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Autore: Yunomi    17/04/2021    1 recensioni
Zacky chiamava incessantemente, ma sia il cellulare di Brian che quello di Beth risultavano spenti. “Rispondi, lurido pezzo di-”
“Un momento di attenzione, prego.” , fece Matt, piantandosi al centro della navata e con le braccia aperte come un predicatore.
L'officiante lo guardò male.
Tutti gli occhi, compresi quelli gocciolanti di disperazione di Michelle, gli si appiccicarono addosso. “Jimmy qui ha qualcosa da dire.”
Jimmy qui lo guardò come se avesse voluto scuoiarlo e fare paralumi da soggiorno con la sua pelle. Matt, sconvenientemente solenne, gli fece spazio, e si piazzò di fianco a lui con le mani giunte all'altezza della cintura: sembrava un bodyguard di Madonna.
“Ehm...” , iniziò Jimmy, schiarendosi la voce, trovandosi a cercare le parole per la prima volta in vita sua. “Dunque... praticamente, in sostanza, essenzialmente, in concreto, alla luce dei fatti, effettivamente, realment-”
“JAMES OWEN PARLA, per cortesia.” , ululò Valary.
“L'unica cosa di cui siamo certi al centodieci per cento è che Brian ha abbandonato la cappella e mi ha fottuto la macchina.”
Genere: Avventura, Azione, Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Synyster Gates, The Rev
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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a E.,
Jimmy d'ufficio.
(grazie per tante cose)









Tremare sì, ma come la California
 







 
Always look on the bright side of life.”
“Smettila.”
Always look on the right side of life.”
“Ti giuro che stavolta ti arriva un pugno, Jimmy.”
C’mon, Brian, cheer up!
“Dannato te, dannti Monty Python.”
In genere, Jimmy tamburellava su qualsiasi cosa. Con le dita, con le bacchette del sushi, con le penne; lo faceva perché sentiva il bisogno di farlo. C’era questo tam-tam continuo nel suo cervello che lo avrebbe mandato al creatore, se non proseguiva ad esorcizzarlo sulla prima superficie che gli capitava a tiro.
Questa volta, la vittima designata fu la spalla destra di Synyster Gates.
Brian si lasciò tamburellare per un po’, mansueto come una mucca irlandese, gli occhi fissi nel vuoto cosmico: ma la canzoncina finale di Life of Brian fu l’ultima goccia. Scoccò un’occhiata a Jimmy per cercare di inquietarlo al punto di farlo smettere, ma non ottenne risultati apprezzabili. Jimmy arricciò le labbra e disse semplicemente: “Sembri Micheal Palin nei panni di Ponzio Pilato.”
Il sole era in spiacevole ritardo, quella mattina.
Gli aerei si alzavano in volo pigramente, e sembravano quasi volersi dire a vicenda oh-issa! mentre staccavano le ruote dal cemento della pista.
La sala d’aspetto intorno al gate era particolarmente gremita, quel mercoledì mattina. Brian e Jimmy erano seduti da un’oretta in quelle sedie che sono state appositamente progettate per far venire il culo piatto e i prodromi di una lordosi epocale a chiunque vi si sieda. Infatti, Brian si mosse sulla sedia, e sentendo scricchiolare le vertebre spalancò gli occhi. Jimmy lo guardò stranito e smise di tamburellare.
“Sei vecchio, Gates. Un rottame coi capelli da stronzo.”
Brian alzò gli occhi in modo eloquente, chiedendo al Signore la forza per ragguagliare il suo amico di quello che in molti avevano definito l’incubo di ogni parrucchiere perbene. Ma poi lasciò perdere, pensando che forse era un po’ troppo presto persino per Dio.
Chiuse gli occhi; Jimmy riprese a picchiettargli sulla spalla.
Poco dopo, una nuvoletta tiepida e zuccherata gli solleticò le narici: a pochi centimetri dal suo viso, un bicchierino di caffè iniziò ad esalare fumi danzanti davanti ai suoi occhi aperti.
“Dio, sì.”, disse, atono, agguantando la pozione magica.
“Mi chiamo Elizabeth, tanto per cominciare.”, replicò Beth, sospirando. Aveva due occhiaie profonde e viola e le scarpe da tennis macchiate di caffè. “E poi, si dice grazie.”
Allungò anche a Jimmy un bicchiere, e lui la ringraziò con una strizzata d’occhio che gli spostò gli occhiali di poco.
Beth crollò a sedere in mezzo a loro. “E comunque lo vedete che io ho sempre, puntualmente ragione? Ho ragione. Ho sempre ragione e nessuno mi dà retta. Che ti dicevo, Jimmy, quella sera lì che stavamo cercando di montare quello stronzo di uno scaffale svedese? Ti dicevo che lei fa sempre così, prende e parte, dà una piega ineffabile ai suoi sentimenti e dice che è così che deve andare. Fa la risoluta ed è così brava che si autoconvince, ma poi disfa i ragionamenti con lena e determinazione, e ritorna. Ci rimane sì e no qualche settimana a Sligo, il tempo di capire che non ci fa un cazzo, a Sligo, e poi si trasferisce a Galway, e poi si innamora pazzamente di un musicista che ha un nome del cazzo che la invita a stare nel suo monolocale a Dublino, e poi si taglia i capelli cortissimi-“
“Ma…”
“Che cosa c’è, Brian.”
“Celeste si è tagliata i capelli?”
Beth vide il filo della pazienza scivolarle definitivamente dalle mani. Gli scoccò uno sguardo incandescente. “Sì. Non è questo il punto.”
“Sta molto bene.”, aggiunse Jimmy, distrattamente. “Si è anche fatta i colpi di sole.”
“Ma pensa.”, rispose Brian, seriamente interessato.
Beth si sgonfiò come un palloncino. Si grattò la fronte, si passò una mano sul viso, stanca morta. Stanca, stanca, stanca. “Non è questo il punto.”
Certe persone riescono a rassegnarsi; altre proprio no. Sono assolutamente, fisiologicamente incompatibili con la rassegnazione. La rigettano come un organo trapiantato.
Beth saltò in piedi, elettrificata da una rabbia talmente infantile che si sentì retrocedere in età di un paio di lustri.  “Vado a prendere un caffè.”, disse a denti stretti.
“Vengo anche io.”, ribattè Brian.
Jimmy lo guardò di sottecchi. “Come mai questa botta di vita?”
“Per fare due passi.”, borbottò quello.
 
 
 
