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Autore: Koa__    24/04/2021    3 recensioni
Dopo che gli angeli hanno cancellato la memoria di Clary, Jace si ritrova a camminare per un sentiero oscuro fatto di dolore. Questo, oltre alla rabbia che prova per il compatimento che legge sul volto degli altri, lo portano a gettarsi a capofitto nel lavoro. Alec, a un mese e mezzo dal matrimonio, vive invece una vita felice accanto a suo marito. Nonostante percepisca la sofferenza di Jace e si sia convinto di stargli vicino, dentro di sé sa di non star facendo abbastanza per il suo Parabatai. Una sera, prima di addormentarsi, entrambi esprimono un desiderio all’angelo. Jace vorrebbe avere una vita perfetta come quella di Alec mentre quest’ultimo vorrebbe stare più vicino a suo fratello e si sente in colpa per esser stato così lontano nelle ultime settimane. Il mattino successivo, Jace e Alec si risvegliano l’uno nel corpo dell’altro senza sapere come ci siano finiti. Inizia così un’indagine segreta alla ricerca di chi può aver mai fatto loro un simile tiro mancino, che li porterà a scavare dentro loro stessi.
Genere: Angst, Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Jace Wayland, Magnus Bane, Simon Lewis
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Guardare la vita da una diversa prospettiva 





 

Alec era arrabbiato, con Jace per la precisione. Non che volesse direttamente incolparlo di qualcosa, anche perché sapeva che non ne aveva il potere e poi, a dirla tutta, non possedeva neppure delle valide motivazioni per voler assumere il suo aspetto. Dentro di sé ne era certo eppure, intanto che raggiungeva a grandi passi l’uscita dell’istituto, non fece che ripetersi che il suo Parabatai doveva avere per forza a che fare con quella faccenda. Non era niente che non potessero risolvere relativamente in fretta, ma senz’altro era necessario capire perché si fossero scambiati di corpo e per farlo doveva tornare immediatamente a casa. Era sicuro che Magnus si fosse messo all’opera per preparare la pozione necessaria e che lo stesse aspettando con un Martini già versato. A suo dire, infatti, c’erano giorni in cui non era mai troppo presto per iniziare a bere e rendersi conto che il proprio marito era finito in un altro corpo, era una di quelle situazioni che turbavano Magnus Bane molto più di quanto questi non volesse ammettere. Fu anche col pensiero di suo marito nella mente, che Alec si ritrovò ad accelerare il passo. Peccato, però, che la sua trionfale marcia venne interrotta proprio quando aveva già messo piede all’ingresso.

