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Autore: WaterfallFromTheSky    19/04/2021    2 recensioni
I Ladri Fantasma si rivedono dopo alcuni anni dallo scioglimento del gruppo, in occasione di una mostra di quadri di Yusuke. Tra loro sembra non essere cambiato nulla: sono tutti maturati, ma la loro amicizia rende l'incontro lieto e spontaneo. Ognuno di loro ha trovato il suo posto nel mondo, anche Yusuke, che è ormai talmente famoso da aver quasi raggiunto la notorietà del suo Maestro Madarame e avere tre giovanissimi allievi al seguito. Ma Ann e Ren percepiscono che non tutto è perfetto come sembra...
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ann Takamaki, Phantom Thieves, Yusuke Kitagawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Si trovavano sul pianerottolo del palazzo dove abitava Yusuke. Alla luce tremolante della lampada condominiale, lui tirò fuori le chiavi dell’appartamento, le infilò nella toppa arrugginita e fece scattare la serratura, quindi entrò per primo e accese la luce. Ann lo seguì, restando spiazzata da quello che vide.
La luce fioca della lampadina sul soffitto illuminò un piccolo monolocale, formato da due vani separati da un fusuma quasi trasparente – Ann intravedeva la sagoma del letto e di qualche altro mobile attraverso. Un minuscolo bagno sulla destra, un cucinino e un lavello in fondo, di fronte un divanetto grigio topo e una radio posata su un comodino…e poi il caos. La gran parte dell’ambiente era occupato da tele, vuote o cominciate, cavalletti, colori e pennelli sparsi sul pavimento. Accanto ad un cavalletto, su cui era posata una tela vuota, Ann notò una bottiglia d’alcol piena solo per metà. Strinse appena le labbra. Il suo sguardo continuò a vagare tutt’intorno, senza sapere dove poggiarsi. Quel luogo era traboccante di oggetti: mensole piene di vasi e suppellettili dalle forme e i colori improbabili – alcune perfino dal discutibile gusto –, fiori in vaso mezzi appassiti, due piatti ornamentali e diverse maschere tradizionali appese al muro, una coppa piena di sabbia…ma ciò che colpì di più la ragazza fu una testa di legno con dentro infissi alcuni coltelli da cucina.
Un porta coltelli piuttosto macabro. Le passò il sonno.
«Uhm…perdona il disordine. Ti preparo un thè?» domandò lui, mentre lei notava una pila di confezioni vuote di ramen istantaneo accatastate in un angolo. Ann avrebbe preferito una tisana digestiva dopo tutto quello che aveva mangiato, tuttavia era quasi certa che Yusuke ne fosse sprovvisto, per cui fece un cenno di diniego con il capo. Yusuke si guardò intorno più spiazzato di lei, come se non avesse creato lui tutta quella confusione in casa sua; d’un tratto, scattò da una parte all’altra, recuperando tra le braccia alcune cose, tra cui le confezioni di ramen, per gettarle nella spazzatura. L’aspetto della casa non migliorò granché.
Ann sospirò e si diresse al divanetto; cambiò idea e prese tra le mani la bottiglia d’alcol, indirizzando a Yusuke uno sguardo di disapprovazione.
«Sì, uhm…» provò a spiegare, una mano dietro la nuca. «A volte mi aiuta.»
«Ti aiuta a fare cosa?»
Yusuke lasciò andare il braccio lungo il fianco, poi andò a sedersi sullo sgabello, di fronte alla tela bianca immacolata. Le rivolse uno sguardo affranto, poi preferì fissarsi sul pavimento.
Lo stridente contrasto tra quel monolocale e l’aspetto curato di Yusuke colpì la ragazza come un pugno in mezzo al petto. Lasciò la bottiglia dove l’aveva presa e accese un abat-jour, quindi spense la luce. Così facendo, si diffuse una luce morbida tutt’intorno, che conferì a quella casupola un aspetto un po’ più accogliente.
«Futaba ci ha chiesto se ci manca la vita da Ladri Fantasma» esordì lui, mentre Ann si accomodava su un cuscino magenta, per terra di fronte all’amico.
«Tu non hai risposto.»
«Già. Mi manca, sì. Ma non ne sarei più degno.»
«Perché dici questo?»
Yusuke sospirò, poi portò lo sguardo afflitto su Ann. Era curvo sotto il peso di chissà quali crucci, tanto che sembrava potersi spezzare. Le venne voglia di abbracciarlo, ma non si mosse e continuò a sostenere il suo sguardo. Lui vuotò il sacco, lasciando Ann dapprima di stucco, poi sempre più dispiaciuta per lui. Le rivelò di essere di nuovo preda di un blocco artistico, stavolta molto più grave di quello che aveva avuto quando era un liceale. Le raccontò di aver raggiunto il successo, di essere diventato famoso quasi quanto Madarame, di aver vissuto un periodo meraviglioso, tanto che aveva potuto permettersi una tata che badasse alla casa e ai suoi pasti e dedicarsi interamente alla sua amata arte, ma poi la situazione era precipitata. Aveva cominciato a contrarre debiti e aveva dovuto stringere la cinghia – licenziare la tata e cambiare casa per rimediare quel monolocale economico erano solo degli esempi –, accettando lavori come l’insegnamento saltuario a giovani promesse e tirando avanti principalmente con quello. A quel punto, Yusuke tacque. Per tutto il racconto aveva parlato con gli occhi fissi sulle sue mani nivee, la voce grave o disgustata verso sé stesso e i suoi fallimenti. In quel momento, però, chiuse gli occhi e parve incapace di continuare, cosa che allarmò Ann. Cosa c’era peggio di ciò che le aveva raccontato?
«E…poi?» incalzò gentilmente.
Yusuke portò le iridi scure nelle sue per un istante netto prima di alzarsi e allontanarsi di due passi. Ann trattenne uno sbadiglio – era passata la mezzanotte e lei era ancora vittima del jet lag – e piegò le gambe sul cuscino, paziente.
«La vedi quella tela?» mormorò lui. Lei annuì, anche se le dava le spalle. Ma lui continuò comunque: «È vuota. È vuota…come me.»
Strinse i pugni; Ann vide sporgere le nocche. Fissò la tela, tristemente. Poi, disse: «Vuol dire che la si può riempire con qualunque cosa, no?»
Yusuke non si mosse. Tuttavia, dopo qualche secondo di perfetto silenzio, emise una lunga e bassa risata. Ad Ann fece male ascoltarla: sembrava il suo modo di piangere.
«Sei sempre troppo gentile, Ann. Ma smetterai di esserlo ora che ti dirò tutto il resto.»
«Mettimi alla prova. Magari, sarò ancora gentile.»
«Ricordi come sono stato trattato dal mio Mae…da Madarame, vero?»