“Me lo so ordinare da sola un caffè, grazie tante.”, disse Beth, con le braccia incrociate al petto.
L’aria condizionata era forte; Beth si accorse di stare tremando, e si maledisse per aver lasciato la felpa in macchina. Si sfregò una mano sul braccio con una tale veemenza che provò un lieve bruciore. Brian cercò di guardarla teneramente, ma ci riuscì solo in parte. Le circondò le spalle esili con un braccio, portandosela contro.
Beth trasalì; non disse nulla.
“Cosa dicevi?”, chiese Brian, vago, mentre aguzzava la vista verso il cartellone che riportava la lista delle bevande.
“Devi proprio farti gli occhiali.”
“Tu devi proprio farti i cazzi tuoi. Cosa diamine è un flat white? Una specie aliena recentemente scoperta?”
Beth pensò ad una sera in cui Brian era rimasto a dormire a casa sua: Michelle alla sesta telefonata senza risposta aveva fatto due più due, lanciato una delle sue Schecter in piscina ed era andata a letto.
Lo avrebbero scoperto solo la mattina dopo; Brian, per l’appunto, era rimasto a dormire da Beth. Prima però avevano parlato delle cospirazioni sull’allunaggio, sugli alieni, e sul fluoro che il governo metterebbe nell’acqua della Florida. Poi Beth lo aveva ascoltato parlare della gravidanza di Michelle, dell’ansia della paternità, e gli aveva detto che lo avrebbe personalmente denunciato alle autorità competenti se avesse davvero chiamato suo figlio Nicolangelo.
Beth sorrise, e strusciò lievemente la guancia contro il tessuto morbido della maglietta di Brian: un forte odore di vaniglia e tabacco, un po’ nauseabondo all’inizio, ma una volta che ci facevi l’abitudine qualcosa che avresti voluto annusare continuamente. Chiuse leggermente gli occhi mentre sentiva le dita di Brian che tracciavano dei cerchi distratti sulla propria pelle: stava ancora cercando di capire che differenza ci fosse tra un marocchino e un latte macchiato.
“Vabbè, facciamo due americani.”, concluse Brian alzando le spalle. Non si staccò da Beth. Ordinò, pagò, porse il caffè alla ragazza.
“Sei arrabbiata?”, chiese. La guardò per qualche secondo, poi si sentì in dovere di precisare. “Con Celeste.”
Sempre. Sempre, sempre, sempre, disse una vocina ammutinatrice nel suo cervello. Beth la scacciò arricciando il naso. Sospirò. “No. E’ solo che sono stanca.”
Stanca di cosa? Di essere amica di una ragazza per cui la gente si sbranda alle quattro del mattino in modo da andare a prendere all’aeroporto alle cinque ?
“No, non… Non ho dormito.”, aggiunse velocemente. “Non dormo molto, ultimamente.”
Brian la osservò poco convinto.
“Pensavo all’allunaggio.”, fece Beth all’improvviso, per cambiare discorso. Le piacque pensare che anche a Brian fosse venuto in mente quello stesso ricordo, perché sorrise: due stupidi idioti attorcigliati nelle lenzuola a parlare di teorie cospirative alle tre del mattino. Non si stimava abbastanza per ritenersi in grado di leggere le persone, però Brian lo conosceva da quando aveva tre peli sul mento e i capelli illibati dalla violenza chimica delle tinte: dunque lui sorrise solo da un lato della bocca, e Beth ebbe la certezza che anche lui stesse pensando a quella sera. Infatti poi si rabbuiò.
Jimmy scattò in piedi così velocemente che la Terra cambiò asse di rotazione per un secondo: il gate si riempiva di passeggeri appena scesi dall’aereo.
“Sarà arrivata.”, disse Beth, e non riuscì proprio a trattenere i propri occhi dal fare una piccola giravolta.
Non si sente all’improvviso un aroma di bucato pulito e fiori recisi? La Terra non ha per caso smesso di girare per un secondo? Il sole non si è appena sbrigato a mettersi più in alto per dare ai suoi capelli una sfumatura rossa, che le illumini l’incarnato e le cancelli ogni segno di stanchezza dal viso?
“Eccola.”, disse Brian, indicandola.
 
 
 
 
Era stato un viaggio terribile.
L’aria condizionata soffiava spifferi ghiacciati, e il maglioncino di cotone bianco che Celeste aveva indossato in previdenza alle temperature californiane era praticamente una barzelletta rispetto al clima con cui era partita, e che aveva deciso di accompagnarla per tutto il viaggio.
Sentiva l’aria penetrarle sottopelle e irrigidirle i muscoli, tenerli in una morsa dolorosa che, già sapeva, l’avrebbe tenuta in ostaggio per diversi giorni.
Era caduta quasi subito in un sonno ovattato e poco profondo, dal momento del decollo, ma aveva sognato molto.
Si trovava in un campo di fiori selvatici, in piedi a stendere un bucato sempre bagnato che, mosso da un vento aggressivo, le si appiccicava addosso, la avvolgeva come una seconda pelle e le riverberava un freddo glaciale che aveva intenzione di restarle nel cuore per sempre. Più si dimenava, più i lenzuoli bagnati le si avvinghiavano addosso, stringendo e frustando, e il sole, seppur alto e ben piazzato allo zenit, non emetteva che raggi bianchi e gelidi.
Si svegliò poco dopo con la fronte imperlata di sudore, e si sentì scottare di febbre.
Chiese alla hostess un po’ d’acqua e lesse per tutto il resto del tempo.
Il sole che l’accolse appena scesa dalla scaletta le asciugò ogni pensiero di dosso; avrebbe corso, se solo non fosse stata così anchilosata dal lungo stare seduta in quelle macchinazioni del demonio che avevano il coraggio di chiamare sedili.
Percorse il corridoio che conduceva al gate come se potesse vedere la natura fiorirle intorno, come se dal linoleum, dalle luci al led, dalle orecchie degli altri passeggeri si dimenassero grosse foglie di edera, di rampicanti verdi e teneri e boccioli rosati che si scuotevano di dosso le ultime gocce di rugiada. Sorrise come un’idiota e si sciolse la coda, si scompigliò i capelli che ormai le sfioravano le clavicole per dargli un po’ di volume.
 
Poi lo vide.
Seduto, spettinato e con una faccia stravolta. Appena i loro occhi collisero, Jimmy scattò in piedi e si aprì in un sorriso ironico e tuttavia contenuto.
Corri, le suggerì una voce all’orecchio, fai come nei film, molla il trolley e saltagli in braccio.
Non lo fece.
Si piazzò davanti a lui, tenendo una qualche decina di centimetri da lui, che aveva le mani sprofondate nei pantaloni e gli occhiali che continuavano a scivolare sul naso.
Si avvicinò lui ad abbracciarla. Le affondò il naso nei capelli.
Celeste gli strinse le braccia intorno alle manette: in mano teneva ancora Il Maestro e Margherita, con il dito medio infilato tra le pagine per tenere il segno.
 
