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Autore: Emeerery    05/05/2021    0 recensioni
"Se avesse dovuto stilare una lista dei peggiori criminali affrontati nel corso della sua carriera, Clorofilìa avrebbe scelto quello ad occhi chiusi. Diamine, anche la volta che aveva retto l’edificio pericolante sembrava una piccolezza al confronto!"
Genere: Azione, Comico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Le operazioni di soccorso furono celeri ed ordinate. All’arrivo della polizia furono consegnati due malviventi accuratamente impacchettati con l’accusa di sequestro di persona, abuso di quirk ed aggressione ai danni di eroi con licenza. Shissō Hisa, che nel frattempo aveva ripreso conoscenza, fu trasportata in ambulanza all’ospedale più vicino. Cloro la seguì nell’automezzo successivo, lasciando quindi Range a sbrigarsela con le formalità. Non aveva considerato di lasciarlo solo, ma la permanenza del corpo estraneo fra i muscoli iniziava a darle seriamente fastidio, andava eliminato quanto prima.
 Il capo continuava a sbraitarle che le sue difese erano state eccessivamente carenti, che era una fortuna il proiettile avesse evitato zone molto più delicate (come le articolazioni) e che così non sarebbe arrivata da nessuna parte, ma per una volta decise di ignorarlo. La ragazza era salva, al sicuro, presto sarebbe tornata dalla sua famiglia. E stranamente la voce nella sua testa non aveva rimostranze da farle sulla collaborazione con un (tecnicamente) criminale. Lo considerò come un punto a favore della strategia adottata e prese a seguire le indicazioni dei paramedici, che le consigliavano come sedersi e muovere il busto per evitare di far penetrare ancora più a fondo il proiettile.
 La degenza in ospedale fu breve ma dolorosa. La tennero in osservazione per tre giorni, mentre sulle reti nazionali riportavano il magistrale salvataggio della quattordicenne scomparsa, abbondando in particolari che Iris non ricordava di aver notato nel corso dell’impresa. Quando sentì un cronista magnificare la prodezza della giovane eroina emergente Clorofilìa nello schivare pietre ornamentali ed animali di passaggio, si disse che anche a lei sarebbe piaciuto poterlo fare. E tutto considerato, i giornalisti si stavano anche trattenendo.
 Ma la parte peggiore furono le telefonate. La sua famiglia, tempestivamente avvisata (non sapeva nemmeno da chi) del suo ricovero in ospedale, aveva cercato di precipitarsi in Giappone col primo aereo disponibile. La ragazza era riuscita a dissuaderli, minacciando il fratello di terribili quanto oscure ritorsioni se avesse visto anche solo di sfuggita “quel brutto muso che ti ritrovi”, ottenendo infine il risultato sperato. Avevano desistito a poco a poco, strappandole però la promessa di un ritorno a casa appena possibile. Bofonchiando qualcosa circa le responsabilità di gestire un’agenzia da sola, Iris aveva accettato l’accomodamento.
 Era stato poi un carosello di chiamate di amici e conoscenti, che volevano informarsi sul reale stato di salute della ragazza (a quel che pareva, un telegiornale aveva fatto credere che l’uso di entrambe le braccia e del piede sinistro fossero irrimediabilmente compromessi). In realtà, tutto si era risolto con un’anestesia locale, una veloce espulsione del seme, un’ancor più rapida operazione per la rimozione del proiettile (una biglia, in effetti), quattro punti e tante pacche sulle spalle, oltre all’imperativo assoluto di dormire prona.
 Ebbe solo due visite, il secondo giorno.
 La prima si presentò in ospedale poco prima dell’ora di pranzo. Iris stava considerando tristemente il suo destino farcito di sbobbe d’ospedale da consumarsi “preferibilmente non appoggiata allo schienale della sedia, mia cara” (con tutte le imprecazioni che in quel momento riusciva ad elaborare, maneggiando per spostarsi su quelle sedute scomode che solo i nosocomi potevano ritenere accettabili). Sentì bussare alla porta mentre cautamente si appoggiava al ripiano del tavolo (“con delicatezza, per carità, si ricordi i punti!”), quindi fu naturale per lei invitare la persona all’altro lato della porta ad entrare, salvo avesse la decenza di andare a quel paese. Si mangiò la lingua appena lo vide.
 “Tsukauchi!” esalò, quando la lingua smise di lamentarsi per il maltrattamento.
 “Gaggiolo” rispose allegro il detective, sorridente come suo solito.
