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Autore: Beauty    04/04/2021    3 recensioni
Jamaica. Inizio '700.
L'età d'oro della pirateria sta volgendo al termine, e da molti anni Port Royal non è più il porto sicuro per pirati e bucanieri che era stato un tempo: Kingston Harbour è ora occupato dalle navi della Reale Marina Britannica, e ogni pirata che venga scoperto ad attraccare in città ha la certezza di poter compiere un solo, ultimo viaggio a Gallows Point.
Anne Montrose de La Cruz-Sanchéz è una prostituta che un tempo sognava una vita diversa, una vita d'avventura solcando i sette mari in compagnia di un amore a cui ha dovuto dire addio. E' cresciuta ascoltando le leggende dell'oceano dai pirati; ma fra tutte le storie che ha divorato, una sola l'ha sempre riempita di un misto d'inquietudine, curiosità e terrore: la leggenda di Davy Jones e del suo scrigno.
Finché, una notte, la leggenda sembra diventa realtà, e la spettrale ombra dell'Olandese Volante si staglia oltre la nebbia di Port Royal. E il suo capitano sembra essere arrivato solo per una cosa: il monile di conchiglie che Anne porta al collo...
Genere: Dark, Fantasy, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Capitolo I
 
La casa delle bambole
 
 
 
Vorrei poter iniziare la mia storia raccontando di un'infanzia e un'adolescenza avventurosa, costellata d'indicibili pericoli e viaggi nei luoghi più remoti del globo terracqueo, ma in realtà i miei primi anni di vita non sono stati niente di più e niente di meno che l'esistenza tranquilla e agiata della figlia di una prostituta d'alto bordo.
Ero troppo piccola per ricordare come fossi in quel periodo. Una bambina come le altre, immagino. Nella mia memoria solo tre ricordi di quel tempo non sono mai sbiaditi: il bordello, James e il mare.
 
***
 
Sono nata in Jamaica il 7 giugno 1693, a Port Royal, la città che all'epoca era famosa come la Sodoma del Nuovo Mondo – e che come la Sodoma dell'Antico Testamento, così sostennero i preti e i puritani, era stata colpita dalla furia di Dio.
Un anno prima della mia nascita, la terra aveva tremato.
Poco prima di mezzogiorno, il terremoto aveva fatto inabissare ben trentatré acri della città, e nel giro di due minuti il mare si era sollevato, e i suoi flutti si erano abbattuti sulle case ancora rimaste in piedi. Si diceva che la spiaggia dei North Docks avesse inghiottito le persone che camminavano su di essa al momento delle prime scosse.
La fregata Swann, che era attraccata al porto, venne sollevata dalle onde fin sui tetti delle abitazioni. Fort James colò a picco come la Santa Teresa sulla rotta per l'Havana.
Più di tremila persone, quel giorno, vennero portate via da quel Dio per il quale andavano a messa tutte le domeniche. Tutte le case delle vicine Liguanea e St. Jago furono distrutte – Port Royal non se la cavò meglio.
Ma il bordello rimase in piedi.
Per chi aveva creduto di trovare nella corruzione della città quell'improvvisa ira di Dio, questo evento fu insieme croce e delizia: si ritrovarono scornati e delusi per non aver potuto assistere al fulmine divino che squarciava le mura del bordello come il tempio di Gerusalemme, e allo stesso tempo si sentirono inorgogliti per aver ricevuto conferma alle loro ipotesi, secondo cui il Canto della Sirena fosse uno dei luoghi protetti dal demonio.
Le onde non raggiunsero il pezzo di roccia sporgente dove il bordello era inerpicato. Il terremoto lo scalfì appena, e le uniche ferite di guerra che riportò consistettero in qualche tegola caduta e in una lunga crepa verticale sulla parete esterna a est, che negli anni venne interamente ricoperta dai fiori rampicanti di un gelsomino.
 