Beth guardò quella scena in una sorta di trance mistica: c’era del sacro, del divino dell’aria, e non sapeva bene come reagirvi. Si lasciò sfuggire un gemito strozzato, e con lei una buona porzione della popolazione dell’aeroporto.
Abbassò gli occhi sulle proprie sneakers e si sentì improvvisamente inadeguata. Si passò una mano tra i capelli.
“Cazzo, non si direbbe abbia fatto una tratta transoceanica.”, fischiò Brian, incrociando le braccia al petto. Beth torturava il bordo del bicchiere di carta, e sentì l’effetto martellante del caffè scatenarsi improvvisamente dietro lo sterno.
Convennero tacitamente di lasciare ai due qualche minuto di privacy.
“Mi sa che stanno parlando del libro che ha letto.”, fece Brian, consapevole, additandoli. “Jimmy mi ha fatto una testa tanta. Siamo stati quarantacinque minuti in libreria, il mese scorso, perché non trovava la stessa traduzione che stava leggendo Celeste.”
“Tu non li leggi mai, i libri che ti do.”
Brian si voltò al rallentatore verso Beth. Aveva uno sguardo perso, come se i pensieri li vedesse proiettati nell’aria di fronte a sé.
“E’ che non li capisco.”
“Non è vero.”
“Okay.”
Tacquero.
“Beth, tu sei una ragazzina confusa.”
“Tu un testa di cazzo.”
“Sono contento che almeno su certe cose la pensiamo allo stesso modo, ma vorrei che mi contestualizzassi un po’. A grandi linee, eh.”
Beth sbuffò, ormai a corto di pazienza e sul punto di lasciarlo lì, davanti allo stand delle riviste scandalistiche, con tanti saluti dalla direzione. Eppure, qualcosa la costrinse a stornare lo sguardo sull’uomo, in particolare sugli occhi gentili che l’avevano sempre tradito e che cozzavano paurosamente con tutto l’ensemble.
Siccome spesso anche lei cozzava con sé stessa si arrese, e sorrise. “Il punto è questo. Tu non leggi i libri che ti do. Mai. Li lascio lì apposta, sul bracciolo del divano o sul mobiletto vicino al giradischi, e tu me li riporti il giorno dopo senza neanche averci dato una sbirciatina.”
Brian la guardò interrogativo, e vedendo che la ragazza non continuava alzò leggermente un sopracciglio. “Che ne sai tu che non li sbircio?”
Beth lo guardò in tralice. “Jimmy li legge, i libri di Celi.”
A Brian si svitarono le braccia dalle spalle e caddero a terra con un vuoto toc. “Oh, per il Signore, quell’uomo sarebbe capace di fare innamorare anche una cappasanta.”
“Non sono innamorata di Jimmy, imbecille. Sono…” Sospirò. “Vabbè.”
Ma tanto Brian aveva capito.
Beth si strinse nelle spalle. “E’ solo che ogni tanto vorrei una cosa così.”, disse la ragazza, voltandosi verso Jimmy e Celeste, che si osservavano con una serenità faticosamente conquistata, quanto meno per il momento. Lei reggeva Il Maestro e Margherita nella mano destra, e aveva il medio inserito tra le pagine per tenere il segno; gli sorrideva con gli occhi mentre con la bocca rispondeva alle domande che lui le faceva riguardo il volo. E purché parlasse di turbolenze e hostess apatiche, la sua persona diceva tutt’altro. Urlava tutt’altro.
Jimmy capiva, ovviamente; rispondeva che sui voli intercontinentali ci assumono solo stronzi, e  aggiunse anche che avrebbero dato pioggia tutto il weekend; e intanto anche lui, ovviamente, stava dicendo tutt’altro.
Brian li osservò per qualche istante, poi ritornò a guardare Beth, che aveva la faccia delle sedicenni che leggono Jane Austen per la prima volta.
“Intendi quei due lì? Quei due stupidi che giocano a ce l’hai da quando si sono conosciuti? Che non sanno fare altro che struggersi e osservarsi con languore e sosp-”
Brian fu colpito da uno dei suoi rari sprazzi di buonsenso, e si tacque.
Jimmy aveva sollevato una mano e aveva sistemato una ciocca di capelli dietro l’orecchio di Celeste, mentre lei parlava.
Beth scoccò a Brian uno sguardo druido e consapevole. Brian arricciò le labbra ed emise solo un mh constatativo. Beth sospirò, gli girò il mento verso il proprio viso e lo baciò a labbra chiuse, affettuosamente. Si soffermò a sfiorare gli zigomi appuntiti con la consapevolezza delle lanciatrici di coltelli.
Si staccò dopo un po’ e gli lasciò un’occhiata dolce, ritenendo che non ci fosse altro da aggiungere.
“Ah.”, disse Brian. Perché a volte è l’unica cosa da dire.
“C’è un bagno, lì.”, disse Beth, con dolcezza. Gli tese una mano e se lo trascinò dietro le porte.
“Ho bisogno che tu faccia l’amore con me. Fammi sentire che vale ancora qualcosa.”
 
 

 
 
So tuck my hair behind my ears and touch my soul again.
 
 
 


 
La prima cosa che Celeste pensò, appena vide Jimmy, fu: ho bisogno di togliermi i jeans e infilarmi in un letto a fare un riposino.
La seconda, non per importanza, fu: ho bisogno che mi scopi sul pavimento di questo maledetto aeroporto.
Alla fine decise di dirne solo una delle due.
Jimmy si allargò in uno dei suoi sorrisi da pacato Stregatto, e si passò una mano sulla bocca.
“Non ci vediamo da parecchi mesi.”, rispose lui mentre Celeste abbassava lo sguardo sulle scarpe. “Non ti pare di correre troppo?”
“C0s’è, improvvisamente ti preoccupi dell’umana decenza?”
“Non ti nego che è un’idea allettante. E non ti nego che non ho pensato ad altro, per tutto questo tempo.”
“Nemmeno io.”
“Bene.”
“Bene. Quindi?”, ripeté Celeste, melliflua.
Jimmy sospirò con condiscendenza, poi le scoccò uno sguardo complice: aveva due occhiaie da far spavento a Tim Burton, e uno squisito incarnato da rosa moschata che iniziava a tingerle le guance. “Quindi cosa?”
“Da me o da te?”
Jimmy scoppiò a ridere, profondo ed eterno, e a qualcuno dei passanti venne voglia di accendere un cero e appoggiarglielo vicino alle scarpe. “E cosa ne facciamo di quei due?” Jimmy si bloccò e gettò lo sguardo verso lo stand delle riviste. Vuoto. “Avrei giurato…”
Sbucarono poco dopo dai bagni; Synyster Gates si aggiustò i pantaloni senza preoccuparsi di scatenare ambiguità, e Beth lo seguì a ruota, infilandosi la maglietta nei pantaloni.
Jimmy incrociò le braccia al petto e scosse poco la testa. “Ma guardali, ‘sti cretini.”
“Sono adorabili. Si sono comportati bene?”, rispose Celeste, che ormai si sentiva fatta di zucchero.
“Ovviamente no.”
“Grazie al cielo.”
Beth le si avvicinò con un sorriso stanco e le gettò le braccia al collo. “Ciao, brutta strega dell’est.”, fece Brian, evitando gli sguardi sarcastici della sua coscienza che al momento albergava nella testa di Jimmy. Le depose (a Celeste, non alla coscienza) un bacio leggero sulla guancia, e nel farlo mangiò un paio di capelli di Beth. Sputacchiò.
“La dentiera dà fastidio, eh?”, fece Jimmy, che non voleva togliersi quello sguardo di consapevole sardonia dalla faccia.
“Ma lo possiamo fare un abbraccio di gruppo?”, chiese Beth, emergendo quel poco che bastava dalla spalla di Celeste.
“Sì, dai! Jimmy e Brian fanno le fette di pane.”, le diede corda l’altra. Brian e Jimmy si guardarono come se a entrambi fossero improvvisamente calate le braghe.
“Sono le sei meno dieci del mattino.”, replicò Brian, senza neanche sapere come potesse essere una giustificazione. Fu il primo a circondarle con le braccia.
Jimmy si premurò, nel ginepraio di mani, braccia, orecchie, di abbassarsi sulla base del collo di Celeste, lasciato scoperto dal nuovo taglio di capelli, e deporvi con cura un bacio piccolo e umido, veloce, che le facesse tremare un pochino la pelle. Se ne dimenticò lì un paio, ma non si preoccupò: li avrebbe recuperato più tardi.
 