«Come potrei dimenticarlo? Ti ha fatto soffrire così tanto…»
«Già. E ciononostante non mi ha impedito di ripetere lo stesso errore.»
Ancora silenzio: Ann sbatté le palpebre stolidamente, tentando di capire ciò che lui aveva appena detto. Eppure, nonostante fosse troppo assurdo, aveva capito bene.
Yusuke si voltò e chiese stancamente: «Merito ancora la tua gentilezza?»
«Yu…Yusuke, mi stai dicendo che i tuoi allievi...?» Non terminò la domanda, era inutile. D’un tratto, le parve chiaro perché i quadri alla mostra le avevano trasmesso quella sensazione. Semplicemente, non appartenevano a Yusuke. E lui confermò quella conclusione: «Alcuni dei quadri che hai visto stasera sono tele che non ritenevo degne di una mostra ma che non ho mai gettato via. La maggior parte di quei quadri tuttavia non mi appartiene. È stata realizzata dai miei promettenti allievi, che sono così umili, volenterosi…e si fidano di me così tanto che mi hanno permesso di spacciarli per miei.»
«Yusuke…ma non è possibile. Tu…»
«Lo so. Io…non riesco a guardarmi allo specchio, Ann. Sono…peggio di Madarame.»
«Non credo. Non è vero. Non lo fai con piacere e…»
«Ti prego, Ann, risveglia il mio cuore.»
Ann raggelò, le sopracciglia aggrottate. Yusuke aveva chiuso gli occhi e contratto le spalle.
Si alzò in piedi.
«Ti prego. Fallo, adesso. Io…» continuò Yusuke, ma non poté dire alcunché perché lei lo schiaffeggiò.
«Ma che cosa stai dicendo?!» sbottò. «Ci siamo fatti una promessa, no? Non abbiamo bisogno di quei sistemi! E poi, il tuo animo non è corrotto!»
«Come…come fai a dirlo?» mormorò lui, senza guardarla, una mano sulla guancia.
«Lo dico perché ho visto come ti guarda Yumi-chan! Ti adora!»
«Anche io adoravo Madarame…»
«Ma tu sei diverso! Tanto per incominciare, soffri per tutto questo, invece Madarame lo faceva come se questo sacrificio da parte dei suoi allievi gli fosse dovuto! Tu non sei così!»
«Per favore, non urlare. Le pareti di questo stabile sono piuttosto sottili.»
Ann sospirò e incrociò le braccia al petto. Sentì improvvisamente caldo, colpa della sfuriata. Si avvicinò all’unica finestra e la aprì senza chiedere il permesso. Poi, però, si accorse che non c’erano zanzariere e la richiuse, esasperata – preferiva sudare di caldo piuttosto che farsi mangiare dalle zanzare. Yusuke allora si recò nella camera da letto e tornò con un piccolo ventilatore sgangherato, che accese e puntò in direzione di Ann. Fu un sollievo per lei anche se non era molto potente.
Ann continuò a indagare sulla questione confessatale da Yusuke – gli aveva appena detto che il suo cuore non era corrotto come quello del suo vecchio maestro, ma doveva accertarsene. Per questo pose domande anche indiscrete: per esempio, cercò di capire come mai, nonostante il successo ottenuto grazie alle opere dei suoi allievi, lui versasse in una situazione economica tanto penosa. Yusuke le spiegò allora che lui non guadagnava quasi nulla da ciò che otteneva dalle mostre: intascava soltanto ciò che derivava dalla vendita dei propri quadri, che erano sempre meno, mentre tutto il resto lo consegnava ai suoi allievi oppure lo devolveva alla loro scuola. Quei soldi non gli appartenevano, e comunque era il suo modo di fare ammenda, almeno in parte; ciò che gli premeva era mantenere almeno i suoi clienti e suoi agganci, confessò.
Ann fu ben lieta di sentirlo: Yusuke si era infilato in un brutto guaio, ma almeno era evidente che lei avesse avuto ragione, che il suo cuore non fosse corrotto come lui aveva temuto.
Quando deve averci visti alla mostra così all’improvviso, chissà cos’ha pensato?
Sospirò di sollievo e cercò le parole con cui fargli capire che la situazione non era tragica come lui credeva, tuttavia, nel riflettere, alzò lo sguardo al soffitto. E corrugò la fronte quando mise a fuoco un alone di umido in un angolo. Decise di ignorare la macchia, che incombeva su di loro come un’ombra minacciosa, e disse: «Può capitare ad un artista di vivere delle crisi così.»
«È vero. Ma avevo giurato a me stesso di mettermi al servizio dell’arte, senza badare al guadagno, alla sopravvivenza e alla fama. Ho tradito me stesso e…»
«Yusuke, quando hai fatto a te stesso quel giuramento avevi diciassette anni. Poi sei cresciuto e hai fatto i conti con la realtà: per campare ti servono i soldi, e i clienti, e la reputazione. Hai solo fatto la prima cosa che ti è venuta in mente per tamponare finché non risolverai questa cosa del blocco artistico.»
«Sì, ma…»
«…è illegale, lo so. Ma è temporaneo, ne sono sicura…» Ann raggiunse Yusuke e gli prese le mani tra le sue, inducendolo a incontrarla con gli occhi. «…e poi tu rispetti i tuoi allievi. Li stai formando bene, li stai guidando e sei in bancarotta proprio perché non intaschi i profitti delle mostre. E sono sicura che, quando saranno loro ad aver bisogno di te, tu per loro ci sarai. Al contrario di Madarame, che ti ha lasciato solo.»
Yusuke schiuse la bocca, stupito più dalle loro mani giunte che dalle parole di lei. Quando Ann ci fece caso, lo lasciò andare ma non abbandonò il suo sguardo.
«Hai capito?»
Yusuke annuì una volta sola, lentamente. Poi, abbassò lo sguardo. Senza preavviso, le riprese le mani e disse: «Ho ancora i miei problemi, e non mi piace la soluzione che ho dovuto adottare, ma mi sento più leggero ora che l’ho detto a qualcuno. E la tua comprensione…grazie.» La voce di Yusuke era diventata calda, e le sue mani erano morbide e lisce, e tenevano le sue con la cura di un gioielliere che maneggia un filare di perle.
«Ma che stai dicendo? Davvero pensavi che ti avrei condannato?»
Ann ritirò le mani, celando quell’improvviso e inopportuno imbarazzo semplicemente voltandosi e tornando sul cuscino.
