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Autore: Koa__    07/05/2021    2 recensioni
Dopo che gli angeli hanno cancellato la memoria di Clary, Jace si ritrova a camminare per un sentiero oscuro fatto di dolore. Questo, oltre alla rabbia che prova per il compatimento che legge sul volto degli altri, lo portano a gettarsi a capofitto nel lavoro. Alec, a un mese e mezzo dal matrimonio, vive invece una vita felice accanto a suo marito. Nonostante percepisca la sofferenza di Jace e si sia convinto di stargli vicino, dentro di sé sa di non star facendo abbastanza per il suo Parabatai. Una sera, prima di addormentarsi, entrambi esprimono un desiderio all’angelo. Jace vorrebbe avere una vita perfetta come quella di Alec mentre quest’ultimo vorrebbe stare più vicino a suo fratello e si sente in colpa per esser stato così lontano nelle ultime settimane. Il mattino successivo, Jace e Alec si risvegliano l’uno nel corpo dell’altro senza sapere come ci siano finiti. Inizia così un’indagine segreta alla ricerca di chi può aver mai fatto loro un simile tiro mancino, che li porterà a scavare dentro loro stessi.
Genere: Angst, Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Jace Wayland, Magnus Bane, Simon Lewis
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Riuscire ad ammutolire Simon Lewis





 

Magnus Bane sentiva come un vago senso di acido alla bocca dello stomaco ogni volta che incrociava lo sguardo di Andrew Underhill, il che, grazie al cielo, non avveniva poi così spesso. Come si era preoccupato di far notare ad Alexander, la sua non era gelosia, più che altro era buon senso. Non era quel tipo di persona eccessivamente possessiva, non moriva dalla voglia di controllare i movimenti di suo marito per tutto il santo giorno e naturalmente si fidava di lui, ma allo stesso tempo non gli piaceva proprio quel tizio. A iniziare dalla maniera in cui gli ronzava attorno o per come lo osservava, senza farsi notare, le volte in cui Alec era girato di schiena oppure impegnato a leggere dei rapporti. Sembrava spogliarselo con gli occhi e troppo spesso si prendeva una confidenza eccessiva, sfiorandogli una spalla in modo fintamente involontario o facendo battute sulla vita intima del suo capo. Magnus era da sempre convinto che l’ironia fosse uno dei pochi piaceri di un altrimenti triste vita immortale e amava da morire il sarcasmo, soprattutto quando era lui a perpetrarlo. Nel caso di Andrew Underhill, tuttavia, trovava decisamente fuori luogo le varie insinuazioni che faceva sulla vita sessuale sua e di Alexander. A dirla tutta non gli piaceva proprio il fatto che suo marito finisse con imbarazzarsi e arrossire. Ed era questo che non accettava. Lui era il solo ad avere il diritto di far diventare color porpora le guanciotte di Alec Lightwood, era l’unico a potersi godere quello sguardo dolce o ancora il sorrisino storto e tenero che accennava ogni qual volta gli faceva un complimento. Nonostante ciò, non era Andrew Underhill la ragione per cui aveva seguito Alec e Jace in Istituto. Lui era più che altro il motivo per cui aveva perfezionato trucco e capelli, sistemato lo smalto, indossato giacca e anelli di modo da rendersi molto più che presentabile. Anche per questo, invece che dirigersi immediatamente verso la biblioteca degli Shadowhunters, dove avrebbe cercato informazioni riguardo il legame Parabatai e la maniera per risolvere quella brutta situazione, era rimasto nella sala principale. Underhill non ci aveva impiegato molto tempo per agguantare Alec, o colui che riteneva tale, e sottoporgli una sfilza di rapporti riguardanti una decina di mondani dissanguati nelle ultime ventiquattr'ore. In effetti, quel corpo ritrovato a Central Park di cui avevano parlato prima di uscire, erano diventati ben dieci, disseminati nella notte lungo i viali del più grande parco di New York. 


