Anime & Manga > Inuyasha
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Autore: VaniaMajor    13/05/2021    5 recensioni
Kagome possiede un portafortuna. Non avrebbe mai immaginato che a causa sua sarebbe stata portata in un altro mondo, coinvolta in una guerra orribile e legata misteriosamente a un demone dai capelli d'argento...Ma chi è il Principe dai capelli neri dei suoi sogni? Perchè la sua onee-chan deve soffrire tanto? E c'è speranza di tornare a casa...viva?! La ricerca delle Hoshisaki è iniziata. Una AU di Inuyasha e della saga di Cuore di Demone!
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Author’s note: Perdonate il ritardo, la mia salute fa i capricci e a volte mi costringe a rallentare. Ma non mi fermo, state tranquilli! Spero di farmi perdonare con questo capitolo, stanotte ho sognato Sesshomaru (che evidentemente era preoccupato a sua volta dai miei ritardi) e l’ultima parte è venuta giù come uno tsunami! Fatemi sapere che ne pensate!
 
CAPITOLO 14
DONNE CORAGGIOSE
 
«Quindi l’ultima Hoshisaki di Gake l’avrebbe questo ookami-yokai?» brontolò Inuyasha, riassumendo quanto il monaco a capo di Ojohi stava raccontando alla luce del fuoco, fiamme che erano una pallida imitazione delle pire accese durante tutto il giorno per dare onore ai caduti nella battaglia contro gli sgherri di Naraku. Nell’aria c’era ancora un odore che metteva i brividi e Inuyasha era di pessimo umore.
«Koga…sì, credo di averlo sentito nominare almeno una volta. – mormorò Miroku, con una mano sotto al mento – E tu, Sango?»
«Sì, la sua tribù è nomade e viaggia lungo il confine. È un elemento problematico e attaccabrighe, ma non lavora per Naraku. Quantomeno, non l’ha mai fatto fino a questo momento.» disse la giovane cacciatrice, lucidando la propria arma.
«Sesshomaru-sama ne è al corrente e desidera mettere le mani su quel frammento per prevenire Naraku. Purtroppo, anche se Shinsetsu e Junan ci hanno graziato con il loro ritorno a En, sappiamo che l’Hoshisaki della Tenseiga del nostro Imperatore è ancora inerte. In caso contrario, avreste potuto viaggiare fino a Sorayama e porre fine a questo incubo.» sospirò il monaco, accennando a un inchino di scuse nei riguardi di Inuyasha per aver menzionato quella mancanza imbarazzante. Inuyasha stirò le labbra in un sorriso amaro che gli altri interpretarono, a torto, come ironia nei confronti del fratello maggiore. In realtà, l’hanyo pensava al fatto che Tessaiga al momento non era messa meglio. A En mancavano ben due Hoshisaki attive, non una soltanto.
«Sesshomaru-sama è ancora via?» chiese Miroku, guardandosi attorno nel buio.
«Pattugliamento, dice lui. Feh! Allergia alla nuova portatrice di Junan, dico io!» disse Inuyasha, scuotendo la testa. Quel pomeriggio, Inuyasha aveva svolto il ruolo che suo fratello aveva demandato: presa da parte la nuova portatrice di Junan, si era messo a valutare le sue capacità. Era rimasto sordo alle proteste di Kagome, che non voleva vedere la sorella maggiore coinvolta in quella storia, e anche alle richieste del capo monaco di non stancare troppo la neko-yokai, ancora in fase di guarigione e già provata dal combattimento di quella mattina. Inuyasha aveva bisogno di attività ed era sicuro di non essersi ingannato nel vedere una punta di sollievo anche negli occhi della donna bionda al pensiero di avere qualcosa di pratico a cui dedicarsi. Ne era venuto fuori un profilo interessante, dato dal miscuglio tra i poteri demoniaci e quelli di Junan. La neko-yokai sapeva sottrarre le energie vitali e convertirle in colpi micidiali. Un trucchetto che poteva rivelarsi molto utile e che, se ben allenato, l’avrebbe tenuta in vita senza chiedere troppi sforzi di protezione da parte loro. Vista l’attitudine di Sesshomaru, ben diversa da quella tenuta con la piccola Rin, era una buona notizia.
