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Autore: Signorina Granger    30/03/2021    11 recensioni
INTERATTIVA || Iscrizioni Chiuse
21 Dicembre 2019.
Due Auror, a seguito di una missione in Germania, salgono su un treno che da Berlino li porterà a Nizza, in Francia. I loro piani e quelli degli altri passeggeri vengono però sventati completamente quando sul lussuoso Riviera Express viene rinvenuto il cadavere di una donna. Fermato il treno in mezzo ad una bufera, il Ministero tedesco, d’accordo con quello britannico, assegna ai due il compito di rivolvere il caso trovando il colpevole che, di certo, viaggia sui loro stessi vagoni.
[Storia liberamente e umilmente ispirata a “Assassinio sull’Orient Express” di Agatha Christie]
Genere: Comico, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Maghi fanfiction interattive, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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Capitolo 8 – Dove hai trovato tutte queste dichiarazioni?
 
23 dicembre, 11 pm, I classe
 
 
“Pensi che la soluzione possa essere come quella del libro, Zorba?”
Nonostante fosse passato qualche anno da quando lo aveva letto, Asriel manteneva un vivissimo ricordo della più celebre avventura di Hercule Poirot partorita dalla mente di Agatha Christie. Avventura che, assurdamente, sembrava essersi recentemente proiettata nella sua vita.
Disteso sul proprio letto e in procinto di dormire, l’Auror fissava il soffitto della sua lussuosa cabina mentre con una mano carezzava distrattamente il pelo nero di Zorba giocherellando con il gattino, che cercava di afferrargli un dito con le zampine.
“No… no, troppo assurdo. Molte delle cose che scriveva la Christie non succedono nella vita vera. Troppo contorte.”
Non avendo più niente da leggere, l’Auror stava per spegnere la luce e mettersi a dormire quando udì qualcuno bussare alla porta. Questa volta l’idea di ignorare il visitatore non gli passò nemmeno per la testa – se avesse fatto sfondare nuovamente la porta, di sicuro il capotreno non ne sarebbe stato molto contento – e si affrettò ad alzarsi, lasciando momentaneamente Zorba solo sul letto per andare ad aprire la porta.
Con sua somma sorpresa, sull’uscio non trovò nessuno. La bacchetta di noce nero stretta in mano, Asriel si guardò attorno aggrottando le sopracciglia senza però riuscire ad individuare nessuno nel corridoio debolmente illuminato da alcune luci poste sul soffitto.
Fu quasi per caso che abbassò lo sguardo, rilassandosi leggermente prima di chinarsi e raccogliere l’oggetto che gli era stato lasciato davanti alla porta. Rientrato all’interno della cabina e sigillata la serratura con un incantesimo, Asriel ripose la bacchetta e sedette sul letto togliendo delicatamente il vistoso post-it giallo che era stato attaccato sulla copertina di un libro.
Carte in tavola”, recitava il titolo rosso sangue.
Asriel girò il libro, che ancora non aveva mai letto, e diede una rapida occhiata alla trama prima di tornare a guardare il post-it giallo e la faccina sorridente riportataci sopra.
Chiaramente il post-it così orrendamente giallo non lasciava spazio a molti dubbi, ma Asriel si ritrovò comunque a sospirare con leggera disapprovazione: era così terribilmente tipico di Clodagh fare cose gentili e poi svignarsela per non prendersi meriti, lodi o ringraziamenti.
Messo da parte il post-it, Asriel aprì il libro mentre Zorba si acciambellava sulla sua cuccetta, pronto a dormire. Il suo padrone, invece, decise che avrebbe rimandato il sonno ancora per un po’.
 

 
*
 
 
24 dicembre, 8.30 am
 
 
Certo era bloccato su un treno dove per di più era stato commesso un omicidio, ma James non poté fare a meno di svegliarsi di ottimo umore quella mattina: era la Vigilia di Natale. Ed ovunque si trovasse, James Jonah Hampton amava il Natale con tutto se stesso.
Volto lo sguardo sul finestrino, il giovane Auror realizzò che stava nevicando. La cosa migliorò ulteriormente il suo umore e si alzò dal letto con un gran sorriso sulle labbra, avvicinandosi al trasportino di Alpine per verificare che la gatta fosse sveglia.
“Ciao bellissima! Domani è Natale, non sei contenta? Solo, temo di aver lasciato a casa il tuo regalo, scusa… pensavo che saremmo tornati a casa in tempo.”
Il ragazzo si alzò tenendo la gatta bianca e nera in braccio, guadagnandosi un’occhiata particolarmente stizzita dai grandi occhi blu di Alpine, che voltò sdegnosa la testa dall’altra parte e sembrò non gradire affatto la prospettiva di un Natale senza regali.
“Dai, non mettere il muso… Te ne prenderò un secondo per recuperare quando torneremo. E mentre sei qui puoi sempre farti coccolare da Asriel.”
Alle parole del mago la gatta drizzò le orecchie pelose e saltò sul pavimento, trotterellando muovendo sinuosamente la coda in direzione della porta prima di iniziare a grattarla leggermente con le zampe anteriori: se proprio non doveva avere regali da quello screanzato del suo padrone, almeno avrebbe recuperato facendosi coccolare dal suo bel collega.
“Alpine, aspetta, mi devo vestire! No, non grattare la porta, non sei a casa tua! Fai la signorina educata, su.”
Le sue parole sembrarono colpire ulteriormente la gatta, che gli lanciò un’occhiata velenosa prima di tornare nel suo trasportino, decisa ad ignorarlo per un po’ per lenire il suo orgoglio ferito di gatta oltraggiata: lei era sempre una signorina educata, come osava il suo umano metterlo in dubbio?

 
*

 
La porta della cabina era chiusa a chiave, ma aprirla non fu affatto un problema. E pensare che quando aveva impiegato giorni ad imparare ad aprire le serrature con delle forcine per capelli Cecil lo aveva addirittura deriso. Era sicuro che sarebbe tornato utile, prima o poi.
Prospero s’infilò silenziosamente nella cabina, chiudendosi dolcemente la porta alle spalle prima di posare lo sguardo sul letto, dove esattamente come aveva previsto la sua cara Fogliolina dormiva ancora.
Non riuscendo a trattenere un sorriso, il mago si avvicinò silenziosamente al letto prima di estrarre qualcosa dalla tasca interna della giacca color crema che indossava.
Andare a disturbare il sonno di Delilah ad ogni Natale era stata una sacra tradizione per tutti i loro anni ad Hogwarts. Ora che si ritrovavano di nuovo, contro ogni aspettativa, a dormire a poca distanza l’uno dall’altro non poteva permettersi di venir meno ai suoi doveri.
 