«Sì, lo pensavo. Perché io per primo mi condannavo.» Yusuke la raggiunse, riprendendo posto sullo sgabello. Passò una mano tra i capelli, apparendo molto stanco. Anche Ann lo era, infatti le sfuggì un sonoro sbadiglio. Si alzò per andarsene ma Yusuke si offrì di ospitarla, dato che era notte fonda, dicendo che lui avrebbe dormito sul divano e lei nel suo letto. Lei accettò, grata, e sbadigliò di nuovo. Yusuke invece sparì nell’altro vano, oltre il fusuma. Lo udì parlare da solo, per poi ritornare da lei con una maglietta color pesca a fantasia floreale. La ragazza stimò con una sola occhiata che le andasse lunga ma un po’ stretta sul seno. E, dato che era da donna, si domandò perché ne avesse una. La sua mente partorì almeno due soluzioni, e per qualche motivo non le piacquero molto. Accettò comunque anche quella e andò a cambiarsi nel piccolo bagno. Quando si ritirò in quella che era la sua camera da letto, vide che Yusuke le aveva spostato lì il ventilatore. Ann lo ringraziò di nuovo e sedette sulla sponda del letto a una piazza e mezzo. Yusuke fece per andar via, ma poi si voltò e chiese: «Ho una domanda, anche se forse non è il momento più opportuno.»
«Chiedi pure» replicò lei, mentre osservava un orologio a forma di macchia di pittura appeso al muro. Era multicolore; si chiese se i numeri si illuminassero una volta spenta la luce.
«Non hai parlato molto del tuo lavoro. Come mai? È stato un caso?»
Ann restò concentrata sull’orologio per diversi istanti, come se Yusuke non le avesse domandato nulla. Le saltò immediatamente in testa la palpatina di uno dei truccatori, una recente intervista solo apparentemente di stampo femminista…
Chiuse le palpebre, ma invece di scacciare i ricordi gliene sovvenne un altro.
Se ti interessa questo lavoro, devi imparare a darla un po’ di più, Takamaki-chan. Altrimenti, è facile trovare qualcuno più qualificato.
Scosse il capo. Aveva irrigidito il trapezio; si obbligò a rilassarsi.
«Non c’è molto da dire sul mio lavoro. Le riviste e le pubblicità parlano da sé. Mi piace tanto e mi fa sentire bene…ma, come tutti i lavori, o come tutte le cose, provoca alti e bassi. Questo è un periodo un po’ basso…ma ora ho sonno. Ne parliamo domani, va bene?»
«Non sei obbligata.»
«Lo so. Ma tu ti sei aperto con me. E poi, sinceramente ho bisogno anch’io di parlare con qualcuno.»
«Un tempo lo facevi con Ren. No, forse lo facevamo tutti, in realtà.»
«Bè, i tempi cambiano, no? E anche le persone. E comunque so già cosa mi direbbe lui.»
«Credi in te stessa?»
Ann scoccò un’occhiata a Yusuke e ridacchiò; lui le rispose con una delle sue basse risate che sembravano tanto minacciose ma che erano solo divertite. Yusuke fece per uscire, ma disse, da sopra la spalla: «Abito in una catapecchia…ma, da quando sei entrata, tutto ha acquistato la bellezza di una reggia.»
Ann non seppe cosa replicare. Poté solo arrossire, compiaciuta. Era abituata ai complimenti e agli apprezzamenti, ma non erano mai delicati come quelli che sapeva farle Yusuke.
Quando ha imparato ad adulare una donna in questo modo? Ah, forse è perché gli serve per trovare delle modelle…
Yusuke uscì senza attendere risposta, e lei non riuscì a smettere di sorridere, anche dopo quella considerazione tra sé e sé. Spense la luce, sistemandosi sul letto a mezza piazza non appena lui uscì e si chiuse il fusuma alle spalle. Non fece nemmeno in tempo a guardarsi intorno che crollò addormentata.
 
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Voltò il capo. Una lieve fitta gli trafisse il collo, causa la posizione scomoda. D’istinto, allungò la mano verso la luce della luna, che penetrava dalla finestra; il suo finto Rolex poté quindi comunicargli che erano le due e mezza di notte. Era trascorsa appena un’ora da quando era riuscito a prendere sonno.
Sospirò. Sentiva le palpebre pesanti, ma il suo cervello era fin troppo attivo. Una strana eccitazione gli scorreva in corpo. Somigliava vagamente a quella che lo coglieva quando era in procinto di dipingere. Doveva essere una reminiscenza del passato: il suo cuore era vuoto, come le sue tele.
Si voltò e rigirò quattro volte sul divano prima di decidere di alzarsi, sperando che il nervosismo passasse con qualche sorso di vino. Tirò un paio di sorsi, poi scoccò un’occhiata alla tela, più bianca che mai – bianca come la sua disperazione.
Inquieto, si accovacciò in un angolo, dove teneva accatastati riviste, giornali e libri che aveva accumulato nel corso degli anni alla costante ricerca di stimoli per la sua fantasia. Automaticamente afferrò una delle riviste, che ora si trovava a metà della pericolante pila. Quando la aprì, si ritrovò a fissare direttamente negli occhi azzurri come il mare una ragazza bionda di una bellezza da mozzare il fiato. La stessa ragazza la cui bellezza lo aveva folgorato alcuni anni prima, tanto da costringerlo a presentarsi a lei e implorarla di diventare la sua modella. La stessa ragazza che ora dormiva nel suo squallido letto, celata dal sottile fusuma – era sicuramente quello ad emozionarlo.
Sospirò. Voltò la pagina e trovò, fermati da una graffetta, una serie di ritagli provenienti da altre riviste. In ognuno di essi il sorriso allegro e sensuale di Ann quasi lo sbeffeggiava, ricordandogli quanto fosse fallito. Sì, fallito: quei ritagli erano stati una pessima idea. Da quando Ann era partita da Tokyo, Yusuke si era sentito perduto. Aveva sempre pensato che quella ragazza avesse un ruolo fondamentale nella sua ricerca verso la vera bellezza. Non le aveva più chiesto di posare per lui, né vestita né tantomeno nuda, ma averla intorno in qualche modo lo aveva aiutato e ispirato più di una volta. Poi lei era partita, insieme a quasi tutti i suoi amici…
Il povero artista aveva cercato modelle che le somigliassero, ma nessuna gli aveva mai trasmesso le stesse sensazioni di Ann: tutte loro erano solo delle mere imitazioni. Quando lo aveva capito, aveva deciso di seguire Ann attraverso le riviste e tentare di dipingere facendosi bastare la sua immagine su carta. Non era stato sufficiente: le fotografie non catturavano ciò che Yusuke vedeva in lei. Per questo aveva messo via tutti i ritagli, sempre più frustrato.