 La ragazza non si era aspettata una sua visita (in realtà si era aspettata solo quella di Range ed eventualmente Castle, ma entrambi erano troppo impegnati per raggiungerla), quindi trovarselo davanti l’aveva completamente spiazzata. Lui d’altro canto non sembrò prendersela a male per l’accoglienza un po’ aggressiva, ma si limitò ad accostarsi al tavolo e a sedersi di fronte a lei. Era rilassato, sereno, premuroso come sempre, ma anche velatamente preoccupato, con una fievole luce di allarme nel fondo degli occhi scuri.
 “Mia cara, ho saputo quel che è successo nella villa. Sei stata eccezionale” esordì, guardandola come se credesse realmente a quel che andava dicendo. Iris, invece di esserne rincuorata, si chiuse istintivamente a riccio.
 “Non proprio,” rispose “ho fatto semplicemente il mio dovere, niente di più.”
 “Oh, non ti sminuire. Mi hanno raccontato in che stato era la stanza. Hai salvato quella ragazza e il merito è tutto tuo.”
 Caffè, si ritrovò a pensare Iris, in questo ospedale fa schifo. Se avessi potuto berne di qualità decente forse adesso capirei cosa non mi piace della sua espressione. Non poteva però farci niente, quindi optò per continuare cautamente la conversazione e vedere dove sarebbe andata a parare.
 Il detective nel frattempo aveva continuato nella sua esposizione.
 “Certo, il vigilante è scappato, ma immagino che il suo scopo fosse quello di salvare la ragazzina, quindi non è un gran danno la sua fuga” proseguì con noncuranza, come fosse da tutti gli eroi farsi fregare così da un criminale.
 “Ho pensato che fosse meglio non lasciare sola la piccola, sembrava bisognosa di cure.”
 “Naturalmente. Lo scopo di un eroe è salvare vite, non arrestare i malviventi” convenne l’altro.
 Era un atteggiamento un po’ troppo accondiscendente. Tsukauchi era conosciuto principalmente per la sua schiettezza, non amava i giri di parole, le discussioni inutili o gli incensamenti immotivati. Se aveva qualcosa da dire la diceva, altrimenti stava zitto. Quella conversazione era invece così lontana dai suoi standard che all’eroina pareva irreale.
 “Devi sentirti comunque amareggiata per com’è andata, hai durato fatica per catturare quella donna, lei è riuscita persino a ferirti abbastanza gravemente da costringerti ad un riposo forzato. Se non fossi riuscita a fermarla…”
 Troppe parole per dirle che era stata approssimativa.
 “Sì, ehm, di notte ho qualche problema a dare il meglio di me.”
 “Vero, il tuo socio me lo raccontava spesso.”
 Quel riferimento al capo le fece drizzare ulteriormente le antenne. Dove diamine voleva arrivare?
 “Non è il massimo per un’eroina impiegare così tanto tempo per un salvataggio, lui aveva fatto quasi un culto della rapidità di risoluzione dei problemi.”
 Iris si grattò un sopracciglio, a disagio. Sapeva di non poter essere paragonata al capo, ma quello le pareva eccessivo. Le parole che il poliziotto le stava rivolgendo erano dure, sotto un sottile strato di miele per addolcire il boccone. Era un’eroina solo sulla licenza, la realtà era ben altro.
 “Tsukauchi, non so veramente…”
 “Ho saputo che qualche giorno fa una pattuglia si è presentata al tuo ufficio, giusto?”
 Iris cadde letteralmente dal pero. Aveva del tutto dimenticato la citofonata dei poliziotti, e il fatto che il detective fosse riuscito a scoprirla la diceva lunga sulle sue possibilità d’indagine. Cercò di raffazzonare l’espressione più innocente e confusa su cui potesse mettere le unghie.
 “Vero, ma non era niente” mentì, autocongratulandosi per il notevole controllo dell’intonazione. Niente di esagerato, solo pia sorpresa.
 “E so che eri già intervenuta in quella villa, una settimana prima, più o meno per lo stesso motivo. Quella notte ti accompagnavi a Castle.”
 “Esatto, ma…”
 “E l’altra sera ti trovavi casualmente in zona, pronta a renderti utile in una situazione improbabile” proseguì imperterrito il poliziotto “finendo in ospedale come un eroe di mia conoscenza che si fidava troppo di vigilanti con poca esperienza pratica.”
 “Tsukauchi…”
 “Quello che voglio dire” la interruppe nuovamente l’uomo, addolcendo d’improvviso il tono “è che tu hai talento, una capacità straordinaria nel svolgere questo lavoro, ma ti lasci frenare dalle considerazioni che ti ha lasciato il tuo socio, senza veramente agire guidata dal tuo buon senso. Dovresti seriamente pensare a quello che è meglio per te, ad esempio prendere una spalla per supportarti nei momenti opportuni” concluse, regalandole nuovamente un sorriso personale.