*
 
 
Dopo aver dato da mangiare a Zorba ed essersi vestito, Asriel lasciò la sua cabina con uno sbadiglio: aveva letto fino a tardi arrivando praticamente a finire il libro in un paio d’ore, ma ora ne pagava le conseguenze.  Stava finendo di allacciarsi il gilet di tweed beige, dirigendosi affamato e desideroso di caffè verso il vagone ristorante, quando una voce allegra e una pacca sulla spalla turbarono la sua quiete:
“Buongiorno Stella del Mattino splendente! Dormito bene?”
“Per la barba di Merlino Clodagh, dovresti avvisare prima di farti vedere così di primo mattino… Ma che ti sei messa addosso?!”
Ancora assonnato, Asriel si affrettò a distogliere lo sguardo dall’accecante vista del maglione verde foresta di Clodagh con disegnato un albero di Natale con tanto di decorazioni. Il problema era che le luci si accendevano davvero.
“Questo? È il mio maglione di Natale preferito, ti piace?”
“Preferisco astenermi, o risulterei sgradevole.”
Clodagh stava per dirgli di non fare il Grinch e di smetterla di criticare il suo abbigliamento quando i due, all’improvviso, si zittirono: un suono improvviso e particolarmente acuto giunse alle loro orecchie, costringendoli a fermarsi nel bel mezzo del corridoio per scambiarsi un’occhiata dubbiosa.
“Che cos’era?”
“Non ne ho idea, se non fossi stata qui con me avrei giurato che fosse opera tua…”
“Tante grazie! Comunque, sembrava una specie di trombetta da stadio, ma è assurdo che…”
Clodagh non finì di parlare, interrompendosi quando i due colleghi udirono una forte ed indistinta serie di imprecazioni giungere dalla II classe, esattamente da dove il suono era sembrato provenire.
Un paio di attimi dopo lo sportello che collegava i due vagoni si aprì, permettendo a Prospero De Aureo di attraversare di corsa il corridoio in un turbinio di risatine, svolazzi color crema e ricci scuri.
“Che cazzo sta succedend-“
“TI UCCIDO DE AUREO!”
Prospero li aveva appena superati quando nel corridoio apparve Delilah Yaxley, in pigiama, arruffata e visibilmente incazzata. La strega non badò minimamente ai due Auror, seguendo di corsa l’amico lungo il corridoio con il preciso intendo di strangolarlo mentre Asriel spingeva provvidenzialmente Clodagh verso la parete che dava sulle cabine con un braccio.
“Io te l’ho detto, questo treno è una gabbia di malati di mente.”
“Forse hai ragione, ma pensa positivo: tra due anni penseremo a questo Natale e ne rideremo, ne sono certa.”
Asriel non ne era poi così convinto, ma lasciò che la collega lo prendesse sottobraccio per condurlo verso il vagone ristorante rincuorandosi col pensiero della colazione che stava per fare.
“Ah, Clo? Grazie per il libro.”

 
*
 

“Renèe! Renèe dai, aprimi!”
quella mattina May si era alzata dal letto con il sorriso sulle labbra: certo Pearl le mancava terribilmente, ma era pur sempre la Vigilia. Il Natale era alle porte e la strega era decisa a goderselo, per quanto le fosse possibile. A cominciare da una bella colazione di tutto rispetto.
Renèe, trascinatasi giù dal letto con sbuffi sommessi, si sfilò la mascherina di raso rosa antico dagli occhi prima di strofinarseli e allacciarsi la vestaglia dello stesso colore sopra alla camicia da notte, ciabattando verso la porta con uno sbadiglio:
“Buongiorno May. Che cosa posso fare per te?”
Per un attimo May indugiò con lo sguardo sulla mascherina da notte sulla fronte dell’amica e sulla sua costosa vestaglia con inserti in pizzo, ma si ridestò in fretta e le sorrise allegra, già vestita e con un maglione azzurro pastello con fiocchi di neve addosso:
“Volevo fare colazione con te. Pensi che potremmo riuscire a convincere gli Auror a farci uscire, oggi? Vorrei fare un pupazzo di neve, se smette di nevicare…”
“Io ad Asriel non lo chiedo, ma se ci tieni puoi sempre tentare. Vieni dentro, mi devo vestire.”
“Il tuo pigiama è più bello della maggior parte dei miei vestiti, Renèe.”
E probabilmente la cosa valeva anche per il prezzo.
May seguì l’ex compagna di scuola nella cabina osservando la vestaglia con la fronte aggrottata, udendo Renèe ridere mentre si toglieva la mascherina posandola sul letto. A dire il vero May era serissima, ma non glielo fece sapere e sedette sulla poltroncina mentre guardava l’amica prendere dei vestiti a sparire all’interno nel bagno.

 
*

 
“Questa mattina chi interroghiamo? Ieri pomeriggio dopo May interrogando buona parte dello staff non mi sembra di aver annotato nulla di troppo interessante.”
James si portò un pezzo di pancake alle labbra mentre Asriel, sedutogli di fronte come al solito, tagliava distrattamente le sue uova, parlando solo dopo qualche breve istante di esitazione:
“Lenox. Ho voluto aspettare un po’ per parlare con lui per… beh, lo vedrete coi vostri occhi.”
James aggrottò la fronte, confuso, e guardò Clodagh in cerca di risposte. Anche la strega sembrò tuttavia non comprendere le parole del collega, che bevve un sorso di caffè prima di sorridere quasi con leggero divertimento:
“Come ho detto, lo vedrete.”
“Lo conosci bene?”
“No, non direi proprio benissimo, ma era del mio anno e me lo ricordo molto bene ad Hogwarts… è una persona tranquilla, difficilmente lo vedrei capace di uccidere qualcuno. Certo, ovviamente le impressioni possono ingannare. Vedremo che cosa ci dirà.”
James non ne fu del tutto sicuro, ma ebbe la seria impressione che Asriel avesse trattenuto a stento un sorrisetto prima di bere un altro sorso di caffè. Eppure, quando appoggiò di nuovo la tazza sul tavolo, il collega era di nuovo perfettamente serio.
Chissà, forse lo aveva solo immaginato.
Oh, a proposito Clo… bel maglione!”
“Grazie JJ, anche il tuo! Pensa che questo Grinch me lo ha criticato, che maleducato!”
Clodagh scosse il capo con simulata disapprovazione, colpendo Asriel con una leggera gomitata prima che il mago, sbuffando, borbottasse qualcosa contrariato:
“Perché su questo treno nessuno dei miei colleghi si degna di chiamarmi col mio nome? Prima Ariel, poi Brontolo, ora questo Grinch… non so neanche chi siano queste persone!”
James avrebbe voluto parlare e rivelare al collega che si trattava, nell’ordine, di una Principessa Sirena con manie di accumulo, un nano scorbutico e infine un’indistinta e orrenda creatura verde pelosa. Fortunatamente, dopo una breve esitazione e uno scambio di sguardi con Clodagh, decise di lasciarlo nella sua ignoranza.
Fu quando Asriel si alzò per raggiungere Lenox e la sua pila di pancake, impegnato a leggere un libro con uno Scottish soddisfatto sulle ginocchia, che James si sporse sul tavolo verso Clodagh celando a malapena un sorriso divertito:
“A proposito… a Berlino gli ho preso di nascosto un maglione natalizio. Glielo diamo domani?”
“Mi sembra ovvio! Non vedo l’ora di vedere la sua faccia!”
Clodagh rise prima di finire di bere il suo thè, improvvisamente ancor più di ottimo umore. Doveva solo ricordarsi di chiedere a Delilah Yaxley di prestarle la macchina fotografica in prestito.

 
*

 
“Non fare cazzate.”
Polly sollevò la testa con leggera curiosità, osservando il padrone come chiedendosi se stesse parlando con lei e che cosa avesse fatto per meritarsi un rimprovero. La cagnolina inclinò la testa bianca e fulva contornata dalle lunghe e morbide orecchie che le valevano sempre grandi complimenti da chiunque, e guardò il padrone in piedi davanti allo specchio.
Le braccia strette al petto in una morsa rigida, Lenox lanciò un’occhiata quasi implorante al proprio riflesso, parlando con un sospiro:
“Non. Fare. Cazzate.”
Non era del tutto sicuro di riuscire nel suo intento evitando di fare il solito teatrino. Poteva solo sperare che Asriel, conoscendolo, avrebbe capito.