«Herondale! Dove stai andando?» In un primo momento dovette ammettere di non aver capito che quella voce si stesse rivolgendo direttamente a lui, infatti tirò dritto come se la cosa non lo riguardasse. Soltanto quando questi si fece più insistente si rese conto che era lui, che stavano chiamando . Che idiota, pensò mordendosi il labbro superiore, doveva tenere a mente che per tutti gli altri non era più Alec Lightwood.
«Jace, dove vai?» Merda, questa non ci voleva, era Underhill! Quello aveva occhi dappertutto ed era attento a ogni dettaglio, non per niente lo aveva scelto come capo della sicurezza. Magari poteva essersi accorto del fatto che ci fosse Alec nel corpo di Jace? Possibile che lo avesse già intuito? Nah, per quanto lo temesse era assai improbabile. Ricordava che quando Magnus era finito dentro al corpo di Valentine, lui stesso aveva esitato persino dopo aver istintivamente riconosciuto l’anima dell’uomo che amava. Era proprio impossibile che Underhill avesse compreso ogni cosa da un rapido sguardo, il che era un bene perché era meglio che nessuno all’Istituto sapesse quello che era successo. Se la notizia fosse arrivata al Clave avrebbero anche potuto destituirlo dall’incarico di direttore. Era vero che molte cose erano cambiate da quando Jonathan era morto, ad esempio non avevano fatto molti problemi per il fatto che un Lightwood avesse sposato un Nascosto, ma non erano diventati ancora così malleabili da accettare una cosa del genere. Quindi era sicuramente meglio che Underhill non ne sapesse nulla, pensò intanto che tentava di assumere una posa il più possibile neutrale. In un attimo si ritrovò tuttavia a non avere la minima idea di come comportarsi, al contrario cercava maldestramente di ricordare come era solito atteggiarsi Jace. Andiamo, pensò, non dev’essere così difficile! Erano fratelli, erano Parabatai. Viveva a stretto contatto con lui da tutta la vita, avrebbe dovuto conoscerlo almeno un pochino o quantomeno evitare di sembrare così dannatamente fuori posto.
«A cas… Cioè, voglio dire che sto andando da Alec, devo parlargli di una cosa.»
«Non so quanto ti convenga andarci ora, l’ho appena chiamato e non mi ha risposto. Credo che quei due stiano facendo qualcosa di ben più interessante che discutere di demoni. Se capisci cosa intendo» ammiccò Andrew, malizioso, facendogli inevitabilmente scendere un brivido ghiacciato lungo la schiena. Per l’angelo, a questo neanche aveva pensato! Jace si era di sicuro svegliato a letto con Magnus e chissà che era successo da quel momento in avanti. La mattina, soprattutto da dopo la luna di miele, suo marito era molto… come dire, espansivo e cercava sempre di trattenerlo a letto per fare sesso. Cosa poteva essere successo con Jace nel suo corpo? Magnus si era accorto subito dello scambio? E se avesse deciso di comportarsi come all’alba di un paio di giorni prima, quando lo aveva svegliato mentre gli praticava del sesso orale? No, non voleva nemmeno pensarci, la prospettiva era davvero troppo strana per rifletterci ora. Preferì invece fingere di ridere alla battuta di Underhill come se trovasse la cosa davvero divertente. Fu sicuro di non esser risultato pienamente convincente, quello che era uscito dalle sue labbra sembrava più che altro un ghigno sofferto.
«Eh, sì» rispose, grattandosi la nuca imbarazzato. «La vita degli sposini, immagino. Ma io devo comunque parlare con Alec, quindi ci andrò subito. Avevi bisogno di qualcosa da lui? Voglio dire, sto andando là e posso riferirgli un messaggio.»
«Sì, grazie. In realtà volevo chiedere aiuto a te, ma visto che te ne stai andando domanderò a Isabelle. Digli che c’è un vampiro fuori controllo, forse due. Un mondano è stato dissanguato a Central Park.»
«Chiama Izzy, è la nostra migliore patologa, magari l’autopsia ci potrà dire qualcosa di più e cont...»
«Mi stai dando davvero degli ordini, Herondale?» domandò Underhill, perplesso, accennando al contempo un’espressione basita.
«Bah, io» balbettò, terribilmente imbarazzato. Dannazione! Non era più Alec Lightwood, doveva cercare di tenerlo a mente perché Jace non dava di certo ordini su come svolgere le missioni. Per l’angelo, era più difficile di quanto pensasse! «Sono sicuro che è quello che ti direbbe di fare il capo se fosse qui. Io lo conosco bene, è il mio Parabatai.»
«Può darsi, ma tu avvertilo e basta. Il cadavere è all’obitorio della polizia mondana, vado a dare un’occhiata.»