Ora, le due ragazze erano ospitate in una delle baracche ancora in piedi, probabilmente immerse nel sonno. Inuyasha si trovò a pensare agli occhi scuri di rabbia repressa e indignazione della portatrice di Shinsetsu quando aveva ricondotto Anna dal resto del gruppo. Sembrava di potervi vedere dentro una fiamma rovente. Gli piaceva quel lato spontaneo e forte del suo carattere, un calore che Kikyo non aveva mai posseduto, forse soffocato dalle responsabilità e dalla disciplina.
“Ma cosa sto pensando?!” si riscosse, seccato con se stesso. Si alzò di scatto. «Vado a fare quattro passi nei dintorni, nel caso ci sia sfuggito qualche occhio indiscreto. – disse – Voi riposate. Ho la sensazione che domani si partirà per dare la caccia a questo famoso Koga.»
Li lasciò alle proprie spalle, camminando nella notte quasi con furia. Non aveva avuto intenzione di ripensare a Kikyo, ma non riusciva a farne a meno. Naraku, quel giorno, non gli aveva dato alcuna risposta, ma ormai la rabbia e la vergogna in cui l’aveva gettato il tradimento della miko si erano calmate e Inuyasha riusciva a vedere le cose con maggiore chiarezza. Poche cose collimavano con la correttezza estrema, fin marziale, della giovane donna a cui aveva quasi donato il cuore. Kikyo era una prigioniera che con lui…o almeno, con una versione di lui che quasi nessuno aveva mai avuto modo di conoscere, si era aperta rivelando un animo bisognoso di supporto e di affetto, come quello di chiunque. Un animo grande e potente, ma disperatamente solo. Inuyasha conosceva fin troppo bene la solitudine. Tutti lo rispettavano in quanto Principe di En, ma né gli Uomini né i Demoni lo consideravano parte della loro stirpe. Inuyasha, fin da quando aveva perso entrambi i genitori, non si era più sentito parte di nulla e aveva chiuso il proprio cuore a chiave. Tanto, a chi poteva interessare quali fossero i suoi desideri o i suoi sentimenti? A quel ghiacciolo di Sesshomaru, no di certo. A quel petulante galoppino di Jaken? Come no! Kikyo gli aveva dato la speranza di un cambiamento, di un rifugio. Un’illusione spezzata in una notte orribile, forse davvero ordita da quel mostro di Naraku.
Masticando un’imprecazione, Inuyasha accarezzò l’elsa di Tessaiga. Chissà se quella notte avrebbe trovato davvero spie di Gake nei dintorni? Sfogarsi un po’ e rimettere sotto allenamento la propria spada non gli sarebbe dispiaciuto per niente! Fu in quel momento che vide un movimento tra le macerie, una figura sottile e aggraziata che sembrava intenta a raccogliere oggetti da terra e a lanciarli il più lontano possibile. Perplesso, Inuyasha si accorse che si trattava di Kagome. Ristette, incerto sul da farsi, ma alla fine si avvicinò, arrivandole quasi alle spalle prima di annunciare la propria presenza.
«Ehi, si può sapere che stai facendo?» chiese, facendola sobbalzare e lanciare un grido. Kagome si voltò di scatto, le mani sul cuore. In una di esse, teneva un pezzo di legno.
«Vuoi farmi morire d’infarto?! Fatti sentire! È notte e sono quasi morta di paura!» ansimò, gli occhi spalancati per lo spavento.
«Si direbbe piuttosto che tu volessi ammazzare qualcuno. Che stai facendo?» chiese di nuovo Inuyasha, sarcastico.
«Mi sfogo. Non si vede?!» disse lei, bellicosa, quindi tornò a voltarsi e a scagliare il pezzo di legno nel buio. Inuyasha avvertì, incongrua, la voglia di sorridere.
