, tenuto anche conto del fatto che Kagome è legata a voi».
«Non bisogna credere a tutte le fesserie collegate alla leggenda delle Hoshisaki» brontolò Inuyasha, a disagio. Lui per primo non ci aveva mai creduto, salvo poi cadere vittima di quell’elusivo ma bruciante sentimento che lo aveva portato a essere alla mercé della miko traditrice. “Ma ti ha davvero tradito?” chiese una voce fastidiosa. L’ipotesi che tutto fosse stato orchestrato da Naraku lo aveva riempito di ulteriore confusione e gli faceva paura, perché senza il paravento dell’odio non avrebbe saputo come affrontare la morte di quelle che erano state le sue speranze.
«Forse no, ma Kagome è stata chiamata da voi, Inuyasha-sama. La luce gialla che l’ha avvolta e trasportata a En era quella della vostra Hoshisaki» insistette la Cacciatrice.
«Una cosa fatta inconsapevolmente, te l’assicuro.- fu la secca replica di Inuyasha – Non capisco come la Gentilezza possa essere in mano a una ragazza dal simile caratteraccio».
«Kagome è una brava ragazza. Quando ha conosciuto mio fratello…- la voce di Sango tremò, mentre si voltava a guardare la figura addormentata della giovane – Lei ha capito. Pochi avrebbero dimostrato la stessa empatia e io sento un debito di gratitudine nei suoi confronti. Vorrei aiutarla a trovare il proprio posto nelle cose, qui a En. Si trova costretta ad aiutarci, mentre vorrebbe solo riabbracciare la propria famiglia».
«Non è né la prima né l’ultima a dover perdere tutto in questa guerra» fu l’amaro commento di Inuyasha. Sango lo guardò dritto negli occhi.
«No, è vero…Io ho perso la mia famiglia. Miroku-sama sta perdendo la vita. E voi, Inuyasha-sama, avete perso la vostra fiducia negli esseri umani. Non siete più il Principe di En di cui parlano le storie» mormorò, facendolo avvampare mentre una mano scendeva a serrarsi sull’elsa di Tessaiga. Non ricevendo altra risposta che uno sguardo rovente, Sango si alzò e gli diede le spalle per tornare al suo posto di guardia, poi si voltò come per un ripensamento.
«Una domanda ancora, Inuyasha-sama…Nel momento in cui Kagome è stata trascinata a En, non ha visto solo la luce di Yuuki ma anche il volto di un giovane dormiente. Ne sapete qualcosa?» chiese, perplessa.
«Come sarebbe, un giovane dormiente?» disse Inuyasha con asprezza, desideroso di concludere quella conversazione che andava a toccare tutti i suoi nervi scoperti.
«Un ragazzo giovane, forse nemmeno ventenne. Lunghi capelli neri, un abito rosso come il vostro. Kagome ormai ne ricorda i lineamenti a malapena, ma…se è solo Shinsetsu a essere legata a voi, forse Kagome è qui per incontrare quel giovane. Sapreste aiutarmi?» Le rispose solo un silenzio tombale e, con un mezzo sospiro, Sango chinò la testa. Ci aveva provato. «Come non detto. D’altronde, se il ragazzo è un essere umano e voi avete dormito per cinquant’anni…Buonanotte, Inuyasha-sama».
Tornò al fuoco, ignara di lasciare dietro di sé un Principe di En pietrificato e col cuore che batteva impazzito, gli occhi d’ambra fissi con un misto di meraviglia e terrore sulla figura addormentata di Kagome.
***
«Puoi ripetermi che ci facciamo qui?» chiese Jakotsu, annoiato, dondolando la gamba nuda in aria mentre scrutava l’accampamento oltre la barriera della foresta. La notte stava per terminare. Si avvertiva una tensione nuova, quella sorta di vibrazione che precede il primo schiarirsi del cielo. Bankotsu, che era seduto sull’erba poco più in basso ed era intento a lucidare la sua Banryu, si lasciò scappare un mezzo sorriso.
«Liberiamo Naraku da una seccatura.- rispose colui che era stato il capo dei mercenari Shichinin-Tai – Una cosa da poco, a sentire lui».
«Non ricordo che ci abbia mai mandati in giro per cose da poco» sbuffò Jakotsu, corrugando la fronte.