***
 
Sono passati anni dall'ultima volta che ho rivisto il Canto della Sirena. Non so neppure se esista ancora e, sinceramente, non credo di volerlo sapere. Mi piace ricordarlo com'era quando lo lasciai, un blocco rettangolare di mattoni rossi e tegole marroncine che torreggiava su una roccia sporgente al di sopra di Chocolate Hole. Si ergeva quasi attaccato ai magazzini, e non era affatto un edificio discreto.
Era chiaro che chi aveva costruito il Canto della Sirena non aveva previsto che un giorno sarebbe diventata una casa di piacere. Anche Port Royal, il luogo più malvagio e peccaminoso della terra, aveva le sue regole architettoniche. I postriboli, fossero essi d'alto bordo o tane di sporcizia a buon mercato come quelli presso il ricostruito porto, si confondevano in mezzo alle taverne e ai magazzini, all'interno di vie secondarie dei – pochi – moralmente retti che abitavano Port Royal prima e appena dopo il terremoto; vi si accedeva da una porticina illuminata dalla fioca luce di una lampada a olio, che spesso era incastrata e mezza nascosta tra barili di rum vuoti, e magari con qualche povero diavolo ubriaco accasciato sullo scalino dell'ingresso.
Il Canto della Sirena sorgeva lontano dalla zona abitata della città, e un tempo era stata una residenza privata. Zia Socorro mi raccontò la sua storia un pomeriggio in cui l'intero bordello era impegnato nei preparativi per l'imminente arrivo del Capitano, e maman – che per l'occasione non riceveva mai altri clienti – mi voleva fuori dai piedi più del solito.
Avevo quattro anni e non amavo molto la compagnia di zia Socorro. Non era mia zia né la zia di nessun altro ma, per ragioni di cui mai venni a conoscenza, tutte al bordello la chiamavano così. Era già anziana quando io ero bambina e aveva smesso di prostituirsi da tempo e, quando ancora la tenutaria era Madame Cotton, faceva un po' di tutto al bordello, come pulire, cucinare e di tanto in tanto aiutare le altre ragazze a vestirsi e a prepararsi per quando si aprivano le porte. Faceva un po' di tutto e un po' di tutto si lamentava. Puntualizzava sempre sulla sporcizia, ma non spolverava mai gli angoli e passava lo straccio solo dove non era obbligata a piegare la schiena; aveva da ridire sugli sprechi che Madame Cotton effettuava sulla spesa, comprando cibo che poi veniva gettato via, eppure lei cucinava solo merluzzo salato e patate bollite; quando una delle ragazze le chiedeva di aiutarla ad allacciarsi il corsetto o a incipriarsi la parrucca, zia Socorro spesso si dichiarava impossibilitata a farlo adducendo la scusa di non vederci più bene, ma era sempre con un libro in mano e aveva gli occhi di un falco quando si trattava di scovare una nuova ruga sul volto di mia madre.
A zia Socorro non piaceva nessuno, e a nessuno piaceva zia Socorro. Io non facevo eccezione. Ma quel giorno sembrava che io fossi fuori posto in qualunque angolo del bordello mi dirigessi, così a metà del pomeriggio mi ero ritrovata a bighellonare nell'ingresso senza nulla da fare e con la prospettiva di avere troppe ore di fronte a me da poter essere spese senza infastidire nessuno. La vittima delle mie stupide e ovvie domande fu zia Socorro, che a sua volta perdeva tempo appollaiata su uno sgabello sfogliando svogliatamente una copia di Englands Helicon.
- Se ti racconto una di quelle storie che ti piacciono tanto - aveva berciato dopo l'ennesima domanda sulla linea di perché i gabbiani volano e i pesci no?, sbattendo il volume sulle ginocchia ossute.- Poi farai la brava e chiuderai quella boccaccia?
Il nome originario del Canto della Sirena era Mansão Corte-Real, ed era stata costruita da un portoghese, un tale Jaco Corte-Real, che dopo essere stato capitano di vascello e conquistadores aveva realizzato una fortuna sulla coltivazione e il commercio di cacao e caffé, e che arrivato a poco meno di quarant'anni aveva deciso di sposare una nativa del Nuovo Mondo conosciuta – o catturata – durante i suoi viaggi. Per questo aveva fatto erigere la casa che poi sarebbe divenuta il bordello.
Che non avesse badato a spese era cristallino. La struttura del Canto della Sirena era molto semplice – si trattava di niente più di quattro pareti che ospitavano due piani; ma era enorme, molto più grande di una casa nobiliare. Quasi più grande della residenza del Governatore, puntualizzò in quell'occasione zia Socorro, anche se a tutt'oggi ho i miei dubbi sul fatto che fosse vero. Ma il Canto della Sirena era davvero imponente: contava ben venti stanze, alcune anguste, altre che sarebbero potute essere occupate anche da tre persone.
Jaco Corte-Real aveva voluto rendere la sua residenza il più appartata possibile, perciò aveva deciso di costruirla proprio sulla rocca che si affacciava sulla baia di Chocolate Hole. Negli anni i Governatori di Port Royal ordinarono la costruzione di magazzini e di due forti che andarono a rovinare la quiete e l'atmosfera del luogo e la bellezza dell'edificio, pensato chiaramente per essere un nido d'amore isolato e lontano dalla folla.
Quando la dimora era stata pronta, il suo proprietario vi si era trasferito in compagnia della novella sposa. Ma a quanto pareva Jaco Corte-Real non aveva considerato un dettaglio cruciale, ovvero che era difficile che una donna fosse felice di sposare l'assassino della sua gente. Si vociferava infatti che l'amore avesse accecato Corte-Real a tal punto da averlo illuso che sua moglie avesse dimenticato il suo passato da conquistadores che s'era macchiato di tanto sangue nativo.
Non era una donna vendicativa, ma era una femmina orgogliosa: piuttosto che giacere con chi aveva sterminato il suo popolo, la prima notte di nozze si era gettata dalla terrazza della sua camera da letto.
Corte-Real era morto un anno dopo a causa di un naufragio. Il suo corpo era finito disperso in mare e non era più stato recuperato.
- Ma si vocifera che il suo fantasma torni ancora al bordello nelle notti di luna piena, alla ricerca della sua sposa morta suicida!- aveva sputacchiato zia Socorro.- E ora non scocciarmi più - e aveva riaffondato il naso nella sua antologia di poemi pastorali.- Altrimenti il suo spettro verrà a prenderti, stanotte.
Non seppi mai le dinamiche che portarono una dimora privata a divenire una casa di piacere, eppure accadde. Né io né nessun altro vedemmo mai alcuno spettro, la tragica fine di Corte-Real e di sua moglie non influì sul progredire di Port Royal e la distanza di solo mezzo chilometro dal complesso di magazzini non fece altro che favorire il flusso di clienti e denaro.
Mansão Corte-Real era diventata il Canto della Sirena, e dopo anni il bordello era ancora lì, a torreggiare altero su Fort Walker e Fort Charles, a scrutare i carichi di cioccolato che venivano importati alla baia e a prendersi gioco di una Port Royal che era sprofondata sotto la mano di un Dio che invece aveva risparmiato un luogo così perverso.
 
***
 
Uccidere un neonato è estremamente semplice, e quando venni al mondo molti neonati venivano ammazzati, nei postriboli. Le madri premevano loro un cuscino sulla faccia, o stringevano le dita intorno a quei colli più fragili dei giunchi, o li gettavano in quella tomba che era il mare.
Questo era quasi sempre il destino di un neonato maschio nato da una prostituta – dunque sono sempre stata convinta che l'essere nata femmina sia stata la mia salvezza.
Una femmina nata in una qualunque famiglia veniva cresciuta come carne da matrimonio. Una femmina nata da una prostituta veniva cresciuta come carne da ciò che il matrimonio non era in grado di dare agli uomini.
Questo purtroppo non lo compresi subito, anche se credo di essere sempre stata piuttosto disincantata su determinate cose.
Nessuno ebbe mai la noia di dovermi spiegare come funzionasse il sesso. Da che ho memoria, ho sempre saputo ciò che avveniva nel bordello e il lavoro che facevano maman e le altre ragazze, ma non mi ha mai disturbato. Per me era un mestiere come un altro, e per molti anni non conobbi nessun'altra realtà diversa da quella in cui ero nata e cresciuta, perché per gran parte della mia infanzia non misi mai piede fuori dalla casa di piacere.
Non ho mai avuto amici prima dell'incontro con James, e fino alla nascita di mia sorella fui l'unica bambina all'interno del bordello.
Se ripenso a quegli anni, mi viene in mente una di quelle palle di vetro in cui è contenuta della neve finta: un universo in miniatura che poteva essere scosso da una breve tempesta, ma poi ritornava subito nella sua più assoluta e quieta immobilità.
 
