Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio!
Segui la storia  |       
Autore: Mockingjay_chan    31/03/2021    0 recensioni
Due pesche, una banana e un paio di libri. Nient’altro.
“Pessimo, per oggi dovrò accontentarmi”. Chiuse lo zaino e se lo mise in spalla, pronta per allontanarsi da centro del paese. Riprese a camminare a passo svelto lungo la strada lastricata, guardandosi in giro di tanto in tanto per assicurarsi che nessuno la stesse seguendo. Erano quasi undici anni che viveva così: arrivava su un’isola, rubava quanto le serviva per sopravvivere, ogni tanto qualche vestito e quando il fato era particolarmente benevolo agguantava qualche libro che avrebbe restituito al legittimo proprietario una volta finito, prima di imbarcarsi di soppiatto su qualche nave e scroccare un passaggio fino alla prossima isola. Il tutto rigorosamente da sola.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Pirati Heart
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Due pesche, una banana, e un paio di libri; nient’altro.

Pessimo, per oggi dovrò accontentarmi”. Chiuse lo zaino e se lo mise in spalla, pronta per allontanarsi da centro del paese. Riprese a camminare a passo svelto lungo la strada lastricata, guardandosi in giro di tanto in tanto per assicurarsi che nessuno la stesse seguendo. Erano quasi undici anni che viveva così: arrivava su un’isola, rubava quanto le serviva per sopravvivere, ogni tanto qualche vestito e quando il fato era particolarmente benevolo agguantava qualche libro che avrebbe restituito al legittimo proprietario una volta finito, prima di imbarcarsi di soppiatto su qualche nave e scroccare un passaggio fino alla prossima isola. Il tutto rigorosamente da sola.

Non che fosse proprio la vita che sognava, ma per uno strano scherzo del destino si era trovata a condurre un’esistenza da ladra, clandestina, mendicante e tal volta da fuggitiva. Spesso le era capitato di sfruttare il suo aspetto per rimediare un pasto o una stanza in qualche bettola piena di pirati, non che fosse bellissima, era una ragazza nella media. Non era troppo alta, coi capelli neri che le arrivavano poco sopra le spalle e una frangetta spettinata che le copriva gli occhi, neri anche quelli, gli unici segni che la distinguevano erano la sacca rossa che portava in spalla dove infilava refurtiva e diari pieni di appunti e una katana dalla lama bianca, anch’essa tenuta dietro la schiena.

La città di Alsafara era piccola ed essendo l’unica dell’isola su cui si trovava portava il suo stesso nome. Le case erano tutte ammassate alla rinfusa ai bordi della strada principale, larga qualche metro e lastricata di marmo bianco. Lo stile architettonico della zona combaciava con le possibilità economiche degli abitanti della città, le mura degli edifici erano in arenaria, intervallati di tanto in tanto da qualche buco che doveva fungere da finestra e quasi tutti erano composti da almeno tre piani, ognuno occupato da un piccolo appartamento mal arredato. Ogni mattina in occasione del mercato, tutti i cittadini si riversavano nella strada principale e nella piccola piazza al centro della città, chi per vendere e chi per fare provviste. Alla giovane erano bastati pochi giorni per capire l’andazzo generale di quel nuovo posto.

Era quasi mezzogiorno e la via principale stava iniziando a svuotarsi. La ragazza camminava piano in mezzo alla folla per non farsi notare, anche se era difficile non notare il suo pallore in mezzo a quel mare di pelli ambrate.

«Ehi tu! Fermati!» si voltò di scatto verso la direzione da cui proveniva quel grido. Un uomo tozzo e dall’aria minacciosa la stava indicando a qualche metro di distanza, la fronte imperlata di sudore per lo sforzo dell’inseguimento.

Merda!” era il proprietario della bancarella da cui aveva trafugato la frutta, probabilmente l’aveva vista sgattaiolare tra la gente ed era riuscito a seguirla fin lì.

Iniziò a correre lungo la strada imprecando mentalmente, con l’uomo che la inseguiva come se raggiungerla fosse una questione di vita o di morte. Percorse un centinaio di metri in linea retta, correndo sul marmo bianco e rischiando di scivolare ad ogni passo prima di riuscire a trovare un vicolo abbastanza largo in cui infilarsi. Muoversi nel dedalo di vicoli di quella città era un’impresa quasi impossibile.