«No, infatti» ammise Bankotsu, senza cambiare tono. Alzò l’enorme alabarda, poi, soddisfatto, mise via la propria attrezzatura. Il suo sguardo tornò sull’accampamento e si fece duro, indagatorio. «Kagura si è lasciata alle spalle un guaio. Naraku non ha dato spiegazioni, ma che possa perdere l’Hoshisaki che mi tiene in vita se non c’entra qualcosa con quella forma orribile che è tornato ad avere».
Jakotsu emise un verso di disgusto.
«Un vero schifo, sono d’accordo. Comunque, non ho capito perché ha mandato noi: se Kagura non ha finito il proprio lavoro, poteva costringerla a farlo! Si sta ammorbidendo troppo con quella strega e lei ne approfitta!»
«Ammorbidendo? No…Non si fida, Jakotsu.- mormorò Bankotsu, che a quanto pareva non rifletteva per la prima volta sui recenti sviluppi – Non ti sei accorto che da qualche anno a questa parte non affida mai a Kagura missioni in cui possa incontrare Sesshomaru?»
Jaken scoppiò in una risatina acida e sciocca, lasciandosi scivolare in una posa languida sul ramo.
«Oh, certo che me ne sono accorto! Se non avesse in petto l’Indifferenza, quella stupida sarebbe già caduta ai piedi del sovrano di En! Beh, in effetti è un tipo affascinante, ma non è il mio genere. Io preferisco bellezze più maschie, come quel Miroku. Chissà se il Principe di En somiglia a suo fratello oppure se mi riserverà una sorpresa? Pensi che li vedremo oggi?» sospirò Jaken, le mani a coppa sulle guance e lo sguardo sognante. Bankotsu rise.
«Forse, se quello che questi monaci nascondono ha importanza anche per loro. Comunque, Naraku sente puzza di tradimento, ecco perché tiene Kagura a freno» finì. Jakotsu tornò a tirarsi a sedere, di nuovo serio.
«Quello ha il naso fino. Meglio stare sul chi vive, Bankotsu» disse, e l’altro annuì senza necessità di chiedere chiarimenti. Ovviamente, anche loro stavano progettando di tradire Naraku. Senza la regia di quel perverso hanyo, ognuno di loro avrebbe potuto godere della vita e dei poteri regalati dalle Hoshisaki di Gake senza tanti ripensamenti. I due mercenari avrebbero ripreso più che volentieri la vita violenta e stimolante che era stata strappata loro tanti anni prima.
«Dai, andiamo» disse Bankotsu, incamminandosi con passo sciolto e naturale verso l’ordinato gruppo di tende, l’alabarda posata su una spalla come se pesasse poco o niente. Jakotsu saltò giù dal ramo e gli corse alle calcagna, sfoderando la sua Jakotsuto con un sorrisetto sanguinario.
«Sono solo monaci, giusto? – chiese, leccandosi le labbra imbellettate – Non mi sorprende abbia mandato noi due».
«Già, di fronte alle nostre lame…» mormorò Bankotsu, sorridendo a sua volta con espressione micidiale «…saranno solo carne da macello».
***
Poco prima dell’alba, stranamente, Sesshomaru tornò a unirsi al gruppo. Lo avevano perso di vista il giorno prima verso le dieci del mattino e da quel momento non si era più palesato, tanto che avevano pensato fosse giunto a Ojohi prima di loro. Invece era tornato, senza una parola o una spiegazione. Aveva solo pattugliato il territorio per avere la certezza di non essere seguito da spie di Naraku? Oppure non intendeva raggiungere Ojohi da solo? La cosa era sospetta, perfino secondo Inuyasha. Ormai desti, tutti si prepararono a rimettersi in viaggio. Sango mormorò a Miroku: «Cosa pensate abbia trattenuto Sesshomaru-sama? Ojohi è a poco più di una giornata di viaggio da noi, pensavo avesse fretta…»
«Ce l’ha, ma non mi sembra possegga una voglia di mettere le mani su Junan corrispondente alla sua fretta» rispose Miroku, badando bene a tenere la voce più bassa possibile. L’Imperatore di En aveva un udito straordinario e, per quanto Jaken stesse facendo abbastanza baccano discutendo con Inuyasha, era meglio non rischiare di essere uditi.
«Non ho capito» intervenne Kagome, perplessa «Perché non dovrebbe volere Junan?» Sia Sango che Miroku le fecero segno di sussurrare.