***
 
Per molti anni, la tenutaria del bordello fu Madame Cotton. Anche lei, seppur più giovane di una quindicina d'anni di zia Socorro, aveva smesso di esercitare la professione, e si faceva vedere solo quando un cliente particolarmente importante e affezionato, oppure il Capitano stesso, faceva tappa al Canto della Sirena.
Era una donna che in gioventù doveva essere stata graziosa, ma che a vederla allora sembrava quasi impossibile avesse avuto un passato da prostituta di successo, come millantavano le ragazze che erano lì da più tempo. Era bassa di statura e aveva una corporatura tozza, fianchi larghi e mani grassocce, il collo talmente corto da far sembrare la testa incassata tra le spalle, un seno prosperoso che metteva sempre in mostra con abiti dalla scollatura ampia. I capelli castani si stavano ingrigendo all'altezza delle tempie, ma aveva poche rughe e una pelle ancora molto tonica, che però si ostinava a coprire con una maschera di bianco – ceruso veneziano, diceva zia Socorro che di moda e cosmesi non capiva niente; guano di gabbiani, ribatteva mia madre che di moda e cosmesi credeva di saperne più delle altre, e che non perdeva mai occasione per prendersi gioco di Madame Cotton – e pitturandosi labbra e palpebre con colori molto accesi.
Non conobbi mai abbastanza a fondo Madame Cotton per stabilire se fosse una brava persona o no, ma con me fu sempre molto cordiale. Aveva concesso a mia madre di tenermi con sé e in generale mi trattava bene. Per la maggior parte del tempo tendeva a ignorarmi come facevano tutte le altre ragazze, ma non la sentii mai rivolgersi a me con il tono stizzito che usava zia Socorro o con frasi come via, non scocciare! o gira al largo o sto lavorando, bestiolina, vai a giocare da un'altra parte, che invece erano perennemente sulla bocca di prostitute come Miss Miele o Miss Topazio. Di tanto in tanto, Madame Cotton mi regalava qualche sorriso e una volta – avevo cinque anni –, dopo che avevo passato un'intera nottata con la febbre alta, andò personalmente in città a comprare del latte per me e sgridò zia Socorro quando cercò di rifilarmi i soliti merluzzo salato e patate bollite, ordinandole invece di prepararmi del brodo di carne.
Madame Cotton era forse una brava donna con un debole per i bambini, ma non si rivelò una tenutaria capace. Negli ultimi mesi della sua permanenza al bordello restò sempre chiusa nel suo appartamento privato al pianoterra, adiacente all'atrio, con il naso strabordante di cerone che sfiorava il libro dei conti, impegnata a scartabellare con documenti, bollette, cifre e denaro.
Anche se il bordello era rimasto in piedi, il terremoto del 1692 aveva scosso, se non le sue fondamenta, i suoi affari.
Madame Cotton si era rivelata ben poco ambiziosa negli anni precedenti il grande maremoto di Port Royal – così mi raccontarono –, perché non aveva mai cercato di far compiere al Canto della Sirena quel salto di qualità che lo avrebbe portato in seguito a diventare il bordello più elegante e raffinato della città. Si accontentava che le sue ragazze fossero pulite e decentemente vestite, che fossero gentili con i clienti e che eseguissero quante prestazioni venissero loro richieste, ma nulla di più. Difficilmente usciva dal suo appartamento per dare il benvenuto agli uomini quando, alle quattro del pomeriggio, si aprivano le porte. Risparmiava su tutto: i due salotti e il grande salone dove venivano ricevuti i clienti erano spogli fatta eccezione per qualche sedia o poltrona, ed erano sempre poco illuminati per fare economia sulle candele e sull'olio per le lampade; le camere al piano di sopra erano tutte arredate allo stesso modo, con lenzuola e coperte di stoffa grezza e cuscini di seconda mano, e la negligenza di zia Socorro spesso condannava i tappeti e le tende a essere coperti di polvere.
Soprattutto, a Madame Cotton non venne mai in mente di offrire un servizio ulteriore o più personalizzato rispetto a dei normali rapporti sessuali, né di fare una selezione della clientela.
In questo, il Canto della Sirena era appena un gradino al di sopra di un qualunque bordello dalle parti del porto o del mercato del pesce – più pulito e meglio curato, ma banale e sempre frequentato dallo stesso tipo di persone.
La buona fetta degli uomini che pagavano le ragazze del Canto della Sirena erano i manovali dei magazzini lì vicino, ma il vero bottino di clientela proveniva direttamente dalla baia e dal porto di Chocolate Hole, e soprattutto da Kingston Harbour: marinai appena sbarcati dalle loro navi cariche di spezie e cioccolato che non vedevano l'ora di sfogarsi dopo mesi per mare senza vedere una donna, soldati e ufficiali in licenza da Fort Walker e da Fort Charles e, naturalmente, i pirati.
Già. I pirati.
 
***
 
Port Royal non era la Sodoma del Nuovo Mondo per modo di dire.
Prima del terremoto, più di seimila persone erano stipate in quello che era nato come un villaggio di pescatori nel Mar dei Caraibi, e accanto a fabbri, artigiani, mercanti e proprietari di locande, taverne e botteghe c'era anche la feccia della città: tagliagole, falsari, ladri, mendicanti e vagabondi, avventurieri e...prostitute e pirati.
Port Royal era un porto sicuro per i pirati, che avevano fatto della città la loro casa o il loro punto di scalo per la sua vicinanza alle rotte commerciali per la Spagna e Panama. Prima che il maremoto ne affondasse la metà, il porto era abbastanza grande da poter ospitare almeno duecento vascelli, e a quell'epoca nessuna nave che battesse bandiera diversa da quella pirata e che si trovasse a navigare per quelle acque era al sicuro dagli arrembaggi.
Pirati e bucanieri affollavano le osterie e le locande, passeggiavano accanto ai soldati di stanza a Fort Carlisle ed erano i padroni della città più di quanto lo fossero gli ufficiali, i pochi nobili e il Governatore. Alcuni di loro barcollavano ubriachi con in testa parrucche simili a quelle dei giudici e dei lord del Parlamento inglese, molti sedevano alla stessa tavola dei capitani di vascello e dei mercanti, sebbene ben pochi allora avessero deciso di vendersi completamente e diventare corsari. Tutti si comportavano come re Guglielmo III avrebbe fatto a St. James Palace, e tutti in città porgevano rispetto ai pirati loro sovrani.
Port Royal era il Paradiso dei pirati e, come in ogni Paradiso, oltre al rum e alla bella vita non poteva mancare il sesso. Le prostitute erano le prime a inchinarsi ai bucanieri che tornavano a Chocolate Hole o ai North Docks, e stendevano loro il tappeto rosso quando le porte – e le gambe – del bordello si aprivano.
La clientela del Canto della Sirena ai tempi di Madame Cotton era quasi tutta rappresentata dai pirati, e fu dai pirati che conobbi il mare per la prima volta.
 