Corse nel vicolo con la testa rivolta all’indietro per assicurarsi che l’uomo non l’avesse seguita ma andò a sbattere contro qualcosa e si ritrovò seduta a terra, con una fitta alla testa che presto sarebbe diventata un bernoccolo.

Si massaggiò la fronte per qualche secondo, stordita dall’impatto, prima riaprire gli occhi e mettere a fuoco quello che stava di fronte a lei. Due uomini, uno seduto a terra nelle sue stesse condizioni e uno in piedi che cercava di tirare il braccio del compagno per farlo rialzare. Entrambi vestiti con una stupida tutona bianca nonostante il caldo e dei cappelli che ne coprivano in parte il volto.

«Ma che diavolo...» una fitta alla gamba la riportò al mondo reale, si portò una mano alla caviglia fasciata con un pezzo di stoffa di recupero; il taglio che si era procurata qualche giorno prima stava iniziando a darle noia per lo sforzo della corsa, pulsava fastidiosamente e un dolore sordo iniziava ad irradiarsi verso il ginocchio. Non si scompose, stava scappando e probabilmente vista la violenza dell’impatto anche i due tizi erano di fretta.

«Ehi voi! Lo sappiamo che siete qui!» la voce proveniva da un’altra stradina, alle spalle dei due tizi. Non ci pensò due volte, si mise in piedi e afferrò l’altro braccio del tizio steso a terra, aiutando il suo amico a rimetterlo in piedi e correndo li trascinò entrambi in un altro vicolo poco distante. Sulla faccia dei due era dipinta la stessa faccia confusa della ragazza, ma scappare aveva la priorità, alle domande ci avrebbero pensato dopo.

Corsero tutti e tre per una decina di minuti imboccando vicoli e saltando muretti. Ogni passo era una fitta e se non fosse stato per l’adrenalina non si sarebbe retta in piedi. Salirono le scalette esterne di un edificio fino a raggiungere il tetto piatto, se gli inseguitori non li avevano visti salire non li avrebbero mai cercati lì sopra. O almeno così speravano.

Si accovacciarono appoggiati al parapetto, convinti che dal basso li avrebbe nascosti a dovere. Rimasero zitti per qualche minuto, ognuno intento a riprendere fiato. Il tizio che poco prima l’aveva buttata a terra si era sdraiato mentre l’altro si era accovacciato con la testa tra le ginocchia. La giovane decise di approfittare di quel momento di distrazione per controllarsi la ferita.

Tolse piano la benda ormai sporca di sangue, il taglio era all’esterno della caviglia destra, poco più corto di una spanna e non troppo profondo. Niente di troppo grave, si sarebbe detta, se non fosse stato per l’aspetto. La pelle intorno alla ferita era rossa e gonfia, la sentiva calda anche senza il bisogno di toccarla. Nonostante fosse passato qualche giorno non accennava a rimarginarsi e anzi, l’interno si stava colorando di nero, salvo per quei punti da cui il sangue usciva mischiato ad un poco invitante liquido purulento giallastro e maleodorante. Distolse lo sguardo per paura di vomitare, lo stomaco debole era sempre stato un suo difetto. Si rimise la fascia senza guardare ma ogni movimento le costò uno sforzo non indifferente per sopportare il dolore. Tornò ad appoggiarsi al parapetto con gli occhi chiusi cercando di non pensare a quello che aveva appena visto.

I due uomini scoppiarono a ridere quasi contemporaneamente riportandola alla realtà. «Beh? Che c’è di tanto divertente?» nonostante l’aria stizzita faticava a nascondere una punta di divertimento nella voce.

«No niente» rispose il tizio seduto «solo che è stato davvero forte.. e poi non capita tutti i giorni di essere salvati da una bella ragazza» disse rivolgendole un sorriso sornione, imitato dal compagno.

Questa volta fu lei a scoppiare a ridere. Ok, quei due erano strani. Adesso ne era davvero sicura. Ma non le dispiacevano così tanto, li avrebbe quasi definiti simpatici se non fosse stato per la situazione assurda.

«Comunque piacere, io sono Shachi» il tipo seduto le fece un cenno con la mano.

«E io sono Penguin» il tipo sdraiato si mise a sedere. Entrambi continuavano a sorriderle con fare gentile. Per quanto fosse diffidente quei due le ispirarono fiducia.