Non un qualcosa che sarebbe stato normale trovare in città, non un qualcosa che in effetti sarebbe mai dovuta accadere. Era stato per la gravità della situazione che avevano deciso di mettere da parte il rito per lo scambio dei corpi e di filare subito in Istituto.
«Non mi piace» borbottò Magnus, a un certo momento della riunione, incrociando le braccia al petto intanto che non perdeva di vista Underhill. Si erano radunati tutti attorno a uno schermo, tutti tranne Isabelle che era ancora alla centrale di polizia a esaminare gli altri nove corpi ritrovati. Che si trattasse di morsi di vampiri, al momento era la sola certezza che possedevano. Più d'uno, anche di questo erano sicuri. Magnus e Alec si erano defilati di qualche passo indietro, ascoltando comunque la discussione tra Jace e Underhill.
«Neanche a me, se c’è un clan che ha violato gli accordi potrebbe scatenarsi una nuova guerra, il Clave non la prenderà bene e c’è di peggio che non potrò fare niente per mediare, dovrà pensarci Jace» osservò Alec, sottovoce. Magnus non poté non notare che era visibilmente preoccupato e avrebbe tanto voluto aiutarlo in maniera più concreta, ma non c’era poi molto che potesse fare. La magia non funzionava e Magnus non tollerava quando non riusciva a sistemare le cose con uno schiocco di dita. Affidarsi all’angelo… non un qualcosa che era mais tato abituato a fare, in fin dei conti singificava affidarsi a una volontà superiore. La sola cosa di cui era certo era di poterlo sostenere almeno come marito. Avrebbe tanto desiderato baciarlo, proprio lì in quel momento o quantomeno accarezzare quel suo viso ora così diverso, ma non poteva assolutamente lasciarsi andare. Non sarebbe stato un gesto naturale da regalare al proprio cognato, al contrario avrebbe destato forti sospetti. Probabilmente se fossero rimasti a casa e avessero mandato Jace in avanscoperta, sarebbe stato più facile supportarlo. Il fatto che Alec avesse deciso di prender parte comunque alla riunione di aggiornamento non era insolito. Aveva un carattere che tendeva a tenere tutto sotto controllo e sapeva che finché non sarebbe tornato nel proprio corpo, avrebbe fatto di tutto pur di tenere d’occhio suo fratello. Di conseguenza Alec stava forzando se stesso a non assumere il controllo di quell’incontro, limitandosi a qualche osservazione sporadica. Niente che uno come Jace, di norma, non avrebbe potuto far notare. Già e neppure questi era a proprio agio nel ruolo di capo, Magnus aveva fatto caso a quanto fosse rigido mentre le espressioni del volto si erano contratte in maniera innaturale. Jace non aveva mai avuto spiccate attitudini al comando, era quel tipo di Shadowhunter che ha più l’istinto di menare le mani, che quello di fermarsi a riflettere su cosa sia meglio per la comunità. Non aveva neppure grandi attitudini politiche o di mediatore e tendeva troppo a seguire l’istinto e molto meno la ragione, il che era il motivo per cui tempo prima aveva ceduto a lui il comando, andando contro al volere di sua nonna. Ciononostante, Alec sapeva che era perfettamente in grado di gestire la situazione. Tutto ciò che si era limitato a raccomandargli prima di lasciare il loft, era di comportarsi come se fosse stato lui il capo dell’Istituto, di essere autoritario, ma non eccessivamente severo e soprattutto di fare l’impossibile pur di evitare una guerra.


«Non stavo parlando dei vampiri, cucciolo, ma del tuo amico affascinante» disse Magnus portando la discussione su un binario molto più leggero. Aveva indicato il capo della sicurezza dell’Istituto pur senza farsi notare né sentire, mascherando quel gesto con uno sfiorarsi casuale del ciuffo dei capelli, colorato di fucsia per l’occasione.
«Sei geloso...» mormorò Alec, parlando più che altro fra sé intanto che le sue labbra stiravano inevitabili un sorriso idiota, sebbene adorabile. «Sei davvero geloso, Magnus, ma non devi perché Underhill non mi troverebbe mai tanto interessante da provarci.» 

