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Autore: Eevaa    28/03/2021    7 recensioni
Vincitrice del "Premio voto popolare" dei Ciambella Awards 2020-2021
«Ci pensi mai a cosa sarebbe accaduto se le cose fossero andate in un altro modo?» domandò Goku.
«Intendi se tu non fossi stato così imbecille da risparmiare la vita ad un pazzo assassino pericoloso – come fai sempre, del resto – lasciandolo salpare alla volta dell'universo dopo che ha ammazzato la metà dei tuoi alleati? Oh, a volte ci penso» rispose Vegeta, cinico. Come non pensarci? Diciannove anni prima, in quell'esatto deserto, Kakaroth l'aveva lasciato vivere. E il resto era storia.
«Beh, se non avessi risparmiato quel pazzo assassino, a quest'ora non avrei un fratello».

Vegeta detesta i sentimentalismi. È il principe del cinismo per eccellenza, così emotivamente incapace da non riuscire a esprimere gratitudine o affetto nemmeno nei confronti delle persone a lui più care.
Un evento inaspettato e doloroso, però, lo porterà a un lungo percorso di riflessione su se stesso. Un nuovo cambiamento, una presa di coscienza.
[Post-Torneo del Potere] [No-spoiler alle nuove saghe del manga] [BROTP]
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Goku, Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Disclaimer:
Questa storia non è scritta a scopo di lucro.
I personaggi usati e tutto ciò che fa parte dell'universo di Dragon Ball sono di proprietà di Akira Toriyama© e Toei Animation©.
Non concedo, in nessuna circostanza, l'autorizzazione a ripubblicare questa storia altrove, anche se creditata e anche con link all'originale.
I diritti delle immagini non mi appartengono.
Nessun copyright si intende violato.
 


I've got you, brother -


Capitolo 4
Buio


Aveva atteso che tutti dormissero profondamente. Aveva dato un bacio sulla fronte a Bulma e l'aveva avvisata che quella notte, forse, non sarebbe tornato a letto.
Poi si era incamminato.
L'ala medico-scientifica distava a malapena cinque minuti a piedi in giardino, ed erano stati i cinque minuti più lunghi della sua vita. La notte, fitta di stelle, gli aveva ricordato di camminare a testa alta. Anche verso il patibolo. Beh, non il suo.
Era stata sua madre Echalotte a insegnargli che le promesse vanno sempre mantenute e, se non si è certi di qualcosa, meglio stare zitti. Non promettere. Era una delle poche cose che ricordava di sua madre, e una delle poche cose che gli erano rimaste di lei.
Un insegnamento prezioso.
Una promessa è una promessa. Aveva giurato a Kakaroth che, quando non ci sarebbe stato davvero più niente da fare, gli avrebbe alleviato le sofferenze e l'avrebbe accompagnato nell'Aldilà con dignità. E l'avrebbe fatto.
La fine degna per un grande guerriero.
Camminò lentamente lungo il vialetto e, come poche volte aveva fatto in vita sua, pregò qualcuno lassù di dargli delle forze. Poi si diede dell'imbecille, perché lui era già forte. Lui le aveva già le forze per fare qualsiasi cosa. Quindi riformulò la preghiera e pregò qualcuno di fargliele solo trovare. Se mai qualcuno si fosse degnato di dargli una mano. Ne dubitava.
Forse, alla fine, sarebbe stato lo stesso Kakaroth con qualche battuta imbecille, una delle sue, a farlo incazzare deliberatamente e rendergli quindi più facile quel compito. Se mai Kakaroth fosse riuscito a emergere dallo stato di incoscienza.
Cosa gli avrebbe detto, in quel caso? Quali sarebbero state le ultime parole?
Cosa dire a una persona che muore?
Esclusi sentimentalismi, naturalmente. Piuttosto che dirgli che gli sarebbe mancato si sarebbe ingoiato una delle palme tra le quali stava passeggiando. Decise che avrebbe improvvisato al momento. Un momento sempre più vicino. Sperò solo di non mettersi di nuovo a frignare come un moccioso, non davanti a lui.
Camminò lento nascondendo a se stesso di stare deliberatamente procrastinando, poi prese un fitto respiro e guardò la luna.
Sono pronto. Sono pronto. Non sono pronto.
Inutile aspettare il momento in cui lo sarebbe stato, non lo sarebbe mai stato. Meglio agire d'istinto.
Si incamminò velocemente verso l'entrata del padiglione con una catena al collo e un macigno nel petto.
A noi due, Kakaroth.
Tuttavia, quando stava per convincersi a entrare e fare quanto promesso, notò con lo sguardo una figura seduta su una panchina, poco distante.
Chichi.
Cosa cazzo ci faceva lì a quell'ora della notte? E con quel freddo, per giunta?
Ma, soprattutto... merda!