«Perfetto! Allora glielo dico» annuì, con l’intenzione di sfrecciare subito fuori da lì. Stava già per aprire il portone, quando una mano sulla spalla lo trattenne. Voltandosi, notò che le espressioni sul viso di Underhill erano cambiate, adesso era come se provasse un’infinita pena per lui. Perché si comportava in quel modo? Si domandò, rendendosi conto che da quando aveva lasciato la stanza di Jace, quella era stata l’espressione di tutte le persone che aveva incrociato nei corridoi. Erano chiaramente dispiaciuti per la faccenda di Clary e sino ad allora si era detto felice che in così tanti si preoccupassero per suo fratello, ma guardare il mondo dagli occhi del suo Parabatai gli faceva sembrare tutto decisamente più irritante. Anche in quel momento infatti, il nervosismo gli attorcigliò lo stomaco.
«Mi dispiace se sono stato troppo duro con te, so che periodo brutto stai passando da quando gli angeli hanno cancellato la memoria di Clary.»
«Non fa niente, grazie Andrew» annuì Alec con convinzione, ricambiando la pacca sulla spalla e picchiettandogli il braccio delicatamente, come in un gesto di comprensione. Probabilmente stava esagerando o, più che altro, questa assurda situazione lo stava rendendo così sensibile che persino le gentilezze lo innervosivano. Underhill in fin dei conti era carino a preoccuparsi in questo modo per Jace, ma in effetti lui era un uomo molto premuroso e attento. In passato, ogni volta che aveva avuto un problema con Magnus, si era sempre comportato come un amico sincero.
«E sappi che se avrai bisogno di qualunque cosa io e Lorenzo ci saremo sempre per te.»
«Tu e chi?» domandò Alec allibito, sgranando lo sguardo sul volto non sbarbato di Jace che si allargò per lo stupore e la confusione. Aveva capito bene? Underhill aveva usato il “noi” parlando di lui e Lorenzo? Ma soprattutto, intendeva davvero quel Lorenzo? Lo stesso che ben conosceva e che aveva trovato odioso sin dal primo incontro? Esisteva davvero un “noi” che riguardasse anche Andrew Underhill? Per l’angelo, erano davvero troppe informazioni per una singola mattinata, pensò, massaggiandosi nuovamente la nuca.
«Lorenzo Rey, naturalmente, il sommo stregone di Brooklyn. Usciamo insieme, in effetti è grazie ad Alec e Magnus se mi sono deciso a chiederglielo, è un uomo così affascinante e poi ha avuto una vita tanto avventurosa...» Probabilmente se Alec non lo avesse interrotto, Underhill avrebbe continuato a elencare le qualità del “Sommo stregone di Brooklyn” e non era del tutto sicuro di volersi sorbire un elogio al grande Lorenzo. Per quanto sia lui che Magnus gli dovessero la vita e gliene fossero immensamente riconoscenti, “Affascinante” non era la parola che Alec avrebbe usato per descrivere quel borioso pieno di sé. E tralasciò persino l’idea che fosse un tantino prematuro parlare al plurale, frequentandosi da qualche settimana appena. In effetti riguardo a questo non aveva proprio nulla da dire, dato che aveva proposto a Magnus di vivere insieme dopo appena qualche mese da quel famoso primo bacio.
«Sono davvero contento per voi» annuì, fingendo una cordialità che non sentiva di possedere in quel momento. O meglio, era felice che uscissero insieme. In fondo era anche per esortare più Shadowhunters a esporsi e a vivere liberamente, che si erano sposati in istituto, ma insomma non era la giornata giusta simili rivelazioni.
«Lorenzo è… Come dire… è forte!» concluse, terribilmente in imbarazzo. Non era mai stato bravo in queste cose, con Magnus se la cavava perché suo marito era intuitivo e comprensivo. Di certo Jace era molto più abile di lui a complimentarsi con le persone o a fingere che gliene importasse qualcosa.
«Ma ora scusa, devo proprio andare. Ci vediamo più tardi, Underhill.» Neanche aspettò la sua risposta, semplicemente vorticò su se stesso e uscì dall’istituto.

 

Il messaggio di fuoco lo raggiunse pochi minuti più tardi. Magnus riferiva semplicemente che si era svegliato accanto a un Jace agitato e sorpreso, nonché che avrebbe fatto meglio a sbrigarsi per venire a casa. Non aveva aggiunto altro, ma non era necessario che lo facesse. Sapeva sino a che punto suo marito dovesse essere turbato, visto che era molto più sensibile di quanto non volesse ammettere. E poi poteva chiaramente sentire anche la preoccupazione di Jace, annidarsi in un groviglio dentro lo stomaco. Un Jace che non era rimasto fermo un singolo istante da quando si era vestito. Non aveva bevuto il caffè che Magnus aveva magicamente fatto apparire, assieme a qualche croissant fresco e neanche si erano più rivolti la parola. Al contrario, un po’ per l’imbarazzo e un po’ per la ridicola situazione dentro la quale si erano cacciati, ogni volta che aveva tentato di rompere il ghiaccio, un qualcosa lo aveva trattenuto. E quindi, tra sguardi abbassati e parole non dette, Jace Herondale aveva iniziato a camminare avanti e indietro per il soggiorno, senza preoccuparsi del fatto che la propria agitazione potesse ulteriormente innervosire Magnus.
«Potresti per favore stare fermo?» gli domandò un esasperato stregone, intanto che si massaggiava le tempie in un tentativo di scacciare quel mal di testa che non accennava a volersene andare. Era stato un risveglio piuttosto traumatico, proprio perché totalmente inaspettato. Da quando si era alzato non aveva fatto altro che chiedersi come potesse essere accaduta una cosa del genere. Dubitava che un demone superiore si fosse scomodato a uscirsene dalla propria dimensione demoniaca per scambiare le anime di due Shadowhunters come tanti. Quando era successo a lui, era stato per colpa di Azazel che aveva desiderato ottenere per sé la Coppa Mortale, ma nessuno, tra gli oggetti posseduti da Valentine, era più all’Istituto di New York. Aveva anche ipotizzato che si trattasse della magia di un qualche stregone, ma di nuovo Magnus non era riuscito a trovare alcuna motivazione valida. Per quale ragione un qualsiasi stregone avrebbe dovuto compiere un tale incantesimo? Addirittura aveva ipotizzato che Jace potesse c’entrare qualcosa, ma a giudicare dallo stupore che gli si era dipinto in volto non appena si era svegliato, dubitava fortemente che avesse architettato tutto quello. Nah, più ci pensava e più il mal di testa cresceva assieme alla preoccupazione per suo marito. Alexander stava bene? Si era già svegliato e aveva ricevuto il messaggio di fuoco che gli aveva mandato?


