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Autore: Yunomi    09/05/2021    1 recensioni
"I pianti, le isterie, i lanci di innocenti gerani oltre i balconcini, gli sguardi accesi dalla passione e dal fuoco che non si placava mai, né con il sesso né con le conversazioni alle tre di notte, aggrovigliati come senatori romani tra le lenzuola bianche, le sigarette, i vizi dannosi, le corse in Corvette. L’amore. Quell’amore deleterio, malsano, quell’amore che mi aveva consumata come un fiammifero e che mi aveva ridotta ad un pugnetto di ossa stanche, il cui unico sostentamento era costituito da niente di più che libri e sigarette. No. Non più"
Sequel assolutamente non richiesto di Big God. La lettura è fortemente consigliata per capirci qualcosa.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Chloe Decker, Lucifer Morningstar, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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N.d.A.: la narrazione oscilla tra la prima e la terza persona per mantenere paralleli i fili di ciò che accade e di cui Molly è al corrente, e di ciò che invece non può sapere – ma che è bene che il lettore sappia.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Il matrimonio del cielo e dell’inferno
 
 


 
 
 
 
“Non mi hai detto se alla fine Thomas ha gradito il gentile presente.”
“Perché non sono cazzi tuoi, Papessa.”
“Sei così sboccata.”
“E tu rompipalle.”
La Papessa alzò gli occhi al cielo, ma il cielo non abbassò gli occhi su di lei. Fortuna che ormai aveva imparato a non prenderla sul personale. Si sfilò gli occhiali da sole e mi guardò con le mani puntate sui fianchi. Sembrava una teiera. Glielo dissi. Lei, in evidente odore di santità, mi ignorò come si fa coi bambini. “Ripetimi perché hai accettato di partecipare a tutta questa farsa.”, ribattè lei, senza riuscire però a mascherare un sorriso: sapeva che Thomas aveva apprezzato, e il segno della sua dentatura sul mio collo era la prova inequivocabile.
Alzai le spalle, masticando una gomma che non sapeva più di menta già da un pezzo. Piuttosto, osservai con occhio clinico l’orlo merlettato di un vestito da sposa. Lo riappesi alla gruccia insieme agli altri. “Perché è un’idea carina.”
“Sì, ma è il tuo giardino.”
“Tecnicamente di Thomas.”
“E’ la tua casa.”
“Di Thomas.”
“E’ il tuo ex!”
“No, ci andavo a letto soltanto.”
La Papessa mi si parò davanti e sbuffò come un bufalo. “Eri innamorata persa di lui.”
Alzai di nuovo le spalle. “Enfasi su eri, che è un tempo verbale indicativo imperfetto che esprime un’azione continuata che si è conclusa nel passato.”
La Papessa scosse la testa, in imminente odore di sfuriata. Era difficile tirarla fuori dai gangheri, ma io avevo una passione singolare per le cose difficili. La vidi raccogliere un grande sospiro e piantarmi gli occhi addosso. “Non la trovi una cosa particolarmente anormale? Questo viene da te e pretende anche di sposarsi. Davanti a te.”
“L’amore lo è sempre. E poi, non eri tu l’inguaribile romantica? Starai mica invecchiando?”
La Papessa mi lanciò uno sguardo obliquo da Persona Adulta. “Qualcuno dovrà pure compiere lo sforzo immane di pensare come una persona assennata, in questa combriccola di disadattati ed analfabeti sentimentali.”
“Ma non è immensamente più divertente, senza senno?”
La Papessa scosse il capo, e diventò inquietantemente seria all’improvviso. “Molly…”
Io sbuffai. “Non c’è niente che faccia al caso nostro, qui.”, sentenziai, guadagnandomi un’occhiataccia da parte di una commessa apatica. Mi irritai più o meno immotivatamente e litigai con una gruccia per infilarla al suo posto, in un biancore di seta e pizzo che iniziò a darmi fastidio alla vista.
“Andiamo, su.”, feci io, sentendomi improvvisamente nervosa. Lo sguardo che la mia amica mi riservò fu quanto di più fastidioso avessi mai avuto la sfortuna di vedere: mi guardava con la preoccupazione che sta per sfociare in una particolare sfumatura verde-grigia di compassione, e io, creatura testarda e orgogliosa quale ero, non avevo alcuna intenzione di essere guardata così. Al massimo, ero io che dispendevo compassione al prossimo. La Papessa stava incominciando a trattarmi come un passerotto con l’ala spezzata, ed erano giorni che avevo sopportato senza dire niente.
Masticai la gomma così forte che mi scricchiolarono le mascelle.
“Allora?”, ribattei, piccata.
Finalmente si arrese; mi sorrise come mi sorrideva sempre, accondiscendente e spirituale, e mi prese sottobraccio.
“D’accordo. D’accordo. Facciamo un giro da Vivienne Westwood.”
“Ora mi sei di nuovo simpatica.”
 