 
 
 
I viaggi nella macchina di Synyster avevano sempre un che di mistico e, al contempo, demistificante.
Beth contravveniva le norme di sicurezza e stava sdraiata sui sedili posteriori, con la testa in grembo a Celeste.
“Ti vedo proprio bene.”, disse Brian, girandosi all’indietro per parlare a Celeste.
“Per l’amor del cielo, guarda davanti.”, rispose Beth, ricordandosi poco dopo che non è che le calasse granché dei sentimenti delle nuvole.
“Grazie, Brian.”, rispose Celeste, dolce.
“Prego.”
“Sei inquietante.”, fece Jimmy.
“Chi, io?”
“No, non tu, Celeste. Syn.”
“Sono gentile.”
“Appunto. Siilo di meno, che mi fai impressione.”
“A me non dispiace.”, intervenne Beth. “Qualcuno ha una sigaretta?”
Synyster frugò nel cruscotto davanti a Jimmy, dimenticando di essere in autostrada e non sulla pista dei go-kart, e ne estrasse poco dopo un pacchetto semivuoto. Lo lanciò alle spalle come una monetina in una fontana.
“Lo sai che mi fanno schifo, le Marlboro.”, replicò Beth con uno sbuffo dopo averlo preso al volo.
“Questo è, bambina.”
Beth la accese comunque. Fece una faccia disgustata e la passò a Celeste. Beth pensò improvvisamente che, se mai avesse scritto un romanzo d’amore su loro due, quello sarebbe stato il titolo: Questo è, bambina. Aveva un che di pirandelliano.
Celeste sembrò leggerle nel pensiero.
“Sei caduta così in basso da farti sbattere da Synyster Gates nei bagni di un aeroporto?”, chiese Celeste, sbuffando fumo con aria disgustata. Non riscuotevano granché di consenso, le sigarette di Brian.
Ripassò la sigaretta a Beth. Lei scrollò le spalle. Le mani di Brian si strinsero sul volante e Jimmy sorrise alla linea di mezzeria.
“Mi hanno sempre insegnato che quando tocchi il fondo almeno ti puoi dare la spinta per risalire.”
“Potrei vagamente ritenermi offeso.”, s’intromise Brian.
“Potresti anche ritenerti Luigi XIV, ma non interesserebbe a nessuno. Ora non si sta parlando di te.”, rispose Celeste, litigando con la leva del finestrino. “Come si apre questo stupido coso?”
“A bestemmie.”, rispose Brian. “Dopo ti faccio vedere.”
“Comunque,”, riprese Celeste, “mi è sembrato molto carino e molto patetico.”
“Come qualsiasi cosa io faccia, nella mia giusta vita. Alla fine uno cerca di non cadere sempre nel banale, e invece è tutto quello che riesce a fare.”, rispose Beth, ostentando noncuranza. Lei i coltelli li lanciava ma non li sapeva schivare.
“E’ che ci provi troppo.”
“Probabilmente hai ragione.”
“Come sempre.”
“Ci facciamo un hamburger?”
“I tuoi tentativi di tergiversare sono tanto teneri quanto inutili, Brian.”
Brian sbuffò.
Celeste prese una ciocca dei capelli di Beth e iniziò ad intrecciarla, sovrappensiero. “Io ho toccato il fondo dell’inferno. E non è stato esattamente pensato per poter rimbalzare in superficie. Ti ricordo Lucifero.”
“Stai parlando di Hades?”, chiese Beth, scenerandosi sui jeans.
“Sì.”
“Hai semplicemente cercato un escamotage, come una persona normale. Per una buona volta.”
“Che parola orrenda, escamotage.”
“Questo è, però.”
“Potevi usare ripiego.”
“Mi sentivo francese. E comunque ‘ripiego’ sottintende che tu ti sia piegata, cosa che non mi pare sia avvenuta.”
“Mi sento di dissentire.”, esclamò Jimmy, allungandosi poi indietro per sfiorare il braccio a Celeste.
“Che meravigliosa espressione, Jimmy.”
“Smettila di fare la gatta morta, tra poco vi lascio a casa di Jimmy e te lo puoi cavalcare quanto vuoi.”
“Grazie, Brian.”
Beth sbuffò ad alta voce. “Comunque.”
“Eh.”
“Sei stata stupida. E hai perso tempo.”
“Il tempo serve ma non esiste.”
“Non fare la filosofica con me, sai che li odio, i filosofi. Lo sai che potevi evitarti tutta questa manfrina se solo fossi stata un po’ più coraggiosa. Niente Sligo, niente Hades, niente mucche irlandesi a cui leggere Vittorio Sereni. Bastava semplicemente essere un po’ onesta con te stessa e mostrare il fianco a una cosa bella.”
“Le cose belle sono quelle che hanno i denti più affilati.”, ribatté Celeste, ma non aveva granché voglia di giustificarsi. Prese atto silenziosamente.
Jimmy non diceva niente; il venticello che avvolgeva la macchina gli scompigliava i capelli. Il cielo aveva un colore stupido e per niente poetico.
“Come l’ha presa Michelle, la Situazione?”, glissò Celeste, fumando con disgusto la Marlboro e osservando la treccina scura che reggeva ancora tra le dita.
“E come vuoi che l’abbia presa? Con sporadiche e rassegnate sfuriate.”, rispose Brian, alzando le spalle. “Ci sposiamo tra un paio di mesi.”
“Ma per davvero, stavolta.”, replicò Beth.
“Non prenderla sul personale, Brian. E’ l’unico modo con cui è possibile avere a che fare con te.”
“Cosa, sposarmi?”
Celeste spalancò gli occhi. “Per carità del signore, no. Dico arrabbiarsi. Almeno siete attenti ad essere sobri e riservati?”
Non fece a tempo a finire la frase che scoppiarono tutti e quattro a ridere.
“Quanto mi siete mancati.”, sospirò Celeste. “Comunque hai ragione, Betty, su tutta la linea.”
La ragazza si odiò profondamente per il senso di approvazione che le intiepidì il petto e le guance. “Così impari una cosa fondamentale per la prossima volta.”
“Cioè?”
“Che l’inferno può essere piovoso e umido e il paradiso una spiaggia di sole bollente. Che i santi non sono tutti irlandesi e che spesso è probabile che sarà un satanista sbattipentole quello che ti riporterà alla fede.”
Rimasero tutti in silenzio, ognuno meditando su un tipo di fede diverso.
Osservarono il sole sollevarsi a fatica. Il cielo rimaneva brutto e stupido, ma l’aria profumava di estate, di giubbotti di pelle e di grandi speranze. Una volta che il sole fu sorto inequivocabilmente, ripresero a sparare cazzate.
“Hai davvero letto Vittorio Sereni alle mucche irlandesi?”, chiese Jimmy voltandosi verso le ragazze con un sorriso.
Celeste perse lo sguardo oltre il finestrino e scrollò le spalle. “Ho provato con Pascoli ma mi hanno guardata male.”
 
 
 
 
 
 
 
Voglio solamente diventare deficiente e farmi male,
Citofonare e poi scappare.
 
 
 
 
 
 
 