 
*

 
“A fronte di accurate e meticolose riflessioni, è con estremo piacere che ti comunico che ho risolto il caso.”
“Salazar salvaci tu…”
“Silenzio prego, per intervenire bisognerà alzare la mano. Detto questo, veniamo ai fatti.”
La giornata di Delilah era iniziata davvero col piede sbagliato: stava sognando di essere fidanzata con un attore bellissimo e miliardario quando, all’improvviso, quel demente del suo migliore amico l’aveva svegliata. Fregandosene dell’essere in pigiama, la strega aveva inseguito il suddetto demente per mezzo treno, riversandogli addosso violente minacce di morte.
Si era data una calmata solo di fronte agli sguardi sospettosi e spaventati dello staff e degli altri passeggeri: forse andarsene in giro a fare minacce nel corso di un’indagine per omicidio non era una scelta molto saggia per sviare i sospetti.
Le loro diatribe non sopravvivevano mai al quarto d’ora fin da quando avevano undici anni e l’ascia di guerra era così stata seppellita, ma per punizione la strega aveva costretto Prospero ad ordinarle una pila abnorme di pancake per colazione, dopodiché lo aveva trascinato nella sua cabina per illustrargli i ragionamenti fatti la sera prima, quando non riusciva a dormire rigirandosi tra le lenzuola.
Prospero, seduto sul proprio letto con le gambe accavallate e le mani pallide e affusolate strette sul ginocchio destro, aggrottò la fronte e fece per ricordare all’amica che in quella stanza c’erano solo loro e che di conseguenza alzare la mano per intervenire non sarebbe stato di grande utilità, ma decise di soprassedere mentre, accanto al suo amato Kiki, guardava Delilah indicare la bacheca e una delle foto sopra riportate con un puntatore che fino a due minuti prima non c’era.
“Dove diavolo l’hai presa quella?!”
“Basta con le interruzioni, insomma! Le domande alla fine. Allora. Il treno parte la sera del 21 dicembre, ed è quindi attorno alle 20 che Alexandra Sutton, la vittima – che noi chiameremo “La Panterona” – sale sul treno. Né tu né io la vediamo per tutta la sera, probabilmente La Panterona cena direttamente nella sua cabina visto che viaggia in I classe – maledetta nababba –. Ma è proprio durante la notte, non sappiamo bene quando, che la viscida perde la vita.”
Delilah indicò con solennità la foto al centro, foto che ritraeva la suddetta vittima con addosso occhiali da sole dalla spessa montatura nera e un lungo cappotto a doppio petto in fantasia Pied de Poule nera e bianca camminare su un marciapiede.
“Quella foto glie l’hai fatta tu a Berlino?”
“Nah, è di quando l’ho pedinata una volta a Londra, quelle di Berlino le ho cancellate tutte per non dare sospetti. Torniamo a noi. La letteratura giallista spesso ci insegna che il colpevole è sempre quello meno sospettabile, motivo per cui non puoi essere tu, mio caro amico, che agli occhi di tutti sei il più sospetto.”
Grazie tante.”
“A fronte delle mie profonde riflessioni notturne, sono giunta alla conclusione che le colpevoli sono le francesi! È OVVIO che si siano coalizzate! Guarda come sono sospette mentre accarezzano gatti. E perché quei bastardi si fanno accarezzare da delle assassine e non da me, maledetti…”
“Mi scusi, Detective Yaxley, perché proprio le Mademoiselles?”
Prospero – che stava iniziando a divertirsi – sorrise amabilmente all’amica mentre Delilah si dava colpetti soddisfatti con il puntatore sulla mano sinistra certa di stupire l’amico con le sue brillanti riflessioni:
“La faccia della bionda non mi era nuova, e poi ho capito perché. L’atleta, Ro, la cavallerizza di cavalli alati. Perché la conosco? Perché quando la Panterona girava attorno a Cecil e al nostro negozio, mi sono messa a cercare informazioni su di lei, ed è saltata fuori una relazione che in Francia aveva dato scandalo. Una relazione con questa qui!”
Delilah indicò teatralmente una foto di Corinne seduta nel vagone ristorante con la lunga bacchetta, sorridendo soddisfatta mentre Prospero, al contrario, incrociava le braccia al petto quasi con vago divertimento:
“Beh, ammetto che questo può essere interessante, dolcezza, ma non hai prove.”
“E invece è andata proprio così! La Panterona sale sul treno, va nella sua canina. Corinne, che chiameremo qui “La Bionda”, alloggia a sua volta in Prima Classe. Le due si vedono, forse discutono, forse fanno cosacce, non lo so, ma alla fine finisce male e La Bionda, presa dal risentimento, la fa fuori in un perfetto omicidio passionale. A quel punto è disperata, quindi corre dalla sua amica – che chiameremo “La Gattara” –“ Delilah indicò la foto di Clara, rappresentata con il suo gatto nero in braccio “e le confessa tutto. La sua amica decide di aiutarla, quindi fanno finta di nulla fino alla mattina dopo, quando fingono di essere sorprese di vedersi. A quel punto, forse è proprio mentre La Bionda viene interrogata che La Gattara entra qui, ti ruba la palla della morte e si defila. La nasconde nella propria cabina, non sa bene cosa sia ma SA che è qualcosa di importante. A quel punto si scambiano i ruoli, e mentre viene interrogata La Gattara La Bionda mette la sfera nella valigia della Panterona nella cabina di Manzo Apocalittico.  Ed è esattamente così che è andata, i conti tornano alla perfezione.”
Prospero alzò la mano sforzandosi di apparire più serio che mai, perdendo la parola al cenno d’assenso che l’amica gli rivolse:
“Scusi Detective, ho delle riserve sui nomi in codice. Vorrei farle notare che su questo treno siamo un po’ tutti gattari.”
È vero, ma tu sei Bei Riccioli, io sono la Bella Detective Misteriosa, Asriel è ovviamente Manzo Apocalittico… ah, e poi c’è La Bacchettona.”
Delilah indicò solennemente la foto di Renèe, costringendo Prospero ad aggrottare le sopracciglia scure e a cercare di trattenere una risatina:
“Laila, Bacchettona non significa creatrice di bacchette…”
“Uffa, provaci tu a trovare nomi in codice per tutti, non è mica facile! Piuttosto, oggi interrogano Flint. Non capisco perché non interroghino TE, onestamente.”
“Che domande, il meglio va sempre tenuto per il finale, mia cara. Perché pensi che il dessert sia il fine pasto?”
 

 
*

 
“Mamma, perché papà non fa mai colazione con noi?”
Tra Maya Reeves e suo figlio Lenox era nata una sorta di tacita tradizione: la domenica mattina si faceva colazione insieme con i pancake allo sciroppo d’acero che il bambino adorava.
Mentre versava un’abbondante seconda dose di sciroppo sulle frittelle, Lenox sentì la gentile carezza della madre sulla testa bionda e i suoi occhi su di sé. La strega, una Purosangue canadese di ricca famiglia che aveva sposato Caius Flint anni prima per meri motivi finanziari, esitò prima di rispondere alla domanda del bambino con un lieve sorriso:
È uscito presto per andare a controllare una cosa al lavoro. Non sei felice di stare con me, tesoro?”
“Sì. Dopo possiamo andare a vedere i cavalli?”
Gli occhi chiari del bambino si spostarono sulla madre mentre si portava alle labbra un pezzo di frittella grondante sciroppo, sporcandosi il mento che venne ripulito dalla donna in un gesto ormai automatico:

“Certo piccolo.”
Lenox sorrise allegro, e finì di fare colazione dimenticandosi dell’assenza del padre e assillando la madre con le sue domande sugli Abraxan, animali che la famiglia materna allevava e vendeva in Canada da decenni.
Come sempre Maya rispose con pazienza alla curiosità del figlio, quantomeno sollevata che quelle domande distraessero il bambino dalla maggiore attenzione che il marito riservava alle sue pozioni piuttosto che a lui.
 
 
*

 
Fu un con bel respiro profondo che Lenox sedette sulla sedia davanti ai tre Auror, slacciandosi il primo bottone della camicia grigia in un gesto praticamente automatico.
Ecco. Iniziava alla grande.
“D’accordo Lenox… Farò le stesse domande che abbiamo fatto agli altri. Rilassati.”
Asriel, serio in volto come suo solito, guardò l’ex compagno di scuola annuire mestamente mentre Clodagh, accanto a lui, osservava confusa il collega: vedere Asriel cercare di mettere a proprio agio un sospettato soggetto ad interrogatorio non le era mai capitato.
“So già le risposte, ma te lo devo chiedere… Nome completo, dove sei nato e quando.”
“Lenox Augustus Flint, Londra… nato nel 1989. A scuola ero Tassorosso.”
“Se non sbaglio sei figlio unico.”
Sì.