«Chichi?» domandò, sottecchi, avvicinandosi un poco alla panchina.
Lei alzò la testa lentamente e lo guardò. Sembrava stanca.
«Ciao, Vegeta».
Ci volle poco per realizzare che non si fossero mai trovati a parlare da soli. Forse non si erano praticamente mai rivolti la parola se non in una conversazione con altri. L'aveva sempre trovata persino odiosa, a tratti. Ma, considerando che lui trovasse odioso praticamente il 99% della popolazione mondiale – se non universale - non c'era da stupirsi. Tutto nella norma.
«Fa freddo per un terrestre stare qua fuori» convenne Vegeta. Si gelava, e la donna indossava un semplice kimono a maniche lunghe con un maglioncino sulle spalle.
«Sono più forte di quanto tu creda» rispose, lapidaria, senza alcuna espressione in volto.
Poi gli fece cenno di sedersi. Vegeta non riusciva a comprenderla, né capire quell'atteggiamento. Ma, diavolo, chi era lui per sindacare come ci si dovesse comportare? Non era un esperto neanche a fare normale conversazione, figurarsi a dialogare con una donna che di lì a poco si sarebbe ritrovata vedova.
Si sedette con riluttanza, molto distante, con le braccia incrociate. Rigido come un tronco, naturalmente. Rimasero in silenzio per qualche minuto poi, quando Vegeta iniziò a domandarsi perché diavolo fosse finito lì e ci fosse rimasto, Chichi parlò di nuovo.
«Ero una guerriera anche io, lo sai? È così che ho conosciuto Goku».
Oh, già. I tornei di Tenkaichi.
C'era una tristezza velata nello sguardo della donna, e come biasimarla.
«Bulma me lo ha accennato» grugnì sua maestà. Ancora non capiva perché gli stesse raccontando ciò. Forse aveva solo voglia di parlare e, che gran sfortuna, aveva trovato il peggior ascoltatore sulla faccia della Terra. Poveretta.
«Sono abbastanza forte per affrontare anche questa situazione. Lo devo fare per i miei figli, soprattutto Goten».
Buongiorno perspicacia, finalmente Vegeta comprese il nesso. Talvolta si domandava se a stare in compagnia di quel deficiente di Kakaroth non l'avesse fatto diventare un poco scemo. Oh, tanto quella cosa sarebbe andata a risolversi a breve, no?
Vegeta sospirò di amarezza a quei pensieri e alle parole di quella donna.
«Goten è abbastanza forte. Lui... ha Trunks» si sforzò di dire, ma in realtà le parole gli uscirono abbastanza facilmente. Oramai il canale emotivo era stato spolverato, quella sera. «E poi voi... potrete stare qui, immagino».
Ne avevano discusso lui e Bulma, due notti prima. Non avrebbero potuto lasciarli tornare su quelle montagne da soli, non dopo un così grave lutto.
«Ah... quindi ti sei arreso anche tu?» disse Chichi, voltandosi lentamente verso di lui.
Quelle parole lo colpirono dritto in faccia, quasi come uno schiaffo a mano aperta.
«Che-»
«Tra tutti, speravo che tu fossi l'ultimo a perdere le speranze».
Vegeta rabbrividì. Guerriera o non guerriera, Chichi sapeva fare molto male con le parole.
«Sai com'è... tutta questa storia del genoma dei saiyan, razza di fieri combattenti che non si arrendono fino alla fine» parlò di nuovo. Non c'era alcuna rabbia nelle sue parole, forse solo rassegnazione, delusione.
«Cosa stai dicendo?» soffiò Vegeta.
Stava tornando. Il panico stava tornando e lui non era pronto, non era pronto a farsi vedere in quello stato davanti a qualcuno.
«Sto dicendo che se anche tu ti sei arreso, allora vuol dire che per mio marito è finita per davvero» concluse lei, amaramente, poi tornò a guardare le stelle.
Sua maestà fece per aprire la bocca e dire qualcosa, ma la sua gola era chiusa. Completamente otturata.
Come avrebbe potuto dirglielo che era proprio per quello che si trovava lì? Come avrebbe potuto dirle che lui si trovava lì per porre fine alla vita di suo marito?