«Cucciolo mio» sussurrò, comprensivo perché era ormai ovvio che il suo bellissimo sposo non facesse granché caso a certi atteggiamenti. Non era un qualcosa che faceva di proposito era semplicemente un po’ ingenuo ed era, nonostante tutto il tempo passato insieme, convinto di non avere le qualità necessarie per accendere la libido maschile. Un lato della sua personalità chiusa che aveva sempre trovato intrigante e che finiva col farlo sorridere, persino quando si ritrovava a sedare moti di gelosia per colpa di Andrew Underhill. Di solito Magnus finiva col roteare gli occhi, alzandoli al cielo non appena si rendeva conto che, per Alec, quel suo amico affascinante si comportava soltanto come tale.
«Forse sbagliavo pensando che tutto questo non avrebbe portato a niente di buono, fiorellino, magari questa ridicola situazione tra te e il tuo Parabatai sarà utile per renderti conto che il tuo amico ti mangia con gli occhi.»
«Non è affatto vero» s’imbronciò Alec, incrociando le braccia al petto «guarda tu stesso!»
«Sì, fiorellino, guarda» rispose Magnus, divertito dall’ingenuità del suo amato. «Osserva il modo in cui ronza intorno a Jace, come gli sfiora non poi tanto casualmente il braccio: “Oh, la mia mano è per sbaglio finita sul tuo bicipite intanto che ti spoglio con gli occhi, ma tanto tuo marito è troppo stupido per notarlo”» proseguì, falsando la voce come se volesse imitare Underhill. Quella che ne uscì fu però una forzata parodia, probabilmente anche un po’ triste. «Tzé, patetico!»


«Mettiamo tu abbia ragione» replicò Alec, non ancora convinto. Quella di Andrew gli sembrava soltanto una gentilezza e nient’altro, era il suo modo di fare espansivo. Non soltanto si comportava in quel modo con chiunque lì dentro, ma più volte si era detto felice della sua relazione con uno stregone. Più di questo, però, era un’altra la ragione che lo rendeva tanto sicuro di se stesso: «Perché dovrebbe provarci con me se esce con un altro?»
«Beh, evidentemente la persona con cui esce non è affascinante, bellissima nel corpo e nell'anima come lo sei tu, Alexander» disse, stirando un sorriso dolce mentre cercava quella stupefacente bellezza a cui aveva accennato, e della quale si era perdutamente  innamorato, in quegli occhi blu. «Potrà sembrarti assurdo, confettino, ma non tutti riescono a irradiare pura luce divina. Eppure a te, angelo mio, viene naturale.» Alec quasi sorrise, nascondendo però il proprio imbarazzo in un colpo di tosse e un’espressione all’apparenza gelida. Magnus era la sola persona al mondo che riusciva a farlo arrossire con un semplicissimo complimento, l’unico a riuscire a essere tremendamente romantico e a un tempo sarcastico, lodandolo pur senza mancare di essere pungente. E dopo tutto quel tempo assieme e il fatto che, beh, si erano pure sposati e a letto avevano fatto di tutto, non ci aveva fatto l’abitudine. Ancora, Alec Lightwood arrossiva come un idiota quando il suo amato stregone gli diceva che era bello. 
«E sono quasi un pena per questo tizio con cui sta uscendo» proseguì Magnus, sinceramente dispiaciuto. Mh, sì, forse non proprio “sinceramente” e magari stava esagerando un tantino. Ma insomma, “esagerazione” era il suo secondo nome, giusto? «A proposito, visto che siete grandi amici, ti avrà anche detto di chi si tratta. Vorrei quasi avvertire questo poveraccio...»

«Sta uscendo con Lorenzo Rey» sussurrò Alec, sorridendo istintivamente non appena suo marito si espresse in un ironico: «Oh, buon cielo!»
«E comunque» proseguì, voltandosi in sua direzione, pronto a fronteggiarlo. Dovette seriamente trattenersi dall’afferrarlo per il mento e sollevargli il viso, così da poterlo poi baciare comodamente. Oh, quanto lo avrebbe voluto e a giudicare dallo sguardo malizioso di Magnus, Alec non doveva essere il solo a volerlo. Ma non potevano giusto? Non poteva toccarlo mentre era nel corpo di Jace e quindi si trattenne, serrando le mani in due pugni stretti, al punto da ferirsi i palmi con le unghie. Lo fece, mordendosi la lingua l’interno della guancia, di modo da frenare quel desiderio prepotente. E poi aveva un discorso da finire e cose da chiarire, una volta e per tutte.