 
*
 
Lenox aveva otto anni quando, inaspettatamente, la sua famiglia si allargò con la nascita di una sorellina. Qualche anno prima aveva chiesto un fratellino, ma pensava che ormai i genitori se ne fossero dimenticati.
All’inizio, per quanto felice fosse, dividere la attenzioni di una madre che adorava con tutto se stesso con la piccola Morgan fu difficile, ma ben presto il bambino imparò a voler bene alla sorellina.
Morgan aveva i suoi stessi capelli color biondo cenere, gli stessi occhi azzurri e i medesimi lineamenti dolci. Maya ripeteva sempre quanto i due figli si assomigliassero, certa che crescendo la secondogenita sarebbe diventata una bambina dolce tanto quanto il fratello maggiore.
“Lenox,  non correre così, lei non riesce a starti dietro!”
Maya, seduta su una sedia in giardino, rise mentre guardava il figlio correre sul prato e Morgan che cercava di seguirlo con i riccioli biondi che le ondeggiavano sulle spalle e un coniglietto di pezza sottobraccio.
“Enox, ‘pettami!”
Voltatosi e colto il broncio sul visino della sorellina il bambino di dieci anni si fermò, allungando una mano verso la bambina di due anni:
“Va bene… dai, dammi la mano.”
Morgan la strinse con la propria e gli sorrise, seguendolo docilmente all’inseguimento di una lucertola sotto lo sguardo della madre.
“Non ha dato nessun segno ancora, vero?”
“Non credo che sia così strano. Ci sono piccoli maghi più precoci di altri, suppongo.”
La strega volse lo sguardo sul marito che, in piedi accanto a lei, scrutava i figli giocare insieme con cipiglio serio.
“Lenox ha fatto la sua prima magia ad un anno, ricordi?”
“Certo che ricordo, ci prendemmo un colpo vedendo i piatti sollevarsi sulla tavola. Ma i bambini non sono tutti uguali, Caius.”
Il marito non rispose, limitandosi ad un cupo borbottio prima di voltarsi e tornare dentro casa. La moglie lo seguì brevemente con lo sguardo prima di tornare a rivolgersi ai figli, guardando Lenox aiutare dolcemente la sorellina a rialzarsi dopo essere inciampata con leggera preoccupazione.
 
 
*

 
“Come mai ti trovi sul treno?”
“Ho lavorato in Germania per qualche anno, facevo l’insegnante in una scuola magica specializzata in legge nei pressi di Berlino.”
“D’accordo… e perché stai andando a Nizza?”
“Sto andando in Francia a “ritirare” un regalo per mia madre. In effetti, dovrei prendere un Abraxan nella scuderia della Signorina Leroux. Ho i documenti in valigia, posso mostrarteli.”
Asriel annuì, asserendo che li avrebbe controllati prima che Clodagh prendesse la parola aggrottando le sopracciglia color rame:
“Una curiosa coincidenza che lei si trovi sullo stesso treno di Corinne Leroux.”
“Sì, ammetto che lo è, ma so che la Signorina viaggia molto per il ruolo che ricopre nell’Haras. Non sorprende che stia tornando a casa sua per Natale, dopotutto.”
“Quindi stavi tornando in Inghilterra dalla Germania ma prima ti saresti fermato a Nizza per il cavallo. Corretto?”
Lenox annuì, stringendosi nelle spalle quando Clodagh osservò che molto spesso era la stessa famiglia di allevatori a consegnare i cavalli in prima persona:
“Mio nonno, Marcel Reeves, ha fatto il medesimo lavoro per tutta la vita, ha gestito il più grande allevamento di Abraxan del Canada. Me ne intendo abbastanza di quelle creature e mi ha insegnato che è sempre meglio vederli prima di persona.”
Il mago sfoderò un debole sorriso, ripetendosi che per il momento stava andando bene mentre Clodagh, dopo una breve esitazione, annuiva: le spiegazioni di Lenox non facevano una piega.
“Prima hai detto che facevi l’insegnante. Non è più così?”
Dopo aver lanciato una breve occhiata a ciò che stava scrivendo James Asriel riportò lo sguardo su Lenox, appoggiando i gomiti sul tavolo e intrecciando le dita delle mani le une con le altre.
“No. Non insegnerò più.”
 
 
 
Il primo settembre dell’anno 2000 la vita di Lenox Flint cambiò radicalmente.
Fu il giorno in cui partì per Hogwarts per la prima volta, ma negli anni a venire non sarebbe stato quello il ricordo più vivido di quel giorno tanto particolare.
Sua madre lo aveva appena svegliato per fare colazione, vestirsi e ultimare i preparativi per la partenza quando suo padre era uscito portando Morgan con sé.
“Ci vediamo dopo, devi salutarmi prima che vada via!”
Lenox aveva sorriso alla bambina dalle scale, guardandola fargli ciao con la mano sorridendo da sopra la spalla del padre e stringendo al petto il suo solito coniglietto di pezza.
Il ragazzino, emozionatissimo all’idea di andare ad imparare come usare la sua nuova bacchetta, aveva ripreso a prepararsi dimenticandosi momentaneamente dell’assenza del padre e della sorellina: la madre gli assicurò che li avrebbero raggiunti alla stazione, e a Lenox questo bastò.
Due ore dopo, giunto al Binario 9¾, Lenox salì sul treno in procinto di partire senza smettere di chiedere alla madre dove fossero il padre e la sorellina. Salutare Caius – che gli incuteva una certa soggezione fin da quando era piccolo, vista la rigida severità dell’uomo – era, in realtà, meramente secondario: ciò che il ragazzino realmente voleva era abbracciare la sorellina e prometterle di rivedersi presto.
Il treno stava per partire quando, finalmente, Caius uscì dalla colonna magica raggiungendo la moglie. Lenox sorrise nel vederlo, sorriso che si spense quando non vide traccia di Morgan e del suo tenero sorriso infantile.
“Dov’è Morgan papà? Avevate promesso di portarla!”
I genitori non risposero, e Maya si limitò a lanciare un’occhiata incerta a Caius prima che il marito, schiarendosi imperturbabile la voce, informasse pacatamente Lenox che da quel giorno sarebbe stato figlio unico.
“COSA? Che cosa le è successo?! È… È…”
Lenox deglutì, le mani strette sul bordo del finestrino aperto con tanta veemenza da far perdere colore alle nocche. Non riuscì a dar voce agli orribili pensieri che presero ad affollargli la mente alla rinfusa, provando un moto di sollievo quando il padre scosse secco il capo:
“No Lenox, sta bene. Ma non farà più parte della famiglia.”
 Le imploranti richieste di spiegazioni non vennero accolte, e quando l’Espresso per Hogwarts partì il bambino era ormai in lacrime. L’ultima cosa che disse ai genitori prima di allontanarsi, sporgendosi sul finestrino, fu ripetere a gran voce e con le guance rigate di lacrime di odiarli entrambi.
 
 
*

 
“Ho ricevuto un’offerta da uno studio legale in Inghilterra e… beh, è quello che ho sempre voluto fare, così ho accettato e mi sono dimesso.”
Lenox parlò sfoggiando un sorriso sollevato, sentendosi più che mai soddisfatto della piega inaspettata che la sua vita aveva finalmente preso: insegnare non gli dispiaceva, ma non si era mai perdonato di aver chiesto l’aiuto del padre e della sua influenza per ottenerlo.
“Oh, bene, buon per te. Adesso vediamo… Alexandra Sutton. Che rapporti avevi con lei?”
La mano destra di Lenox andò al secondo bottone della camicia che indossava al di sotto della giacca blu notte, slacciandolo prima di deglutire e schiarirsi la voce sotto lo sguardo attento di Clodagh:
“Beh, ad Hogwarts non ci ho mai avuto molto a che fare, ma forse te lo ricordi.”
“Sì, non mi sembra che tu le piacessi molto.”