«Cinquant’anni fa Sesshomaru-sama aveva raccolto tutte le Hoshisaki, a parte Shinsetsu. So che aveva delle difficoltà con quella che risiede nella sua spada, ma la situazione era rosea per la nostra causa. Se Junan è uscita dalla sua sfera d’influenza, significa che chi la portava è morto senza poter lasciare la propria eredità a En» disse Miroku, mettendo le due ragazze a parte dei propri ragionamenti.
«Questo non spiega comunque perché non dovrebbe avere una gran voglia di metterci le mani sopra. Anzi, vista la situazione non dovrebbe stare nella pelle! In fondo, non ha organizzato la partenza in tutta fretta?» disse Shippo. Per lui, quella dimostrazione di noncuranza non aveva alcun senso.
«Forse è avvenuto qualche mistero di cui non siamo a conoscenza, oppure stiamo sbagliando ipotesi» mormorò Sango. Poco distante, Inuyasha aveva udito tutto anche al di sopra delle chiacchiere di Jaken e una parte di lui si trovò non solo ad apprezzare l’acume dei tre ningen, ma a desiderare a propria volta di svelare l’arcano. La voglia di affrontare Sesshomaru di petto e chiedergli di Rin lo solleticava moltissimo, anche se per il momento la sua testa era altrove. Le cose che la Cacciatrice gli aveva detto durante la notte lo avevano sgomentato e portato a fare congetture di ogni tipo. Guardò la giovane dai capelli corvini, poi distolse lo sguardo quasi con rabbia, rimproverandosi.
“Quello che ha visto non ha alcuna importanza” si disse per l’ennesima volta. Eppure, qualcosa in lui aveva voglia di credere che non fosse così. Era l’ennesimo indizio che qualificava la ragazza per la reincarnazione di Kikyo e lo aveva riempito di un’emozione che non sapeva decifrare.
«Nemmeno mi ascolti! È questo il ringraziamento per gli anni che ti ho dedicato?!» sbottò Jaken, che finalmente si era accorto di parlare all’aria.
«Ti ringrazierò il giorno in cui imparerai a stare zitto» sbuffò Inuyasha, a sua volta interrotto da Sesshomaru, che era entrato nel cerchio di luce del fuoco.
«Andiamo» disse, lapidario. Tutti annuirono, mentre Inuyasha scrutava il fratello con oscuro cipiglio, morendo dalla voglia di aprirgli quella testaccia dura per vedere cosa vi nascondeva dentro. Kirara, il demone gatto, si trasformò con un mugolio stanco.
«Coraggio, amica mia…dovrebbe essere l’ultimo giorno di marcia.» la consolò Sango, accarezzando il suo pelo color crema.
«Perdonami, Kirara! Se solo fossi più forte, potresti portare solo le ragazze» sospirò Shippo, dispiaciuto. Fu in quel momento che tutti gli yokai presenti alzarono il viso al cielo.
«Che succede?» chiese Kagome, allarmata.
«Odore di fumo. – mormorò Shippo, preoccupato – Non è il nostro fuoco, questo è odore di incendio.»
Videro Sesshomaru balzare sul ramo di un albero e portarsi in cima con un paio di salti per poi stare ritto contro il cielo che ingrigiva, scrutando l’orizzonte. Inuyasha lo raggiunse dopo un istante, con Jaken aggrappato alla schiena. Ciò che vide gli strappò una smorfia e un basso ringhio. Non molto lontano da lì, qualcosa andava in fiamme. Sotto all’odore di bruciato, molto labile, il vento portava anche quello del sangue
«È Ojohi, vero?» chiese al fratello, il cui volto era imperscrutabile. Jaken rispose per lui.
«È proprio l’accampamento! I monaci sono tipi tosti. Per quanti demoni abbia mandato, Naraku non dovrebbe essere in grado di prendersi Junan, però…» gemette, guardando il padrone con timore.
«Le zampe di quel Naraku sono troppo lunghe. Bisogna strapparle» fu la replica di Sesshomaru, che si alzò in volo. Il demone rospo fece appena in tempo ad aggrapparsi alla coda come al solito, finendo per ciondolare nel vuoto al seguito dell’Imperatore di En. Inuyasha, con un’imprecazione, si affrettò a scendere dall’albero. Gli altri stavano già salendo in groppa a Kirara, ma era ovvio che il neko-youkai non era in grado di fare uno sforzo prolungato che quasi di certo sarebbe culminato in un combattimento.