 
 
 
 
Now the sneaking serpent walks
in mild humility,
And the Just man rages in the wilds
where lions roam.
(William Blake, The Marriage of Heaven and Hell)
 
 
 
 
 
 
Ciò che Molly non sapeva, e che non avrebbe potuto e dovuto sapere, era che quel giorno Lucifer aveva seguito Thomas.
Non sapeva nemmeno lui perché l’avesse fatto: una vocina spuntata dal nulla come una margherita gli suggerì di farlo, semplicemente, e chi era il Diavolo per non ascoltare la voce della sua stessa tentazione?
Quindi, l’aveva seguito. Forse sarebbe più corretto dire pedinato.
L’aveva visto prendere la metropolitana che andava in direzione opposta a Kensington, dove avevano residenza i suoceri di Molly e iniziò a credere di aver fatto molto bene a dare ascolto alla propria coscienza, per una volta.
Thomas era penetrato in un appartamento bianco e lussuoso a Whitechapel; ci era rimasto per parecchio tempo. E soprattutto, quando era uscito non aveva in braccio nessuna bambina, ma uno sguardo da condannato a morte e la camicia fuori dai pantaloni.
Che cazzo?, aveva eloquentemente pensato Lucifer, nascosto dietro il tronco di un leccio. Appena Thomas aveva girato l’angolo, - stavolta davvero diretto a Kensington – Lucifer aveva attraversato la strada e aveva dato una sbirciatina al nome sul citofono: Margaret Burke-Huxley.
Lucifer aveva emesso un singulto di indignazione.
“Bastardo.”, si disse tra sé.
Un sentimento di vendetta ben noto gli fiorì nel petto come un crisantemo.
 


 
 
 
*
 
 

 
 