Adesso Ann era lì con lui. Non appena l’aveva rivista, insieme agli altri, il suo cuore aveva ripreso colore. Il gruppo di amici era stato come un meraviglioso e fresco bouquet nell’ombra di un tugurio, per lui, e Ann era la rosa centrale. La gioia e l’emozione non gli erano ancora passate. Si sentiva fremere. Le sue dita anelavano la leggerezza del pennello…
Yusuke abbandonò la rivista e si precipitò allo sgabello, il pennello in mano, il viso sulla tela, con la solennità di un guerriero che, armato della sua fida spada, si appresta ad affrontare il suo peggior nemico. Sollevò la mano, portò il pennello alla tavolozza…
No. Non così.
Yusuke sbuffò, spazientito, e non lanciò tutto all’aria solo per non svegliare Ann. Poi, tuttavia, aggrottò le sopracciglia…
Ann. Ma certo.
Yusuke decise di prendere il toro per le corna, anche se era rischioso. Lasciò pennello e tavolozza sullo sgabello e si diresse a piedi scalzi verso il fusuma. Esitò, ma solo un attimo, quindi lo aprì lentamente. La sua ombra si fuse con il buio della stanza e riuscì soltanto a intravedere il profilo di Ann, profondamente addormentata. Strinse le labbra, lambiccandosi il cervello, finché non gli venne un’idea: con il passo felpato di un ninja, tornò nel primo vano e cercò una vecchia lampada da notte a forma di fiore che aveva acquistato tempo fa per via della sua forma. Non faceva molta luce, ma sarebbe stata sufficiente. Quando la trovò, abbandonata sotto al divano – non aveva la minima idea di come fosse finita lì –, se la rigirò tra le mani, chiedendosi se funzionasse. Inserì la spina nella prima presa disponibile. Quando vide che funzionava ancora, per poco non esclamò di gioia. Tuttavia, rimase per un attimo interdetto: ricordava che fosse un fiore, invece in quel momento sembrava più un fungo. O un fungo fiorito?
Mentre rifletteva, notò che la luce cambiava colore: era partita con il bianco, ma adesso era diventata rosa. Mentre l’incredulità lasciava spazio alla soddisfazione, il rosa divenne viola. Ridacchiò, la solita risata sinistra, e il viola divenne blu. Come aveva fatto a dimenticare quella lampada?
Tornò nel vano che doveva essere la sua camera da letto e, tastando accanto al letto, trovò la presa. Inserì la spina e posò la lampada sul comodino. Ann emerse dal buio, favolosa e opportuna come l’uovo sodo in una ciotola di ramen. Voltata in sua direzione, dormiva e sognava, adorabile, una mano abbandonata sul cuscino, i capelli posati su una spalla, lievemente mossi dal ventilatore, che si trovava proprio accanto a Yusuke e il cui ronzio gli parve un allarme che rivelasse la sua presenza. Si accorse di star sudando freddo. Yusuke, genuflesso su un ginocchio, inquadrò la ragazza con le mani, eccitato.
Perfetta. Magnifica.
Si sentì sul punto di esplodere. Come se fosse posseduto, andò a recuperare tutto ciò che gli serviva.
 
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Rabbrividì. Fu forse quello a svegliarla. Quel venticello…
Il ventilatore.
Aprì gli occhi, chiedendosi che ore fossero. Non fece nemmeno in tempo a ricordare che fosse a casa di Yusuke e a ricordare che aveva altre visite da fare che scattò seduta, gli occhi spalancati. Yusuke dormiva seduto per terra, la testa nell’incavo braccio poggiato al comodino, accanto ad una luce che sembrava un fungo con i petali che cambiava colore; contro il letto, una tela.
Gli occhi le diventarono voragini. Mentre lei dormiva…?
Lanciò un grido, mentre scagliava un cuscino addosso a Yusuke. Il ragazzo scattò indietro, di schiena al muro, gli occhi che sembravano potergli occupare l’intera faccia. Con le gambe e le braccia allungate, così lunghe e magre, le ricordò un grosso ragno.
«Yusuke!»
«A-Ann! Buongiorno!»
«Buongiorno un corno! Mi hai…! Mentre…!» Ann non riuscì a terminare. Irritata oltremisura, prese l’altro cuscino e lo scagliò nuovamente sul giovane, ma travolse anche la lampada sul comodino, che finì per terra e cominciò a cambiare colore più velocemente di prima. Non solo: emise un lungo garrito, un penetrante canto di gallo e un barrito spaventato, uno dietro l’altro. E poi di nuovo, più forte di prima. Sia Ann che Yusuke la fissarono sconcertati – che razza di lampada era, quella?
Ann notò lo sconcerto di Yusuke e scoppiò a ridere, battendo un pugno sul materasso. Le vennero le lacrime agli occhi.
Finalmente, Yusuke riuscì a reagire e staccò la lucetta dalla presa, interrompendo così quella cacofonia impietosa; a quel punto, se la rigirò tra le mani con l’espressione di chi si domanda che aggeggio fosse quello. Ann riuscì a smettere di ridere: d’un tratto, l’indignazione e quel brutto risveglio si erano dissolti nella sua risata.
«Ah, che languorino! Ma scommetto che non c’è niente nel tuo frigo, vero?» domandò. Yusuke la guardò come se l’avesse notata solo in quel momento. Senza attendere risposta, Ann si alzò dal letto e recuperò il cellulare dalla borsa, stabilendo: «Chiamo la colazione a domicilio, eh? Facciamo thè e pancake? O preferisci una colazione salata?»
Si voltò in direzione di Yusuke, il cellulare in mano; così facendo, vide ciò che il giovane aveva dipinto. Le cadde il telefono di mano.
Avanzò verso la tela e ci si inginocchiò di fronte, rapita da quello che vedeva: una ragazza con le sue sembianze, dalla figura seminuda di colore bianco-azzurro, che la faceva apparire come una creatura eterea, abbracciata da un letto di foglie verde smeraldo dalla forma a lira che celavano delicatamente le sue nudità, gli occhi chiusi e il viso disteso in un’espressione serena tipica di un sonno profondo; era immersa in una serie di chiaroscuri che andavano dal porpora al blu attorno alla sua sagoma, e poi dal rosso al viola e infine al nero man mano che si avvicinava verso i margini della tela. Sparsi in quell’arcobaleno irregolare, puntini luminosi poco più grandi della capocchia di uno spillo galleggiavano tutt’intorno alla giovane, creando un’idea di lento e pulsante dinamismo. Sembrava quasi un mondo di fantasia quello in cui l’ignara ragazza sognava addormentata, eppure lei appariva tangibile agli occhi dell’osservatore. Ma non fu tanto quello a colpirla, quanto il calore, l’intimità e il senso di mistero trasmessi da quei colori finemente intrecciati e dal tocco delle foglie, la semplicità della figura, il realismo della sua fragilità, la dolcezza della sua postura rilassata.