«Non è una cosa piuttosto inutile?» disse.
«Certo! È ovvio! – quasi ruggì lei, voltandosi di nuovo con quelle fiamme brucianti negli occhi, più ardenti delle pire che morivano loro attorno – Ma che altro posso fare, visto che non posso strangolare tuo fratello?!»
«Strangolare mio… - mormorò Inuyasha, sbalordito – Vuoi dire che stai fingendo di colpire Sesshomaru?»
«Gli lancerei sulla testa ogni sasso che vedi qua attorno! – sbottò Kagome, mostrandogli la sua rabbia e la sua indignazione senza filtri, quasi investendolo fisicamente con l’ardore delle proprie emozioni – Ti rendi conto di come ha trattato Anna?! Come si permette? Come ha potuto dirle quelle cose?! Non ha la minima idea di come lei stia male, di quanto l’abbiano sconvolta le disgrazie che le sono accadute. Chi si crede di essere?»
«L’onnipotente Imperatore di En» disse Inuyasha, ripetendo una lezione imparata a proprie spese.
«Beh, al diavolo l’onnipotente Imperatore di En! Avrebbero dovuto sculacciarlo di più quand’era piccolo!» gridò Kagome, furibonda. Inuyasha la guardò con tanto d’occhi, poi stupì perfino se stesso scoppiando a ridere di gusto. La risata lo prese, lo avvolse. Per un po’ non fu in grado di fermarsi e lo sguardo sbalordito e perplesso di Kagome, che non riusciva a capire se lui la stesse prendendo in giro, non contribuì a calmare la sua ilarità. Alla fine, con le mani sulle ginocchia, ancora scosso dagli ultimi singulti, rialzò gli occhi d’ambra su di lei. Kagome parve leggervi qualcosa di lusinghiero, perché arrossì appena.
«Hai un bel fegato, per essere una ningen. – mormorò Inuyasha, ancora senza fiato – Credo che questa cosa mi piaccia.»
Lei avvampò e Inuyasha stesso sentì di essere arrossito per quelle parole facili al fraintendimento. Si schiarì la voce e si rimise dritto, dandosi un contegno.
«E lei che ne dice? È d’accordo con te? Oppure è la dentro a frignare?» chiese, indicando con la testa la baracca dove le due avrebbero dovuto riposare.
«Oh no, Anna non piange mai. – rispose Kagome, con voce in cui si mescolavano tristezza e ammirazione e che lo costrinse a guardarla di nuovo – Non ha pianto quando i suoi genitori l’hanno abbandonata, né quando la zia non si è curata di lei. Ha sempre affrontato le avversità e la solitudine con un sorriso e rimboccandosi le maniche, e sono sicura che lo farà anche questa volta. Lei non mostra le sue ferite. Non è come me, che mi sono subito lasciata prendere dal panico e dalla sofferenza. Quanto mi sento stupida, adesso…Io sono sempre stata amata. Non avrei mai dovuto fuggire dalla mia casa. Se fossi stata più forte e coraggiosa, ora non sarei in questo pasticcio.» Kagome lo guardò, quasi sfidandolo a contraddirla o a fare battute, ma Inuyasha rimase in silenzio. Aveva intuito quell’aspetto del carattere della portatrice di Junan e non si sentiva di fare dell’ironia sugli eventi che avevano portato Kagome a En. Le questioni di famiglia avevano spine che facevano male. Il viso di Kagome si addolcì. «Volevo ringraziarti, Inuyasha» gli disse, spiazzandolo.
«Cosa? Perché?» chiese, sospettoso.
«Oggi hai fatto per lei la cosa più giusta: le hai dato qualcosa su cui concentrarsi, uno scopo da raggiungere. Ho visto la tua espressione, sai? Credo che tu abbia capito come si sentiva.» Si avvicinò e gli tese la mano. «Abbiamo iniziato col piede sbagliato per una serie di motivi, ma penso che dovremmo smetterla di morderci a vicenda. Io non sono Kikyo, qualunque cosa tu pensi di ciò che ti è accaduto in quella notte di cinquant’anni fa, e tu non sei la persona scorbutica e insensibile che vuoi far credere. Penso, anzi, che tu abbia un cuore gentile.»