Il tavolo della colazione (seppur molto tarda, quella mattina, con buona pace di Merry Brandibuck e Pipino Tuc) era ormai diventato sede ufficiale di riappacificazioni e conflitti. Quella mattina, grazie al cielo, fu sede del primo pasto che condividemmo senza rancori taciuti o vaghe recriminazioni: scherzavamo come i deficienti che in fondo eravamo, lanciandoci occhiate stanche e qualche tovagliolo, quando uno di noi diceva scempiaggini.
Chloe era riposata e serena come non l’avevo mai vista, e forse come nemmeno Lucifer l’aveva mai vista. Da parte sua, lui continuava a guardarla come una ninfa appena spuntata da un cespuglio di alloro. Io e la Papessa ci scoccavamo occhiate consapevoli, a cui ogni tanto partecipava anche Thomas: tutti eravamo stati messi a conoscenza da Lucifer del Piano, svegliati di soprassalto in piena notte da uno zompettare molesto ai piedi del nostro letto.
La piccola Eve stava seduta sulle mie ginocchia, dilettandosi a sbrindellare un fazzoletto giallo con le dita paffute. La sua testolina bionda e ricciuta sotto il mio mento mi dava il senso di pace della prima boccata di una sigaretta, del primo morso di una pesca a giugno, e del primo tuffo nel mare all’inizio dell’estate. Una bambina così serena e così tranquilla, così indipendente e curiosa. Una bambina che aveva quasi staccato la falangetta del Diavolo quando le si era avvicinato con circospezione, al momento delle presentazioni ufficiali.
“E quindi l’avete chiamata Eve. Come la prima donna. La peccatrice originale.” Lucifer mi guardò con un aria di intensa provocazione. “Spassoso.”
“In realtà si chiama Evangeline.”, chiarii io, piccata.
“Letteralmente significa buona novella. Come evangelis, il Vangelo. Insomma, ci è sembrato appropriato, visto il periodo da cui stavamo uscendo.”, continuò Thomas, guardandomi con tenerezza. Gli strinsi una mano.
Lucifer mi squadrò con aria pensosa. Probabilmente quello sarebbe stato il momento in cui avrebbe acceso una sigaretta, ma dal momento che la piccola era rincasata avevamo sospeso ogni vizio con non poche difficoltà. “Sai, conoscendoti, avrei giurato che l’avresti chiamata tipo, chessò, Yggdrasil*. O Lagertha. Sei ancora fissata con la mitologia norrena, no?”
Io alzai gli occhi al cielo e risposi con un gesto infastidito della mano.
“In realtà ho dovuto dissuaderla dal chiamarla Ragnarok.”, gli sussurrò Thomas. Una delle mie rinomate gomitate si fece strada nel suo costato, e lui soffocò un gemito.
Lucifer sbarrò gli occhi e sputò una risata. “E perché non Maelstrom, il gorgo infernale, già che ci siamo?”
Sbuffai. “Siete simpatici. Davvero, davvero simpatici.”
“E tu ora te ne accorgi?”, ribattè Lucifer, canzonatorio.
“Francamente vi preferivo quando vi prendevate a pugni.”
Scossi lievemente la testa, abbandonando momentaneamente lo sfacelo di tazzine colme di fondi di caffè rappresi per lanciare uno sguardo di esasperazione a Chloe, che guardava con tenerezza ora Eve, ora me, ora Thomas. Iniziai a sentirmi come credo si sia sentita la Vergine Maria al cospetto di magi e pastori, e cioè esausta e vagamente infastidita dalle persone. 
“Perché non parliamo dei vari Proserpina, Clitennestra e Alcmena che mi sono stati proposti da un certo qualcuno, invece?”, chiesi, lanciando un’occhiata ironica a Thomas.
“Sono classici.”, ribatté lui con il tono di chi sa di avere perfettamente ragione e non ha intenzione di discutere.
“Sono pretenziosi.”, risposi io.
“Io vi ho proposto Oighrig, ma non mi avete dato retta.”, aggiunse la Papessa con lieve risentimento. “E’ un classico nome scozzese, da guerriera.”
Io e Thomas ci scambiammo un’occhiata di reciproca intesa e decidemmo mutualmente di sorvolare. Eve alzò gli occhi dai suoi coriandoli di carta e sembrò mandare la Papessa a quel paese con lo sguardo. Aveva ereditato i miei capelli e il mio naso, ma gli occhi erano tutti di Thomas: quella sfumatura grigiastra e cangiante che catturava la luce e la riproponeva sottoforma di uno sguardo scanzonato e lievemente infastidito da tutto. Uno sguardo tutto inglese.
“A me piaceva molto Emily.”, s’intromise Chloe, stringendosi nelle spalle. “Oppure Margaret.”
Thomas si irrigidì.
La bambina la guardò come a dire non hai proprio capito un cazzo, bella mia, e io scrollai le spalle, imboccandola con un pezzetto di brioche. “Sono entrambi molto belli, ma purtroppo il secondo nome cagiona una certa psicosi traumatica nel mio fidanzato, come puoi ben notare.”