***
 
Sono sempre stata libera di fare ciò che volevo, fintantoché avessi rispettato la regola di non disturbare maman e le altre ragazze mentre stavano lavorando.
Nessuno m'insegnò mai a vestirmi correttamente: mi mettevo addosso gli abiti che desideravo o che trovavo in giro, e con gli anni e osservando le prostitute imparai a fare i nodi ai lacci dei vestiti, a infilare i bottoni nelle asole e ad allacciare fibbie.
Potevo dormire quando avevo sonno e restare sveglia fino all'ora che volevo.
Se avevo fame, mangiavo; se non mi andava di cenare o pranzare, nessuno insisteva affinché terminassi ciò che avevo nel piatto – spesso non sedevo neppure a tavola con mia madre e le altre prostitute, ma arraffavo ciò che trovavo nelle cucine o rubacchiavo dai piatti altrui o dai vassoi che zia Socorro preparava. Qualche volta qualcuna delle ragazze si divertiva ad acconciarmi i capelli in boccoli, e l'unico ordine che ricevevo da mia madre era di farmi un bagno di tanto in tanto. Iniziai anche a truccarmi presto, perché dietro la promessa di non rovinarli mi veniva dato libero accesso ai cosmetici e ai gioielli che zia Socorro non usava più.
Imparai a far di conto quasi da sola, ma fino a undici anni rimasi analfabeta, perché né mia madre né nessun altro si preoccupò mai d'insegnarmi a leggere e a scrivere.
Relegata fra le quattro mura del bordello, ignorata da tutte e senza nulla da fare per intere giornate, spesso mi ritrovavo a gironzolare fra i due salotti e il salone in cui venivano ricevuti i clienti. L'accesso al piano superiore mi era proibito da quando le porte venivano aperte finché non erano richiuse, e non potevo salire le scale neppure per andare a letto – condividevo la stanza con mia madre, che usava quella stessa camera per lavorare; perciò, spesso mi addormentavo raggomitolata sul tappeto accanto al camino e lì mi risvegliavo il mattino seguente, con zia Socorro che apparecchiava la tavola per la colazione.
Ma nessuno mi vietava di passeggiare nelle stanze del bordello in cui le prostitute ricevevano i clienti, sebbene più di una volta amplessi e rapporti orali venissero consumati su quello stesso tappeto dove poco dopo mi sarei coricata: poiché però avvenivano sotto gli occhi di tutti, due paia di pupille in più non avrebbero disturbato tanto quanto sarebbero state indiscrete in una camera da letto.
Così, spesso mi accovacciavo ai piedi di qualche bucaniere, oppure dietro a una delle poltroncine o strisciavo sotto i tavolini, e rimanevo lì, magari per ore, ad ascoltare tutti i discorsi e le storie che i pirati condividevano con le loro prostitute.
 