Quel dipinto aveva qualcosa di rassicurante. Sembrava che quella ragazza non fosse turbata da alcuna preoccupazione e vivesse in un mondo meraviglioso e privo di minacce. Si aveva l’impressione di poterle parlare. Era bellissimo. E ritraeva lei. Senza nessuna traccia della solita sensualità a cui lei era continuamente associata.
Portò una mano alla bocca, mentre alcune lacrime affioravano tra le sue palpebre. Quando le si annebbiò la vista, chinò il capo affinché i capelli le celassero il volto. Ma fu inutile, Yusuke si era accorto di tutto infatti, preoccupato, le domandò: «Ti senti offesa?»
«Offesa?» Ann non poté fare a meno di puntare gli occhi nei suoi, incurante delle lacrime. «Yusuke. Yusuke, questo quadro è…è bellissimo
Yusuke non le chiese il motivo di quelle lacrime; la guardò con solennità.
«Scusami. È…è una reazione stupida…» disse Ann, asciugando le lacrime, ma lui disse: «Non mi sembra. Ammetto che non è la reazione che mi aspettavo, ma è comunque una reazione forte, e io non posso che sentirmi gratificato.»
«È forte perché…»
«Commozione. Anche a me capita di piangere davanti ad un’opera carica di sentimento.»
«No, non è questo. Cioè, non solo.»
Yusuke si sedette più vicino a lei e attese che parlasse ancora. Ann apprezzò che non le fissasse le cosce. «Questa…questa sono io, Yusuke. Tu mi vedi così. Giusto?»
«Giusto. Io disegno le cose come le vedo io, non come appaiono.»
«È bellissimo il modo in cui mi vedi.» Ann arrossì per quello che aveva appena detto, ma non distolse lo sguardo da lui che, più serio che mai, studiava i suoi occhi e le sfumature del suo viso – ma a lei non dispiacque affatto.
La ragazza tornò a guardare tristemente il dipinto. Decise di parlare, tanto la sera prima gli aveva detto che gliene avrebbe comunque parlato, no?
«Sai, a lavoro…una modella deve essere sempre curata, in forma, bella, perfetta…e sexy. È un lavoro che mi piace tantissimo, però spesso l’ambiente in cui si lavora è duro, soprattutto se sei una donna. Tutti pensano che io sia bellissima, ma mi trattano come una stupida o come se non sapessi far altro che sfilare e indossare abiti. In particolare molti uomini, si avvicinano a me soltanto per determinati fini. Sai bene quanto sono sensibile a queste cose…anche se sono cresciuta.»
«Sono cose che non si superano mai del tutto. Io stesso soffro ancora per quello che successe quando ci siamo conosciuti. Anche se devo dire che, quantomeno, quel dramma mi ha permesso di conoscere i migliori amici che potessi mai avere.»
Ann sorrise dolcemente a Yusuke. Un po’ più tranquilla, aggiunse: «Proprio ultimamente ho rotto con un ragazzo che stava con me soltanto perché gli piaceva il mio corpo. E non è stato l’unico. E poi, il direttore di una rivista mi ha offerto un lavoro remunerato da sogno, ma in cambio di andarci a letto. Ho rifiutato ovviamente, ma di recente me ne stanno capitando di tutti i colori e sono un po’ giù. Stavo pensando di cambiare di nuovo aria, infatti.»
«Tutto questo è deplorevole. In un altro momento, avremmo saputo che trattamento riservare a questa gente, vero?»
«Vero.» Ann sospirò, e Yusuke lo fece all’unisono con lei. Lo guardò di sottecchi. «Scusa se ti ho svegliato bruscamente.» Tuttavia, Yusuke era perso in chissà quali pensieri, tanto che sembrava non averla nemmeno udita. Lo vide fissare il quadro, e poi lei, come se fosse sul punto di aver scoperto chissà quale arcana verità. Alla fine, disse: «Questo quadro…hai ragione, è perfetto. Non ho mai realizzato niente di simile. Non voglio peccare di superbia, ma mi fa pensare alla Sayuri di mia madre.» Infisse gli occhi nei suoi: Ann vi trovò vita e vigore, a differenza della sera prima.
«Ann, ho ancora voglia di dipingere. Sento un fiume di energia che mi scorre dappertutto. Devo dipingere.»
«Uhm, ok…»
«Ti prego» continuò, portando il viso a un centimetro dal suo. «Resta con me finché non dovrai ripartire. Tu sei la mia musa. Io…aspettavo solo te. Ora l’ho capito.»
«Ma che stai dicendo?» esclamò lei, spingendolo via. Ma lui non demorse: «È la verità! Ricordi quando ci siamo incontrati? Restai tramortito quando ti vidi. E adesso mi è bastato rivederti per creare un capolavoro, quando ero nel bel mezzo di una crisi artistica! È un miracolo!»
Ann lo fissò stralunata.
«Ti scongiuro, non lasciarmi. Non adesso. Tu…sei la mia salvezza.» Yusuke si inginocchiò e si chinò in avanti, fino a portare la fronte sul pavimento.
«Ma sei impazzito?! Alzati!»
«Ann, senza di te sono rovinato. Rovinato.» Yusuke si sollevò e, gattoni, domandò: «Quanto resterai ancora? una settimana?»
«Due giorni…»
«Due giorni?! Oddio.» Yusuke portò entrambe le mani alla testa. Quella tragicità fece quasi ridere Ann, ma ebbe il buongusto di trattenersi.
«Va bene, senti, devo vedere Shiho e i miei genitori, ma il resto del tempo ti farò da modella, va bene?»
«No che non va bene! Ah, accidenti: visto che non c’è alternativa, non sprechiamo nemmeno un secondo.» Yusuke scattò in piedi, le afferrò il polso con un’inaspettata forza e la trascinò in cucina come un tornado, facendola sedere sul divano. Si precipitò nella foresta di tele, ne prelevò una e la sistemò sul cavalletto. «Uhm, Yusuke, potremmo almeno fare colazione?»
«Non c’è tempo. Non c’è un secondo da perdere.»
«Yusuke, calmati!» sbottò lei, scattando in piedi. Yusuke interruppe il suo febbrile armeggiare e fissò un punto nel vuoto. Ann pensò di averlo ferito e aprì la bocca per scusarsi, ma lui le fu immediatamente di fronte, gli occhi brucianti di passione e le mani attorno alle sue, gentili e delicate come i petali di un tulipano.
«Ann.»
«S-si?»
«Ho la soluzione ai problemi di entrambi. Rimani in Giappone, a Tokyo. Ormai sei abbastanza popolare, hai infarcito il tuo curriculum di esperienze interessanti, quindi qui troverai sicuramente tante opportunità. Potrai mandare al diavolo tutti coloro che hanno pensato di svenderti e oltraggiarti. Invece, io ti onorerò ogni giorno, ogni volta che potrò. Anzi, con le mie opere mostrerò al mondo intero quanto sei meravigliosa.»