“Esagerata.” , sbuffò Thomas, e prese Eve dal mio grembo. Mi rivolsero entrambi lo stesso sguardo sdoppiato e io sentì una fitta di tenerezza a cui mai mi sarei abituata trapassarmi da parte a parte.
“Avreste potuto chiamarla Sami.”, esordì Lucifer con uno sguardo ammiccante. “Sai, da Samael.”
“Per la carità.”, ribattei io, monocorde.
Eve si voltò meccanicamente verso il Diavolo e balbettò, imperativa: “Ucifer.”
Tese le braccine verso di lui.
“Cosa vuole, la creatura?”, esclamò Lucifer, schifato. Thomas gliela poggiò in grembo, gustandosi fino all’ultimo il suo sguardo terrorizzato: il Diavolo si pietrificò, mentre lei esplorava con pacata curiosità quei tratti che le erano così poco familiari, peraltro rischiando di cavargli un occhio con una ditata troppo impavida.
Sentii Chloe fremere al mio fianco per l’eccitazione incontenibile della visione del suo uomo alle prese con un infante: si portò le mani alle labbra e piegò la testa di lato.
“Ti faccio notare che non è una granata.”, lo provocai io, osservando la scena con un certo gongolamento. La reggeva come se avesse dovuto esplodere da un momento all’altro, e intanto lanciava richieste d’aiuto a Chloe, che però era troppo impegnata a fare una fotografia mentale alla scena.
“Credo di essere allergico alla tua progenie, Thomas.”, balbettò lui, mentre Eve si ficcava diplomaticamente un dito in bocca e minacciava di benedire il suo completo Armani con la saliva. “Rimuovila, prego.”
Mi alzai, scuotendo la testa, e ripresi la piccola. “Questa cosa che hai nei confronti dei bambini non finirà mai di suscitarmi un sincero interesse antropologico.”
“Che c’è da capire? A malapena parlano, non fumano e non bevono whiskey. Come mai potrei approcciarmi?”, si giustificò Lucifer, lisciandosi il bavero della giacca.
“Devo dire che è confortante conoscere questa tua visione sull’argomento.”, si lasciò sfuggire Chloe con ironia, sollevando le sopracciglia. Sul tavolo si creò un crisma di gelo che ci fece tacere tutti. Sentimmo chiaramente Lucifer deglutire un groppo secco.
“In… in che senso?”, chiese lui, circospetto come se dovesse approcciare una pantera.
Chloe percepì il peso dei nostri sguardi e tremò visibilmente. “No, no, lascia perdere, è una battuta!”
“Chloe, tu vorresti avere figli da me?”, scandì Lucifer, cauto. Il suo viso aveva assunto una curiosa sfumatura color fragola, e i suoi occhi erano diventati grandi come piattini da dolce. Eve si voltò verso di me con un sorrisetto furbo, puntando un indice paffuto verso di lui. Le deposi un bacio fra i ricci e sorrisi, intenerita da quei due stupidi esseri che avevano tutt’altro che chiara la categoria di conversazioni che viene abitualmente etichettata come ‘da tenersi in separata sede.’
Chloe, dal canto suo, era sbiancata come l’abito da sposa che non sapeva avrebbe indossato di lì a poco; articolava le labbra, ma non ne usciva alcun suono.
Lucifer si passò una mano sul volto, e la Papessa scosse la testa, indignata: “E dì qualcosa, per il Cristo Redentore!”
“Qualcosa, per il Cristo Redentore.”, ripeté Lucifer, gli occhi fissi in quelli di Chloe, mossi da una muta disperazione. Un piccolo tsunami le turbava le iridi.
Tacemmo tutti quanti per lunghissimi, interminabili istanti.
Poi, la salvezza discese su di noi sotto le sembianze di mia figlia: prese un ricciolo di crema pasticciera da una brioche e, dopo averlo analizzato con curiosità, lo sparò come un razzo in faccia a Lucifer. Rimase immobile per qualche attimo, impietrito: poi, la pallottola di fortuna subì l’inarrestabile forza di attrazione della Terra e gli cadde sui pantaloni con un sonoro e totalizzante plop.
Lucifer era diventato di granito.
Thomas aveva gli occhi sbarrati e un sorriso di nascente e rinnovata gratitudine per le leggi ordinatrici del cosmo.
Chloe si portò le mani alle labbra per evitare di scoppiare a ridere; io, invece, non mi scomodai. Mi bastò incrociare lo sguardo della Papessa per esplodere in una risata che presto trascinò anche gli altri.
Eve piegò lievemente la testolina da un lato, e piantò gli occhi grigi su Lucifer. “No fai bravo.”, sentenziò, per poi tornare a far coriandoli di un altro tovagliolo.
Finalmente, il gelido mutismo che aveva preso il Diavolo in ostaggio si sciolse. Lucifer agguantò un tovagliolo e si tamponò il viso. “La tua progenie, Thomas. La tua progenie è il vero Anticristo.”
“Anticritto!”, urlò Eve, battendo le manine.
La Papessa si asciugò una lacrima e si fece il segno della croce,  toccandosi il crocifisso di madreperla che indossava. “Non si sa mai.”, disse poi, apotropaica.
 