Stavolta fu Inuyasha ad avvampare. Balbettò qualche scusa o rimostranza, non sapeva nemmeno lui a che scopo. Kagome gli sorrise, inondandolo di un calore dolcissimo che era molto più potente delle fiamme della rabbia che sapevano riempirle gli occhi. E non era dolce anche il profumo che emanava? D’un tratto, sembrava essersi fatto inebriante come un incantesimo.
«Tregua?» gli chiese lei, allungando la mano verso di lui. Inuyasha nemmeno si accorse di alzare la propria e stringere quelle dita delicate. Si muoveva come in stato di stupefazione. Rimasero per un attimo così, con le mani giunte in una stretta calda, quasi rovente, a guardarsi in faccia per davvero forse per la prima volta da quando Inuyasha si era svegliato dalla sua maledizione. Poi, un uccello notturno lanciò il suo lugubre richiamo, spezzando il momento. Inuyasha ritirò la mano e Kagome si guardò attorno, reprimendo un brivido.
«Vai a dormire. Domattina dovremo partire, credo. Andiamo a mettere i bastoni tra le ruote a Naraku.» borbottò Inuyasha.
«Va bene.» disse Kagome, docile, poi alzò gli occhi al cielo notturno «Trovavo un po’ inquietante la vostra luna, ma il cielo notturno così buio e vuoto fa davvero paura. Siamo già alla luna nuova?»
«No, mancano…» Inuyasha incespicò sulle parole, guardando a sua volta il cielo come se si fosse ricordato solo in quel momento qualcosa di importante. «Mancano ancora un paio di notti».
«Beh, sarà sciocco ma spero che la luna torni presto. Non sono abituata a tutta questa immensità. Buonanotte, Inuyasha!»
Ciò detto, Kagome corse via verso la baracca che condivideva con Anna. Inuyasha rimase solo, con una nuova preoccupazione in cuore, chiedendosi se davvero se la sentiva di andare a cercare Jaken per caricarsi anche dei particolari della morte della piccola Rin.
 
***
 
Rin.
Un nome che si rifiutava di pronunciare da cinquant’anni e che non permetteva gli venisse ricordato. Un nome di cui Inuyasha aveva forse il diritto di chiedere la sorte, ma che lui non avrebbe rievocato.
Rin.
Inizialmente aveva cercato di distruggerne anche il ricordo, ma alla fine si era dovuto piegare al fatto che non c’era modo di riuscirci. La figura della piccola Rin, il calore che gli aveva fatto conoscere, il suo sorriso, i sentimenti che aveva risvegliato in un cuore che non aveva mai creduto di possedere, erano marchiati a fuoco dentro di lui e si erano rivelati incancellabili. Aveva salvato quella bambina e l’aveva presa con sé in quanto Portatrice di Junan, senza rendersi conto che la pura dolcezza di quel piccolo sorriso aveva già fatto breccia in lui. L’aveva tenuta cara come qualcosa di fragile e bello, lontana dalla battaglia. Tornare a casa era diventato un rito che lo liberava da ogni stanchezza, da ogni preoccupazione, nel momento in cui lei si precipitava fuori dalla porta del palazzo gridando il suo nome, a braccia spalancate come se volesse contenerlo tutto in un abbraccio grande come il mondo.
La piccola bambina umana si era fatta una ragazzina, man mano il suo corpo si era allungato, la sua voce era diventata un po’ meno infantile, il suo slancio più commovente. Rin si stava trasformando in una donna quando l’orrore era piombato loro addosso e a Sesshomaru non era sfuggito il modo in cui stavano maturando i sentimenti di lei nei suoi confronti. Niente che fosse stato detto a parole o sottolineato da gesti, ma il profumo di lei era cambiato, nel suo sguardo c’era qualcosa che bruciava in profondità. Sesshomaru si era allontanato. Non voleva darle speranze. Non voleva farla soffrire. Forse, non voleva affrontarla. Desiderava che lei rimanesse la bambina di sempre, che tutto fosse immutabile, pur sapendo che gli esseri umani vivono come fiamme in continua evoluzione. Lui non era in grado di amare, non più di quanto già faceva. Non poteva né voleva mettere in discussione se stesso.