Ann si sentì impacciata come una ragazzina, e non avveniva da anni. Di nuovo, le parve di essere ritornata al momento in cui si erano conosciuti. Solo che l’imbarazzo che avvertiva adesso aveva un sapore diverso.
«Yusuke, io…»
«Anzi, che dico: potrei farti vivere solo di questo. Realizzerò così tante opere come quella di stanotte che potrai non lavorare per tutta la vita.»
«M-ma che dici?! Vorresti mantenermi? Come un marito
Perché non riusciva a sciogliere le mani dalle sue? Perché non rideva di quelle proposte insensate?
Yusuke non perse terreno, anzi, ribatté subito: «Se proprio lo preferisci, posso pagarti. Però sì, io…io farei di tutto per tenerti con me, Ann.»
Disarmata. Ecco come si sentiva la ragazza in quel momento. Disarmata e completamente spiazzata. E…emozionata?
Chi mai le aveva detto parole del genere prima di quel momento?
È impazzito. È in preda all’euforia dell’arte.
Eppure, più pensava alle sue parole, meno gli sembravano i vaneggiamenti di un invasato. Insomma, gli aveva detto lei stessa di voler cambiare aria, no? E la sua ispirazione sembrava rinata grazie alla sua sola presenza…
…e poi, Yusuke l’aveva sempre fatta sentire speciale, in un modo tutto suo…
«Che mi dici, Ann? Saremmo una squadra perfetta. Come quando creammo quella tecnica per il Metaverso…»
Le guance le si accaldarono.
Che risveglio inaspettato. E che proposta, poi, così all’improvviso!
Credi in te stessa.
Ren le avrebbe detto così. Yusuke lo stava facendo. Lei?
Ann sorrise e ritirò le mani da quelle di Yusuke. «Facciamo così: per adesso, ordino la colazione e mi siedo lì, così finché ci servono, tu puoi già cominciare…»
«Perfetto! Ottimo! Magnifico!» esclamò Yusuke. Sembrava essere sul punto di abbracciarla, e Ann scoprì che non le sarebbe dispiaciuto. Il suo sorriso si allargò mentre lo vide fiondarsi sulla nuova tela e agguantare pennello e tavolozza. Sedette sul divano e lasciò che la inquadrasse con le mani. Accavallò le gambe, incapace di smettere di sorridere. Era felicità quella che sentiva?
Ma sì, era felice per lui. Era completamente diverso dal giovane angosciato che aveva lasciato la sera prima. Quella passione gli donava.
«Meravigliosa. Perfetta. Resta così.» Yusuke spostava freneticamente gli occhi da lei alla tela, il pennello che guizzava allegramente dappertutto. Si schizzò una goccia di giallo sulla guancia, ma non se ne accorse. E Ann si sentì ancor più felice, perché lo era anche per sé stessa.
«Non ho ancora ordinato la colazione…»
«Aspetta, qualche minuto, ti prego.» Lo stomaco le brontolò, e probabilmente avrebbe fatto tardi con Shiho, eppure il sorriso non lasciò le sue labbra. Con un gesto del capo, gettò indietro la sua massa color grano.
«Yusuke? Come…che titolo ha il quadro che hai fatto stanotte?»
L’interpellato si interruppe bruscamente. La sua mente vagò lontano – la ragazza glielo lesse negli occhi, e sorrise ancora – per alcuni minuti, finché non riportò lo sguardo su di lei e decretò: «Ninfa dormiente.»
Ann piegò la testa di lato, poi avvertì del calore nel petto. «Mi piace» disse. Contemplò la piccola macchia di pittura gialla sulla sua guancia, ma decise che fosse meglio non disturbarlo: gli avrebbe ripulito il viso quando lo avrebbe convinto a fare colazione.
 
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Le brontolò lo stomaco. Imbarazzata, inviò un’occhiata al tassista, ma per fortuna lui sembrava non averla udita, tutto preso ad armeggiare con la radio, che improvvisamente aveva deciso di piantarlo in asso.
«Mi dispiace, Ann-san! Niente condizionatore, niente radio…» si scusò il poveretto, rammaricato. Un coro di clacson risuonò tutt’intorno, anche se non sarebbe servito a far smuovere quel traffico serrato.
«Ma no, la musica ce l’abbiamo!» scherzò Ann, riferendosi ai clacson. Fu lieta di riuscire a rassicurarlo.
Avevano incontrato un vigile poco prima e avevano quindi appreso che si era verificato un brutto incidente; per questo, finché non fossero giunti i soccorsi, difficilmente si sarebbe usciti da quell’affastellamento opprimente e rumoroso in cui si erano infilati. Peccato, la giornata era stata fantastica: rivedere Shiho era stato un vero toccasana per lei, come con i Ladri Fantasma. Aveva trovato l’amica perfettamente serena e molto ottimista sul suo futuro, come se non le fosse accaduto nulla di traumatico solo qualche anno prima.
Dopo un lacrimoso abbraccio, Shiho le aveva raccontato di essere iscritta alla facoltà di scienze motorie a Tokyo; inoltre, giocava come titolare nella squadra di pallavolo dell’università. Aveva perfino un ragazzo, che un giorno avrebbe conosciuto anche lei. Ann era stata entusiasta di vederla così solare e piena di energie. Le era quasi dispiaciuto raccontarle i suoi crucci ma, nonostante fosse passato del tempo, non era stata in grado di tenere nascosto nulla alla sua migliore amica. E così si era sfogata, anche più di come aveva fatto con Yusuke quella mattina. Tuttavia, non si era solo lagnata: l’aveva messa a parte di tutti i suoi successi e anche delle idee che aveva in mente per il suo futuro, anche se erano ancora vaghe.
Shiho le aveva confessato che lei e sua madre seguivano Ann attraverso le riviste da quando si era trasferita: vedere come Ann avanzava nella sua carriera, come diventava sempre più bella, popolare e professionale, aveva incoraggiato Shiho, infondendole determinazione ed entusiasmo per essere alla sua altezza.
«Sapevo che prima o poi ci saremmo riviste. Per questo ho deciso che dovevo renderti fiera di me, e farti sapere che sono andata avanti» le aveva detto ad un certo punto, mentre se ne stavano sedute al tavolino di una delle nuove pasticcerie che Ann aveva puntato quando era tornata. Quelle parole avevano rincuorato e commosso la ragazza; la inorgoglirono anche, e per questo si ripromise di lavorare ancora più sodo, anche per lei.
Ann sorrise tra sé e sé, gli occhi rivolti al cielo rosato del crepuscolo senza vederlo per davvero. Quando le brontolò di nuovo lo stomaco, controllò che ore fossero: le otto passate. Accidenti, quando sarebbe uscita da quel traffico? E quando sarebbe riuscita a procurarsi qualcosa da mangiare?