 
 
 
 
Roses are planted where thorns grow.
(William Blake, The marriage of Heaven and Hell)
 
 
 
 
 
Nel momento stesso in cui Lucifer si chiuse la porta della camera alle spalle, Chloe seppe che c’era qualcosa che non andava. Un lieve cambiamento d’aria che la rese improvvisamente più difficile da respirare.
Stava sul letto con un maglione di lana che le pungeva un po’ la pelle, e i capelli erano onde morbide e quiete che le lambivano le clavicole: abbassò il libro sul petto, vedendo che Lucifer rimaneva con la schiena appoggiata alla porta e lo sguardo rivolto verso il basso.
“Cosa c’è che non va?”, chiese, dolce, piegando lievemente la testa.
Lucifer si lasciò andare ad un sospiro lungo come un refolo di vento. Come una zattera sciolta, si diresse verso il letto e vi piombò pesante, facendo molleggiare il materasso. Si trascinò verso il grembo  di Chloe e vi poggiò la testa, inspirando il profumo di zucchero e vaniglia che emanava.
Chloe gli passò dita gentili fra i capelli, e si abbassò a depositargli un bacio sulla tempia.
Attese, paziente, che parlasse.
Ormai non aveva più alcun timore del silenzio.
Lucifer respirava piano contro il suo ventre, e si faceva sbobinare lunghi nastri di pensieri con le dita che lei muoveva in cerchi sulla sua testa. Finalmente, voltò la testa per guardarla negli occhi.
Chloe cercò di contenere un tremito: nelle iridi scure stava iniziando ad aprirsi una vena verticale di fuoco, rosso acceso. Ebbe la tentazione di scostare le dita dalla sua pelle; il calore aumentava esponenzialmente, e le sembrava di avere la mano incollata al tubo di una caldaia.
“Amore…”, sussurrò Chloe, e la sua voce giunse come un balsamo a lenire quel bruciore che Lucifer stava iniziando a sentire. I suoi occhi si scurirono di nuovo, e la donna trasse un sospiro discreto di sollievo. Il Diavolo le depose un bacio sul palmo della mano lungo come tutte le cose che avrebbe dovuto dire.
Si tirò a sedere sul letto e raccolse il coraggio.
“E’ per via di Thomas.”
Chloe lo fissava, la fronte che iniziava a screziarsi dei prodromi di una preoccupazione ineffabile.
“Thomas vede ancora la sua ex.”, buttò fuori Lucifer. Non riuscì a trattenere un’espressione disgustata.
“E tu come lo sai?”
“L’ho seguito. Mi toccherà scuoiarlo vivo e usare la sua stessa pelle come frusta. Peccato, iniziava a starmi simpatico.”
Chloe scosse la testa, sospirando. “Non fare il Torturatore Biblico.”
Lucifer strinse i pugni fino a sbiancarsi le nocche. “Come si permette. Dopo tutto quello che è successo…”
Si alzò di scatto, ma una mano delicata lo tirò giù a sedere di nuovo. “Devo andare ad avvisare Molly.”
Chloe pensò che stava insieme ad un attore elisabettiano e scosse la testa.
“Forse è il caso di parlarne con la Papessa, prima.”, disse Chloe, saggiamente. “Chissà che non ne sappia un po’ di più, no?”
Lucifer esitò. Poi sospirò guardandola con un senso di intramontabile gratitudine. “Hai ragione. Hai ragione.”
Poi si avvicinò a posarle un bacio delicato sulle labbra. “Spero che tu sia consapevole del fatto che non ho mai dato ragione nemmeno al Padreterno.”, disse, elevandosi dal letto come una sequoia. Si aggiustò i polsini della giacca e si inorgoglì dello sguardo liquido e amorevole che Chloe gli rivolse.
“Lo so.”, disse lei, poco dopo che lui fu scivolato fuori dalla stanza.
Abbassò gli occhi sul solitario di diamante che portava all’anulare.
Rifrangeva la luce della prima sera e dell’abat-jour, ed era una cosa talmente impossibile che Chloe mancò qualche battito, nel guardarlo.
Era promessa sposa del Diavolo, quello vero. Il Diavolo le aveva messo un anello al dito, il Diavolo si stendeva accanto a lei tutte le sere, il Diavolo lavava i suoi piatti quando la sera tornava tardi dal lavoro. Sorrise di tenerezza al pensiero.
Sfiorò la pietra con il pollice. Era pungente e sfaccettata, proprio come Lucifer.
Sorrise di nuovo – non riusciva proprio a smettere.
Pensò che, per la prima volta da due anni, non vedeva l’ora di sposare il Diavolo.
 