 
*

 
La scarsa considerazione che il padre aveva avuto nei suoi confronti per tutta l’infanzia culminò con lo Smistamento di Lenox, quando il Cappello Parlante lo assegnò tra le fila dei Tassorosso. A Lenox però i suoi compagni piacevano: erano tutti davvero gentili e bendisposti nei suoi confronti, e ben presto si abituò piacevolmente al senso di calore e di familiarità che la sua Sala Comune emanava.
L’averlo allontanato a forza da Morgan segnò indelebilmente il giovane mago, che si ripromise di non chiedere mai nulla ai genitori, se non strettamente necessario. Un giorno si sarebbe diplomato, sarebbe diventato maggiorenne e non avrebbe più avuto bisogno di loro. Forse sarebbe persino riuscito a ritrovare Morgan, prima o poi.
Crescendo chiese spesso, implorò i genitori di vedere la sorella, che era stata portata in un orfanotrofio magico quando aveva solo tre anni. Ma Lenox riceveva solo dinieghi, e col tempo si convinse che probabilmente la bambina doveva essersi dimenticata di lui. Forse vederlo l’avrebbe fatta soffrire e basta, ricordandole di non essere come lui e di non avere il dono della magia, ciò che aveva spinto i genitori ad allontanarla.
Caius gli ripeteva che ormai era un figlio unico a tutti gli effetti, e il giovane mago iniziò a rispondere automaticamente in quel modo quando i compagni di scuola gli chiedevano se avesse dei fratelli o meno: parlare della sorellina era troppo doloroso per lui. Piano piano i ricordi della bambina svanirono facendosi sempre più vaghi e confusi, arrivando a ricordare solo un paio di grandi occhi azzurri come i suoi che gli sorridevano da dietro la spalla del padre mentre la portava via per sempre.

 
*

 
“Le avevo chiesto gentilmente se voleva una mano in Trasfigurazione e lei pensò che la mia fosse  supponenza, che posso farci? E poi non so come venne a sapere della mia figuraccia a lezione di Storia e lo raccontò in giro.”
L’espressione di Lenox s’incupì non poco mentre Asriel, invece, chinò il capo mal celando l’accenno di una risata che non sfuggì all’interrogato:
“Non dirmi che glielo hai detto tu, Asriel!”    L’ex Tassorosso spalancò orripilato gli occhi azzurri e parlando con tono d’accusa nei confronti dell’Auror, che si affrettò a tornare serio schiarendosi la voce e a giurare solennemente sulla sua innocenza.
James, dal canto suo, era sbalordito: un sospettato aveva chiamato Asriel per nome e lui non l’aveva affatturato. Non era mai successo, al Dipartimento.
“Giuro che non c’entro. Figuriamoci, non sarei mai andato a rivolgerle la parola. Ma tralasciando il tuo involontario mezzo spogliarello in classe, torniamo alla Sutton. Ci hai più avuto a che fare dopo Hogwarts? Volevi lavorare nel suo stesso campo dopotutto.”
“Diciamo di sì… volevo ottenere un posto in uno studio legale molto famoso, ma… lo diedero a lei, alla fine.”

 
*

 
Lenox Flint si innamorò per la prima e ultima volta a sedici anni. Amelie Edwards era una Serpeverde del suo stesso anno ma non aveva mai avuto modo di approfondire la sua conoscenza fino al quinto, quando entrambi divennero Prefetti.
Amelie era carina, arguta ed intelligente, ma soprattutto in lei il giovane mago rivedeva qualcosa che a lui era sempre mancato: forza d’animo e determinazione. Qualcosa che lui non aveva avuto nemmeno nei confronti della sua stessa sorellina.
“Perché sei sempre così nervoso prima delle riunioni?”
Lenox, che si stava sistemando ansiosamente il nodo della cravatta gialla e nera della divisa, sobbalzò udendo la voce di uno dei suoi colleghi: Asriel, appoggiato mollemente alla parete dell’anticamera, lo guardava con le braccia strette al petto ampio e con sincera curiosità.

“Non sono nervoso, Asriel.”
“Ti sei fatto il nodo tre volte.”
“Beh, voglio solo che sia dritto, sai com’è…”
Il Tassorosso seppe di non averla data a bere al perspicace compagno, ma si limitò a sforzarsi di sorridergli finchè non udì un’allegra voce femminile alle sue spalle:
“Ciao ragazzi! Scusate il ritardo, mia sorella mi ha tallonata per cercare di estorcermi gli ingressi dei passaggi segreti.”
Lenox guardò la strega bionda senza dire nulla, distogliendo lo sguardo mentre Morgan, sorridendo ad Asriel, si complimentava con l’amico per la partita di quella mattina.
Morgan Hennings sembrava una ragazza dolcissima e molto gentile, ma Lenox non era mai riuscito ad approfondirne la conoscenza. Ogni volta in cui la vedeva o la sentiva nominare pensava a sua sorella.
Un paio di minuti dopo li raggiunse anche Amelie, sbuffando e scusandosi con i “colleghi” prima che i Caposcuola dessero inizio alla riunione:
“Scusate ragazzi, ho beccato i gemelli Yaxley e De Aureo ad usare la Sala dei Trofei come set fotografico, credo.”
Lenox avrebbe voluto chiederle cosa fosse un set fotografico, ma come al solito sentì la lingua arricciarsi, lo stomaco fare le capriole e la salivazione azzerarglisi, così tacque e seguì silenziosamente Asriel nell’aula vuota.
Tre quarti d’ora dopo, al termine della riunione, Lenox era stato messo a fare i turni del mese seguente insieme ad Amelie. Felice da un lato, era certo che avrebbe finito col fare una figuraccia dietro l’altra.
Fu uscendo dall’aula che Asriel lo guardò sfoderando uno dei suoi rari sorrisetti sghembi, asserendo di aver capito perché fosse sempre così nervoso alle riunioni.
Disgraziatamente, quel ragazzo era terribilmente perspicace.
 
 
*

 
“E non hai provato ad esercitare altrove, successivamente?”
“No. Ho avuto qualche… problema familiare. Sai, il divorzio…”
Lenox distolse lo sguardo, a disagio nell’accennare alla ex moglie mentre si sollevava distrattamente le maniche della giacca sugli avambracci.
“Ah, sì, tu e Amelie. Mi dispiace.”
Erano passati quasi quindici anni, eppure a Lenox sembrava fossero passati pochi attimi da quando entrava alle riunioni dei Prefetti insieme ad Asriel e alla sua futura moglie. Come aveva fatto a mandare tutto a rotoli in quel modo?
 

 
*
 
 
“Asriel, secondo te come posso avvicinare Amelie?”
“E io che diavolo ne so? Boh, chiedile di uscire, non so.”
“Ma sei matto? E se poi mi succede come all’interrogazione di Storia?”
Asriel fece di tutto per restare serio e non ridere al ricordo dell’interrogazione di due giorni prima, quando Lenox aveva rischiato di svestirsi davanti a tutta la classe per l’ansia.
I due stavano percorrendo un corridoio quando il Corvonero si fermò, voltando la testa verso un arazzo.
“Che cosa hai sentito?”
Il Tassorosso si avvicinò curioso al compagno di ronda, che scostò l’arazzo prima di sbuffare e alzare gli occhi al cielo:
“Sutton, vattene a dormire.”
“Dio, che palloso che sei Morgenstern!”
La punta della bacchetta accesa, la Grifondoro uscì dal nascondiglio rassettandosi distrattamente la gonna della divisa e scoccando un’occhiata torva al Corvonero, che le ribadì di tornare nella sua Sala Comune.
“Ci vado, ci vado… per caso uno di voi bei ragazzi ha idea di dove si trovi la Stanza delle Necessità? La cerco da SECOLI!”
“Se anche lo sapessi non lo direi a te. Buonanotte, e venti punti in meno a Grifondoro.”
Asriel superò la bionda con un placido sbadiglio, ignorando le imprecazioni della studentessa. Lenox la seguì incuriosito con lo sguardo prima di rivolgersi di nuovo al collega, chiedendogli se lo sapesse o meno.
“Ma per favore, l’ho trovata al secondo anno. Quella ragazza non mi piace per niente, ma toglierle punti è divertente.”
Asriel si portò le mani dietro la nuca, lamentandosi per il turno notturno mentre Lenox, invece, pensava ad Alexandra. Che fosse molto bella era inopinabile, ma ad essere del tutto onesti non ispirava troppa simpatia nemmeno a lui.
 