***
 
Gli uomini di mare amano parlare e raccontare dei loro viaggi, e non c'è migliore ascoltatrice di una sgualdrina che ha tutto l'interesse a venire in possesso del denaro che le verrà dato in cambio della sua attenzione.
Ma io avrei ascoltato all'infinito anche senza che nessuno mi pagasse.
Le storie che preferivo erano quelle dei marinai e dei pirati. Anche i soldati e i pochi ufficiali avevano il loro bravo pezzo di vita e numerose esperienze da narrare, ma si trattava più che altro di pettegolezzi, o resoconti noiosi di questo o quell'altro incontro di lavoro o evento sociale. Gli aneddoti in cui mettevano in ridicolo le donne che avevano sposato erano più divertenti e spesso mi trovavo a ridere delle sempliciotte impomatate di cui si prendevano gioco, ma compresi quasi subito che non era il genere d'intrattenimento che cercavo – senza contare che le guardie spesso si accigliavano quando si accorgevano che una bambina di sei anni pelle e ossa li aveva spiati per ore e aveva origliato le loro conversazioni nascosta dietro una tenda.
I pirati erano più simpatici. Alcuni di loro – come il Capitano – mi prendevano sulle ginocchia e raccontavano direttamente a me il finale dell'avventura che avevo iniziato ad ascoltare accucciata sotto al divano. Mi trattavano come un'adulta, non come una bimbetta petulante incapace di comprendere; anzi, sembravano felici che qualcuno desiderasse genuinamente ascoltare ciò che avevano da dire.
I pirati non erano mai a corto di storie nuove. Non importava quanto avessero viaggiato e se avessero ormai esplorato tutto il mondo conosciuto: ogni volta che uno di loro rimetteva piede al Canto della Sirena, fossero passati due anni o quindici giorni, aveva sempre delle nuove vicende di cui rendere partecipi le ragazze del bordello...e spesso una bottiglia di rum o di Tia Maria li aiutava a essere più sciolti e loquaci.
Le storie dei pirati mi aprirono gli occhi e la mente. Mi fecero comprendere che esisteva un intero mondo oltre le porte del bordello, e in poco tempo capii che io, questo mondo, lo volevo vedere, ne volevo scoprire ogni più piccolo mistero.
Le mie orecchie ascoltavano, ma la mia mente mostrava ai miei occhi ciò che avrei desiderato più dell'udire quelle storie: viverle.
Un pirata raccontava dell'arrembaggio della sua ciurma ai danni di un mercantile spagnolo o francese, e io immaginavo una versione adulta e perfetta di me stessa, in camicia, pantaloni e tricorno, aggrappata a una corda con una mano e con una spada nell'altra, mentre partecipavo al medesimo assalto, infilzando chiunque provasse a pararsi tra me e il tesoro contenuto nella stiva. Un altro bucaniere narrava di una tempesta che pareva essere stata scatenata dal dio Nettuno in persona e che si era abbattuta sulla sua nave mentre navigava nelle acque dell'arcipelago di San Andrés, e io mi figuravo sul ponte del vascello, con i capelli al vento bagnati dalla pioggia, mentre con il resto della ciurma trafficavo con le cime di sicurezza, oppure cercavo di governare il timone per evitare di schiantarci contro gli scogli.
Ma sarei stata felice anche solo di potermi affacciare alla prua di una nave e scrutare il mare aperto, diretta verso uno di quei luoghi che ogni pirata conosceva come il palmo della propria mano: Antigua e Haiti, le Isole Vergini e le Bahamas, fino alle coste del Messico e del Nicaragua, e poi anche oltre, spingendomi fino a quell'Inghilterra che sembrava tanto lontana, o in quell'Africa dove vivevano leoni e tigri e gli elefanti che Annibale aveva guidato all'assalto dei Romani.
Volevo vedere cosa c'era oltre Port Royal, volevo attraccare a Tortuga e scoprire se Libertalia fosse davvero una leggenda oppure un'utopica realtà.
Fu il Capitano a parlare per la prima volta di Libertalia, dopo ben tre anni lontano da Port Royal, durante la sua terza sera al Canto della Sirena: il sogno proibito di ogni pirata, una colonia anarchica fondata presso le coste del Madagascar dai pirati stessi, sotto il comando del capitano James Misson – anche lui più leggenda che realtà.
- E non avete mai provato a cercarla, Capitano?- avevo chiesto.
Maman mi aveva lanciato un'occhiata di traverso: un'altra regola non scritta era che non dovevo mai interrompere e in generale parlare in presenza dei clienti. La regola valeva due volte, se il cliente in questione era il Capitano.
- Piuttosto mi strappo le budella e me le rimetto a posto una dopo l'altra, ragazzina!- aveva berciato il Capitano per tutta risposta, a metà fra il serio e il divertito, e aveva tracannato un generoso sorso di rum.- Tutti quelli che ci hanno provato sono finiti dritti nello scrigno di Davy Jones?
- Chi è Davy Jones?
- Hai fatto troppe domande per stasera, ma chérie - aveva sillabato mia madre con un sorriso di perla, anche se con lo sguardo mi stava dicendo dopo facciamo i conti.- Vai a farti un giro. Il Capitano non ha voglia di stare a sentire le tue sciocche chiacchiere.
Il Capitano le aveva dato una sonora pacca sul fondoschiena e l'aveva stretta a sé, facendola sedere sulle sue ginocchia.
- Lasciala stare - aveva bofonchiato.- Mi piacciono le ragazzine curiose. Ma non ti racconterò la storia di Davy Jones, stasera, piccola. Scegline un'altra. Hai mai sentito parlare della leggenda di Colapesce, mh?
Avevo scosso il capo e lui aveva iniziato a raccontarmi del ragazzo in grado di trasformarsi in un pesce, di fatto prendendomi subito all'amo, tanto che in quell'occasione mi dimenticai di Davy Jones e non insistetti.
Se da una parte c'erano i racconti di viaggi, avventure e posti lontani e meravigliosi, dall'altra c'erano le leggende, i misteri dell'oceano, storie di mostri e creature fantastiche, di maledizioni e spettri.
Le adoravo in egual maniera, e non ne ero mai stanca.