 
 
 
It's you, it's you, it's all for you
Everything I do.
(Lana del Rey, Videogames)
 
 
 
 
 
My rose garden dreams, set on fire by fiends.
(Lana del Rey, Cherry)
 
 
 
 
 
La Papessa ascoltò il discorso di Lucifer e Chloe mentre osservava un cespuglio di croco viola che aveva piantato lo scorso settembre. La messa a dimora dei bulbi era andata a buon fine, e lei passava tutte le mattine per darci un occhio, togliere le foglie secche, spargere manciate di fertilizzante.
Lucifer le aveva parlato di come avesse seguito Thomas, le aveva chiesto conferma del nome di sua sorella ed ex moglie di Thomas.
“Margaret Burke-Huxley. Sì.”, aveva risposto lei, secca, mentre strappava di netto una foglia secca dalla pianta.
E ora che avevano concluso il discorso, Chloe e Lucifer rimanevano ad osservarla studiare i fiori, con la netta sensazione che la sua testa fosse da tutt’altra parte, mentre una sigaretta scura le fumava tra le dita. Era calato il silenzio che precede le rivelazioni messianiche.
La Papessa aveva un’espressione dura, da strega ingiuriata, e sfiorava delicatamente i petali del croco con le dita dipinte di rosso sangue come se li stesse consultando. Il tintinnio delle sue collane contro il crocifisso si spandeva nel vento crescente come una maledizione imminente.
All’improvviso si voltò verso di loro, frustando l’aria con i capelli. Lucifer fece un passo indietro. Li scrutò con occhi severi e inaccessibili, poi prese un tiro dalla sigaretta.
“I crochi sono i fiori dell’amore passionale giovanile, secondo la simbologia vittoriana. Ho scritto un saggio sui fiori, qualche anno fa. Non è da sottovalutare la potenza sacra dei segreti che custodiscono le piante.”, disse la Papessa. Il tono con cui parlò era ultraterreno ed antico, come di una creatura dell’iperuranio che iniziava a svegliarsi sotto la pelle da donna di quarant’anni. Chloe e Lucifer non avevano il coraggio di scambiarsi nemmeno uno sguardo.
La Papessa tacque di nuovo; schiacciò la sigaretta al centro di un bocciolo semichiuso di croco, che si spezzò per la forza con cui quelle mani di fata eseguirono un’azione che, agli occhi dei due, parve di una violenza agghiacciante. Deglutirono a secco.
“Lasciate che parli io a loro.”, disse la Papessa, recuperando per un attimo il suo solito atteggiamento materno. Sorrise loro per rassicurarli, ma ci riuscì solo in parte: avevano assistito ad un lato di lei che avrebbero fatto molta fatica a cancellare dai loro ricordi.
“Con loro intendo Margaret e Thomas.”, chiarì lei, rispondendo ad una domanda che si era materializzata tra loro, ma che non avevano avuto il coraggio di formulare. Li fissò negli occhi entrambi, uno alla volta, glissando da quelli scuri e inquieti di Lucifer a quelli chiari e spaventati di Chloe; e quello sguardo risuonò come un monito infrangibile, un patto di sangue che non avrebbero mai dovuto violare.
“Molly non lo deve sapere. Per ora.”
Un movimento fugace alle loro spalle li costrinse a voltarsi verso la porta finestra.
Videro solo la sagoma di Molly che rientrava in casa, sbattendo le porte, e che agguantava un cappotto dall’appendiabiti.
“Cazzo.”, disse Lucifer sottovoce. Fece per andarle dietro, ma la Papessa lo afferrò per un braccio.
“Lasciala.”, gli intimò la donna, gli occhi tinti di preoccupazione. “Lasciala andare.”
 
 
 
Oh, we had everything.
(p!nk)
 
 
 