 
*

 
“E hai parlato con Alexandra, sul treno?”
“No. Ammetto di averla intravista sulla banchina quando sono salito, ma non ero del tutto sicuro che fosse davvero lei e onestamente non avevo alcun interesse a parlarle. Non siamo mai stati amici.”
Lenox ricambiò lo sguardo di Asriel, che lo studiò con attenzione indugiando sulle mani dell’ex Tassorosso appoggiate sulle ginocchia. Avrebbe immaginato di vederlo sfilarsi la giacca, ma ciò non avvenne e Lenox restò impassibile sotto alla sua analisi.
Infine, l’Auror annuì e gli rivolse un cenno pacato, asserendo che per il momento poteva bastare. Quelle parole ebbero un effetto fortemente liberatorio sul futuro avvocato, che accennò un sorriso prima di alzarsi, salutare educatamente i presenti e poi dileguarsi frugando nella tasca interna della giacca: Merlino, se aveva bisogno di una sigaretta.
“Di che scenata parlavate durante l’interrogazione, scusa?”
“Quando è nervoso Lenox… beh, ha caldo e si sente soffocare, quindi tende a liberarsi dei vestiti, per così dire. Oggi non l’ha fatto.”
“Allora magari non aveva nulla di cui preoccuparsi.”
James ripose la piuma prima di osservare soddisfatto il suo lavoro. Clodagh, invece, prese il thermos dallo zaino decretando di avere bisogno di thè per riflettere mentre Asriel, osservando assorto la sedia ormai vuota, annuiva piano.
“Sì, evidentemente sì.”
 
*
 
Anche se il loro primo appuntamento fu quasi disastroso a causa del “problemino” di Lenox, miracolosamente Amelie accettò di passare di nuovo del tempo insieme a lui. Un paio di mesi dopo erano a tutti gli effetti una coppia di giovani fidanzati e persino i suoi genitori non sollevarono obbiezioni per la non purezza di sangue di Amelie.
Mentre andavano a lezione mano nella mano, Lenox sorrideva e si sentiva felice come non mai. Sembrava che piacesse davvero ad Amelie, che era persino l’unica a ridere alle sue orribili battute di pessimo gusto.
Tutto sembrava andare per il meglio, aveva anche deciso quale carriera intraprendere dopo Hogwarts e la fidanzata lo appoggiava in pieno. Probabilmente i due ultimi anni ad Hogwarts e quelli che seguirono il diploma furono i più felici della sua vita.
Deciso a diventare Magiavvocato, Lenox fece domanda per un ambito posto in un celebre studio legale e quando seppe di aver ottenuto il posto contando solo con le sue forze, rifiutandosi come si era ripromesso da bambino di chiedere l’aiuto del padre, chiese ad Amelie di sposarlo.
Per un attimo gli sembrò di avere davvero tutto. Ma l’idillio avrebbe avuto vita breve, anche se ancora non ne era consapevole.
 
 
*
 
 
“May, ma mi spieghi DOVE hai trovato tutte queste decorazioni e ghirlande?!”
Renèe, accigliata, sollevò un festone dorato mentre Elaine si avvolgeva con nonchalance una ghirlanda scarlatta attorno alle spalle a mo’ di boa di struzzo e May, al settimo cielo, sistemava un filo di luci sopra ai finestrini del corridoio della II classe.
“Stavo andando a chiedere ad Asriel di farmele apparire facendo leva sul suo affetto per mia sorella, ma poi mi sono imbattuta nei suoi colleghi, che si stavano giusto lamentando dell’assenza di atmosfera natalizia sul treno. Così ho colto la palla al balzo, ho chiesto loro di aiutarmi e ed ecco il risultato! James ha detto che ci avrebbe anche aiutate ad addobbare.”
“Meno male, perché senza bacchette ci metteremmo un bel po’… La mia mi manca terribilmente.”
Renèe abbassò lo sguardo sulla propria mano destra con un sospiro, pensando alla sua amata e preziosa bacchetta mentre May, sorridendo allegra, asseriva che ad addobbare con la magia ci si divertiva solo la metà:
“Noi a casa lo facevamo sempre senza magia.”
“Bah, da me usiamo la magia per tutto da sempre… da te, Nel?”
“Mh? Oh, mia madre si sarebbe uccisa piuttosto che addobbare personalmente… no, delegava un povero Elfo al suo posto, figuriamoci. E tutte le decorazioni costavano un patrimonio, quindi a me non era permesso toccare nulla.”
Elaine sollevò non nonchalance una grossa palla argentea, specchiandosi distrattamente sulla superficie lucida mentre May, non riuscendo ad immaginare il Natale di una bambina senza poter decorare alcunché, sorrideva porgendole uno scatolone:
“In tal caso, a 26 anni è arrivato il momento di rimediare.”
Elaine esitò, ma infine ricambiò debolmente il sorriso della bionda e prese lo scatolone, osservando le decorazioni luccicanti dicendosi che male non avrebbe potuto farle.
“Dite che devo togliermi i tacchi, quindi?”
“Assolutamente sì. Ma come fai a portarli tutto il giorno, si può sapere? Io ne morirei!”
“E’ solo forza di volontà, dolce May. Solo ferrea forza di volontà. Come stare a dieta.”
“A me manca anche quella per la dieta, figuriamoci per mettere quegli strumenti di tortura…”

 
*

 
“Non ti allontanare, Polly.”
Lenox mosse qualche passo sulla neve infilandosi le mani nelle tasche del cappotto e osservando attentamente la cagnolina, che sembrava al settimo cielo per essere potuta uscire brevemente e si stava rotolando sulla neve.
Dopo l’interrogatorio aveva chiesto ad Asriel il permesso di portare brevemente fuori Polly, e anche se gli era stato accordato era assolutamente sicuro di essere osservato per controllare che non si Smaterializzasse.
Il mago estrasse dalla tasca uno zippo d’argento, tastandone dolcemente la superficie liscia e lucida e abbozzando un sorriso nell’osservare l’oggetto a cui teneva di più: gli era stato donato molti anni prima da suo nonno Marcel, probabilmente l’unico membro della famiglia che lo avesse capito veramente e che, come lui, era rimasto disgustato dalla decisione presa da figlia e genero.
Con l’accendino Lenox accese la sigaretta che teneva tra le braccia, e stava per riporlo quando estrasse lentamente dalla tasca anche un piccolo foglio di carta, osservandolo brevemente con attenzione prima che gli abbai di Polly lo distraessero.
Era sollevato di non aver dovuto approfondire l’argomento del suo divorzio. Anche dopo diversi anni, ricordare il modo in cui Amelie lo aveva allontanato faceva ancora troppo male.

 
*

 
“A saperlo mi sarei portata un cane anche io… così almeno potevo mettere piede fuori dal treno.”
Delilah sbuffò mentre, la mano protesa al di fuori della ringhiera, faceva cadere un po’ di cenere sulla neve prima di riportarsi la sigaretta accesa alle labbra.
Prospero, in piedi accanto a lei, distolse lo sguardo da Lenox per rivolgersi all’amica dopo averla appena raggiunta, chiedendole curioso dove avesse trovato la sigaretta: in genere Delilah era solita affermare di non fumare per poi andare a scroccare sigarette in giro.
“Me l’ha data la francese. Anzi, La Bionda.”
“E tu accetti una sigaretta da quella che ritieni un’assassina? Sei una detective sconsiderata, Laila.”
Prospero ridacchiò prima di voltarsi verso il panorama, appoggiandosi con i gomiti sulla ringhiera mentre l’amica, accanto a lui, agitava la sigaretta con uno sbuffo:
“Via, non si può uccidere nessuno con una sigaretta! Al massimo loro uccidono te.”
“Non fa una piega. Allora Fogliolina, sei pronta per il Natale? Un altro Natale insieme come ai vecchi tempi, sei felice?”     Il mago rivolse un sorrisetto pregno di divertimento all’amica, che alzò gli occhi al cielo prima di parlare accennando una debole smorfia:
“Da morire, mi si stanno riempiendo gli occhi di lacrime di gioia… speriamo almeno che Asriel decida di fare un regalo a tutti e di farsi vedere senza camicia, domani.”