Si voltò dall’altro lato, sospirando scocciata. Fu così che vide il ristorante in cui era stata la sera prima con i suoi amici Ladri. Era vicino a…
Sarebbe una buona idea?
Indugiò, indecisa. Forse avrebbe dovuto telefonare, prima?
«Senta, scendo qui» disse, prima di pentirsene. Lo stomaco smise di brontolare per iniziare a tremolare.
«Cosa? Oh, prego...»
Ann tirò fuori il portafoglio, miracolosamente in vista nella sua borsa, e pagò il tassista. Lo vide sgranare gli occhi e protestare: «Ma Ann-san! Mi sta pagando il doppio!»
«Avevo chiesto di andare in albergo, ma adesso ho cambiato idea. Non mi è sembrato giusto. Li tenga pure, non si preoccupi! Buon proseguimento!»
«Lei…lei è un angelo! Buon proseguimento!»
Ann aprì la portella il massimo possibile – aveva una macchina quasi addosso – e si insinuò nella stretta apertura, chiudendo poi la portella e scivolando tra le file di auto lì bloccate. Erano così vicine le une alle altre che si sporcò il sedere nel passare accanto ad una di esse.
Fu un sollievo raggiungere il marciapiede. Si spazzolò la minigonna nera con una mano e rimase a fissare l’insegna a led del ristorante. Una nube di profumi la raggiunse fin lì, come per convincerla a non desistere. Quindi, la ragazza si smosse i capelli e sfilò all’interno del ristorante.
 
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Localizzò il piccolo e trasandato stabile, trovandolo peggio di quanto ricordasse. Più si avvicinava, più le macchie bianche di intonaco mancante si facevano larghe. Possibile che non se ne fosse accorta la sera prima? E quei balconi tutti arrugginiti?
Incredibile quanti particolari possano sfuggire al buio e per via del sonno.
La ragazza si premurò di non passare sotto ai balconi, temendo che le crollasse qualche pezzo in testa, mentre i suoi tacchi ticchettavano sull’asfalto verso il citofono. Tra i tasti consumati e opachi, trovò il nome che cercava e citofonò. Deglutì, mentre attendeva risposta. Il sacchetto con il cibo d’asporto che aveva acquistato poco prima le parve pesare quintali.
Quando citofonò la seconda volta, si maledisse per aver preso quella decisione improvvisa.
Avrei dovuto telefonargli.
Perché non apriva? Forse non era in casa? Oppure con lui c’era…?
Mi sono fatta abbindolare da quel suo monologo disperato di stamattina. Che scema. Sicuramente lo fa a tutte le modelle che…
«Sì?»
Il cuore di Ann ebbe un fastidioso sobbalzo quando udì la sua voce profonda che finalmente le rispondeva.
«Ciao, Yusuke! Sono Ann! Mi apri?»
«Ann?! Ma certo!»
Il cuore smise di tormentarle il petto quando lei percepì una fervente gioia nella voce del giovane artista; tuttavia, passò il testimone allo stomaco, che cominciò a farle su e giù come se lei stesse saltando, cosa che non stava minimamente facendo.
Salì le due rampe di strette e polverose scale, tastando la sudicia parete con la mano per non inciampare in quella cupa penombra. Era accaldata: maledisse con tutto il cuore la calura dell’estate di Tokyo mentre una goccia di sudore le percorreva la schiena, affogando nella minigonna.
Quando giunse a destinazione, trovò la porta già aperta e Yusuke sull’uscio. Ann rimase di stucco: era più pallido del solito, aveva gli occhi socchiusi e si stava sorreggendo alla porta. E non si era ancora cambiato dalla sera precedente.
«Ciao, Ann» la salutò, la voce strascicata. Sembrava sul punto di svenire.
«Yusuke! Che ti sta succedendo?!» Ann lo raggiunse in fretta, gli prese una mano e si passò il braccio dietro le spalle per sorreggerlo, mentre lui spiegava: «Un calo di zuccheri, forse. Non mangio da stamattina. In effetti, non bevo nemmeno…»
«Ma sei impazzito?! Ah, ringrazia che sono troppo buona per prenderti a schiaffi!»
«Però ne è valsa la pena.»
«Sì, sì. Ho portato la cena. Meno male che ci ho pensato, altrimenti saresti finito all’ospedale» lo redarguì lei, mentre rientravano in casa.
«Mi sembrava di aver colto un buon odore, infatti.» Ann andò a depositarlo sul divanetto, senza soffermarsi sul caos generale che, a occhio e croce, sembrava aumentato: bastava dire che quasi tutto lo spazio era impegnato da tele posate ovunque e contenitori di vernice che sembravano sbucare come funghi. Si avvicinò al piccolo frigorifero e ringraziò il Cielo di trovarci dell’acqua. Idem quando trovò dello zucchero in uno stipetto dall’anta dondolante, e un bicchiere pulito e integro.
«Grazie» mormorò Yusuke, mentre accettava un bicchiere di acqua e zucchero. Lo trangugiò tutto senza fiatare. Ann lo lasciò fare, anche se avrebbe voluto prenderlo a schiaffi o redarguirlo ancora – o uno e l’altro, perché no?
«Non appena ti senti un po’ meglio, ceniamo» decise, bonaria, e lui assentì. Yusuke terminò la miscela e si adagiò contro lo schienale del divano, gli occhi chiusi. Lei mise via il bicchiere e, nel farlo, finì per gettare un occhio all’oceano di tele che occupava quasi tutta la stanza. Il cuore le tremò.
La ragazza si avventurò tra le tele, le mani sul petto. Yusuke non aveva fatto altro che dipingere da quando lei era andata via quella mattina, era evidente. Diverse tele erano incomplete, anzi, solo agli albori, ma due erano terminate, ed erano meravigliose. Ann si accostò alla prima, poggiata ad un contenitore vuoto di vernice. Si inginocchiò per osservarne meglio il dipinto.
Una donna, abbigliata con un abito cremisi dalla profonda scollatura e dalla gonna ampia a fitte balze, porgeva la mano guantata ad una ragazza più giovane, in ginocchio, abbigliata con scialbi stracci color terra, che era sul punto di accettarla. Il viso della donna più grande era celato da una maschera nera che le sagomava la parte superiore del capo fin dietro alla nuca, da cui sbucavano due lunghe e folte code corvine. Dalla gonna a balze si intravedeva una gamba affusolata, che calzava una scarpa dal tacco vertiginoso dello stesso colore dell’abito. Sorrideva incoraggiate e seducente alla ragazza più giovane che, invece, appariva pencolante. Anche lei aveva i capelli acconciati in due codini, ma erano castano chiaro, gli occhi verdi. Le due figure, si fronteggiavano in quella che sembrava una grigia e buia prigione.