Cazzo. Di nuovo. Non respiro.
Il peso sul petto di nuovo troppo opprimente, la gola stretta, le mani tremanti, sudori freddi.
Non c'era più niente da fare e Kakaroth sarebbe morto. Sarebbe morto perché lui non aveva trovato nulla. Si era arreso. Fiera razza di guerrieri che non si arrendono fino alla fine e lui aveva decretato che quella fosse la fine.
L'aveva deciso lui.
Si era arreso.
«Mi sono... arreso» balbettò. Fu poco più che un mormorio.
«Vegeta, che ti succede?»
Non respiro.
Troppa responsabilità. Troppo peso. Sarebbe morto. Oh sì, stava morendo. Stava morendo anche lui e avrebbe battuto Kakaroth sul tempo, se non altro sarebbe arrivato per primo, per una volta.
Sarebbe giunto nell'Aldilà prima di lui e buonanotte ai sogna-
Un attimo.
Un. Fottuto. Attimo.
La mente di Vegeta iniziò a vorticare veloce, frenetica. Lampadine accese, ding-ding-ding-Jackpot!, nubi che si sciolgono. Respiro che torna.
Realizzazione.
Si voltò verso Chichi e la prese per le spalle, poi la scosse forte. Eureka!
Ghignò con il peggiore dei sorrisi cinici che avesse nel repertorio, poi la scosse di nuovo.
«Questa volta ho vinto io» ringhiò, con una risata pericolosa.
Chichi, sconvolta, gli restituì lo sguardo con tanto d'occhi, mentre Vegeta rideva. Rideva sempre più forte. Mental-breakdown? No. Molto di più.
«Ehm, forse è meglio che chiamiamo un medico» disse lei, nel tentativo di allontanarsi lentamente come ci si allontana dal pazzo del paese. Oh, lui era eccome il pazzo del paese! Era il pazzo peggiore dell'universo.
«Chiamane una squadra intera» le disse sadico poi, finalmente, smise di ridere e divenne serio.
Aveva vinto lui. Avrebbe vinto.
Avrebbe salvato quel figlio di puttana. Con tanto di dito medio rivolto verso gli Dei.