«Non si è aperto con me, tecnicamente lo ha fatto con mio fratello» disse, accennando al fatto che era successo quella stessa mattina intanto che usciva dall’Istituto, e che Underhill glielo aveva detto unicamente per offrire aiuto a Jace. «E in secondo luogo, la tua gelosia è ridicola. Quando mai ho avuto occhi per qualcun altro? Pensi davvero che ti tradirei con Andrew Underhill?» concluse, in un sussurro.
«Ma certo che no, Alexander» ammise lo stregone, cedendo finalmente all’idea che forse era un tantino geloso e che la sua obiettività fosse andata a farsi fottere nel momento in cui aveva posato lo sguardo su quel magnifico esemplare di Shadowhunter vergine. «Perché mi fido di te più di chiunque altro e lo so benissimo che non ci andresti mai a letto, ma non mi piace il modo in cui si comporta, va bene? Le insinuazioni che fa sulla nostra vita intima sono fuori luogo.»
«Su quello ti do ragione» confessò, riprendendo l’espressione militaresca che aveva spesso quando era al lavoro intanto che riportava lo sguardo su suo fratello e il capo della sicurezza. «Qualche volta è… Insomma, da quando ci siamo sposati lo fa spesso ed è imbarazzante.» Avrebbe voluto aggiungere che probabilmente era il caso di parlare direttamente con lui e dirgli di smetterla di dire certe cose, quando l’oggetto della loro discussione si avvicinò loro, camminando a fianco di un Jace che pareva vivamente irritato. Anzi, si corresse mentre percepiva una chiara nota di rabbia agitarsi dentro al suo stomaco, era molto arrabbiato. E adesso qual era il suo problema? Perché tanto nervosismo? Aveva seguito l’intera conversazione e annuito in maniera impercettibile a ogni ordine dato da Jace, e tutto si era svolto correttamente. Magari era agitato per questa situazione o forse c’entrava Clary, anche se non capiva in che maniera potesse averci a che fare.


«Allora, io e… Jace» disse quest’ultimo, indugiando appena intanto che indicava il proprio corpo abitato da Alec. Aveva stranamente marcato il tono della voce, come se si fosse sforzato a dirlo o avesse faticato per ricordarsi la maniera in cui chiamarlo. Forse lo trovava ancora strano, e in effetti lo era. «Ci occuperemo di indagare su questo covo di vampiri, voglio occuparmene in prima persona perché la situazione è particolarmente spinosa. Tu manda un paio di squadre a Queens per quei demoni, voglio i loro rapporti sulla mia scrivania entro stasera e i referti di Izzy il prima possibile.»
«D’accordo e ora scusate. Jace» disse Underhill salutando Alec, salvo poi rivolgersi subito a suo marito: «Cosa porta qui la dolce metà del nostro direttore?»
«Ciao, caro» disse lo stregone con fare affabile, oltre che falsamente allegro. Oh, Magnus Bane era abilissimo a fingere che andasse tutto bene, soprattutto quando di bene non c’era poi molto. In effetti era probabile che gli riuscisse meglio del fare magie, sebbene nel profondo di se stesso sapesse che era un’esagerazione perché con gli incantesimi era dannatamente straordinario. Questione “Scambio di due anime Parabatai” a parte. «Sono soltanto passato per consultare alcuni testi nella vostra biblioteca, mi serve per una… per una ricerca.» Non aveva inventato una scusa credibile per la sua presenza lì, ma quello che gli era venuto in mente sembrò convincere quell’affascinante amico impiccione.
«Capisco, beh, buon lavoro e se hai bisogno chiamami pure. Alec, fammi sapere quando avete finito con l’indagine» continuò Underhill, rivolgendosi direttamente a Jace, intanto che gli sfiorava di nuovo il braccio prima di congedarsi.
«Oh, sì, lo farò certamente» replicò il suo Parabatai. Sembrava avesse l’intenzione di aggiungere dell’altro o che comunque avesse molte cose ancora da dire, ma non parlò sino a quando Andrew non fu a una discreta distanza: «D’accordo, quello ha qualche problema» sbottò Jace, trattenendosi a fatica dall’alzare la voce. Stavano ancora nella sala principale, con decine di Shadowhunters dalle orecchie troppo lunghe e pronte a spiare ogni loro conversazione. Fu per questo che decisero di togliersi da lì, incamminandosi nei più silenziosi corridoi che conducevano alla biblioteca. Soltanto quando si ritrovarono loro tre soli, Alec invogliò il proprio Parabatai a parlare.
«Io penso che abbia la situazione sotto controllo, finora ha fatto un buon lavoro.»
«No, senti» gli disse suo fratello in maniera decisa, prendendolo per un braccio e costringendolo a fermarsi. Anche Magnus bloccò il proprio passo, voltandosi e guardandoli con interesse. Era quasi sicuro che Jace si fosse accorto di qualcosa e di conseguenza stirò un timido sorriso compiaciuto.
«Non è per i vampiri, so che Underhill lavora bene. Mi dispiace dirlo perché è sempre gentile, ma è lui che non mi piace.»
«In che senso?»
«E me lo chiedi?» gli domandò, incredulo «quello ci sta chiaramente provando con te.»
«Ah» sospirò invece Magnus, stirando al contempo un sorriso vittorioso che si tinse subito di sarcasmo. «Sento l’irrefrenabile impulso di abbracciarti, biondino o di offrirti un drink come ringraziamento per avermi inconsapevolmente dato ragione. Perché io avevo ragione, vedi, pasticcino che facevo bene a essere infastidito?»
«Basta con questa storia, tutti e due, è soltanto il suo modo di fare» tentò di giustificarlo Alec. Non era per Underhill, non lo era davvero perché lo considerava un bravo collega e di certo niente più di quello. Una volta si era aperto con lui, ma era triste e sbronzo e aveva discusso con Magnus per una stupidaggine che ora nemmeno ricorava. Di certo non era il suo migliore amico e non ci teneva a difenderlo in maniera particolare. Il suo essere infastidito derivava dal pensiero di star facendo la figura dello stupido, ingenuotto verginello che non si rendeva neppure conto di quando qualcuno ci stesse provando con lui. Aveva imparato a flirtare, ma era sicuro che sarebbe risultato freddo e imbranato con chiunque non fosse Magnus. Ci sapeva fare coi baci e col sesso e, con il tempo, era diventato anche più sicuro ed esplicito, ma spesso si sentiva ancora impacciato e troppo chiuso in se stesso.