«Scusa!» borbottò un Jace che era chiaramente dispiaciuto. «Ma sento il nervosismo di Alec, oltre che la sua rabbia e non riesco nemmeno più a capire se siano i suoi sentimenti oppure i miei, il che mi irrita ancora di più e poi...» balbettò, senza neanche finire quanto stava dicendo. Si lasciò invece cadere su una delle poltrone di quell’ampio salone con una mano affondata nei capelli, che ravvivò come in un tentativo di mettere in ordine pensieri che gli si agitavano dentro la testa. Gli sembrava di esser tornato un ragazzo, all’epoca in cui il suo legame con Alec era appena nato e non era in grado di distinguere le proprie emozioni da quelle del suo Parabatai. Abilità che aveva acquisito col tempo, come ogni Shadowhunter, ma che ora sembrava essere del tutto sparita. Era sua, l’agitazione che percepiva? O invece era quella di Alec che gli si muoveva dentro lo stomaco? Davvero non lo sapeva e più tentava di mettere ordine dentro se stesso, meno riusciva in qualcosa di concreto. Probabilmente era questo strano scambio di anime ad aver teso il loro legame, neanche era più del tutto certo di sapere dove iniziasse se stesso e dove invece cominciasse Alec. E questo sì, che era un enorme problema.

«Spero solo che quello che è successo prima a letto non ti abbia imbarazzato» biascicò Magnus, ancora stretto nella sua vestaglia di seta. Era perso a guardare una tazza da caffè ormai vuota e nel mentre si domandava se avesse davvero bisogno di una seconda o se, invece, non fosse meglio andare su qualcosa di più forte. A giudicare dal modo in cui Jace rifuggiva il suo sguardo, evitando prontamente di parlare con lui in maniera sincera, forse un caffè era davvero poca cosa. A dirla tutta neppure uno stregone pluricentenario come lo era lui, era in grado di affrontare la situazione col giusto distacco . Era piuttosto strano, in effetti, avere la certezza che dietro quegli occhi da cerbiatto non ci fosse il suo amato Alexander, ma una persona completamente diversa. Era strano, sì, eppure così chiaro al tempo stesso che ogni volta che posava lo sguardo sul suo viso, un brivido gli scuoteva il petto. Era incredibile come un medesimo volto potesse apparire tanto diverso, se abitato da un’anima differente. E Jace, per quanto avesse dentro di sé parte dello spirito di suo marito, riusciva a essere drasticamente differente da Alec. Adesso sì, che Magnus riusciva a notare ogni più piccola differenza. A iniziare da quell’espressione imbronciata e le sopracciglia corrucciate, sino agli occhi induriti, sfuggenti e non più dolcemente sinceri come quelli dell’uomo di cui Magnus si era innamorato. L’anima che intravedeva su quel volto giovane non era la stessa di un qualcuno di autoritario e dolce all’occorrenza come lo era il suo Alexander, ma apparteneva invece a un uomo ferocemente appassionato come chi è solito seguire il proprio istinto e molto poco la ragione. Quanto erano diversi, pur condividendo pezzi delle loro anime... Magnus riusciva a stupirsene ogni volta che ci ragionava sopra.