 
-兄弟愛-


Inutile dire che nessuno si mostrò particolarmente entusiasta della sua idea. C'era da aspettarselo, quantomeno da Bulma. Ma in realtà non si sarebbe aspettato tutta quella riluttanza da tutti gli altri.
Dal nano pelato, ad esempio, con il quale aveva un rapporto di assoluta indifferenza.
Non avrebbe mai pensato di provocare tutto quello sgomento, quando aveva chiamato la cricca di inetti in raduno alle due del mattino, medici e paramedici compresi.
Vegeta, che grande idea! Sei il migliore, sei il nostro re! Ci inginocchiamo ai tuoi piedi!” avrebbe voluto sentirsi dire.
Vegeta, ma sei impazzito?!” si era sentito urlare, invece.
Sua moglie aveva persino osato tiragli uno schiaffo, Chichi si era messa a piangergli addosso e lui aveva dovuto far fronte a tutta la sua buona volontà per non mettersi a inveire contro tutti loro.
Oh, e non ci era riuscito. Aveva sbraitato qualcosa su quanto fossero degli incompetenti inutili irritanti imbecilli e una lunga sfilza di altri insulti che iniziano per i.
Poi si era calmato e aveva spiegato il suo piano alla lettera, passo per passo. Lentamente si erano convinti che, non essendoci altre soluzioni, era effettivamente quanto di più saggio e con meno probabilità di fallimento. Avevano chiamato a sé gli Dei e, udite udite, avevano concordato che quella cosa avrebbe potuto essere fattibile.
Tra i gran sospiri di sollievo di tutti - e una gran soddisfazione per Vegeta di aver trovato un modo di aggirare la burocrazia e l'etica divina - si erano organizzati a dovere: Chichi e Videl si sarebbero occupate di tenere i bambini il più possibile al sicuro e avrebbero spiegato loro il da farsi solo a fatto compiuto e risolto; Bulma, Diciotto e Crilin sarebbero partiti immediatamente con Whis alla volta di Neo Namek e avrebbero radunato le Sfere del Drago Polunga; la dottoressa Hange Brief avrebbe allestito tutto il necessario e preparato la sua équipe e, infine, lui, Gohan e Piccolo sarebbero rimasti lì.


Vegeta si era sottoposto nuovamente a una serie di controlli che avevano dato esiti assolutamente positivi e, finalmente, alle prime luci dell'alba, Whis li aveva contattati e avvertiti che le sfere erano state radunate in poche ore ed erano pronte all'uso.
Il cavillo burocratico con le divinità era stato sciolto, niente sarebbe uscito dagli schemi, le probabilità di fallimento erano poche – anche se c'erano.
Kakaroth... guardami bene: troverò il modo. Tenterò di tutto per farti guarire e prenderti a calci fino a che non ti sarai alzato da qui, fosse l'ultima cosa che faccio”.
Vegeta non si era arreso e, all'ultimo minuto, era riuscito a mantenere quella promessa. E sarebbe stata davvero... l'ultima cosa che avrebbe fatto.
Era pronto. Era tutto pronto.
Colui che, invece, sembrava non essere pronto, era il designato a prendere parte attiva a quel piano. Colui che Vegeta aveva scelto per adempiere a quel compito.
«Tu sei assolutamente certo di quello che mi stai chiedendo di fare, vero?» domandò Piccolo, riluttante com'erano stati anche gli altri, al momento della grande dichiarazione del suo piano.
«Di certo c'è solo la morte e, ops, è proprio quello che ti sto chiedendo di fare» ghignò Vegeta, con un sorrisetto impertinente in volto.