«Morgan, piacere mio» aprì lo zaino e ne tirò fuori le due pesche, anche se si erano un po’ ammaccate durante la corsa le lanciò ai due, che la ringraziarono con un gesto del capo. Lei si mise a mangiare la banana.

«Da chi stavate scappando?» glielo chiese con la bocca piena, nonostante fosse una bella ragazza le buone maniere non erano proprio cosa per lei.

«Niente di che, un gruppo di Marines» le disse Penguin con fare distratto.

Un pezzo di banana le andò per traverso.

«Come Marines?!» disse portandosi una mano alla bocca cercando di non tossire troppo. Shachi la guardò come se fosse impazzita «Beh sì… siamo pirati, anzi, Pirati Heart» disse battendosi una mano sul petto, sopra lo stemma della loro ciurma, annuendo con aria fiera.

Non che non le piacessero i pirati, anzi, più volte aveva scroccato pasti e passaggi, ma aveva sempre preferito mantenere una certa distanza. Aveva già abbastanza casini per conto suo, senza bisogno che gliene procurassero altri.

Pirati Heart. Quel nome non le piaceva per niente. Negli anni era diventata una buona ascoltatrice, aveva imparato a captare informazioni importanti anche da conversazioni che ai più apparivano come semplici chiacchiere da taverna. Le venne in mente un nome.

Trafalgar Law”, o come lo chiamavano tutti “Il chirurgo della morte”. Non proprio la persona più simpatica con cui avere a che fare o peggio, con cui avere grane. Una delle Undici Supernove, un uomo spietato che non esitava a ridurre a brandelli chiunque gli si parasse davanti. Su di lui si diceva di tutto, alcuni dicevano che avesse raso al suolo un’intera isola solo per divertimento, altri ancora dicevano che nella sua imbarcazione tenesse i cadaveri di tutti i pirati che aveva ucciso, si diceva addirittura che fosse l’incarnazione stessa del Diavolo.

Beh, certo, probabilmente erano solo voci e questo la giovane lo sapeva bene, ma se di lui dicevano queste cose un fondo di verità doveva pur esserci, no? Il presunto figlio del Diavolo non doveva certo essere un gran simpaticone.

Guardò Shachi e Penguin, loro però sembravano gentili e non avevano ancora tentato di ucciderla o derubarla, ma pur sempre pirati erano.

«Beh, è stato un piacere conoscervi» disse la ragazza alzandosi «ma credo di dover andare» si lanciò zaino e spada sulle spalle. Non le piaceva trattare così le persone, o giudicarle senza motivo, ma davvero non aveva voglia di altri guai. E se quei due stavano scappando dai Marines i guai l’avrebbero presto raggiunta. Si avvicinò zoppicando al parapetto cercando di nascondere la smorfia di dolore e guardando bene che i loro inseguitori se ne fossero andati si preparò mentalmente al salto di tre piani che la attendeva.

«Aspetta!» Shachi si era alzato in piedi e la stava guardando con aria severa. Morgan si irrigidì, ora che sapeva chi erano non poté fare a meno di provare paura. «Con quella gamba non andrai lontano»

«Ma come…» la ragazza lo guardò stupita, quando si era tolta la benda non la stava guardando, ne era sicura.

«E’ infetta, setticemia, ne sono quasi sicuro. A vederla così non ti rimane molto, tra un paio di giorni non potrai più camminare e poi… beh, lo sai» un brivido freddo le percorse la schiena. Lui che ne poteva sapere? Non l’aveva vista davvero.

«Ci hai salvato la vita portandoci qui» Penguin le si avvicinò sorridendo «permettici di ricambiare il favore, il nostro capitano è un medico e saprà aiutarti»

«So benissimo chi è il vostro capitano» lo disse in tono serio, guardando negli occhi prima l’uno e poi l’altro «Non fraintendetemi, voi mi sembrate a posto, ma sto benissimo così. Posso cavarmela»

«A maggior ragione che sai chi è dovresti seguirci. Pensaci, tra poco inizierà a salirti la febbre e allora non potrai più fare niente, sarai troppo debole anche per mangiare.» l’argomentazione reggeva, Shachi si fece ancora più serio «E poi siamo pirati e i pirati ripagano sempre un debito. Soprattutto se è un debito di vita»

«E per cosa? Per essere gettata in mare e morire affogata subito dopo? No grazie» aveva visto e sentito troppe cose per fidarsi di un gruppo di pirati, insistere non sarebbe servito.