 
Celeste non aveva mai riposato così bene come in quelle tre ore di pisolino nel letto di Jimmy.
Mosse le gambe per godersi il fresco delle lenzuola, finalmente libera dalla costrizione dei jeans, e indugiò ancora qualche istante prima di aprire gli occhi. Sentiva la sua presenza a fianco, e cercò di capire dal ritmo del suo respiro se stesse dormendo o no.
Socchiuse un occhio.
Stava leggendo.
Jimmy abbassò il libro come se qualcosa nell’aria, una fatina del lieto fine, forse, gli avesse suggerito che la ragazza si era svegliata.
“Che ore sono?”, chiese Celeste, intontita dal sonno.
“Le quindici e trentaquattro.”, rispose Jimmy mentre si allungava a posare il libro sul comodino. “Va meglio?”
“Sono rimbambita. Non dovevo dormire.”, replicò Celeste, allungandosi come un gatto. “Non dovevi farmi dormire.”
“Lo dici come se ti avessi messo qualcosa nel bicchiere.”
Celeste rise sommessamente.
C’era poca luce, in camera; quell’unica fonte che aveva permesso alla miopia di Jimmy di leggere senza recarle troppo fastidio proveniva dall’abat-jour: creava un contrasto da film dell’orrore che le fece venire i brividi.
“Ora ti dico la seconda cosa che mi è venuta in mente quando ti ho visto.”
“Spara.”
Celeste lo osservò con gli occhi socchiusi, cercando le parole. Decise che non ce n’erano, o comunque che lei ancora non le aveva imparate. Gli salì a cavalcioni e lo fissò intensamente. Si abbassò a baciarlo, piano, innocentemente, appoggiando i palmi sul suo petto. Le mani di Jimmy scesero dalla parte bassa della schiena verso il sedere, e Celeste sentì esplodere una febbre incurabile nei dintorni dell’ombelico.
Si staccò. “Ti ascolto.”, disse Jimmy, cercando di dissimulare un’improvvisa secchezza di gola.
“Mi fai sentire così bene.”
“Non ti sentivi mica rimbambita?”, chiese lui.
“Esatto. E’ così bello, essere liberi di sentirsi scemi con qualcuno. E mi capita solo con te.”
“Tu sei troppo affezionata alle opinioni degli altri.”, rispose lui, sollevandole la maglietta e armeggiando con il reggiseno.
“Non sono affezionata.”
“Oh, sì, invece. Ti dà un conforto incredibile, forse addirittura ti piace, sapere che gli altri si fanno un’opinione su di te al posto tuo. Al limite del masochismo.”
“Ma ti pare che devi farmi la psicanalisi mentre stiamo per scopare?”, rise lei, toccata solo in parte da quelle parole. Era un’ottima schivatrice di coltelli, Celeste, e quando non ci riusciva era dotta nell’arte di afferrarli dal lato della lama.
Jimmy rise e decise che a conti fatti non era niente di particolarmente urgente.
“Dopo ti spiego perché con te non faccio l’amore, Jimmy.”, sussurrò lei, mentre gli stava sopra, e lui le stava dentro e si muoveva con lentezza, come se avesse a disposizione tutto il tempo del mondo – cosa effettivamente vera.
“Ripetilo.”
“Dopo ti spieg-”
“No, non quello.”
“Non faccio l’amore con te?”
“Dopo.”
“Jimmy…”
“Brava.”
Celeste si disse che era definitivamente uscita di testa. Alla buon’ora.
Le ci erano voluti anni di Bagatti e di Diavoli, di scrittrici uterine e molto incazzate che dessero forma alle sue frustrazioni quando a lei mancavano le parole, di monologhi sul valore dell’individualismo da parte di quel santo di suo padre, una quantità esagerata di tè Earl Grey, un chitarrista che si dilettava a marciare sui coglioni altrui e un batterista impossibile e tatuato fin nell’ombelico per ottenere quel risultato; ma finalmente ce l’aveva fatta. Si era chiusa il portone alle spalle e aveva anche gettato la chiave.
Un tale senso di libertà dovrebbe essere catalogato come dannoso per la salute, e al contempo era la cura ad ogni male. Un farmacon, il veleno e l’antidoto, dolce come ambrosia e pericoloso come acido muriatico.
Non sarebbe più tornata indietro.
Jimmy le baciava il collo senza foga, e le dava l’impressione di aver capito che quello era molto di più che semplice sesso, per lei: forse era molto di più che semplice amore. Si sarebbe chiesta, più tardi, se non fosse piuttosto che era lei ad averlo idealizzato al punto da crederlo in grado di simili capacità maieutiche nei propri confronti. In seguito si sarebbe risposta che, finché lui avesse continuato a tirare fuori il meglio di lei, avrebbe fatto bene a farsi poche domande. O al limite, cercare di farsi quelle giuste.
Jimmy la rovesciò sul letto con delicatezza e rientrò in lei, seguendo il ritmo delle onde del mare che accarezzavano la spiaggia fuori della finestra.
“Ma tu hai una vaga idea di quello che mi stai facendo?”, chiese Celeste con gli occhi lucidi e socchiusi per il piacere. Jimmy le baciò la fronte, poi la bocca, e infine il collo.
“Sarebbe preoccupante se ti dicessi di no, vero?”
Celeste scoppiò a ridere, e una lacrima spuntata dal nulla le solcò una guancia. “Oh, Jimmy…”
“Se lo dici così…”
“Cosa.”
Lui le asciugò la lacrima con il dorso della mano e le prese il viso tra le dita. La baciò ancora, ancora, e ancora e Celeste si sentì un gioiello prezioso. “Se lo dici così dovrò sposarti, prima o poi.”
 
 
 
 
 
 
 
Even the darkness has arms,
But it ain’t got you.
Baby, I have it,
And I have you too.
 
 
 
 
 

 
“Mi prendi per stucchevole se inizio a cantare At last di Etta James?”
“Piccola, potresti anche cantarmi la Marsigliese imitando il suono di una cornamusa e ti troverei il più dolce uccello del paradiso.”
Celeste lo osservava svestita e appagata, così serena che le parve quasi innaturale. Gli baciò tutto il viso, senza lasciargli possibilità né di ridere né di respirare.
“Svergognati.”, fece Brian, comparendo come il Tristo Mietitore sulla porta.
“Tu, invece, sei sempre una cornacchia.”, ribatté Jimmy, tirandosi a sedere. “Sei nato cornacchia e cornacchia morirai.”
“Ha parlato l’oca selvatica.”, fece Beth, spuntando di tre quarti da dietro Brian. “Fatemi posto.”
“Fammi rivestire.”, ribatté Celeste mentre Beth si sbatteva nel letto.
“Brian, voltati per cortesia.”, fece Jimmy accendendo due sigarette e distribuendole tra le ragazze.
“Ma come voltati? E tu allora? E Beth?”
“Noi abbiamo già visto tutto; tu invece sei un uomo impegnato.”, spiegò paziente Beth, aspirando dalla sigaretta. Aveva la stessa faccia scazzata dei santi martiri nei dipinti medievali.
Il chitarrista sbuffò sonoramente, ripensando ai tempi in cui le ragazze lo pregavano di guardarle spogliarsi. Doveva ancora avere da qualche parte un baule di reggiseni raccolti durante i concerti; questo sortì l’effetto di ripristinare il corretto bilanciamento dei livelli di testosterone nel suo sistema, e sorrise sornione mentre si voltava dall’altra parte, incrociando le braccia al petto.
“Bene, puoi voltarti.”, esclamò Celeste dopo essersi infilata una maglietta, prendendo la sigaretta che Jimmy le porgeva. Si sedette all’indiana sul materasso, baciando Jimmy con lo sguardo.
“Bene, quindi non ci racconti?”, fece Brian, calciando le scarpe. Si sistemò con la testa in grembo a Beth, non prima di essersi appurato di essere a debita distanza da quello di Jimmy, il quale non vedeva la necessità di rivestirsi, essendo lui nel proprio letto nella propria camera nella propria casa.
“Vi ho raccontato.”, replicò Celeste.
“Ci hai raccontato delle mucche irlandesi e del loro odio per i poeti decadenti italiani.”
Celeste scoccò a Jimmy uno sguardo incerto. Aspirò una grossa boccata di fumo e decise in quel preciso momento che avrebbe smesso.
Cosa avrebbe potuto dire? Che aveva sofferto, come da previsione, nel momento stesso in cui l’aereo aveva decollato? Che la pioggia non le aveva lavato di dosso un bel niente, ma semmai le aveva riempito l’anima di una tale umidità che pensava di essere diventata la fonte di un fiume, impetuoso e dalle correnti subacquee insidiose, in cui nemmeno i salmoni volevano nuotare?
Si era sentita spenta. Non vedeva null’altro che buio, intorno a sé e dentro di sé.
Poteva dirgli che niente le mancava come le sue mani addosso, anche se c’erano state solo una volta?
Lo aveva cercato pazzamente nelle folle dei pub, nel mare, dentro i pacati cadaveri irlandesi, nei libri che lui per messaggio le comunicava di aver iniziato a leggere, nelle canzoni che componeva e nelle macchie di muffa sul soffitto che osservava di notte, fattasi improvvisamente inguaribile insonne, cantandosi Nothing Else Matter dei Metallica per cercare di addormentarsi. Lo cercava e non lo trovava mai: era sfuggevole come un salmone.
Come poteva descrivere un rimorso che le aveva fatto più volte cadere il telefono dalle mani quando parlava con Beth o con suo padre, ed era tentata di dire adesso prenoto un volo e torno, perché era assurdo e stupido tenersi volutamente lontana da una persona del genere?
Eppure qualcosa glielo impediva. Una sorta di arbitro interiore che le impediva di essere impulsiva, una sorta di mantra che si era sempre ripetuta per contenersi, per non esondare sempre sopra chiunque e qualunque cosa. Un sardonico e rammaricato hai voluto la bicicletta, e ora pedala, un senso di orgoglio così ridicolo che più volte si era messa a ridere dal nulla, in obitorio, sotto la doccia, contro la spalla di Hades mentre faceva sesso con lui. Una risata di quelle che si forzano per non scoppiare a piangere all’improvviso.
Orgoglio per cosa, poi? Non era mai riuscita sentirsi orgogliosa di sé stessa neanche provandoci.
Celeste sentì improvvisamente il peso degli sguardi di quel gomitolo di destini intrecciati che per caso aveva la forma di tre persone umane. Un brivido le fece tremare il petto.
Jimmy la baciò sulla spalla e le sorrise. Celeste abbassò gli occhi e si sentì davvero felice. Si appuntò mentalmente che avrebbe dovuto chiamare suo padre.
Brian la guardava come se fosse un bambino che aspettava di sentire il seguito di una fiaba. Beth aveva lo sconforto dell’inferiorità che le sfigurava il volto nello sforzo di ignorare un groppo in gola.
Celeste si passò una mano tra i capelli e disse semplicemente: “Perché non chiamiamo anche gli altri e facciamo una grigliata, stasera?”
 