Sì, il suo piano non era nient'altri che quello: lasciarci le penne prima che Kakaroth lo facesse. Non perché avesse delle particolari manie di superiorità e volesse davvero arrivare prima nell'Aldilà, e nemmeno perché avesse qualche tendenza suicida o cose simili.
Semplicemente perché, così facendo, avrebbero potuto utilizzare il suo cuore per il trapianto e salvare Kakaroth da quel destino terribile.
No, nessuna mania da eroe o da grande sacrificio. Era tutto calcolato.
Incredibile che daresti davvero la tua vita per lui” gli aveva detto Chichi, tra le lacrime, e lui si era messo a inveire. Col cavolo che avrebbe dato la sua vita per quel demente! Non senza poi porre rimedio alla cosa.
Era semplicemente disposto a... morire. Per salvare lui.
Vegeta dovette trattenere un conato di vomito a quel pensiero. Che cosa terrificante e sdolcinata!
Anche se, effettivamente, di quello si trattava: sarebbe morto e poi, una volta prelevatogli il cuore dal petto, l'avrebbero resuscitato da Neo Namek.
In fin dei conti la vita dell'idiota valeva una passeggiata di dieci minuti all'inferno.
Aveva scelto Piccolo. Di tutti era l'unico di cui si sarebbe fidato per mandarlo all'altro mondo e, onestamente, era convinto fosse persino una soddisfazione per il namecciano. Un modo di fargli togliere un sassolino da quelle orribili scarpe a punta decisamente fuori moda.
«Devo ammettere che provo sentimenti contrastanti nel fare questa cosa» mormorò Piccolo.
Perché, i namecciani ce li hanno i sentimenti? Avrebbe voluto rispondergli Vegeta. Però si rese conto che era proprio l'ultima delle persone a potersi permettere delle riflessioni emotive.
«Mh. Forse devo ricordarti che sono venuto qui per ammazzarvi tutti?» replicò quindi sua maestà.
«È stato tanto tempo fa. Le cose sono cambiate» puntualizzò Piccolo.
Sul serio erano tutti così attaccati alla sua vita? Sul serio lo avevano perdonato completamente per essere stato il principe dei bastardi?
A giudicare dallo sguardo terrorizzato di Gohan, probabilmente sì.
«Tu fa' finta che io sia ancora quel maledetto figlio di puttana» lo incitò quindi Vegeta, col peggiore dei sadici sorrisi tipici dell'epoca. «Un colpo secco, qui» indicò la fronte, «in mezzo agli occhi».
«Vegeta...» soffiò Gohan, con voce traballante.
E dire che il ragazzo si era offerto di rimanere solo per dare sostegno al muso verde! Hah! Che razza di sostegno avrebbe potuto dargli, con quelle gambe che tremavano come quelle di un moccioso?
«Gohan, non interferire. Se non sei in grado di guardare questa cosa, esci dalla stanza».
«Sì, scusa, Vegeta» rispose, dispiaciuto.
Era stato tutto ben disposto. I dottori erano già tutti fuori pronti a intervenire, a operarlo per asportare il cuore non appena morto. Certo, l'ideale sarebbe stato fare un operazione in concomitanza: estrarlo dal suo petto e ficcarlo direttamente in quello del decerebrato. Ma quello era il primo dei quesiti e possibili fallimenti del piano: e se, una volta resuscitato e rigenerato, il cuore originale fosse scomparso? Non sarebbe stata una grande mossa impiantare a Kakaroth un organo per poi farlo scomparire.
Quindi avrebbero prelevato il suo cuore, l'avrebbero resuscitato e, una volta sicuri di aver visto l'organo integro nella scatola criogenica, l'avrebbero impiantato nel demente. Operazione rischiosa, ma meglio che un pugno di mosche.