 Inuyasha tentennò un istante, poi si fece avanti.
«Ehi! Tu, ragazza! Oggi ti porto io» disse, sgarbato. Tutti si voltarono verso di lui. Kagome lo fissò con tanto d’occhi, si guardò attorno, poi puntò l’indice sul proprio petto, incredula. «Sì, sì, tu! È ovvio che parlo con te! – sbottò Inuyasha, chiedendosi cosa mai gli stesse passando per la testa – Oggi ti porto io, altrimenti il demone gatto ci schiatta per strada. Muoviti!»
«Sei sicuro?» chiese Kagome, allibita.
«Avanti, non abbiamo tempo per le chiacchiere!» la esortò, abbassandosi per caricarla sulla schiena. Kagome si avvicinò, titubante, e non appena ebbe posato le mani sulle sue spalle sentì la presa di lui serrarsi dietro le ginocchia e venne sollevata da terra con tanta energia da costringerla a passargli le braccia attorno al collo, in una presa ben più confidenziale di quanto aveva immaginato e che la fece arrossire.
«Si va!» disse l’hanyo, scattando in corsa sulla scia del fratello maggiore. Si inoltrarono nella foresta ancora buia, subito seguiti da Kirara, sollevata dalla possibilità di portare un peso meno gravoso. Kagome si accorse subito di non dover temere di cadere in quella corsa sfrenata: la presa di Inuyasha era salda, la sua schiena ampia e calda. Quando i capelli d’argento le sfiorarono il viso, le sembrò di ricevere una carezza. Si riscosse, rimproverandosi, e scrutò di sottecchi il viso corrucciato e teso dell’hanyo.
«Posso dirti che questa tua gentilezza mi suona sospetta?» gli disse.
«Feh! Non abituartici. Non volevo che ci rallentaste, ecco tutto» fu la risposta di lui, non molto diversa da ciò che si era aspettata. Kagome alzò lo sguardo e intravide tra le cime degli alberi la sagoma bianca di Sesshomaru stagliarsi contro il cielo che si faceva sempre più chiaro.
«Ci sarà battaglia?» si trovò a chiedere.
«Forse. Cos’è, hai paura?»
«Qui ci sono persone, più gentili di un certo Principe di En, che hanno promesso di proteggermi. – gli disse lei, con una linguaccia – E poi, pare che il mio uso del potere di Shinsetsu non sia affatto male. Potrei stupirti».
«Contro Naraku? Non credo proprio, ragazzina».
«Mi chiamo Kagome! – sbottò lei, esasperata per il suo rifiuto di chiamarla per nome – Dovevo proprio finire legata a un buzzurro come te, quando l’altro sembrava così gentile e…»
«L’altro, chi?» la interruppe Inuyasha. Kagome avvampò per l’intensità dell’occhiata che le lanciò da sopra la spalla. «Allora? Chi sarebbe quest’altro tizio? La Cacciatrice mi ha detto qualcosa di questo tuo principe ideale…»
«Smettila! Perché lo prendi in giro? Nemmeno lo conosci!» disse Kagome, paonazza e indignata. Avvertì un brivido sgradevole alla risata amara di Inuyasha.
«Se è per questo, non lo conosci nemmeno tu» la derise. Kagome si incupì.
«Purtroppo no. Nessuno ha saputo dirmi niente di lui, non so nemmeno se esiste davvero. Però, visto che sono costretta a restare a En, lo cercherò. Anche lui mi ha chiamata, sono sicura che abbia bisogno di me e che sia un ragazzo buono, e gentile» disse, decisa.
«Se ti può servire a sopportare la situazione, sogna pure…Attenta che il risveglio, gran parte delle volte, è brusco. Te lo dico per esperienza» borbottò Inuyasha. Kagome ristette. Qualcosa, nella sua voce, l’aveva lasciata perplessa e aveva toccato corde profonde nel suo cuore. C’era in essa un sentimento oscuro che non aveva nulla a che fare con la derisione, ma non riuscì a decifrarlo perché in quel momento Inuyasha saltò i tronchi di due alberi caduti e le fece perdere il fiato e la presa.
«Tieniti forte, ragazzina!» la sgridò Inuyasha, e Kagome si affrettò ad obbedire. Non si rivolsero più la parola finché non giunsero all’inferno di fiamme e morte che era diventato l’accampamento di Ojohi.
   
 
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