 
*
 

Seduta nella sua cabina, Clara stava leggendo un libro mentre Loki giocava sul pavimento con un sonaglietto quando udì bussare alla porta. La strega stava per alzarsi e andare ad aprire ma il suo visitatore sembrò essere impaziente, perché si fece avanti senza aspettare una risposta:
Corinne, una sigaretta spenta stretta mollemente tra le labbra e un libro sottobraccio, le rivolse un’occhiata cupa prima di sfilarsi la sigaretta dalle labbra e parlare con un sospiro esasperato:
“Ciao chèrie. Ti dispiace se ti faccio compagnia? Ne ho abbastanza di stare sola dopo quello che è successo e i passeggeri non fanno che rivolgermi occhiate stranite, non ne posso più.”
“Certo Coco… che genere di occhiate, scusa?”
“Temo che la notizia che io abbia avuto una relazione con la vittima si sia diffusa e ovviamente questo fa di me la persona più sospettabile di tutto il treno.”
Corinne scosse la testa con disapprovazione prima di chiudere la porta e raggiungere l’ex compagna di scuola, sedendo sul bordo del suo letto e accavallando le gambe prima di riportarsi automaticamente la sigaretta alle labbra:
“Scordatelo di fumare qui dentro, Coco. Non riempirai di puzza di fumo la mia cabina.”
“Lo so, è l’abitudine…”
La mora roteò gli occhi prima di accennare al libro che l’amica aveva appena aperto, accennando un sorriso:
“Come va il tuo tedesco?”
“Bene. Se riesco a leggere Goethe dovrei essere in grado di fare qualsiasi cosa, dopotutto.”
“Se ce l’ho fatta io a masticare il tedesco per il lavoro, ce la farai anche tu. Sei sempre stata bravissima con le lingue.”
“Merci chèrie. Troppo gentile come al solito. A proposito, sapevi che qui fuori stanno addobbando il treno?”
Corinne parlò senza sollevare lo sguardo dal libro, non potendo così notare l’espressione stupita che si fece largo sul volto dell’amica prima che Clara sfoderasse un largo e allegro sorriso:
“Davvero?! Perché non l’hai detto subito? Dobbiamo andare a dare una mano!”
Non, Clara, s’il vous plait…”
Clara si alzò ignorando l’espressione quasi implorante dell’amica, sorridendole prima di prenderla per mano e costringerla ad alzarsi a sua volta. L’ex fantina avrebbe voluto obbiettare ma infine si arrese con un sospiro mesto, fin troppo consapevole di quanto testarda fosse la sua amica.

 
*
 

“Un po’ più a destra… no, sinistra. Ok, così è perfetto!”
May sorrise allegra mentre guardava la ghirlanda verde, rosso e oro che James aveva fatto apparire e che ora, in piedi accanto a lei, stava appendendo con la magia sopra alla porta che conduceva al vagone ristorante.
L’Auror osservò soddisfatto il suo lavoro prima di rivolgersi alla bionda, chiedendole quante ne avessero ancora da appendere. May, incerta, si voltò verso Renèe ed Elaine, incaricate di fare “l’inventario delle decorazioni.”
“Ragazze, quante ne mancano di ghirlande?”
“Ancora tre. Ne volete mettere una nel vagone ristorante?”
Renèe sollevò una ghirlanda particolarmente grande e la mostrò a May, che si rivolse a James chiedendogli cosa ne pensasse. Il giovane tentennò, indeciso sul da farsi più che altro per la reazione che avrebbe potuto avere Asriel:
“Non so quanto sarà felice Asriel di interrogare in una stanza piena di decorazioni… tu che ne pensi Clo?”
James si voltò verso la collega, seduta in un angolo con la chitarra tra le braccia ed impegnata ad accordarla. Sentendosi chiamare in causa Clodagh guardò prima il collega e poi la ghirlanda, abbozzando un sorriso prima di suggerire ai presenti di fare quello che volevano:
“Conosco il nostro Brontolo, infondo è un tenerone. Magari si lamenterà un po’, ma poi smetterà di fare caso alle decorazioni. Solo, avete chiesto il permesso del capotreno?”
“May lo ha assillato così tanto che alla fine ha ceduto, credo. Come dire di no a quel faccino angelico e al suo entusiasmo…”
Renèe parlò scuotendo la testa ma senza riuscire a trattenere un sorriso mentre guardava l’amica, impegnata a discutere con James su quali ghirlande appendere nel corridoio tra quelle oro e argento.
“Nel, tu ancora non ti decidi a toglierti i tacchi?”
“E perché dovrei? Non stiamo correndo la maratona! Però ci vorrebbe qualcuno di alto per appendere queste luci… peccato non poter chiedere all’Auror.”
Elaine, seduta sul pavimento e impegnata a districare intricati fili di luci, lanciò un’occhiata dubbiosa al soffitto mentre Clodagh, accanto a lei, cercava di non ridere immaginando il collega impegnato a decorare il treno con plausibili assassini.
Anzi, moriva dalla voglia di vedere la sua reazione a ciò che stavano facendo.

 
*

 
Quando Ruven mise piede fuori dalla cabina che condivideva con altri tre membri dello staff per poco non rimase accecato dalle luci e dai festoni luminosi che illuminavano il corridoio.
Per un istante si domandò dove accidenti si trovasse, prima di scorgere un gran via vai di persona dentro e fuori il vagone ristorante.
“Che cazzo succede adesso…”
Incuriosito, lo chef decise di andare a vedere. Fermatosi sulla soglia, si spostò per far passare una ragazza bionda che reggeva fili di luci, guadagnandosi un sorriso allegro e un vivace ringraziamento.
“Prego. Che cosa fate?”
“Decoriamo il vagone ristorante nella speranza di rendere questo Natale meno deprimente. Bonjour Monsieur Le Cuisinier!”
A rispondergli fu una sorridente Clara, che lo salutò prima di superarlo reggendo uno scatolone pieno di palline colorate e ghirlande.
All’interno dell’ampia stanza, James aiutava Renèe e May ad appendere le decorazioni in alto essendo l’unico dotato di bacchetta, mentre Clodagh strimpellava canzoni natalizie in un angolo con addosso il suo maglione con le luci.
Per un attimo guardando gli Auror Ruven aggrottò la fronte, dicendosi che di quel passo avrebbero lasciato il treno con l’inizio dell’anno successivo. All’appello mancava solo quello alto e barbuto che parlava tedesco.
Chissà dov’era.

Il suo flusso di pensieri venne interrotto da Clara, che dopo aver consegnato le decorazioni a James gli si avvicinò sfoderando il suo sorriso più adorabile:
“Monsieur Le Cuisinier, ci serve qualcuno di abbastanza alto… potrebbe darci una mano?”
“Non ho niente di meglio da fare mentre la cucina è ancora chiusa. Posso sapere perché mi chiama così?”
Lo chef aggrottò la fronte, guardando dubbioso la passeggera che invece si strinse nelle spalle sorridendo innocentemente:
“Letteralmente significa “Signor Cuoco”, non è niente di offensivo, lo giuro. Il suo chat è adorabilmente carino, comunque.”
Sentendo nominare l’amatissimo Neko Ruven si addolcì un poco, abbozzando persino un sorriso prima di seguire la francese per appendere le ghirlande.

 
*

 
Finn non sapeva, di preciso, come fosse successo. Sapeva solo che un attimo prima si stava facendo gli affari propri appuntando cose sul suo rotolo di pergamena e poi, all’improvviso, un branco di streghe lo aveva trascinato nel vagone ristorante per appendere decorazioni natalizie in giro.
Prima di rendersene conto l’ex Corvonero si era ritrovato ad aiutare lo chef – che tutti sostenevano essere identico a lui – ad appendere fili di luci colorate e ghirlande.
“E’ stato costretto anche lei, Chef?”
“Non proprio, ma immagino debbano sfruttare i pochi passeggeri uomini… Il suo topo dov’è?”
“Al sicuro in cabina.”
Finn parlò sfoderando un debole sorriso rilassato, lieto di sapere Alfaar al sicuro dalle grinfie dei fin troppi felini presenti sul treno. Mentre aiutava Ruven a fissare le luci al soffitto – e May e James, alle loro spalle, si lamentavano per l’assenza di un albero di Natale – lo scrittore si chiese che cosa avrebbe detto Jenna vedendolo appendere decorazioni colorate in giro. Probabilmente lo avrebbe deriso e glielo avrebbe rinfacciato in eterno, suggerendo che si fosse fatto abbindolare da un branco di streghe determinate.
All’improvviso, Finn guardò l’ingresso del vagone sperando ardentemente che Asriel non facesse la sua comparsa: di sicuro vedendolo in quelle condizioni lo avrebbe deriso a sua volta.
Ruven invece stava litigando con una ghirlanda quando, all’improvviso, udì qualcosa che lo fece raggelare: alle sue spalle, alcune passeggere stavano parlando di un “karaoke” insieme all’Auror donna con la pronuncia incomprensibile.
Avrebbero dovuto minacciarlo di morte, prima di fargli cantare canzoni natalizie davanti a tutti.