«Beh, che aspetti? Una letterina di invito?» ringhiò Vegeta. Non era esattamente una meraviglia starsene lì a torso nudo, in quel laboratorio asettico e refrigerato.
Piccolo lo guardò storto, in piedi, pochi passi d'innanzi a lui.
«Non hai paura?»
Vegeta strinse le labbra. Paura? Lui non aveva paura di niente. Beh, forse giusto quel poco.
Morire non era esattamente l'attività più piacevole dell'universo, ma era qualcosa che andava fatto. Era l'unica possibilità ed era sulle sue spalle. Non avrebbe deluso nessuno e doveva mostrarsi quanto più possibile sereno nei riguardi di quella cosa. Già il suo orgoglio bruciava per essersi esposto così tanto! Almeno doveva fare in modo di risultare piuttosto indifferente.
Un po' come se stesse andando a fare una gita, una visita di cortesia ai suoi vecchi amici bastardi che stavano marcendo tra le fiamme dell'inferno.
Quindi no, la paura avrebbe dovuto tenerla ben nascosta, celata sotto strati e strati di dignità.
«Sono morto altre volte. Ci sono abituato. Beh, non quanto il testa pelata» rispose quindi, con un ghigno.
Piccolo alzò gli occhi al cielo, poi puntò un dito verso di lui.
Merda.
Vegeta alzò il mento e chiuse le dita a pugno. Giusto per non tremare. Ok, forse aveva paura.
Quel dito, quel bagliore puntato dritto in faccia non era esattamente semplice da mandar giù. Il suo istinto e i suoi sensi da combattente gli imponevano di schivare, di parare, di lottare. E invece avrebbe dovuto rimanere immobile a farsi saltare in aria il cervello.
Ok, perché diamine non aveva accettato di farsi addormentare prima? Ah, giusto, perché “io sono il principe dei saiyan e voglio guardare in faccia la morte”.
Che idea di merda.
«Mi risulta più difficile del previsto» ringhiò quindi Piccolo, abbassando leggermente il braccio con un sospiro.
Eh no! Quello non era il momento di desistere e tirarla per le lunghe. Già era una tortura in quel modo! Aveva scelto Piccolo proprio perché era quello meno incline alle smancerie, ai sentimentalismi e tutto il resto. Aveva scelto lui perché pensava avrebbe potuto assolvere al suo dovere senza riserve e invece... ci stava ripensando? Per l'amore dei Kaioh!
«Lo hai capito o no che ogni secondo che perdiamo è un secondo in meno dalla morte di quel deficiente? EH?» berciò quindi Vegeta. «Stupido inutile muso verde!»
«Ti stai impegnando per rendermi più facile il compito, eh» convenne Piccolo, con disappunto.
Oh, beh. Quella in effetti sarebbe stata una grande idea. Quale modo migliore per farsi odiare se non esternare esattamente il disastro disordinato di emozioni che aveva dentro senza alcun filtro? Quale modo migliore se non tornare per un secondo a essere lo spietato assassino del passato?
«VAFFANCULO. Sei un buono a nulla! Un CODARDO! Se non riesci ad assolvere questo compito sei solo un grandissimo codardo! Siete tutti dei codardi! Un branco di incapaci, avrei dovuto ammazzarvi tutti diciannove anni fa!» si mise a urlare il principe. Gohan rabbrividì e indietreggiò di un passo.
Piccolo, invece, alzò nuovamente il braccio e gli puntò il dito in fronte. Ancora troppo, troppo riluttante.
«BRANCO DI BUONI A NULLA, PATETICI!» continuò a urlare Vegeta, con tutto il fiato che aveva in gola. «GIURO CHE SE NON LO FAI UCCIDO GOHAN ADESSO, COSÌ USIAMO IL SUO DI CUORE, OK?! OK?!»
La riluttanza negli occhi di Piccolo svanì, e il suo dito si illuminò di scosse elettriche luminose.
Merda.
Vegeta strizzò gli occhi.
«UNA MERDA DI INSETTO VERDE SCHIFOSO CHE NON RIESCE NEANCHE A UCCIDERE UN BASTARDO COME ME. CHE DELUSIONE, CHE DELUSIONE!» continuò a urlare.
Il ronzio dell'aura di Piccolo si fece più intenso e lui strizzò ancor di più gli occhi.
Merda. Merda. Merda.
Forse non era poi così preparato a quella cosa.
“Non avrei un fratello”.
Ma qualcosa gli diede la forza di esserlo.
Avanti. Ora. Sono pronto.
«PATETICO! SEI PATETICO! MALEDETTO CODAR-»