 
 
 
 
 
Torna il tuo cielo d’un tempo
sulle altane lombarde,
 in nuvole d’afa s’addensa
e nei tuoi occhi esula ogni azzurro
si raccoglie e riposa.
 
Anche l’ora verrà della frescura
col vento che si leva sulle darsene
dei Navigli e il cielo
che per le rive si allontana.
 
Torni anche tu, Diana,
tra i tavoli schierati all’aperto
e la gente intenta alle bevande
sotto la luna distante?

 
 
 
 
 
 
 
Era felice.
Si aggirava nel giardino con un vestito a fiori lilla che le volteggiava intorno, un grosso anello di pietra di luna al dito anulare e un bicchiere di vino bianco che Matt si premurava di riempire con una certa regolarità. La sera profumava di gelsomini e di carbonella, e nonostante fosse spaventosamente stanca, era felice.
Non era così felice da una vita, pensò.
Si erano preparate, Beth e lei, ascoltando i Fall Out Boy e cantando come quando erano adolescenti, sedute per terra davanti allo specchio e scambiandosi i lucidalabbra.
Agli occhi di Brian e Jimmy questo li fece sentire ancora più vecchi; due coppie ben assortite di Lolite e Humbert Humbert, con meno pare mentali e più consensualità, senza dubbio. Ma con tutta la poesia.
“Ferma!”
Celeste fu costretta a fermare il proprio ondeggiare perché altrimenti avrebbe fatto un frontale con i pettorali di Matthew. La prese per le braccia, sorridendo. “Sei già ubriaca?”
Celeste sorrise, raggiante. “Calamene un altro, signor Ombre.”
“Agli ordini.”
E una volta riempito nuovamente il calice, continuò il suo periplo danzante del giardino. Planò vicino a Beth, che aveva la pelle lucida di lozione idratante e un vestito giallo canarino.
“Bel colore di merda, questo vestito.”, la salutò. Le schioccò un bacio sullo zigomo.
“Non lo reggi, l’alcool.”, sbuffò lei; però sorrideva. Aveva le guance arrossate e Brian continuava a cercarla con lo sguardo. Il tramonto era arancione, così come la brace che Zacky curava con dedizione, una bottiglia di Heineken e una sigaretta in mano. Per un attimo all’immagine dell’uomo si sovrappose quella di un ragazzino dai capelli tinti e snake bites, e Beth si lasciò andare ad un sospiro pieno di tenerezza.
“Sei troppo pallida.”, fece Johnny, pungolando un braccio di Celeste con l’indice.
“Sono stata in Irlanda.”, informò lei, come se non ne fosse già a conoscenza. “Ma ora sono qui. Sono tornata. Jimmy?”, chiamò, persa per un istante.
Una presenza da colonna di marmo comparve alle sue spalle e lei sorrise: la colonna le depositò un bacio sulla testa e poi uno sulla nuca.
“Sono qui. Non me ne vado. Non sono mica te.”
Celeste ruotò sui tacchi di centottanta gradi, accompagnata dalle falde dell’abito, e si ritrovò ad un palmo di naso dalla faccia di Jimmy.
Beth scosse la testa e raggiunse Brian, che criticava con fare esperto le capacità griglistiche del collega. Lo abbracciò da dietro e lo fece leggermente sussultare; ridacchiò, pensando che i metallari hanno i nervi sensibili.
“Ti ricordi quando ci è entrata una cavalletta in camera, al motel?”, chiese.
Brian alzò un braccio per cercare di guardarla, ma lei aveva il volto schiacciato contro la sua schiena, e inspirava a fondo il suo profumo di vaniglia e tabacco, a cui ora si aggiungeva anche un ché di torbato. Si rassegnò a sentirla borbottare da dietro.
“Esseri spaventevoli.”, commentò lui, cercando di mantenere sotto controllo un brivido di terrore che non stava per niente bene coi suoi tatuaggi.
“Jimmy ha fatto un quadruplo salto mortale, il che è ammirevole, tenendo conto che è alto sei metri.”
“Perché me lo dici?”
“Perché eravate molto buffi.”
“Non mi sembra che tu abbia ben accolto la sua venuta.”
“No, infatti. Però voi avevate le lacrime agli occhi. Meno male che c’era Celeste che l’ha gentilmente scortata sul patio.”
Brian non riuscì a trattenere un tremore di spina dorsale, al pensiero di quegli occhi vacui che lo fissavano dritto nell’anima e gli dicevano pentiti. Pentiti, disgraziato. Questo non lo disse, perché Zacky stava ascoltando.
“Cosa diamine c’entrano le cavallette?”, chiese, abbassando il tono di voce di qualche ottava.
“Nulla. Sei nervoso?”, chiese la ragazza, tirando su col naso. Si sentiva già piuttosto ubriaca e ancora non avevano messo sul fuoco mezza costina.
Brian aprì la bocca per rispondere, ma lei lo interruppe. “Io ti amo, Brian. Lo sai?”
Zacky glissò lo sguardo sul prato e si voltò, cercando una scusa sul fondo della Heineken.
“Sì che lo so.”
“Okay.”
“Okay.”
Beth gli piantò un bacio sulle scapole e si voltò per trottare verso Matt, custode del Merlot e dunque ancora più allettante del solito. Brian la afferrò per un braccio e se la tirò addosso. “Vieni qui.”
Beth diventò improvvisamente claustrofobica e si divincolò come una seppia per liberarsi dalla stretta, ma poi si calmò e si lasciò abbracciare un po’.
Si staccò poco prima che Valary e Michelle facessero il loro ingresso trionfale nel giardino. Guardò Brian con tenerezza e gli fece l’occhiolino.
Non aveva fatto due passi che si sentì richiamare indietro.
“Oh, ma sei ossessionato.”, scherzò lei.
Brian le sorrise come quando aveva diciotto anni. “Scema. Hai la lampo abbassata, girati.”
Beth si girò e si fece chiudere il vestito.
Brian si complimentò per l’incredibile forza d’animo che gli impedì di chinarsi e baciarle il pezzettino di schiena che la cerniera non copriva.
Beth, che non era così dotta, arrossì; galoppò verso Celeste senza voltarsi, con la sensazione di quelle dita ancora sulla pelle.
 