«Non è per niente il suo modo di fare, Alec, con me non si è mai comportato così. Il che lo rende evidentemente pazzo, dato che sono molto più affascinante di te, fratello» borbottò Jace, incrociando le braccia a petto e indossando uno dei suoi modi di fare da sbruffone che contraddistinguevano il personaggio che si era costruito, e che stonava di molto sul volto che ora lo ospitava. Vedere il tenero viso del suo Alec, così tanto diverso gli faceva una stranissima impressione. Magnus non aveva mai faticato troppo a capire per quale motivo Alexander avesse una così bassa autostima. Era cresciuto all’Istituto dovendo soffocare un’importante parte di se stesso ed era vissuto all’ombra dei suoi fratelli, che invece apparivano come sicuri di sé e aperti alle persone. Non stentava a pensare che, probabilmente, Alexander tuttora credesse realmente di essere meno interessante di Jace. Ecco, se prima voleva abbracciare suo cognato, ora Magnus avrebbe tanto voluto strozzarlo. Finendo col comportarsi in quel modo, pur non facendolo di proposito, non faceva che convincere che il suo piccolo fiorellino valesse davvero meno di lui.
«Io te lo giuro, Alec, la prossima volta che mi tocca in quel modo o fa insinuazioni sulla "mia" vita sessuale, a quello gli tiro un pugno» proseguì Jace, sempre più nervoso.
«D’accordo, d’accordo» sbottò, cedendo definitivamente. Passava lo sguardo da suo fratello a Magnus e viceversa, forse nel tentativo di capire se stessero pensando entrambi quanto fosse stupido a non accorgersi di cose del genere. «Quando questa situazione si sarà risolta gli parlerò e metterò le cose in chiaro. Tu però promettimi che non farai niente del genere» disse, rivolgendosi al proprio Parabatai. «Sei il capo dell’Istituto di New York adesso e non puoi permetterti di pestare le persone senza nessuna motivazione valida.»

«Oh, la motivazione ci sarebbe eccome» se ne uscì Jace, facendo inevitabilmente sorridere Magnus. Gli piaceva quell’inedito ruolo da: “li difendo io i Malec, voi levatevi”.
«Promettimelo!»
«D’accordo, fratello» annuì quest’ultimo, arrendendosi di fronte alla ragionevolezza del suo Parabatai. «E ora sarà meglio andare a caccia di vampiri, è giorno quindi saranno rintanati da qualche parte. Magari chiamo Simon e gli chiedo di venire con noi.»
«Buona idea» annuì Alec, il quale si rivolse però immediatamente a un Mangus che, sino ad allora, era rimasto in disparte. «Ti ritrovo qui quando finiamo?» gli chiese, questa volta senza trattenersi dall’afferrargli le mani che Magnus baciò con devozione, in un delicato sfiorarsi di labbra.
«No, pasticcino, è più probabile che finisca prima io. Inizierò la mia ricerca da qui e magari poi passerò da Maryse, può essere ci sia qualcosa nella sua libreria. Ci vediamo direttamente a casa. Ah, tesoro?» aggiunse, rivolgendosi questa volta a Jace. «In nessun universo sei più bello del mio dolce Alexander, ma grazie per aver notato che quel suo amico affascinante ci stava provando. Adieu!» 