 
Buio.
 
 
-兄弟愛-

 
Quel figlio di puttana bastardo, cosa diavolo gli aveva chiesto di fare!
Quel bastardo, bastardo, bastardo. Non aveva idea di quanto gli avesse chiesto. Oramai tempo addietro aveva giurato a se stesso di aver abbandonato per sempre la vita dell'assassino, del cattivo. Aveva giurato a se stesso che avrebbe lottato per proteggere, per difendere e per difendersi. Che mai avrebbe commesso un omicidio in vita sua, se non giustificato. Se l'era ripromesso e l'aveva promesso a Gohan.
Piccolo cadde sulle ginocchia, il dito ancora caldo dall'attacco scagliato. Il corpo di Vegeta, riverso sul terreno di fronte a sé, era immobile.
Non aveva mai smesso di sorprenderlo, quel saiyan. L'aveva sorpreso accettando di stare dalla loro parte, l'aveva sorpreso sacrificandosi contro Majin-Bu, l'aveva sorpreso quando aveva scelto di farsi una famiglia, l'aveva sorpreso al Torneo del Potere e... quale sorpresa più enorme di tutti vederlo pronto a morire per un amico.
«Santo Kaioh... l'ho fatto davvero» soffiò Piccolo, sconvolto.
L'aveva ucciso. Beh, non che ci fosse scelta. Sapeva di non averlo fatto per cattiveria, non per male. Gliel'aveva chiesto – l'aveva quasi velatamente supplicato, e non aveva mai sentito Vegeta supplicare per qualcosa – ed era assolutamente a fin di bene. Oltre che provvisorio.
Eppure averlo fatto era comunque sconvolgente.
Gohan, in piedi di fianco a lui, tremava e non sembrava riuscire a distogliere gli occhi dalla carcassa priva di vita del principe dei saiyan.
«Kami...»
«Chiama il team... chiama subito il team» lo spronò Piccolo, apparentemente incapace di alzarsi.
Gohan, come risvegliato, annuì e obbedì all'ordine. Uscì di corsa dalla stanza e diede il consenso ai medici di procedere.
Entrarono in cinque - preparati alla morte apparentemente più di lui - raccolsero il corpo di Vegeta e lo trasportarono nella stanza accanto dandosi a vicenda ordini specifico-tecnici.
Gohan, invece, si sedette accanto a lui. Per terra.
Il sangue di Vegeta di fronte a loro, simbolo di morte e speranza.
«Sei stato coraggioso» gli disse Gohan, mettendogli una mano sulla spalla.
Piccolo prese un denso respiro.
«Quello coraggioso è stato lui».
Lo era stato per davvero. Ma, pensandoci bene, se gli fosse stato chiesto di fare lo stesso per Gohan, lui sarebbe morto senza alcuna esitazione.

 