Era stata la sua ambiguità a causare la rovina di Rin? Erano stati i suoi nuovi silenzi, la lontananza, le cose non dette a spingerla a credere a quella convocazione nel cuore della notte, quando quella lettera fasulla le aveva prospettato il tanto sospirato viaggio verso la completezza della Hoshisaki di En? Sesshomaru si era tormentato con queste domande per cinquant’anni, sentendosi sempre più colpevole. Naraku aveva messo le sue sporche grinfie su Rin in modo tanto maldestro da ucciderla prima ancora di poter tentare di strapparle Junan dal corpo. Quando Sesshomaru era tornato a Palazzo con il corpo sigillato del fratello minore, aveva trovato Jaken prostrato sul pavimento, tremante e in lacrime, che gli dava la terribile notizia. Non ricordava molto dei giorni a seguire. C’era voluto del tempo perché il Grande Sesshomaru tornasse tale.
Sesshomaru si guardò attorno, riemergendo da una sorta di trance in cui era caduto inoltrandosi nei propri ricordi. La sua imponente forma canina troneggiava su un mucchio di cadaveri di oni di Gake. Aveva addosso il loro sangue puzzolente. Si scrollò, facendo volare gocce scarlatte ovunque fra gli alberi, facendo schioccare le mandibole e annusando l’aria. Si era spinto un po’ troppo oltre il confine, nella sua smania di distruggere qualcosa. Forse era il caso di tornare indietro. L’alba era vicina.
Si voltò e tornò sui suoi passi attraverso la foresta, con un ringhio basso incastrato in gola. Naraku era stato indebolito dalla nuova Junan, i cui poteri si erano rivelati inaspettati. Da cinquant’anni sognava di squartare quel parto deforme della natura e, forse, era finalmente giunto il momento. Se fosse riuscito a liberarsene, avrebbero poi avuto tutto il tempo di cercare una connessione con le Hoshisaki riposte nelle spade paterne. Tenseiga era sempre rimasta silente, ma Tessaiga era tornata nell’oblio dopo un breve periodo in cui Inuyasha era riuscito a brandirla…Non era un buon segno.
Nei pressi di Ojohi, tornò alla sua forma umana. Le sue mani erano ancora macchiate di sangue, che spiccava scuro sulla sua pelle bianca alle prime luci dell’alba. Infastidito, cercò un corso d’acqua in cui lavare via il puzzo di orco. I suoi sensi gli dissero che c’era un torrente non lontano. Vi si recò e si abbassò su un ginocchio sul greto, immergendo le mani nell’acqua gelida e trasparente. Quando si sollevò, le passò sul viso e sul capo, tirando indietro i capelli d’argento. Si corrucciò. C’era odore di essere umano. Qualcuno lo stava spiando.
Quando si voltò, pronto a sferzare con le parole o con le sue unghie micidiali l’eventuale curioso o nemico, il suo volto divenne subito pura pietra. In lontananza, a sbirciarlo con una buona dose di disagio da dietro il tronco di un albero, c’era la persona che meno desiderava vedere in assoluto. I suoi capelli dorati catturavano e rimandavano le prime scintille del sole nascente, creandole attorno una sorta di aura irreale. Il viso era molto pallido e faceva spiccare gli occhi azzurri e la fiamma che conteneva Junan, tatuata sulla fronte. Quella donna era uno strano connubio di potere e debolezza, perché alle fattezze scattanti dello yokai si contrapponevano un vestiario di fortuna che le stava corto, la capigliatura selvaggia, i piedi nudi come quelli di una bambina dispersa.