La porta bianca del bell’appartamento di Margaret Burke-Huxley mi stava davanti, e io non avevo nemmeno la forza per sfiorarla con le nocche.
Era sera, e soffiava da est un vento da streghe che mi graffiava le guance.
Così tante domande da farle, eppure non ricordavo nemmeno come parlare.
Uno stato di assoluta e totalizzante confusione mi calò davanti agli occhi come un sipario, dopo aver sentito per errore quello che i miei amici stavano dicendo, radunati sopra un cespuglio di crochi viola.
Fu il buio subito dopo.
Mi ritrovai per qualche ragione sulla metropolitana, e poi, come in un film con un brutto editing, un attimo dopo ero davanti alla porta bianca dell’appartamento a Whitechapel di Margaret Burke-Huxley.
Pensai, con una scarica di dolore nel petto, a quante volte Thomas – il mio Thomas – si fosse trovato nell’esatto punto in cui mi trovavo io in quel momento.
Mi presi la testa fra le mani.
Ronzava terribilmente.
Come… Come era potuto accadere?
Un violento conato mi scosse da capo a piedi, e dovetti reggermi al muretto che costeggiava il vialetto d’ingresso per non cadere sulle ginocchia.
Mi girava la testa. Mi sentivo su una giostra da cui sapevo di non poter scendere.
La memoria riportò a riva un ricordo come un messaggio in bottiglia, uno dei più cari e dolci ricordi che avessi mai custodito. Eravamo su una spiaggia italiana accarezzata da un sole dolce, mansueto, mentre onde docili del primo mattino si tendevano pigramente verso i miei piedi nudi. Indossavo un lungo vestito bianco e osservavo quel mare turchese e luccicante, tenendo un indice tra le pagine di un libro quasi finito; un vento gentile giocava con i miei capelli.
Mi voltavo verso la spiaggia e vedevo Thomas seduto nella sabbia sotto un ombrellone, intento a pulire la bocca di Evangeline, sporca di pesca: era bello, e pallido, e indossava un paio di occhiali da sole scuri. Mi voltavo verso di loro e agitavo una mano, delicatamente, avvolta dal vento e dal mare, e Thomas agguantava uno dei polsi cicciottelli di Eve – avrà avuto poco meno di un anno – per salutarmi.
In piedi, infreddolita, davanti alla porta bianca, ebbi la certezza di non essere mai stata così felice come in quel frammento di tempo perduto. E’ una sottile e crudele ironia, quella per cui ti ricordi delle cose più belle nel momento in cui sai che non saranno più come prima.  
Tremai violentemente per il freddo; una folata di vento mi fece finire una ciocca di capelli in bocca. La scostai con stizza.
Una luce si accese nell’appartamento, al piano superiore, e vidi due figure muoversi dietro le tende, figure lunghe e sformate dall’effetto delle lampade. Figure così simili a quelle che popolavano i miei incubi di ragazzina tormentata, e a cui ero riuscita a dire addio solo grazie a Thomas. Alle sue mani rassicuranti che mi stringevano durante le paralisi notturne, alla sua voce che mi carezzava quando mi svegliavo dagli incubi in un lago di sudore freddo, tremante e agitata.  
Le ombre si unirono come in un sogno, e io provai una fitta al cuore così forte che mi costrinse a distogliere lo sguardo.
Mi voltai verso la strada: in piedi, davanti al vialetto, c’era Lucifer con un’espressione così addolorata che pensai per un attimo che non sarei riuscita a contenermi.
“Cosa ci sei venuto a fare, qui?”, balbettai mentre scendevo i gradini, lasciandomi alle spalle la bella porta bianca di Margaret Burke-Huxley.
Lucifer non disse nulla. Mi accolse tra le braccia, e io mi sentii minuscola, fragile, come se il vento avesse potuto strapparmi da terra da un momento all’altro.
“Andiamo a casa, okay?”, disse lui, sottovoce, mentre io piangevo grosse lacrime che non cercavo neanche di trattenere. Uscivano dai miei occhi e cadevano sui miei pantaloni, sulla camicia di Lucifer, sul marciapiede. Non mi accorsi neanche che ci stavamo allontanando dall’appartamento.
“Non so più dov’è casa.”, sussurrai io, e per risposta Lucifer mi strinse un po’ più forte a sé. Scendemmo nel sottopassaggio per la metropolitana. Da lì in poi, il buio.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
È  molto più facile essere un eroe che un galantuomo. 
 
Eroi si può essere una volta tanto, galantuomini si dev'essere sempre.
(Luigi Pirandello)
 
 
 
 
 
 
 
 



 
 
 
 
Ho solo una cosa da dire a mia discolpa, vostro onore:
I live for drama.
 
Vi bacio.
Y.


 
*yggdrasil nella mitologia norrena è l’albero cosmico, l’albero del mondo. È fonte del destino predisposto dalle Norne: la sorte degli dèi e degli uomini è indissolubilmente vincolata a questo albero;
Lagertha è il nome della protagonista femminile della serie televisiva Vikings;
il Ragnarok è la battaglia finale tra tenebre e luce che, sempre secondo la mitologia norrena, distruggerà il mondo per poi rigenerarlo;
infine, un maelstrom è un fenomeno acquatico simile a un gorgo causato dalla marea, che entra con prepotenza in passaggi molto stretti e non riesce a fluire agevolmente.
 
   
 
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