C'erano città perdute, come Atlantide. Come Ys, fatta costruire sotto il mare da un re che non desiderava altro che compiacere la sua unica figlia, ma ignaro del cuore malvagio che ella celava: desiderando solo la distruzione di ciò che vi era di bello al mondo, una notte la principessa rubò al padre le chiavi della città, e con esse aprì la cupola di vetro che la proteggeva dalle acque, e i flutti uccisero tutti gli abitanti nel loro sonno. Come Risa, sede del tempio di un dio pagano e malevolo che la fece inabissare per capriccio, e che i rintocchi della cui campana avvisavano i naviganti dell'arrivo di una burrasca.
C'erano mostri, come il Kraken, il Leviatano, serpenti, tritoni, e le sirene che con il loro canto attiravano i marinai e li affogavano trascinandoli con loro sott'acqua.
E poi, c'erano le storie di fantasmi.
Ogni pirata che si rispettasse aveva una storia di spettri da raccontare, e il mare pullulava di navi che non erano mai tornate in porto: la luce fantasma della baia di Chaleur era in realtà il fuoco di un'imbarcazione portoghese incendiata dalle anime dei nativi che il capitano aveva scotennato, e un vascello spettrale infestava lo Stretto di Northumberland.
Ascoltavo queste storie, le memorizzavo a tal punto che avrei potuto recitarle a memoria, e di tanto in tanto, quando avevo l'occasione di poter salire nella stanza che dividevo con maman, mi aggrappavo alla balaustra di marmo del balcone: la camera in cui mia madre dormiva e riceveva i clienti era la più grande e la più bella del bordello, ed era l'unica ad avere una terrazza, che si sporgeva al di sopra della scogliera; se si guardava di sotto, si potevano scorgere le punte affilate degli scogli contro cui s'infrangevano le onde e la spuma del mare si ritirava, e contro cui aveva probabilmente trovato la morte la sposa di Jaco Corte-Real.
Ma di rado io guardavo di sotto: preferivo guardare avanti.
Il blu del mare e l'azzurro dell'oceano sembravano unirsi sulla linea d'orizzonte. Quasi tutti i giorni potevo trovarmi di fronte a quella vista, ma non me ne stancavo mai. Il mare poteva essere calmo, agitato o in tempesta: era comunque meraviglioso.
All'imbrunire, quando il sole stava per tramontare, i suoi raggi gettavano delle tinte aranciate sulla superficie marina, creando un caleidoscopio di luci e ombre sulle onde del Mar dei Caraibi.
Fu durante uno di quei tramonti e di fronte al mare che feci a me stessa la promessa di non limitarmi, un giorno, solo ad ascoltare le storie dei pirati, ma di viverle. Di lasciare Port Royal e di scoprire cosa ci fosse dietro quell'orizzonte tanto lontano.
Non svelai mai a nessuno questa mia promessa. Neppure a James, neppure a mia sorella e tanto meno a maman. Lei era lungi dal sospettare quale fosse il mio sogno, ma una parte di me sapeva che non l'avrebbe preso sul serio.
Anche lei aveva dei sogni, naturalmente, ma molto più concreti dei miei, e sapeva con esattezza come fare per realizzarli.
Incinta per la seconda volta, mia madre divenne la nuova tenutaria del bordello pochi giorni dopo il mio settimo compleanno.
 
***
 
Madame Cotton non seppe ammortizzare e gestire al meglio le conseguenze che, sul lungo termine, il terremoto riversò su Port Royal.
La città venne ricostruita, ma non fu più come prima. I pirati vennero messi in fuga prima dagli affari claudicanti e poi dalla società benpensante che si era rifiutata di lasciare Port Royal. La vicina Port Kingston divenne il nuovo cuore pulsante della Jamaica, e a Port Royal rimasero solo alcuni artigiani e commercianti particolarmente coraggiosi – o che non avevano nulla da perdere –, agiati mercanti che temevano la concorrenza e sonnolenti nobili venuti alla ricerca di un po' di esoticità nel Mar dei Caraibi.
Lentamente, il porto, le taverne, le botteghe vennero erette di nuovo, ma le cose stavano cambiando irreversibilmente.
Sono sempre stata una buona ascoltatrice, e in generale ho sempre preferito stare a sentire ciò che le altre persone avevano da dire, piuttosto che parlare a mia volta. E negli anni ascoltavo – storie, leggende, ma anche i discorsi che le ragazze del bordello facevano dalle dieci di mattina, ora della sveglia, alle quattro del pomeriggio. Parlavano di cose che non sempre capivo, ma a cui riuscii a dare un senso una volta cresciuta: discutevano di navi negriere che giungevano in porto ogni settimana, di una certa legge anti-pirateria di prima del terremoto, di come l'arrivo della Reale Marina Militare a Port Royal stesse scombussolando tutto, di Gallows Point.
Più di ogni altra cosa, parlavano di quanto gli affari andassero male, e negli anni quella divenne l'unica, onnipresente conversazione al Canto della Sirena.
Ricordo vagamente quel periodo.
Quasi non mi accorsi che il merluzzo era scomparso da tavola ed erano rimaste solo le patate, che alcuni mobili iniziarono a sparire, che maman e le altre ragazze erano sempre più nervose a ogni giorno che passava, e che tutte, in qualunque maniera girasse il discorso, finivano con il dare contro a Madame Cotton.
Ma che i pirati non frequentassero più il Canto della Sirena, oh, di quello sì che me ne accorsi. Ed eccome se mi accorsi che il bordello diventava sempre più vuoto di mese in mese, e che nelle settimane precedenti al mio settimo compleanno trascorressero anche intere giornate senza che un'ombra varcasse la porta d'ingresso.
Il Capitano era partito per un viaggio un anno prima, e non si sapeva quando o se sarebbe tornato. E a poco a poco, insieme ai clienti, anche le prostitute cominciarono ad andarsene: molte di loro, come Miss Miele, Miss Topazio o Miss Stella, semplicemente cambiarono bordello, trasferendosi in uno di quelli rimasti in piedi in città, altre, come Miss Regina, si posero interamente sotto la tutela del loro protettore o si trovarono un amante fisso che le mantenesse, e alcune, come Miss Giunone, abbandonarono per sempre Port Royal, finché della vecchia guardia non rimasero che poche stoiche.
Io ero triste, perché per me significava non avere più delle nuove storie da ascoltare. Ma maman temeva più la miseria che la tristezza, e fu allora che decise di muovere le pedine che aveva attentamente e gelosamente posizionato sulla sua scacchiera.
 