Il pensiero lo disturbò oltre misura. Sesshomaru camminò spedito verso la giovane donna, che dapprima spalancò gli occhi per la sorpresa e lo spavento, facendo un passo indietro, poi invece reagì e gli si fece incontro. Sesshomaru le passò accanto senza degnarla di una parola o di uno sguardo, superandola come se nemmeno esistesse e lasciandola indietro. Aveva deciso di non avere nulla a che fare con lei e intendeva attenersi a questo proposito. Per lui, era esistita un’unica Junan. Questo ibrido nato da Naraku era solo un contenitore da tenere in vita fino all’unificazione della Stella di En.
La sentì mugolare, un suono soffocato. Per sua fortuna, ancora non riusciva a parlare. Tanto di guadagnato, anche se era un'altra cosa che la accomunava alla piccola Rin e che gli faceva dolere le viscere. I passi affrettati di lei lo seguirono. Non si voltò. Se non aveva ancora capito di dovergli stare lontano, le sarebbe presto stato chiaro, con le buone o con le cattive. Fu sbalordito nel sentirsi tirare con energia per la coda morbida che gli pendeva dalla spalla, un gesto talmente irrispettoso e mai osato prima da chicchessia che Sesshomaru si voltò con un’espressione di indecifrabile stupore e ira. Se quella donna voleva andare all’altro mondo e cedergli subito la sua Junan, stava lastricandosi la strada.
Si trovò davanti un viso non meno irato del suo. Lasciata da parte l’insicurezza, la debolezza, quel dolore che il giorno prima le aveva riempito gli occhi, ora sui tratti di quel volto di donna si leggevano dispetto, rabbia e desiderio di rivalsa. Nelle iridi azzurre bruciava il fuoco sacro di chi si ribella a un’ingiustizia. Non aveva alcuna paura. Sembrava, piuttosto, pronta a venire alle mani. Sesshomaru registrò tutto questo in una frazione di secondo, poi la donna gli piazzò un pezzo di carta a pochi centimetri dal naso. L’Imperatore di En le afferrò il polso in una morsa che avrebbe fatto gridare chiunque ma che non le strappò un gemito, spostandole la mano da quella prossimità non richiesta, ma gli occhi colsero le parole vergate in nero sul foglio.
“Io sono Anna. E voi siete stato un cafone. Nonostante questo, possiamo esserci utili a vicenda. Vi aiuterò, se me ne darete la possibilità.”
Non fece in tempo ad arrabbiarsi ulteriormente che lei liberò il polso dalla sua stretta con una mossa fulminea di cui non la si sarebbe creduta capace e lo sostituì col gambo di un fiore che aveva tenuto nell’altra mano. Dopodiché, con un inchino formale, lo superò e se ne andò, sempre con quelle fiamme orgogliose nello sguardo. Sesshomaru soffocò con uno sforzo l’impulso di seguirla per farle pagare l’affronto, dominato comunque dal desiderio di starle lontano. Guardò con disprezzo ciò che gli aveva depositato in mano.
Un fiore.
Un gelo senza precedenti si fece strada in Sesshomaru, riempiendolo in ogni minimo anfratto, congelando ogni cellula del suo corpo. Era un garofano bianco. Un fiore di fedeltà, ma anche un simbolo dell’amore puro. Questo gli aveva spiegato Rin quando gli aveva consegnato l’ultimo fiore di tanti con cui aveva colorato la sua vita, prima che le loro esistenze venissero separate per sempre. Poteva essere una coincidenza? Una scelta infelice? Oppure…
Si voltò di scatto. Lei era già lontana, avvolta dall’aura d’oro dei suoi capelli. Sesshomaru cercò di frenare la marea di pensieri che gli stavano inondando il cervello, ma era come cercare di fermare il vento. Se Kikyo si era reincarnata nella nuova portatrice di Shinsetsu, forse…
«Rin?» mormorò. Tra le sue dita strette in una morsa, il gambo del garofano si spezzò e il fiore immacolato cadde a terra senza fare rumore.
   
 
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