Qualcuno accese l’impianto e partirono i Pantera.
Celeste sbraitò che non era il caso (di cosa, lo sapeva solo lei), e pretese l’assoluta e indiscussa gestione della colonna sonora. Mise The heart is a muscle e chiuse gli occhi per qualche istante.
“Bella canzone, Sligo.”, disse Jimmy, baciandole il naso. Celeste aprì gli occhi.
“Mi hai sempre chiamato con il nome della cosa che ci ha separato.”
“Ma per un po’ basta Irlanda, giusto?”
“In realtà le mucche volevano istruirsi anche su Luzi e Pagliarani, quindi non posso promettere.”
Jimmy scosse lievemente la testa. “Va bene. Almeno prenota per due, però.”
Celeste lo baciò, di slancio, facendosi prendere il viso tra le mani. Si staccò giusto un secondo per sussurrare, seguendo la canzone: “I will look at love as more than just an instrument of pain, and will give myself completely to the moving and the strange.”
“Era ora, bambina.”, sussurrò lui di rimando, strabuzzando gli occhi in un’espressione che la fece ridere, buttando la testa all’indietro.
“E’ PRONTO!”, ululò Valary.
 
La sera calava, si depositava sui fili dell’erba e delle risate; la griglia si affievoliva e i bicchieri si svuotavano e si riempivano. Gli ultimi raggi del sole filtravano attraverso i boccali di birra, e si posavano sui capelli di tutti, troppo occupati nelle loro disquisizioni ubriache sul rock degli anni ’80 e su vecchie foto in vasche da bagno decisamente piccole.
Celeste lanciò uno sguardo dall’altro lato del tavolo, dove Jimmy rideva come un rubicondo dio delle feste e accecava Brian con il fumo del sigaro.
Fumava una sigaretta leggera con la testa di Beth appoggiata sulla spalla, e solo di tanto in tanto rispondeva ai commenti di Michelle sul fatto che Brian sarebbe dovuto dimagrire di qualche chilo – e solo per dirle che aveva assolutamente ragione.
“Sono felice, Celi.”, disse improvvisamente Beth, devastata dall’alcool e dal cibo. “Sono così fottutamente felice che potrei ribaltare questo tavolo.”
Celeste rise. Jimmy stava discutendo animatamente chissà di cosa, forse di acciughe, forse di Chick Corea: si interruppe solo un attimo, il sigaro tra i denti, per farle un occhiolino fugace.
“Anche io, tesoro. Cazzo, anche io.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Baby,

you're

like

lightning in a bottle.



 
 
 
 
 
 