«E perché dovrei essere imbarazzato?» gli chiese Jace in rimando, sollevando di scatto il volto «voglio dire, pensavi che fossi Alec ed è perfettamente normale voler fare certe cose con chi si ama. Credimi, lo so bene» aggiunse, chinando nuovamente gli occhi verso terra. Magnus non poté fare a meno di notare come le sue espressioni si fossero indurite in un qualcosa di vagamente nostalgico. Non aveva bisogno che glielo dicesse, per sapere che stava soffrendo per la partenza di Clary e che non riusciva a darsi la pace di cui il suo animo aveva bisogno. Non si era mai davvero soffermato a pensare a quanto Jace stesse soffrendo, lo aveva semplicemente dato per scontato. Ma in quei frangenti, guardandolo esattamente così com’era, abbattuto e triste, baciato da un raggio di luce che gli illuminava il viso, lo stregone si rese conto di quale groviglio di emozioni lo turbasse. Una tristezza infinita che apparve per un istante, ma che subito venne nascosta da una maschera di lieve divertimento. Quindi, Jace Herondale sorrise come se trovasse tutto quello molto divertente: «Però ti confesso che è stato traumatico sentirmi chiedere se volevo...» biascicò agitando le mani in un gesto significativo.
«Fare del sesso con me?» ribatté lo stregone con una divertita alzata di sopracciglia. Sì, gli ci voleva certamente un Martini. Anche se non erano ancora le nove del mattino e lo stomaco era in subbuglio, ma non importava davvero perché c’erano giornate in cui non si iniziava mai troppo presto a bere.
«Esatto!» esclamò, faticando a trattenere una risata sonora. Era tutto così ridicolo! «Non avevo certo bisogno di sentirmelo chiedere in questo modo, per sapere che mio fratello ha una vita sessuale molto attiva e ti assicuro che non sono sconvolto. Piuttosto, mi dispiace per te, quello che è successo ha rovinato i tuoi piani.»
«Bah» gli rispose Magnus, sventolando una mano a mezz’aria in un gesto che lasciava intendere quanto non fosse un reale problema. «Non dispiacerti, biondino, quando ho sposato Alexander sapevo di star prendendo anche tutto il pacchetto» aggiunse, riferendosi a lui. «Quindi dimmi qual è il tuo vero problema, così risolviamo tutto e io potrò riavere mio marito.»


Jace abbassò lo sguardo, ma questa volta non era per l’imbarazzo e non pensava che fosse tutto troppo strano per poter anche semplicemente guardare suo cognato negli occhi. Anzi, sorrise persino perché la maniera che Magnus aveva di dire le cose riusciva sempre a divertirlo in un modo o nell’altro. Non lo conosceva intimamente quanto Alec, ma sapeva che, quando lo voleva, Magnus Bane sapeva essere schiettamente ironico al punto da costringerti a parlare. E in quel momento, un qualcosa di spietato lampeggiava nel suo sguardo. Avrebbe dovuto esserne intimorito, eppure Jace non poté non notare l’immensa dolcezza che ora dimorava sul suo volto e che lo spinse ad aprirsi.
«Riguarda il legame Parabatai» gli spiegò, sebbene non del tutto convinto che qualcuno che non fosse un Nephilim potesse realmente capire. «So che è difficile da comprendere per chi non l’ha mai provato, ma è sempre stato molto chiaro dentro di me dove iniziasse uno e finisse l’altro. I primi tempi, dopo la cerimonia della runa, è naturale confondersi e non sapere di chi siano le emozioni che stai provando. Ma con il passare degli anni diventa molto più facile distinguere te stesso dal tuo Parabatai. Ora invece è come se io e Alec fossimo stati gettati da qualcuno in un enorme pentolone e non fossi più così sicuro di quale sia la mia anima e quale invece la sua. Sto provando delle emozioni molto forti che non sentivo più da molto da tempo, come la felicità e l’amore e tanti di questi sentimenti sono per te e...»
«E hai paura di esserti innamorato di me?» domandò un Magnus confuso.
«Assolutamente no!» sbottò Jace in rimando, aveva un tono quasi offeso. Addirittura, aveva smesso di torturarsi i capelli e ora lo fissava come se fosse impazzito all’improvviso. «So bene che la felicità che sento nel guardarti non è la mia, ma quella di Alec. Quello che mi preoccupa è che non so come potremo mettere a posto questo casino. Ciò che sto provando ora non è normale nemmeno per due Shadowhunters uniti dal legame Parabatai.» Quindi, Jace non aggiunse altro. Non aveva idea se Magnus avesse davvero compreso lo strampalato discorso che gli aveva appena fatto, ma invece che preoccuparsene si lasciò cadere indietro contro lo schienale della poltrona. Lo sguardo ora era intento a fissare il soffitto di quell’elegante loft di Brooklyn. I pensieri, tutti rivolti al caos inimmaginabile che aveva nel cuore. Non era più solo per Clary, non soltanto per la fastidiosa pietà che leggeva nei volti delle persone che gli stavano attorno, era anche per Alec e per quella intima vicinanza con lui che non sentiva più da molto tempo e che adesso gli era esplosa dentro al petto con la forza di un uragano. 