«Fai come vuoi» Penguin si abbassò il cappello sul viso e si voltò nella direzione opposta a Morgan, Shachi con lui «E’ un peccato, ci sarebbe piaciuta un po’ di compagnia femminile a bordo»

Di tutto il discorso che, avrebbe voluto ricordargli, verteva sulla sua morte, quella era la cosa che pareva rammaricarli di più.

«In ogni caso, se dovessi cambiare idea ci trovi al porto» Shachi guardò in direzione del sole, ormai alto all’orizzonte «Tra mezz’ora salpiamo».

«Grazie ancora» la guardarono e portandosi una mano alla fronte quei due si congedarono definitivamente.

Li guardò saltare giù dal tetto, seguendoli con lo sguardo mentre si infilavano in un vicolo per poi sparire tra gli edifici. Si accasciò di nuovo contro quel maledetto parapetto. In quel momento si pentì di averli salvati.

Migliaia di pensieri le affollarono la testa. Non era stupida, sapeva benissimo che la ferita era molto più grave di quanto non volesse ammettere. Di medicina ne capiva ben poco, ma di sicuro non voleva mettersi nelle mani di uno che si faceva chiamare “Il chirurgo della morte”. E poi chi poteva assicurarle che l’avrebbe aiutata? Aveva salvato i suoi uomini, non lui, il debito lo avevano loro, non il capitano.

Eppure qualcosa dentro di lei le diceva che sarebbe stata una stupida a non accettare quella proposta. La gamba le faceva un male cane e avrebbe potuto scroccare un passaggio fino alla prossima isola, magari qualche pasto caldo e magari, perché no, un po’ di compagnia maschile. Oppure l’avrebbero gettata in mare, o fatta a fette, o una qualsiasi altra cosa poco divertente a cui sicuramente non voleva pensare.

«Oh ma dai!» sbuffò passandosi le mani tra i capelli. Il suo campo di studio era la mente umana, pur essendo un lupo solitario aveva passato quasi tutta la vita a studiarla nelle sue più sottili sfaccettature, cercando un modo per aiutare sé stessa e gli altri. Eppure ora che doveva scegliere cosa fare non riusciva ad essere razionale, il flusso di pensieri che le attraversava la mente sembrava un fiume in piena.

Quante volte le era capitato prima? Sicuramente una, forse altre due volte. In ogni caso erano passati anni. Ma di decisioni nel frattempo ne aveva prese e non era certo stato così difficile. Era semplice, testa o croce, si limitava a scegliere senza pensare troppo alle conseguenze in base a quello che le faceva comodo al momento. Per quanto si ritenesse una persona razionale l’istinto l’aveva sempre guidata, magari non nel posto giusto, ma da qualche parte l’aveva portata. Eppure ora che c’era di mezzo la sua vita stava cadendo nel panico.

Alzò la testa chiudendo gli occhi, sapeva riconoscere i segnali di un attacco di panico. Respiri lenti e profondi, erano la soluzione migliore. Cercò di pensarci razionalmente, prima non si era accorta dell’uomo che la stava seguendo dei due che le correvano in contro e non si era accorta nemmeno che Shachi le aveva visto la ferita. Stava iniziando a perdere colpi, questo dovette ammetterlo e forse starsene in giro così non era una grande idea, se non l’avesse uccisa l’infezione sarebbe morta per qualche distrazione.

Per come la vedeva, qualsiasi cosa avesse scelto avrebbe potuta ucciderla. La ferita ci avrebbe messo più tempo e probabilmente sarebbe stata una morte lenta e penosa. Infilarsi nella bocca di uno squalo sarebbe stato sicuramente doloroso, ma magari ci avrebbe impiegato meno tempo.

Non era sicura di voler morire su quell’isola, non era sicura di niente.

Razionalmente avrebbe potuto cercare un medico sull’isola e magari cavarsela ancora per un po’. L’ istinto le diceva di seguire quei due soggetti assurdi e rischiare, non che credesse nel destino, ma si erano trovati nel posto giusto al momento giusto, quante probabilità potevano esserci che le capitasse una cosa del genere? Una su un milione forse? No, probabilmente erano molte meno.