 


Magnus se ne andò così, dopo aver afferrato Jace per il mento e averlo schiaffeggiato appena. Alec rimase imbambolato a osservare la figura di suo marito allontanarsi, quasi non fosse realmente capace di levargli gli occhi di dosso. Era bellissimo; vero che lo era? Ma certo che sì e poi i suoi modi di fare lo stregavano. Perché Magnus Bane era sempre stupefacente. Che fosse truccato o meno, vestito o nudo, stropicciato dal sonno o intento a cucinare per lui quel piatto indonesiano di cui non ricordava il nome, non c'era un momento in cui Alec non lo ritenesse fantastico. Lo era nella maniera in cui parlava, per come gesticolava, lo era il tono della sua voce e il suo riuscire a illuminare una stanza ogni volta che vi entrava. Era come un suo personalissimo sole, attorno al quale Alec Lightwood non poteva che gravitare. Quel giorno, con tutto quello che era accaduto e le sciocche discussioni su Andrew Underhill, non aveva nemmeno avuto il tempo di notare quanto fosse magnifico. Il completo che indossava risaltava in modo perfetto la sua figura snella mentre gli anelli alle dita sempre così vistosi, tra cui capeggiava quello di famiglia dei Lightwood col quale gli aveva chiesto di sposarlo, lo caratterizzavano così come riusciva a fare anche il fucsia con cui si era tinto alcune ciocche. Era incredibile che quell’uomo meraviglioso avesse sposato lui e che provasse simili sentimenti, pensò sorridendo come un ebete.
«Lui è geloso di me» balbettò fra sé mentre Jace, al suo fianco, roteava gli occhi e lo trascinava in armeria.
«Andiamo, pasticcino» disse, ironicamente irritato, senza però riuscire a nascondere un sorrisino. Alec e Magnus insieme gli piacevano tantissimo e riuscivano a rendergli una serenità che assumeva note malinconiche non appena iniziava a ricordarsi di Clary e del fatto che, se lei fosse stata ancora lì, sarebbero certamente stati non diversi da Magnus e Alec. Ma pensare a questo, ora non lo avrebbe aiutato, aveva dei vampiri da catturare.


 

Alec non aveva mai considerato Simon Lewis come un amico. All’inizio era il mondano che stava appiccicato a Clary, quello fastidioso e che non stava mai in silenzio. Poi era diventato il vampiro che stava ancora appiccicato a Clary e che Jace continuava a detestare. Infine, Simon era diventato il diurno preferito dalla regina Seelie e che aveva baciato sua sorella nell’armeria dell’Istituto. Non avevano mai realmente legato, ma tuttora lo considerava come parte di quella loro strana famiglia allargata, anche perché non poteva dire di non essergli riconoscente. Poco più di un mese prima si era fatto marchiare con una runa angelica ed era andato con lui a Edom senza battere ciglio, comportandosi come se fosse stato ovvio il suo andare letteralmente all’inferno senza fare troppe storie, per salvare Magnus e Isabelle. Era stranamente coraggioso, nonostante non ne avesse proprio l’atteggiamento. E delle volte, ma questo preferiva non ammetterlo ad alta voce, riusciva a essere anche simpatico. Dopo il matrimonio e una volta tornati dalla luna di miele, Magnus lo aveva invitato spesso a casa loro. Simon diceva che ci veniva volentieri perché Magnus aveva il sangue migliore di tutta New York, in realtà Alec era convinto che la perdita di memoria di Clary lo avesse segnato molto più di quanto non desse a vedere e che non volesse gravare eccessivamente su Isabelle, finendo quindi col tenersi tutto quanto dentro. Un tratto che avevano in comune anche se, a dirla tutta, Alec aveva un carattere opposto al suo. Quel vampiro chiacchierone tendeva ad esternare sempre ciò che provava, ogni sua ansia, preoccupazione o pensiero prendeva voce attraverso un fiume di parole che il più delle volte era difficile da seguire. Una cosa però era convinto di averla capita, che stesse soffrendo gli era stato ovvio sin dalla sera in cui si era presentato al loro loft di Brooklyn, ubriaco di Plasma e preoccupato dalla prospettiva di generare una nuova Heidi. Dopo quaranta e più giorni la situazione era lievemente migliorata, perlomeno ora Simon aveva un progetto che lo faceva svegliare la mattina.