***
 
Era una creatura strana, mia madre. Eterea a suo modo, ma solida come la pietra, pragmatica, forte, determinata, e ancorata anima e corpo a quella roccia su cui sorgeva il bordello e a ogni singolo mattone rosso di cui era costruito il Canto della Sirena. Suppongo di doverle molto, perché scelse di tenermi con sé invece di abbandonarmi o soffocarmi appena nata, anche se con il tempo compresi che, per lei, io e mia sorella fummo come due temporali nel corso di una navigazione altrimenti priva d'intoppi.
Maman non ebbe mai istinto né trasporto materno nei miei confronti, almeno finché fui bambina; con mia sorella le cose furono un po' diverse, ma non fu mai molto in grado di rapportarsi con noi due, quand'eravamo piccole. Di certo amò mia sorella. Non so se amò anche me: quando ci ripenso mi piace pensare che, anche se in misura minore rispetto all'affetto che nutrì per la sua seconda figlia, a suo modo mi abbia voluto bene.
Mia madre fu sempre una grande incognita per me come per chiunque altro. Non parlò mai neanche una volta del suo passato, né io riuscii mai a risalirvi.
Il suo nome indicava forse origini italiane, ma aveva un cognome metà francese e metà spagnolo – spesso ebbi il dubbio che se lo fosse inventato e dato da sola –, e il suo fisico esile e la sua statura alta, la pelle di porcellana e i boccoli biondi lasciavano pensare a una provenienza nord-europea. A volte sbagliava la pronuncia inglese, non parlava una parola di spagnolo e il suo francese era molto stentato.
Al Canto della Sirena le prostitute usavano farsi chiamare con l'appellativo miss, a cui seguiva un nome inventato, scelto da loro stesse o affiabbiatogli dalla madama o da qualche cliente per via di una particolare caratteristica fisica. Il nome di mia madre era Sabina Montrose de La Cruz-Sanchéz, ma gli uomini la chiamavano Miss Esmeralda per via dei suoi occhi: verdi come due piccoli smeraldi e dalla forma a mandorla che ben si sposava con le sue folte ciglia, il naso all'insù, gli zigomi alti, la fronte ampia e il mento appuntito.
Mia madre era una bellezza, ed era la punta di diamante del Canto della Sirena.
Madame Cotton aveva permesso solo a lei di fissare la cifra che desiderava per i suoi servigi, e le aveva concesso la stanza con la terrazza. Maman aveva sempre rifiutato qualunque protettore, ma aveva dei clienti fissi e già quand'ero bambina circolavano parecchie voci sui suoi presunti amanti, fra i quali si annoverava persino Henry Morgan. Quel che era certo, era che mia madre non era schizzinosa: pochi, danarosi clienti potevano permettersi una notte con lei, ma maman riceveva tutti allo stesso modo, ufficiali, nobili, mercanti o pirati.
Una delle ragazze rimaste, Miss Jezebel, andava dicendo di essere entrata una volta nella stanza con la terrazza e di aver sorpreso mia madre immersa nella vasca da bagno in compagnia di un suo cliente corsaro: al posto dell'acqua c'erano monete d'oro, perle, gioielli e pietre preziose.
Una sera, assistetti alla scena del Capitano che offriva a maman cinquecento pezzi da otto perché si spogliasse in salone di fronte a lui e a tutti gli altri. Lei eseguì senza batter ciglio e con il sorriso sulle sue belle labbra vermiglie e sottili.
All'insaputa di tutti, negli anni aveva accumulato una discreta fortuna – abbastanza denaro per comprare una casa per sé a Port Royal. Invece, maman preferì acquistare il bordello.
Nessuno seppe mai come andarono le trattative. Tutte videro confermate le proprie ipotesi, ovvero che Madame Cotton avesse impilato un bel po' di debiti, debiti che con ogni probabilità mia madre saldò, in cambio del bordello. Madame Cotton fece le valigie quella sera stessa e lasciò il Canto della Sirena nel cuore della notte. Non la rivedemmo più.
Mia madre era al settimo mese di gravidanza, e impiegò le otto settimane che la separavano dal parto per rimodernare tutto secondo il suo gusto e riavviare gli affari. Vendette tutti i mobili, le tende, i tappeti, gettò via quasi tutte le suppellettili e si dedicò personalmente ad acquistare ciò che le occorreva per ritrasformare il bordello.
Pretese lenzuola di seta e cuscini in piuma d'oca in tutte le stanze; fece cucire nuove tende per i baldacchini; ordinò vasi, soprammobili, statuette, quadri, una nuova tavolata in legno di ciliegio, tovaglie e tovaglioli in pizzo, posate d'argento e piatti di porcellana. Acquistò tre schiavi affinché mettessero della nuova carta da parati nei due salottini e trasportassero due tavole da biliardo nel salone grande, in cui fece sistemare anche una credenza che rifornì con bottiglie dei più raffinati alcolici. Nuove poltrone e nuovi divani vennero collocati nei salottini, la cucina ripulita da cima a fondo e riempita con cibo di ogni varietà. Candelabri d'oro e lampadari di cristallo vennero appesi in ogni stanza.
Maman rivendette i tre neri guadagnando il doppio di quanto aveva speso per acquistarli, e usò parte del denaro per acquistare una schiava che pose come cuoca in cucina, e il resto per pagare i primi due stipendi di tre cameriere incaricate di tenere in ordine e pulire il bordello.
Vedendosi spogliata delle sue mansioni di sempre, zia Socorro scoppiò a piangere. Aveva tante volte criticato mia madre alle spalle, ora forse ne temeva la vendetta. Maman, però, non cacciò via zia Socorro come ella si sarebbe aspettata, ma le affidò invece il ruolo di battisala.
Mentre il bordello veniva sistemato, mia madre radunò le ragazze rimaste e le mandò in strada, a procacciarsi nuovi clienti, e usò le sue conoscenze e i suoi ex amanti per fare altrettanto. Con la mancanza dei pirati, l'unica clientela che sarebbe stata in grado di risollevare dal fango il Canto della Sirena era composta da nobili, ufficiali, ricchi mercanti e armatori, e fu di loro che il bordello si riempì quando – quasi due mesi dopo – riaprì le porte.
Le prostitute furono ben felici di dover smettere di battere i marciapiedi e di poter tornare alla comodità delle loro stanze. Maman aveva anche provveduto ad assumere nuove ragazze. Raccontò di averle scelte con l'attenzione che avrebbe riservato a dei purosangue, accertandosi che fossero pulite, spidocchiate e che soddisfacessero i requisiti che cercava. Rifornì tutte di due abiti da lavoro fatti cucire su misura e impose loro di farsene fare altri al primo stipendio – dal quale maman tratteneva un mensile del cinquanta per cento –, così come la biancheria intima.
- Ora i nostri clienti potranno scegliere in un mercato più vasto - aveva commentato.
C'erano le ragazze giovani e alle prime armi, quasi delle vergini; c'erano le dominatrici, e quelle che invece provavano piacere nel dolore; c'erano donne mature, prostitute timide che potevano passare per delle fidanzate devote, indiane ed ex schiave, un paio più tonde delle altre, bionde, more, castane, rosse. Quasi tutte erano in grado di leggere e scrivere, molte sapevano giocare a scacchi o a carte e tutte avevano la parlantina adeguata a intrattenere i clienti, che ora, secondo gli schemi di mia madre, potevano recarsi al bordello anche per chiacchierare con le ragazze, discutere tra loro, giocare a biliardo, e avere più ampia scelta a seconda delle loro preferenze a letto.
Mia madre non mancava mai di offrire da bere ai clienti o un rinfresco da poter sbocconcellare in attesa che una o più ragazze si liberassero. Lei stessa, che si era trasferita al pianoterra nell'appartamento privato che era stato di Madame Cotton, a differenza dell'ex tenutaria non mancava mai di accogliere personalmente gli uomini in uno dei due salotti e si rendeva sempre disponibile per qualunque richiesta.
Nel giro di un mese e mezzo, gli affari del bordello ripresero a girare. Non più pirati, ma giudici, aristocratici, armatori, mercanti e ufficiali affollavano i letti del Canto della Sirena.
Quando si ritenne soddisfatta del resto, maman si dedicò a me.
 