 Iris aveva finito per sentirsi sinceramente contrita per tutta quella storia. Tsukauchi voleva farle capire che atteggiarsi a quel modo, cercare di agire in maniera così contraria alla sua propria natura, poteva essere deleterio per lei e devastante per le persone che le volevano bene. In un modo un po’ contorto, per farle capire appieno dove stesse sbagliando, era arrivato a farsi comprendere. Lo ringraziò dal profondo del cuore, anche se contemporaneamente l’avrebbe preso a testate per averla fatta sentire così a disagio.
 Nel pomeriggio stava ancora considerando cosa fare con l’agenzia (e per quanti giorni fermarsi dai suoi, doveva infilare anche quell’incombenza irrinunciabile), quando sentì bussare nuovamente alla porta. Più tranquilla (e già abbondantemente mortificata) si limitò ad uno stringato “Avanti” mentre riprendeva possesso della sua diabolica sedia.
 L’uomo che aprì la porta ed attraversò la stanza, valigetta in pugno e passo deciso, non l’aveva mai visto. Lo studiò mentre, rivolgendole il più largo sorriso che le avessero mai sottoposto, cercava nelle tasche del completo dal taglio costoso (e certamente su misura) che sfoggiava con tanta disinvoltura. Ne estrasse un biglietto da visita che le porse immediatamente.
 “Amegafuru Steve?” compitò lentamente Iris, facendo attenzione a non confondere gli ideogrammi.
 “Esatto, signora, della Sup. He. Inc., l’azienda produttrice dei suoi strumenti di supporto” le rispose lui, allegro, come se fare il piazzista per un’azienda di quel genere fosse la sua massima aspirazione da bambino.
 La ragazza posò con attenzione il cartoncino sul tavolo, poi tornò ad osservarlo. Aveva una decina d’anni più di lei, sicuramente magro, ma si intuiva la muscolatura allenata dal modo in cui il vestito si tendeva in alcuni punti. I capelli erano corti e neri, diligentemente pettinati e divisi da una riga laterale. Gli occhi erano grandi, celesti, straordinariamente magnetici e le labbra, piene e rosse, davano l’impressione di non conoscere altra piega che con gli angoli all’insù. Veniva naturale ricambiare un sorriso così profondo.
 “Non voglio disturbarla, signora, ma l’azienda mi ha inviato a sottoporle un nuovo prodotto che secondo noi potrebbe esserle utile. In realtà è una miglioria al suo costume di base” riprese, armeggiando con i ganci della valigetta. La voce, in effetti, le ricordava qualcosa, ma non riusciva a visualizzarla.
 “Ecco!” esclamò l’uomo, quando ebbe estratto quello che aveva tutta l’aria di essere un fazzoletto di cotone. Ma al tatto si rivelò estremamente diverso, più spugnoso, morbido e spesso.  
 “Vede, questo nuovo materiale dev’essere stato studiato appositamente per lei. È un ricavato vegetale di ultima generazione, capace di trattenere un numero considerevole di sostanze nutritive. Abbiamo realizzato questo prototipo un po’ di fretta” confessò, una luce maliziosa nelle iridi chiare “ma sono certo che sarà soddisfatta appieno del risultato, una volta che l’avrà provato” e prese ad elencarle le innumerevoli qualità di quella stoffa straordinaria, la vestibilità, la resistenza alla trazione, al taglio, la semplicità di lavaggio e via discorrendo. Le assicurò che il tessuto avrebbe trattenuto anche un numero maggiore di sostanze nutritive rispetto alla sacca di terra che usava portarsi dietro (“Come l’avete saputo?!” “Oh, il giornale del quinto canale, signora, erano estremamente esaustivi nelle spiegazioni dell’utilizzo”).
 Alla fine, confusa com’era dalle chiacchiere di quel simpatico venditore, l’avrebbe provato anche a gravità zero se lui l’avesse accennato, ma Amegafuru si limitò a lasciarle il campione ed augurarle una pronta guarigione, prima di infilare nuovamente la porta.
 Iris rimase interdetta per qualche minuto, dopo che il suo irresistibile visitatore l’aveva abbandonata. Quella voce l’aveva già sentita, ma non riusciva a fissare il momento. Recuperò dal tavolo il suo biglietto da visita, cercando di richiamare alla memoria tutti i dipendenti dell’azienda con cui si era ritrovata in contatto. Non proprio quella voce, non così diretta. Studiò nuovamente il rettangolo di carta, sperando in un’illuminazione. Sotto gli ideogrammi del nome, poté scorgere un particolare che le era sfuggito ad una prima occhiata: il nome era riportato anche in alfabeto latino.