Il cuore di Ann si contrasse. Carmen. E l’altra era lei, anche se alcune fattezze erano state rese diverse, forse di proposito.
Credi in te stessa.
Santo Cielo, Yusuke. Perché diamine faticava a respirare?
Sorrise, d’un tratto calma. Sì, Yusuke aveva ragione…
Si spostò verso la seconda tela, sulla sommità di una pila di tele ancora intonse. Questa era sviluppata in orizzontale: le pennellate erano rapide e sottili, l’intero disegno conteneva solo l’essenziale, ossia una donna che indossava un kimono, elegantemente seduta tra le fronde di un salice piangente, e una volpe stilizzata, circondata da tre fuochi fatui, che si lasciava coccolare da lei. Sullo sfondo, una cresta montuosa appena accennata, come se la si vedesse attraverso un velo di nebbia. I colori erano tenui e comprendevano tutte le tonalità di marrone, dal color sabbia al color terra. Soltanto i fuochi fatui erano di un azzurro vivo, e il kimono della donna, color vino. Anche se il volto della donna era appena accennato, Ann non aveva dubbi su chi rappresentasse. La visione della figura che carezzava la volpe le scaldò il cuore.
Strinse le labbra, gli occhi lucidi.
«Ti presento Risveglio e Sotto il salice. Che ne pensi?» La voce di Yusuke le giunse troppo vicina. Non lo aveva sentito raggiungerla, ma non si spaventò.
«Ho disegnato come un matto tutto il giorno. E anche adesso, se non mi sentissi così sfibrato…» Yusuke si interruppe. Ann vide la sua ombra, alla luce della penosa lampadina sul soffitto, che portava una mano al viso, il solito fare teatrale. Sorrise.
«Da sempre mi lascio travolgere dall’arte, è vero, ma questa volta devo continuare finché non si esaurirà la vena che hai risvegliato. La prosciugherò. Finché non andrai via. Devo tirare i miei allievi fuori da questa…»
«Finché non andrò via?»
«Dopo domani sarai già di ritorno verso gli Stati Uniti. Per la verità, non pensavo nemmeno che ti avrei rivista prima della tua partenza. Ho capito che non vuoi rimanere, e non posso biasimarti. Non ti tratterrò. Ma tu sei linfa per me, Ann. Finché avrò questa linfa…»
Ann non lasciò che terminasse. Scattò in piedi e permise alle sue mani di circondare il viso di Yusuke, al suo viso di schizzare verso il suo e alle sue labbra di premere sulle sue più e più volte – troppe volte.
Il suo stomaco fece un vertiginoso salto, che le provocò un lieve capogiro, e le guance le bruciarono. Quando si accorse di ciò che stava facendo, Ann fece un brusco passo indietro, come se avesse preso la scossa. Yusuke rimase tramortito quanto lei, il che era evidente dalla sua immobilità, dai suoi occhi spalancati, dalle sue labbra schiuse. Ann gli rivolse ancora una sola breve occhiata prima di distogliere lo sguardo: così notò che la macchia gialla di quel mattino era ancora sulla sua guancia, e sul mento ce n’era un’altra azzurra, mentre aveva del rosso sulla sua costosa camicia – ma che aveva combinato?
«Scusami, io…» Avrebbe voluto dirgli qualcosa in più per spiegare quella sua insensata iniziativa, ma non le venne nulla in mente. Cosa poteva dirgli? Che era una stupida?
Ann incrociò le braccia al seno mentre bruciava di vergogna e la sua lingua incespicava dietro le labbra, alla ricerca di qualcosa da dire. Doveva dire qualcosa. Era assolutamente certa di aver frainteso: Yusuke era ossessionato dall’arte, fin da quando lo aveva conosciuto, ed era solo per quello che era sempre stato interessato a lei, solo quello il motivo che l’aveva spinto a lusingarla tanto quella mattina, a dipingerla quella notte e tutto il santo giorno. Era ovvio: lui stesso, quando le aveva chiesto di posare per lui la prima volta, le aveva spiegato in seguito che il suo interesse era puramente artistico. Ci era rimasta male allora, ma era andata facilmente avanti. Fino a quel momento.
Sei un genio.
Le venne voglia di scappare, ma non intendeva sparire gettando al vento la sua dignità. Aprì la bocca per scusarsi come l’adulta che era e far finta di nulla, ma lui invece allungò una mano verso il suo viso. Ann arrossì, incredula, e diede un’occhiata alle sue dita, al pari di lui. Fu così che entrambi colsero delle macchie nere e rosse di pittura sui polpastrelli dell’indice e del medio.
«Non voglio…sporcarti in alcun modo, Ann» mormorò lui. Quegli occhi scuri e penetranti le fecero saltare il cuore ancora una volta.
Ann non era certa di aver compreso tutto ciò che aveva voluto dire, ma agì di nuovo d’istinto: prima che lui muovesse un solo passo, indietreggiò e intinse entrambe le mani nel barattolo di vernice più vicino – era giallo canarino –, quindi si tamponò gli abiti, il petto e il viso con i polpastrelli.
«Sono ancora troppo pulita?»
Gli occhi di Yusuke divennero stolidi. Poi, sul suo viso albeggiò un sorriso tenero. «Sei…così sei assolutamente perfetta.»
«Basta che non ti metti a disegnare proprio adesso!»
Yusuke rilasciò una delle sue risatine cupe.
«Anche perché…avrai moltissime altre occasioni per farlo.»
«Che vuoi dire?»
«Che sarò una modella versatile. Sarò anche la tua modella.»
Ann non poté fare a meno di arrossire mentre pronunciava quelle parole. Non aveva più dubbi: era da quella mattina che ci pensava, anche se aveva provato a non farlo. Se era una pazzia, se stava decidendo troppo in fretta qualcosa di così importante, non lo sapeva; di certo, però, il suo cuore aveva deciso per lei, e Ann aveva imparato da tempo a non ignorarlo.
Yusuke spalancò le palpebre: sembrava uno che era stato appena folgorato da una visione mistica. Alla fine, il suo stupore si tramutò in commozione: il ragazzo torreggiò su di lei, lo sguardo adorante. Portò una mano sul suo viso, dapprima sfiorandola, come se fosse fatta di sottilissimo vetro…e, infine, ricongiunse le loro labbra lentamente.
Ann sorrise sotto il tocco delle sue labbra; il cuore continuava a sobbalzare, ma lo ignorò, e non pensò più a niente di ciò che l’aveva incupita in quel periodo, perfino allo sciocco timore di poco prima. E dimenticò anche la cena, mentre imbrattava Yusuke di giallo.

 
  
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