Era quasi mezzogiorno quando Jace picchiò alla porta del suo appartamento con tanta forza, che fece tremare i cardini. Lo avevano chiamato giusto poco prima e lui aveva detto di essere a casa a lavorare al suo libro. Era un’idea, aveva raccontato a lui e a Magnus qualche sera prima, che aveva sviluppato con Clary fin da quando erano bambini e ora, per non spegnere la sua memoria, aveva deciso di lavorarci sul serio. Quando entrarono dalla porta lo trovarono chino sul tavolo della cucina, con una tazza di sangue caldo e un computer aperto davanti agli occhi.
«Un momento solo» disse finendo il contenuto con un unico sorso. Era disgustoso soltanto a guardarsi, in effetti quella era una delle cose a cui non avrebbe mai davvero fatto l’abitudine.
«Fai con calma» disse Alec, facendosi avanti di un passo intanto che si guardava attorno. Non gli sembrava di esserci mai stato in quella casa e ora che si guardava attorno si rendeva conto che era molto da Simon. Quell’appartamento lo rispecchiava perfettamente. C’erano chitarre, tastiere, una playstation di ultima generazione. Una lunga lista di dvd e un frigorifero molto capiente che, Alec ci scommetteva, era pieno di sacche di sangue.
«Ma tu guarda chi è sceso tra i comuni mortali… o immortali con le zanne, ma fa lo stesso. Nientemeno che Jace Herondale, che fai qui? Problemi in Paradiso?» Simon era sarcastico e Simon non era mai sarcastico. Era una delle cose che aveva capito di lui, frequentandolo negli ultimi tempi. Era ironico e spassoso, magari anche fuori luogo, ma sarcastico lo diventava quando era arrabbiato o ferito da qualcosa. Da quanto ne sapeva, o immaginava perlomeno, lui e suo fratello non si vedevano dal giorno del matrimonio. E Jace doveva aver incassato non poi così bene la presa in giro, almeno a giudicare dall’espressione contrita che aveva  al momento. 

«Mi dispiace» lo sentì sussurrare Alec. Si stava passando una mano tra i capelli e sembrava imbarazzato e Jace non era mai imbarazzato. Forse provava anche del senso di colpa, il che era davvero straordinario. Suo fratello era sbruffone, esuberante, vagamente egocentrico ed era convinto di essere il miglior Shadowhunter del mondo, ma l’imbarazzo non sapeva nemmeno dove stesse di casa.
«Non ce l’ho con te, Alec e poi ci siamo visti l’altro ieri! Credevo fosse chiaro che mi stessi riferendo a Jace.» Oh, già, si erano scambiati, si ricordò soltanto allora. Com’era che questa cosa non gli stava in testa?



Jace e Alec avevano una particolarità che esulava dal loro essere Parabatai. Certamente il fenomeno era accentuato dalla runa che li legava, ma Alec era convinto che sarebbero riusciti a leggere uno nella mente dell’altro anche senza essere Parabatai. Perché prima ancora che essere Shadowhunter legati, erano fratelli. Erano cresciuti insieme e avevano combattuto uno accanto all’altro per anni, delle volte per capirsi non servivano parole e non era necessario scavare dentro se stessi di modo da scovare i sentimenti dell’altro, bastava uno sguardo perché si comprendessero al volo. Quel giorno, a casa di Simon, nessuno dei due aveva accennato una parola sul confessare quale situazione stessero passando. Erano certi che non si dovesse sapere in Istituto e che era meglio non dire niente a Isabelle e magari nemmeno a sua madre, ma se volevano l’aiuto di Simon per quella faccenda dei vampiri avrebbero dovuto fidarsi almeno di lui. Alec annuì, guardando Jace negli occhi intanto che questi faceva la stessa cosa.
«Simon» disse Jace, facendo un passo in avanti «è successa una cosa questa notte, una cosa che non abbiamo voluto, ma che è accaduta e noi ora...»
«Quello che mio fratello sta cercando di dirti, è che ci siamo scambiati di corpo. Io sono Alec e quello che vedi nel mio corpo è Jace.» Ecco, lo aveva detto.