Ascoltare il rumore della ghiaia sotto i piedi era il modo tramite cui Celeste pregava. Si perdeva in quello scricchiolio confortante e respirava profondamente da un mazzo di camelie e crisantemi, che per inciso sono i fiori dei morti, ma anche quelli dell’amore.
Il cielo si era rannuvolato nel momento in cui la portiera della macchina aveva sbattuto e Celeste si era avviata verso i cancelli del cimitero.
Si diresse lungo i sentieri in maniera automatica e naturale, e una gonna decisamente troppo leggera per quella giornata di inizio primavera le avvolgeva le gambe ad ogni passo.
Tremava dal freddo.
Arrivò di fronte ad una lapide di marmo scuro, su cui erano incisi a caratteri dorati i grafemi di quell’epiclesi che Celeste si ripeteva con concentrazione quasi sacerdotale, quando l’aria intorno a lei si faceva irrespirabile e la vita si riempiva di nebbia.
Sedette per terra a gambe incrociate e appoggiò i fiori davanti a sé, per terra. Sbuffò con sonorità.
“Sei proprio insopportabile.”, disse scuotendo lievemente la testa. “Non mi hai reso le cose facili. Tutt’altro. Ma immagino che sia per questo che ti diverti così tanto.”
Appoggiò la testa sul pugno chiuso e sorrise teneramente. “Dicevi sempre che quando saresti morta ti saresti molto divertita a perseguitare la signora Molteni, che ti faceva sempre dei prezzi esorbitanti quando andavi a comprare il prosciutto cotto da lei. E invece alla fine sei uno spettro prevedibile e vagamente pedissequo, e mi segui come un’ombra.”
Ci fu un cambio di aria; una folata tiepida le carezzò i capelli.
La signora Ofelia Crespi si stirò come un gatto e si sedette meglio sulla lapide: la sigaretta che non si consumava mai tra le dita inanellate di alessandrite e pietra di luna. La osservò con il solito distacco mistico con cui l’aveva sempre guardata: lo sguardo di chi sa Tutto.
Bene, bambina. Una volta che abbiamo stabilito che hai visto troppi film sui fantasmi, ti decidi a parlare?
Celeste accese una sigaretta e si osservò le dita intorpidite dal freddo. Alla signora Crespi venne voglia di levarsi lo scialle e appoggiarlo sulle spalle della ragazza: non aveva mai saputo leggere il cielo, e infatti era diventata aruspice. L’impiego di augure non l’avrebbe mai portata da nessuna parte, era troppo distratta e teneva lo sguardo troppo basso.
Ti verranno un sacco di reumatismi, temo.
Celeste sbuffò, come se avesse sentito un rimprovero: era solo il vento tra i fili d’erba.
“Sono felice, mamma. Nel senso che per una buona volta non ho paura.”
Tesoro…
“Sono crollati i veli e le maschere, ho aperto le finestre, come facevi tu quando eri arrabbiata o triste. E ora c’è quasi sempre il sole. Anche quando non c’è. È tutto merito di una persona che vorrei farti conoscere. Vieni, Jimmy.”, disse Celeste, voltandosi indietro verso l’uomo che stava a pochi passi da lei. Si avvicinò e sedette.
Sorrisero alle lettere dorate.
Un vero piacere. Ti ho osservato spesso, James, figlio del tuono. Sei uno strano tipo. Proprio quello che ci voleva per la mia piccola. Papà non vede l’ora di conoscerti.
Celeste si rivolse verso Jimmy e lo baciò intensamente.
“La mamma era una cartomante; leggeva i Tarocchi in Via dei Fiori Chiari. Lì, dopo le sei del pomeriggio, ci sono un sacco di veggenti che aprono i tavolini da campo e leggono le carte ai passanti. La mamma era una delle più richieste perché aveva gli occhi delle civette, e anche perché aveva un accordo con alcuni bar del centro: mandava i suoi clienti lì a prendere il caffè, e questi poi tornavano da lei con le tazzine per farsi leggere i fondi. Aveva una vista particolare, inspiegabile a parole: i Tarocchi che leggeva erano in realtà dentro di te, non sul tavolino. Lei semplicemente usava le raffigurazioni degli Arcani per spiegarti cose che lei vedeva come macchie di colore dentro i tuoi occhi. Per lei era tutto chiaro. Le bastava uno sguardo.”
Oh, no, tesoro. Proprio no. Sono stata la più grande improvvisatrice, in fatto di vivere. Ma è tenero che tu lo pensi.
“Il papà l’ha conosciuta perché era bigliettaio alla Brera: scappava dall’Irlanda e dall’umidità, ignorando, a quel tempo, che a Milano ne avrebbe trovato un’altra. La mamma gli ha letto le carte in pausa pranzo, gli ha fatto capire che erano destinati a stare insieme, a sposarsi, e mio padre era così confuso, così affascinato che le ha creduto. Ci ha creduto fino alla fine, e con la stessa dedizione di chi testimonia le apparizioni mariane.”
La signora Crespi tacque, la sigaretta imperitura tra le dita; sospirò, pensando al viso di suo marito premuto sul suo petto, l’ultima notte che passarono insieme. Si fa quel che si può, scricciolo, disse, più a sé stessa che alla figlia.
Jimmy sorrise tra sé, incantato e leggermente intimidito dall’atmosfera sacra di quel momento. “Allora è di famiglia, la fuga.”
“Ovviamente.”, ribattè Celeste, scrollando le spalle. Tremò forte; Jimmy le appoggiò la giacca di pelle sulle spalle. “Non sai mai portarti dietro una giacca, quando scappi.”
La signora Ofelia si commosse, ed ebbe la prova inconfutabile di tutti i segni che aveva sempre visto nella sua bambina, quelli che Celeste non aveva mai voluto inseguire come conigli, per paura di cadere nel buco. Aveva dovuto incontrare un’Alice alta un metro e novantatré a forma di batterista per capire che quello che uccide non è mai la caduta, bensì l’atterraggio. E che molto spesso nemmeno quello ci riesce.
Si asciugò una lacrima sulla guancia prima che qualcuno potesse notarla – soprattutto il signor Marcello, che stava due lapidi più in là; non aveva ancora capito che era morto e che non aveva davvero più niente di cui lamentarsi, ma odiava i sentimentalismi e sbraitava addosso a tutti i malinconici frequentatori del cimitero.
Voi ragazzini…, si disse solamente, accavallando le gambe. La sigaretta fumava ancora tra le sue dita, imperturbabile agli spifferi che stavano iniziando a scuotere i cipressi intorno al campo santo.
“Ti ho preso una cosa.”, disse Jimmy, frugando nella tasca della giacca che aveva ancora indosso Celeste. Estrasse una scatolina di velluto scuro e la porse a Celeste, che lo guardò con uno sguardo ironico e bellissimo.
“Davvero? Al cimitero?”
“Mi dici sempre che le proposte sfarzose e pubbliche ti danno ai nervi. Qui non può applaudire nessuno.”
Beh, nessuno che voi possiate sentire.
Celeste lo guardò con tenerezza.
“Non è necessario che sia tra poco, tra un mese o sedici anni. Vorrei solo che ricordassi che ormai non è che ci siano molte altre alternative. Voglio dire, la maggior parte dei tuoi libri e stupidi maglioncini sono già a casa mia.”
“Ah, quindi è una questione di mera praticità.”, ribatté Celeste.
“Vedila come una conseguenza naturale degli eventi.”
Gli eventi sarebbero Brian e la sua allergia congenita alle responsabilità?”
“E anche Beth.”, aggiunse Jimmy, consapevolmente. “Non dimenticare Beth. Devi lasciarla respirare un po’, bambina, altrimenti si strangola. Su, aprilo.”, disse poi, indicando la scatolina con il mento.
Un anellino dorato con un rombo di alessandrite che catturava la luce biancastra di quella giornata. Cangiante e mai uguale a sé stesso: un po’ come lui vedeva lei.
Tieniti stretto l’uomo che conosce la tua pietra natale.
Lui la baciò sui capelli, stringendola più a sé.
Ora andate, bambini, prima che mi metta a piangere.
Celeste si alzò, lasciando un ultimo sguardo alla lapide scura; si avvicinò e posò un bacio sulle lettere dorate, vicino alla fotografia di una donna che rideva, una sigaretta in mano e una massa di capelli scuri screziati di bianco. “Ciao, mamma. Torno presto.”
Ciao, scricciolo. Fa’ un po’ meno la brava, mi raccomando, disse la signora Crespi, aspirando brevemente dalla sigaretta e stringendosi nello scialle, sentendo il freddo che doveva sentire sua figlia, vestita come se dovesse andare ad un falò in spiaggia. Cosa non troppo distante dalla realtà, peraltro.
Li osservò camminare lungo i sentieri di ghiaia, lui con il braccio intorno alle spalle di lei, e lei stretta attorno alla sua vita, la testa mora appoggiata sulla spalla. Il sole era bianco e accecante; l’aria fresca e carica del profumo del marmo bagnato.
Aiutala, James Boanerghes. Stalle tanto vicino.
La signora Crespi dovette presto distogliere lo sguardo dai ragazzi, perché il signor Marcello si era svegliato.
“Cos’ha da brontolare, signor Marcello?”, chiese la donna, scendendo dalla lapide con un saltello aggraziato. L’uomo sbuffò, scrollandosi dalla giacca una polvere che non poteva essere.
“Guardi che tempo! Che umidità! Come faranno, i miei reumatismi? E la mia sciatica? Robe da matti!”, borbottò lui, alzandosi in piedi. Non guardò nemmeno la lapide che recava il suo nome e una bella fotografia in bianco e nero.
Non la guardava mai. Si alzava come se fosse stato troppo tempo seduto in poltrona, e si aggirava per le tombe come se cercasse gli occhiali da vista.
La signora Crespi si avvicinò e gli  sorrise. “Ma non deve più preoccuparsi, signor Marcello. Adesso davvero è tutto a posto.”
“Lo dice lei, perché è giovane. Ma quando arriverà alla mia età…”, continuò lui, borbottando. Tuttavia le offrì il braccio, a cui la donna si aggrappò, sorridendo e scuotendo il capo.
Si incamminarono per i cipressi, serenamente, chiacchierando del grigiore che avvolgeva il cielo di Milano quel mattino, dei crisantemi pallidi che la figlia di Ofelia aveva lasciato, dei tulipani che il figlio del signor Marcello soleva portargli.
Di fiumi alpini, di mari del Nord, dei terremoti della California.
Di quando il signor Marcello, meneghino di sangue, faceva il fioraio a Venezia; di quando suonava la fisarmonica per sua moglie nelle sere d’estate, dopo aver bevuto un goccetto di troppo.
“Bei tempi, bei tempi, quelli… eh, sì.”
“Anche ora non ce la caviamo male, no?”, ribatté la signora Crespi, indicando con la sigaretta il panorama quieto del camposanto.
Il signor Marcello scrollò le spalle, aggrottando le sopracciglia.
“Lei mi ricorda proprio una persona.”
“Ah sì?”
“Sì. Un amico di mia figlia Celeste.”
“Ma pensa. Faceva anche lui il fioraio?”
“In un certo senso. Fa il chitarrista. Si fa chiamare Synyster Gates.”
“Te pensa…”
 
 
 
 
Baby, you're like lightning in a bottle
I can't let you go now that I got it
And all I need is to be struck
By your electric love.

 
 
 
 






 
 
Fine.
Le parole che ho preso in prestito sono, in ordine di apparizione, di:
Gang of Youths, the deepest sighs, the frankest shadows
Fulminacci, Santa Marinella
Barr Brothers, Even the Darkness has arms
Electric love, Borns.
Diana, Vittorio Sereni.
 
Ora le restituisco.
Tante grazie.
 
   
 
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