***
 
La stanza con la terrazza era divenuta interamente mia. Maman non aveva – molto curiosamente – voluto impiegarla per assumere un'altra prostituta. Le rare volte in cui avevo la possibilità di coricarmi nel letto, lo facevo dividendo il materasso con mia madre: ora quel baldacchino enorme era tutto per me. Non ero sicura di esserne contenta. Non ero abituata a restare a lungo in quella camera, e nelle ultime otto settimane maman mi ci aveva spedita quasi a forza, dicendomi che sarei stata d'impiccio a chi stava lavorando se avessi continuato a trotterellare al pianoterra. Percepivo la stanza come troppo grande per me, e mi sentivo come Raperonzolo imprigionata nella torre.
L'unica consolazione era la terrazza che si affacciava sulla scogliera, ed era lì che restavo seduta anche tutto il pomeriggio.
- Ti piace, mon petit bonbon?- mi domandò mia madre quel giorno, riferendosi al regalo che mi aveva fatto trovare in camera. Non mi aveva mai fatto molti regali, se non qualche collana o braccialetto che lei non usava più, e non avevo mai avuto giocattoli prima d'allora – le storie mi bastavano, saziavano la mia fantasia e la mia voglia di evasione.
Il regalo che mia madre mi aveva fatto era una casa delle bambole.
- Ho usato un bel po' dei miei risparmi per fartela costruire - precisò, come a voler dire vedi di fartela piacere ché ho pure sprecato del denaro per te.- Allora? Ti piace?
Mi piaceva.
Era un rettangolo che si ergeva verso l'alto: la facciata frontale era stata dipinta di rosso, e l'artigiano era stato talmente abile da far risaltare i dettagli di ogni singolo mattoncino. Il vetro delle finestre era vero, così anche come il velluto delle tendine e il legno delle imposte e della porta. Era molto grande – sono sempre stata minuta, e già a sette anni era stato chiaro a tutti che non sarei mai diventata molto alta; la casa delle bambole mi superava di tutta la testa.
La facciata posteriore si apriva grazie a un sistema ad ante, rivelando l'interno. Contai tutte le stanze a una a una: erano venti. Al pianoterra c'erano un atrio con una scala di finto marmo che saliva fino al piano superiore, due salotti arredati con tavolini di legno lucido, divani e poltroncine color porpora, un salone con due sale da biliardo, un caminetto in cui ardeva un fuoco talmente ben dipinto da sembrare vero, così come i dettagli sui vasi, gli orologi a pendolo e i petali dei fiori finti, l'oro dei candelabri e il cristallo dei lampadari. I tappeti erano stati ricamati a mano, così come le lenzuola e le coperte dei lettini.
Inizialmente fui troppo incantata dalla bellezza di quella casa delle bambole per notarlo; poi mi saltò all'occhio.
Escluso il pianoterra, tutte le stanzette del secondo piano erano camere da letto, intervallate da qualche bagno munito di vasca e catino. Sul subito non compresi, poi i dettagli cominciarono ad andare al loro posto nel ricamo.
Dopo sette anni trascorsi interamente nel bordello, lo conoscevo come tutte le linee sui palmi delle mie mani. Ne avevo scovato ogni angolo, ogni dettaglio, ogni segreto. E una volta metabolizzato, riconobbi immediatamente che quella casa delle bambole altro non era che la riproduzione in miniatura del Canto della Sirena. Mia madre ne aveva ordinato ogni mobile all'artigiano in modo da ricrearne quasi fedelmente gli spazi.
Mi ritrovai senza fiato. Istintivamente, feci correre lo sguardo verso una delle stanzette al secondo piano. Era l'unica con la terrazza, e ogni cosa al suo interno era identica alla sua versione a grandezza naturale, dal letto, alle tende, alla toeletta, al tappeto. Persino la portafinestra degli intagli in rilievo che ricordavano delle sirene che sguazzavano fra le onde del mare.
E distesa sul letto c'era una bambolina.
Aveva volto e mani di porcellana, le labbra dipinte di rosso vermiglio e gli occhi verdi come smeraldi, le ciglia vere e del trucco rosa sulle palpebre e sulle guance. I capelli castani erano lunghi fino alla vita, e quando mia madre mi disse di prenderla – mi stava nei palmi delle mani – sentii che anche quelli erano veri come le ciglia.
Rimasi a osservare quella bambolina per un tempo che mi parve infinito.
- Sai, ora che le cose sono cambiate...ho pensato che ti sarebbe piaciuto avere qualche cosa con cui giocare. Sei una signorina grande, ormai - mi regalò un sorriso sornione; mia madre aveva un modo strano di sorridere, ricordava un gatto.- È ora che impari a comportarti.
- Come?
- Beh, puoi cominciare da qui - mi prese la bambolina dalle mani e la pose nell'atrio della casetta.- Puoi far finta che questa sia tu, o una tua amica. Vedi?- la spostò nel salottino.- Puoi metterla dove vuoi e farle fare quello che vuoi. Come se fossi la sua mamma - la ripose dove l'avevo presa, nella stanza con la terrazza.- Non sai quanto sei fortunata!- esclamò, lasciandosi scappare una smorfia mentre si raddrizzava e si teneva il ventre con una mano.
Il bambino sarebbe dovuto arrivare di lì a giorni, e il pancione di mia madre era così gonfio da sembrare sul punto di scoppiare.
- Sei proprio fortunata...- ripeté con uno sbuffo affaticato.- Ce l'avessi avuta io una bambola, quand'ero piccola...!- E poi, giocare con le bambole fa capire alle bambine come comportarsi da grandi, e tu sarai grande presto...
- Imparerò come fare la mamma?
L'idea non mi aggradava molto. Nessuno s'era preso la brida di comunicarmi che maman fosse incinta di nuovo, e quando l'avevo scoperto da me, vedendo il suo pancione arrotondato, non avevo ben saputo come comportarmi. Non mi piaceva quel pancione, mi trasmetteva un senso di disagio e di fastidio. Mi faceva impressione il pensiero che là dentro ci fosse un'altra persona.
Sapevo come nascevano i bambini, chi e come li metteva in pancia a una donna, e più tardi avrei anche scoperto come si faceva a sbarazzarsene, sia che fossero nati sia che non lo fossero ancora.
- Quante storie che fai!- aveva commentato Miss Jezebel; non avevo pronunciato parola, ma a quanto pareva si era accorta del mio disagio.- È una spina nel fianco, ma è uno dei rischi del mestiere. Se non stai attenta, un giorno capiterà anche a te.
Io non volevo che capitasse. Ero sicura di non essere capace di prendermi cura di un bambino, e non credevo che fingere di essere la madre di una bambola mi avrebbe fatto cambiare opinione. Decisi che, se un giorno fossi rimasta incinta, avrei usato il gancio di cui le ragazze parlavano quando discutevano sul come liberarsi della pagnotta in forno.
Mi sentii un po' sollevata quando maman scosse il capo, ma il mio sollievo ebbe vita breve. Vidi con chiarezza una strana luce negli occhi di mia madre: un velo, o un'ombra che le aveva sfiorato i pensieri facendola rabbuiare.
Non ero abituata a vedere maman triste. Nervosa, irritata, infastidita, sì, ma triste mai.
- Capirai - se ne uscì alla fine.- Per il momento divertiti, mon trésor - mi regalò ancora quel sorriso felino.- Ci ho ripensato. Sei una signorina, ma devi ancora crescere. Per il momento, gioca e non pensarci - m'indicò la casa delle bambole con un cenno, e sparì dietro la porta.
Era circa mezzogiorno. Mia sorella nacque al tramonto.
 
***
 
Quel giorno le porte non si aprirono, ma i clienti di mia madre e i suoi ex amanti fecero in modo di congratularsi con lei per la sua seconda maternità. Miss Perla fu impegnata per tutto il pomeriggio ad ammassare mazzi di fiori, monili, abiti per mia madre e per il bambino, scatole di dolciumi nei due salotti, mentre zia Socorro e altre tre ragazze facevano su e giù per la scala dal piano di sopra all'appartamento di maman, portando portando lenzuola pulite e pezze imbevute di acqua tiepida alla levatrice.
- Questo bambino ha una gran fretta di venire fuori...!- commentò Miss Jezebel a un certo punto, e in effetti il travaglio durò solo tre o quattro ore.
Io mi ero seduta sui gradini della scala, ma mi rassegnai a chiudermi in camera mia quando compresi d'essere d'intralcio. Al tramonto, sentii i vagiti di un bambino.
Seppi solo il giorno dopo che fosse una femmina e che non fosse nata del tutto perfetta. Ma quando udii per la prima volta il pianto di mia sorella, mi limitai a prendere atto della sua nascita.
Ero seduta sul pavimento della terrazza. Le tinte aranciate avevano iniziato a colorare il blu. Faceva ancora mortalmente caldo, ma si era alzata una piacevole brezza.
Avevo preso la bambolina dalla casetta e l'avevo portata con me sulla terrazza. Indossava un abitino verde che s'intonava ai suoi occhi, un vero vestito da damina. Trafficai per più di un'ora per toglierglielo, prima di comprendere che non era possibile: era cucito alla testa e alle braccia. Strappai allora la gonna e le maniche, e la bambola rimase solo con il corsetto e la camiciola.
La preferivo così, con addosso solo una camicia a brandelli e le gambe nude. Come una piratessa appena scampata a una tormenta e naufragata su un'isola deserta – sola, stanca, ma per nulla intenzionata a mollare.
La sedetti di fronte a me, e insieme ci godemmo il tramonto.
Non guardai neanche per un istante la casa delle bambole alle mie spalle.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo Autrice: Ciao a tutti :).
Mi rendo conto che questo capitolo è molto strano, e spero non vi siate annoiati. Ciò che posso dire è che il prossimo, sebbene ancora molto sulla linea dello stream of consciousness – giuro che non me la sto tirando – sarà meno frammentato e più chiaro, senza salti di palo in frasca. Purtroppo questo stile e questi primi capitoli mi sono necessari, perché senza di essi non si potrebbe comprendere il resto della storia.
Procedendo, comunque, lo stile e la narrazione saranno più lineari e la storia verrà narrata in maniera canonica, senza salti temporali.
Grazie per aver letto :).
 
Un bacio,
Beauty
  
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