-兄弟愛-


La stessa maledetta, angosciante sensazione di qualche anno prima. Un dolore fitto, nel petto, un presagio, un avvertimento.
Se l'era sentito allora e lo aveva sentito chiaramente anche in quel momento.
Bulma tremò e deglutì un boccone amaro. Si accovacciò a terra e si prese la testa tra le mani.
«È morto. È morto, è morto, è morto. Kami, è morto» iniziò a mormorare, scossa dal terrore.
«Non disperare, Bulma-san, è solo per pochi minuti» intervenne Whis.
Bulma lo guardò con una strana voglia di omicidio tra le mani.
«È DI MIO MARITO CHE STIAMO PARLANDO!» sbottò.
Poco le importava che sarebbe stato per pochi minuti. Suo marito era morto e solo concepirne l'idea era traumatizzante. Sarà stato che forse in quei giorni il concetto di morte era diventato piuttosto assolutistico – a differenza di come l'avevano sempre concepito, grazie alle Sfere del Drago – ma proprio non se la sentiva di rimanere impassibile a ciò.
Pensare che Piccolo avesse appena fatto saltare il cervello a suo marito era da brividi.
E, esattamente come aveva previsto, la chiamata dalla Terra arrivò nel giro di pochi minuti. Probabilmente il tempo dei dottori di procedere con l'asportazione del cuore. Il cuore che aveva imparato ad amarla sarebbe finito nel petto di qualcun altro. Beh, se non altro era quello del suo migliore amico.
Whis rispose alla chiamata e Bulma si alzò in piedi, di nuovo.
Il volto pallido di Gohan comparve sullo schermo. Piccolo, poco dietro di lui, sembrava avere assunto un colorito decisamente più giallognolo rispetto al verde vivace del solito.
Anche i namecciani cambiavano colore a seconda degli stati d'animo?
«È... ehm» balbettò Gohan, rivolgendosi direttamente a Bulma. Se avesse detto “condoglianze” lo avrebbe strozzato, per prima cosa, appena tornata sulla Terra. «I dottori hanno asportato il cuore. È pronto per il trapianto».
Bulma rabbrividì. Chiuse gli occhi per un secondo, giusto il tempo di gestire l'implosione che percepiva a livello emotivo, poi si fece forza. Quello non era il momento di disperarsi e cedere ai pensieri catastrofisti e poco razionali. Vegeta sarebbe stato bene da li a poco. Sarebbe tornato da lei.
«Procediamo immediatamente. Anziano Saggio, è il momento di chiamare Polunga» disse Bulma, seria.
Il capo namecciano annuì e aprì le braccia verso il cielo. Una vera fortuna che, nel corso degli anni, il loro rapporto con i namecciani si fosse sempre più consolidato. La loro alleanza era decisamente proficua.
«Non resta se vedere se funziona» trillò Whis.
Crilin le si avvicinò e le sorrise, mentre il grande Drago Polunga appariva lentamente sopra le loro teste.
«Vegeta è stato molto coraggioso, Bulma».
Forse quelle erano le parole di cui aveva bisogno. Crilin diceva sempre ciò di cui aveva bisogno.
«Lo so. È mio marito» rispose fiera, orgogliosa. Lo era per davvero.
Nonostante la riluttanza e il terrore, era felice che suo marito avesse preso quella decisione e, prima ancora, che fosse stato così arguto da avere quell'idea.
L'unica possibilità di riavere indietro il loro Goku dipendeva tutto da lui.
«Quasi fatico a credere quanto sia cambiato, in questi anni» mormorò Crilin.
«Questo perché voi non avete mai voluto davvero vedere cosa ci fosse dietro quella faccia da cazzo che si ritrova».
Lei era stata l'unica, insieme a Goku, a dare una possibilità a quel bastardo alieno con i capelli a punta. Ed era stata la decisione migliore che avesse mai preso.
Tutto ciò che sperava in quel momento, però, era che Polunga lo riportasse in vita. Da lei, da Trunks, da Bra, da tutti loro. Ci fossero voluti ottanta desideri, lei avrebbe solo voluto il suo Vegeta vivo e in salute entro cinque fottuti secondi.
Perché Polunga lo avrebbe riportato in vita, vero?
Una terribile sensazione la invase. Ma forse era solo paranoia. Forse.


Continua...


ANGOLO DI EEVAA:
Buongiornisssssimo!
Dai, dai, capitolo triste sì, ma con una soluzione a portata di mano! Cosa ne pensate del "sacrificio" di Vegeta? Qualcuno aveva già ipotizzato tale possibilità. 
Una vera fortuna che Chichi si trovasse proprio lì, o altrimenti il principe non avrebbe raggiunto quell'epifania. 
Ho voluto dare a Piccolo il gravoso compito, proprio perché penso che lui e Vegeta abbiano avuto un percorso per certi versi simile e quindi, nella mia testa, sua maestà lo ritiene molto più sopportabile di altre persone sulla Terra. Che ne pensate di questa scelta? Molto furbo da parte di Vegeta pungere Piccolo sul fattore "Gohan" per rendere lui più facile l'uccisione xD
Che dire... manca un solo capitolo! Andrà tutto come sperato, o ci saranno dei problemi? Tenete incrociate le dita :) Uh, e inizio già ad avvertirvi: ho già pronta in canna una nuova storia da pubblicare. 
Grazie a tutti come sempre, ma alla mia dolce Nemesis01 che mi ha aiutata con la traduzione in inglese ancora di più <3
Un abbraccio e a domenica prossima,
Eevaa


Riferimenti:
-Echalotte è il nome che Vegeta avrebbe voluto dare a Bra prima che nascesse (mi sembra che solo nella versione giapponese fosse stato specificato) e mi piace pensare che fosse il nome della madre di Vegeta. Ma è solo un mio headcanon! Secondo alcune indiscrezioni la madre di Vegeta in realtà potrebbe chiamarsi Rosicheena, ma non è dato per certo.
  
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