 

Fu dopo che i suoi occhi si furono posati sul cielo azzurro, che si stagliava fuori dalle ampie finestre del terrazzo, che Magnus gli si fece più vicino. Aveva lasciato perdere il suo secondo caffè e aveva anche abbandonato quell’espressione di profondo disappunto che aveva mantenuto sino a quel momento. Quindi gli si era accucciato tra le gambe e ora gli stava accarezzando il volto, in una gentilezza che a lui non aveva mai riservato e della quale Jace in quel momento sentiva di avere un disperato bisogno.
«Che fai?» balbettò forzando un fastidio che non provava e che si trasformò nella sincera necessità di essere capito.
«Sei parte della mia famiglia, Jace e ci sarà anche molto più di te che del mio Alexander là dentro, ma so ancora capire quando quegli occhi soffrono per qualcosa.» La dolcezza dello sguardo di quello stregone centenario colpì Jace Herondale in pieno volto. Per un istante voltò addirittura il viso, come se qualcuno lo avesse improvvisamente schiaffeggiato. Aveva proclamato di non tollerare la pena sul volto altrui, ma quell’affetto così sincero era altrettanto difficile da tollerare. Neanche fu facile starlo a sentire, soprattutto dopo che Magnus gli aveva stretto le mani in un gesto d’amicizia, quindi lo stregone riprese a parlare: «In quest’ultimo mese ho visto la stessa espressione che hai adesso, ogni giorno sul volto di Alec. Da quando Clary se n’è andata è come se una parte di lui si stesse dilaniando, ma non è soltanto perché percepisce i tuoi sentimenti. Jace» annuì quindi, con una determinazione che sorprese lo Shadowhunter al punto che lo fece addirittura sussultare. «Clary manca a tutti, non l’hai persa soltanto tu. In tutta la mia lunghissima vita ho lasciato indietro molte delle persone che amavo, ma mai nel modo in cui tu hai perso Clary, quindi non so cosa tu stia passando. Alexander dice che bisogna pregare gli angeli, perché questi sanno anche perdonare e ha fede nel fatto che un giorno le ridaranno la memoria. Io non sono sicuro di riuscire ad averne così tanta, però nel frattempo non faccio che ripetermi che il nostro biscottino sta bene. Jace, lei non è morta. Si è semplicemente dimenticata di noi. Magari non ci riuscirai presto e sarà difficile, ma prova ad aggrapparti a questa idea per andare avanti.» 

 