 
*

 
Asriel non aveva rivolto particolari richieste ai colleghi: quando non interrogavano o studiavano il caso potevano fare ciò che volevano, non gli interessava.
“Cercate solo di essere seri, per favore. Se ci rendiamo ridicoli perdiamo credibilità, e ne va della reputazione del Ministero inglese!”
Queste erano state, due giorni prima, le uniche raccomandazioni che aveva rivolto loro.
Raccomandazioni che sfumarono nel nulla quando mise piede fuori dalla sua cabina per andare in cucina ad implorare per avere un caffè.
La prima cosa che notò fu che il corridoio si era improvvisamente riempito di luci e ghirlande. Per un attimo si domandò come e quando fosse accaduto – quanto diavolo era rimasto nella sua cabina a leggere e a riflettere sul caso? – me le domande vennero spazzate via udendo qualcosa di fin troppo familiare: una di quelle orribili canzoni che intasavano le radio ad ogni Natale.
Laaaaast Christmas I gave you my heart, but the very next daaaay you gave it awayyy. Thiiiiiiiis year, to save me – ciao Asriel! – from tears, I’ll gave it to someone speciaaaal…”
Asriel s’immobilizzò sulla soglia, orripilato mentre Clodagh gli passava davanti imbracciando una chitarra e cantando con James al seguito.
“Ma cosa… MA CHE STATE FACENDO?
“Non vedi, cantiamo canzoni natalizie mentre addobbiamo il tren- Ehy!”
Clodagh smise bruscamente di suonare quando Asriel la prese per un braccio, trascinando a forza lei e James all’interno della sua cabina ignorando le loro sonore proteste.
Chiusa la porta, li fece sedere sul letto e prese la chitarra dalle mani della collega per appoggiarla contro il muro prima di piazzarsi loro di fronte con le braccia strette al petto, pronto alla ramanzina:
“Ascoltatemi bene, Marzapane-Man e Miss Marple variopinta…”
James si portò offeso le mani al petto – coperto dal suo maglione preferito con gli omini di marzapane – mentre Clodagh invece sorrise allegra dando una gomitata al giovane collega:
“Mi ha paragonato alla più famosa detective donna di sempre! Grazie Asriel!”
“Clo, ma Miss Marple non era vecchia e pure zitella?”
“Cavolo, hai ragione… Asriel, sei un villano!”

Clodagh incrociò le braccia al petto e lanciò un’occhiata torva al collega, che però ricambiò e riprese a parlare senza lasciarsi impressionare:
“E voi smettetela di fare i bambini! Dobbiamo portare a termine un’indagine per omicidio, non fare il karaoke di Natale appendendo roba in giro! Volete passare anche il Capodanno qui dentro o volete tornare a casa?!”
Clodagh avrebbe voluto dirgli di aver organizzato il karaoke per il giorno seguente giusto mezz’ora prima, ma si morse provvidenzialmente la lingua e fece finta di nulla.
“Va bene Asriel, ma capiscici, è Natale! Dobbiamo portare un po’ di gioia in questo mortorio.”
James parlò con gli occhi azzurri carichi di malinconia per i piani natalizi disillusi, rendendosi conto appieno di ciò che aveva detto solo di fronte alle occhiate eloquenti di Asriel e Clodagh:
“Beh, insomma, non volevo dire proprio mortorio… cioè, non in senso letterale… però avete capito, insomma!”
“Sentite, non ho un bel niente contro il Natale. Certo ritengo che sia tutto fin troppo commerciale e che entusiasmarsene particolarmente dopo i 10 anni non abbia molto senso, ma non sono qui per giudicare nessuno in tal senso. Solo, se dovete cantare con addosso maglioni fluorescenti o vestiti da elfi almeno fatelo con discrezione!”
Per un attimo nella mente di James si figurò l’immagine di lui e Clodagh vestiti da Elfi e Asriel da Babbo Natale. Stava quasi per condividerla quando l’occhiata torva del collega lo costrinse a tacere e a distogliere rapidamente lo sguardo: che Asriel sapesse leggere nella mente?

 
*

 
Rientrata all'interno del treno, Delilah stava tornando nella sua cabina per riposarsi dopo la notte passata praticamente in bianco con Ro e Kiki al seguito, ma il mago fu costretto a fermarsi quando Delilah gli si bloccò di colpo davanti:
“Laila? Che succede?”
Confuso, Prospero osservò la nuca coperta dai lisci capelli corvini dell’amica prima che Delilah, immobile, accennasse a qualcosa posto nel passaggio tra I e II classe:
“Chi cazzo è che ha messo del vischio in giro?”
Prospero sollevò il capo a sua volta, aggrottando la fronte nello scorgere la pianta sopra di loro e asserire di non averne idea.
Dopodiché abbassò lo sguardo sull’amica, che si voltò verso di lui prima di venire colpita dallo stesso pensiero. I due s’irrigidirono, spalancarono gli occhi con orrore e poi si ritrassero disgustati all’unisono:
“Porco Salazar che schifo… Io non ti bacio neanche morta!”
“No, io non bacio te nemmeno morto. Fammi passare, prima che qualcuno ci veda e ci costringa a baciarci!”
Prospero si affrettò a superare l’amica, che gli corse dietro verso la propria cabina guardandosi ansiosamente attorno in cerca di altro vischio:
“Baciare te sarebbe come baciare Cecil… Che immagine orrenda, ma t’immagini baciare Cecil? Bleh!”
Delilah aprì la bocca simulando un conato di vomito e le sue parole fecero quasi rabbrividire l’amico, che sfoggiò una debole smorfia a sua volta:
“No tesoro, non passo il mio tempo libero ad immaginare di baciare i miei migliori amici! Immaginati però la fortunata che si potrebbe trovare sotto il vischio con Tu-Sai-Chi…”
Mentre infilava la chiave nella serratura della propria cabina Prospero ridacchiò, sperando vivamente di assistere ad una scena simile entro la fine delle indagini prima di cogliere l’espressione confusa con cui l’amica lo stava guardando:
“Non Voldemort Laila. Intendo Asriel!”
 
 
 
 
 
 
 
 
…………………………………………………………………………………
Angolo Autrice col cuore spezzato:
 
Insomma, ditelo che vi siete tutte organizzate: Renèe ha una sorella di nome Corinne,  sia May che Lenox hanno una sorella di nome Morgan e i fatti che hanno portato Corinne – nonché il suo lavoro – e Lenox sul treno si intrecciano alla perfezione. La faccenda è abbastanza intripposa, poveri i nostri Auror.  E povera me costretta a scrivere di queste cose. Anna, il prossimo OC lo voglio vedere correre felice nei prati come Georgie dell’omonimo anime, sappilo.
Il Natale si avvicina, e anche la fine degli interrogatori… nel mentre la nostra Bella Fotografa Misteriosa è giunta ad una personalissima conclusione del caso, vedremo se ha ragione, se ha sbagliato o se sta perculando tutti e in realtà La Panterona l’ha fatta fuori proprio lei.
Oggi vi chiedo di votare tra:
Renèe
Finn
Elaine
 
Riuscirà Asriel a sopravvivere a questo Natale? Lo scopriremo nel prossimo capitolo.
A presto!
Signorina Granger


 
   
 
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