 “Amegafuru Steve” compitò nuovamente, scavando ancora nella memoria. Ma solo il vuoto le giunse in risposta.
 Si decise ad abbandonare la ricerca quando il cellulare riprese a squillare.
“COSA PENSAVI DI FARE, GAGGIOLO?!”
 La voce all’altro capo della linea (di svariati decibel troppo alta per essere stata prodotta da una gola umana) la investì in pieno, riducendo la sua autostima alle dimensioni di un nocciolo di ciliegia. La filippica continuò sullo stesso tono per diversi minuti, ma Iris preferì allontanare il telefono dall’orecchio per preservare il suo padiglione auricolare. Quando ebbe l’impressione che l’altro non avesse più intenzione di battere ogni record raggiunto da essere vivente in materia di acuti, lo riavvicinò cautamente. Il lavoro di piazzista non le era mai parso così allettante.
 Sospirò.
 “Ehi, capo. Forse conviene che tu ti sieda…” e si apprestò ad elaborare la sua personale versione di vendita acrobatica.
 
***
 
Steam si richiuse la porta alle spalle, attento a non farla sbattere. Aveva corso un rischio non indifferente presentandosi senza travestimento, ma l’eroina meritava un trattamento adeguato al coraggio e alla perseveranza dimostrati. Il nuovo materiale gli era costato parecchie ore di lavoro, ma ne era soddisfatto. Clorofilìa non avrebbe più dovuto portarsi appresso quella sacca ingombrante, sarebbe stata un piccolo premio per il lavoro svolto. Attraversò l’ospedale in fretta, pensieroso. L’azienda non aveva ancora approvato la stoffa, ma sapeva che era solo questione di tempo.
 Il pomeriggio era assolato, caldo ma secco, un piacevole cambiamento rispetto all’afa degli ultimi giorni. Steam si allentò la cravatta e liberò il primo bottone della camicia.  Il taxi era in attesa davanti all’ingresso, pronto a riportarlo a casa. Avrebbe riposato qualche ora prima della ronda successiva. Avrebbe pianificato la nuova linea d’azione per l’ennesima indagine. Ma per il momento poteva godersi la sua ricompensa. Shissō Hisa era tornata a casa. 
 
 ***
 
 Postfazione:
 Innanzitutto, devo chiedere scusa a chi, leggendo il primo capitolo, pensava di trovarsi di fronte ad una interessante storia di indagini, o anche solamente ad un breve racconto d’azione. Come si può intuire, non era nelle intenzioni iniziali.
 Il vero motivo per cui è nato questo racconto era per fissare una presentazione accettabile dei due personaggi principali, Clorofilìa e Steam, analizzarne i poteri e cercare di renderli funzionali. Era, in definitiva, una scheda tecnica romanzata.
 Sono particolarmente legata ad Iris ed alla sua unicità. Ho sempre immaginato un potere del genere come il migliore con cui si potesse entrare in contatto, e l’ambientazione creata da KH era perfetta per dar luce a quella che era una mia personale fantasia, esplorarne le potenzialità ed i limiti. Forse non la migliore storia scritta sull’argomento, ma di certo ha soddisfatto pienamente le mie aspettative.
 Steam, invece, è stato creato da un’idea del mio compagno, e per parecchio tempo non ho saputo nemmeno io in che cosa consistesse il suo quirk, ma quando me l’ha spiegato ho compreso che non poteva fare altro che il vigilante. Non può avere un impiego diretto nel lavoro di eroe, ma con un po’ di fantasia (ed un attento esame degli strumenti di supporto utilizzabili), l’ha reso una valida spina nel fianco per i criminali di basso e medio livello.
 Questa, quindi, doveva essere una sorta di preludio alla grande e rocambolesca collaborazione di Clorofilìa e Steam, non doveva vivere di luce propria ma costituire un preambolo al racconto che già avevo in mente e cercavo di comporre. Poi, subentrati nuovi e più ampi progetti, ho dovuto accantonare la scrittura di quella storia.
 Purtroppo non è fra le mie priorità, al momento, completare il lavoro, anche se vorrei veramente riuscirci. Per questo sono stata particolarmente oscura sull’unicità di Steam, perché era già preventivato che nella storia successiva lo presentassi come si deve. Fra le mie più grandi speranze è proprio di riuscire a portarlo alla luce, e dare il giusto spazio a questi personaggi.
 Nulla più da aggiungere, se non che ringrazio sentitamente chi ha avuto il coraggio e la costanza di arrivare fino in fondo e leggere anche queste sconclusionate parole. Con la speranza che il racconto sia comunque risultato di vostro gradimento, spero di riaffacciarmi presto sul forum.
Emeerery
   
 
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