Il primo pensiero che fece intanto che Magnus si sollevava da terra e raggiungeva la terrazza, fu che era facile parlare quando non si ha perso la persona amata. Ma poi si rese conto che era un ragionamento molto egoistico e che in fondo lo stregone aveva ragione: Clary non era morta e Jace doveva smettere di comportarsi come se lo fosse. Al contrario viveva al sicuro una vita lontana dai demoni; non era forse il meglio per lei? Si domandò mentre osservava la schiena di Magnus, ancora avvolta in una lavorata vestaglia di seta, ingobbirsi quasi il peso degli anni gli fosse gravato tra capo e collo improvvisamente. Doveva mancare molto anche lui, capì rendendosi conto soltanto allora che aveva allontanato chiunque vivendo così tanto dentro se stesso, da dimenticarsi della sua famiglia.
«Ero talmente concentrato sul mio dolore, che non mi sono accorto del vostro» ammise, dopo averlo raggiunto sulla balconata.
«Beh, dovresti guardarti un po’ più attorno, biondino. Per esempio, quand’è l’ultima volta che hai parlato con Simon?»
«Mh» mormorò, pensieroso. In un primo momento si era detto sicuro di saper rispondere con esattezza a quella domanda, ma riflettendoci si ricordò che erano passate diverse settimane. «E con Luke, invece? Perché nel caso non te ne fossi accorto, sappi che l’uno ha perso una figlia mentre l’altro la persona che per tutta la vita è stata la più importante. Simon è venuto a cena, l’altra sera» confessò infine, voltandosi appena in sua direzione. «E con “Cena” non intendo dire che mi sono aperto una vena e l’ho fatto bere.»
«Lo immagino, l’ho visto mangiare del cibo vero una volta o due» rise, ricordando di quella imbarazzante doppia uscita di ormai molto tempo prima. «Come sta?» domandò quindi lo Shadowhunter, smorzando il sorriso.
«Come credi che stia? Clary era la sua migliore amica, sono cresciuti insieme e ora lei non si ricorda più di lui.»
«Io...»
«E come pensi che stiano tutte le altre persone che la conoscevano in Istituto? E io? Come sto io, Jace? E Isabelle? Lo sai che volevano diventare Parabatai e che da allora tua sorella non si dà pace?»
«No, non ne avevo idea» rispose Jace, voltandosi in direzione del traffico di New York che scorreva sotto di loro. Non aveva parlato con Simon e neanche con Luke e non aveva considerato poi molto Izzy o Alec, ma era ovvio che anche loro stessero soffrendo. Come aveva fatto a essere così cieco? Stava per aggiungere che ne era dispiaciuto e che si sentiva in colpa, oltre che egoista, ma Magnus lo precedette.
«Ascoltami, tesoro» gli disse lo stregone, con quell’aria che spesso aveva di chi sa come far pesare il proprio essere più vecchio e saggio. Gli passò affettuosamente una mano tra i capelli in un gesto che non aveva mai rivolto a lui. «Non sto cercando farti sentire in colpa e sappi che siamo tutti qui per aiutarti a stare meglio, io e Alexander faremmo di tutto per te. Ma non pensare neanche per un istante che tu sia il solo a soffrire perché ti assicuro che non è così.» 

 

Quindi, Magnus rientrò nell’appartamento con passo lento e cadenzato. Jace lo vide sparire dentro la camera da letto, aveva deciso di andarsi quantomeno a vestire e poi aveva una pozione da preparare, quella che sarebbe servita per il rituale di scambio. Appoggiandosi appena al parapetto, intanto che inspirava l’aria del mattino, Jace Herondale iniziò a provare una strana sensazione di leggerezza. Era assurdo a pensarci, ma si sentiva molto meglio perché era come se un enorme peso che per tutto quel tempo aveva portato da solo e che gli si era annidato dentro al petto, se ne fosse andato. Quello che Magnus aveva detto… Non aveva mai voluto davvero pensarci e non perché fosse egoista, ma perché aveva dato per scontato che il fatto che Alec o Izzy non avessero perso coloro che amavano, significasse che stavano bene. Probabilmente era un egoista, ma fu con un sorriso che capì che non era mai stato solo. E sarebbe rimasto lì per tutta la mattinata, a guardare il cielo terso di New York, baciato dai raggi del sole del mattino e con quel profumo di caffè e croissant a stuzzicargli le narici, se Alec non fosse entrato come una furia e lo avesse raggiunto a grandi falcate.
«Che cosa diavolo è successo?» sbraitò a voce tanto alta, che doveva averlo sentito l’intera Brooklyn. Bella domanda, pensò Jace fra sé. Era stato tanto concentrato su Clary e sul suo legame con Alec, che non ci aveva neanche pensato. Com’erano finiti l’uno dentro al corpo dell’altro?


 



Continua




 

Note: Un enorme grazie a chi ha letto e recensito il primo capitolo e a chi ha inserito la storia tra le seguite. 

Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto, ho appena visto la serie e sto ancora prendendo le misure con questi personaggi, però mi sto divertendo davvero molto anche se confesso di avere tantissimi dubbi e di temere che la storia sia noiosa.
Grazie a chiunque sia giunto a leggere sino a qui.
Koa

 
   
 
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