Sentì il cuore accelerare i battiti, una strana sensazione le invase la bocca dello stomaco. Aveva voglia di correre.

Sai che vuoi farlo...” scosse la testa. Stava impazzendo di sicuro.

Da quando ti tiri indietro?” non si stava tirando indietro. Era solo buonsenso.

Sono pirati, avranno sicuramente dell’alcool a bordo” stava cercando di comprarsi da sola. Che cosa stupida.

Codarda!” quello no. Il suo orgoglio non glielo avrebbe permesso. Nessuno poteva darle della codarda, meno che meno poteva dirselo da sola. E in un momento di debolezza per di più!

Si alzò di scatto, una fitta le invase la gamba. Non era sicura di quello che stava facendo e razionalmente sapeva che non aveva senso ma continuare a rimuginarci ne avrebbe avuto ancora meno. Mezz’ora, poi sarebbero salpati senza di lei e sapeva già che avrebbe rimpianto a vita quella decisione. Sarebbe morta? Sarebbe successo in ogni caso.

Cercò di ignorare il dolore e raccolse lo zaino da terra per l’ennesima volta.

Scese in fretta dal tetto, passando dalla stessa scala che aveva usato per salire. Guardando il sole ad occhio e croce doveva avere ancora una decina di minuti, il porto non era vicino, ma se avesse corso forse ce l’avrebbe fatta.

Strinse i denti e corse in mezzo ai vicoli, la strada più veloce per raggiungere il porto era la strada principale. Corse sul marmo bianco più veloce di quanto non avesse mai fatto, i muscoli le bruciavano per lo sforzo e il dolore alla gamba stava diventando insopportabile. Non doveva arrendersi, ormai era una questione personale. Pirati o no. Il peso che portava sulla schiena la sbilanciava pericolosamente ad ogni passo, come se essere zoppa non fosse già un problema, ma non avrebbe mai rinunciato a zaino e spada.

Tagliò la strada ad una vecchietta che la riempì di insulti, ma il cuore le batteva nelle orecchie talmente forte che non se ne accorse.

Le edifici le sfrecciavano accanto come un’unica macchia gialla. In lontananza si vedeva la spiaggia, bianca come poche altre. Faceva caldo, il sudore le appiccicava la frangia alla fronte coprendole gli occhi.

Si morse un labbro per non pensare al dolore. La pressione iniziava a scenderle, la vista iniziava ad offuscarsi.

Inciampò più volte e dovette metterci tutto il suo impegno per non cadere. Faticava a respirare, gola e polmoni le bruciavano. Ormai ne era sicura, se non ci avessero pensato i pirati o la ferita, l’avrebbe uccisa un infarto.

Correva a testa basta, con gli occhi chiusi per conservare un minimo le energie e si accorse di essere sulla spiaggia solo quando sentì la sabbia sotto i piedi. Le mancava poco, un ultimo sforzo.

Il molo era a pochi metri, ma della barca neanche l’ombra. Una strana sensazione le attraversò lo stomaco. Smise di correre. Le bastarono pochi passi per raggiungere la passerella di legno. Davanti a lei c’era solo l’orizzonte, vuoto e piatto come sempre.

Si accasciò sulle ginocchia, ogni respiro le costò uno sforzo immane. Era arrivata tardi, nonostante la corsa e tutto il resto non ce l’aveva fatta, aveva fallito di nuovo.

Sentì le lacrime pungerle gli occhi ma non fecero in tempo a rigarle le guance. Sentì le energie che abbandonavano il suo inutile corpo, l’ultimo pensiero che le attraversò la mente fu che con tutti le ipotesi che aveva fatto, quello era decisamente il modo peggiore per morire. E poi fu tutto buio.








Ciao a tutti, questa è la prima ff a tema One Piece che scrivo, spero vi piaccia :3 so che come primo capitolo racconta poco niente ma nei prossimi se tutto va bene vedremo qualcosa in più XD fatemi sapere cosa ne pensate! <3 P.S: vorrei ringraziare la mia amica S. che mi ha fatto da beta e che sopporta i miei tfasi notturni. Ti voglio bene <3 P.P.S: trovate la stessa storia su Wattpad, con lo stesso titolo. Sono sempre io ma la coerenza non ci piace e ho un altro nome xD
  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio! / Vai alla pagina dell'autore: Mockingjay_chan