 

Simon Lewis non stava mai zitto. Jace era sicuro di averlo sentito parlare ogni minuto di ogni momento in cui gli era stato, proprio malgrado, vicino. Era quel tipo di persona perennemente nervosa che riusciva a trovare irritante al punto da volerlo riempire di pugni, soltanto per farlo tacere. Ciononostante col tempo aveva imparato ad apprezzarlo perché in fondo era fedele, aveva coraggio e, per l’angelo, gli era accaduto letteralmente di tutto e non si era mai davvero lamentato. Aveva seguito Clary nel mondo Nascosto a rischio della propria vita, unicamente per non lasciarla sola tra degli sconosciuti e a causa di questo era stato ucciso da Camille, era diventato lui stesso un vampiro, quindi un diurno, era stato mollato da Clary, per lui ma questo Jace preferì non ricordarlo, aveva avuto un marchio assassino sulla fronte, era stato stalkerato da una vampira manipolatrice e fuori di testa, era finito all’inferno e che altro? Ah, sì, quando aveva baciato Isabelle per la prima volta lei aveva preso fuoco. Eppure, Simon non aveva mai smesso di darsi coraggio e di andare avanti, nonostante tutto. Pur ammirandolo, segretamente perché sarebbe morto pur di ammetterlo ad alta voce, Jace non credeva di ricordare di averlo mai visto zitto. Eppure, dopo che Alec gli ebbe detto ciò che era successo, Simon si era lasciato cadere sul divano e aveva passato lo sguardo da lui a suo fratello ininterrottamente. Lo sguardo carico di uno stupore che, a guardarsi, era quasi divertente. Il silenzio era quindi sceso per minuti in quell’appartamento da musicista, quindi Simon si era schiarito la voce.
«Fatemi capire» disse, pur senza alzarsi «vi siete svegliati questa mattina l’uno nel corpo dell’altro?» chiese e i due annuirono all’unisono. Sì, lo aveva detto, giusto? «E presumo che Magnus non sia riuscito a risolvere subito le cose.»
«Ci ha provato, ma crediamo che lo scambio sia stato fatto dagli angeli perché c’è stata opposizione quando ha fatto la sua magia» spiegò Jace «abbiamo un piano per sistemare tutto, ma ora è spuntata questa cosa dei vampiri.»
«Quindi riassumiamo» disse Simon, sorridendo vistosamente intanto che si massaggiava la radice del naso. «Vi siete svegliati in questo stato e, visto che per il momento non potete sistemare tutto, ve ne andate in giro in questo modo?»
«Esatto» annuì Alec, confuso. Cosa c’era di tanto divertente o difficile da comprendere «e non c’è niente da ridere!»
«No, no» negò Simon alzando le mani in segno di resa intanto che si alzava dal divano «la parte divertente è che non vi sia venuto in mente di usare un glamour per non dover andare in giro con la faccia sbagliata. Non sarebbe più facile se aveste l’aspetto di sempre, invece che fingere di essere il vostro Parabatai?» Già, pensò Alec voltandosi verso Jace, l’ipotesi “Glamour” non l’avevano neppure sfiorata eppure sarebbe stata utile per tamponare la situazione durante l’indagine. Perché diavolo non c’erano arrivati loro e perché ora dovevano vedere Simon Lewis sganasciarsi dalle risate sulle loro disgrazie?




 

Continua






Note: Giuro che non ho niente contro Underhill, davvero. Ma spesso trovo i suoi atteggiamenti verso Alec un po’ ambigui e ho pensato di riportare la stessa sensazione che mi dà nella serie (non è detto che Jace e Magnus abbiano ragione, eh) anche in questa storia.
Per il resto, il capitolo è più che altro di passaggio, ma come sempre nelle mie storie non è completamente riempitivo. Volevo spostare l’azione all’Istituto e poi in giro per la città e che anche Simon prendesse parte all’azione, dato che adoro il suo personaggio.
Non mancano molti capitoli alla fine, credo che ce ne saranno ancora tre, massimo quattro. Intanto grazie a tutte le persone che hanno letto sino a qui, a chi ha recensito e a chi sta seguendo la storia.
Koa
   
 
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