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Autore: Josy_98    13/05/2021    1 recensioni
Prima di incontrarsi con la compagnia dei nani alla casa dello hobbit, Gandalf fece visita a una vecchia amica chiedendole di mantenere una promessa fatta tanti anni prima. Quella giovane, che così giovane non è, si troverà così costretta a partecipare a un viaggio corrispondente a un doloroso e continuo tuffo nel passato, in mezzo a ricordi che l'intera Terra di Mezzo ha dimenticato. Per non parlare della verità celata dietro alla sua natura: la sua parte di elfo, razza disprezzata da Thorin e i nani, non è la peggiore. Una realtà molto più oscura, infatti, la segue come un'ombra che non si è ancora rivelata.
Estratto dal primo capitolo:
"Perchè lo fai?"
Lei si voltò verso di lui. "Non è ovvio?" chiese. Al silenzio del nano sospirò. "Conoscevo tuo padre, e conoscevo tuo nonno. Erano entrambi miei amici. Ho fatto loro una promessa e intendo mantenerla." disse.
"C'è qualcos'altro." ribattè lui. "Qualcosa che non mi hai detto."
"Sono tante le cose che non ti ho detto." rispose.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Compagnia di Thorin Scudodiquercia, Gandalf, Nuovo personaggio, Thorin Scudodiquercia, Thranduil
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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4. In salita e in discesa
 
Impiegò poco tempo a raggiungere il gruppo, neanche mezza giornata di viaggio; era molto più veloce rispetto a un nano e questo le permise di fare in fretta. Nessuno le fece domande, aspettando la sera, e continuarono a camminare a passo spedito. Lei affiancò Thorin, guidando il gruppo in silenzio.
Camminarono a lungo, le Montagne Nebbiose che si avvicinavano sempre più, minacciose e fredde; nonostante si trovassero ancora sulle pianure tirava un vento freddo, quello che ti entra nelle ossa e là rimane, per quanto tu possa essere vestito. Il giorno dopo averli raggiunti Lumbar aveva iniziato a canticchiare a mezza voce, per distrarsi da quel freddo pungente, ma a nessuno dispiaceva più di tanto: la sua voce era calda e armoniosa nonostante fosse poco più di un sussurro, era piacevole e li faceva quasi sentire a casa dal senso di familiarità che gli donava. Era sempre la stessa canzone, ne canticchiava la melodia quasi ininterrottamente mentre camminavano; aveva fatto un sogno particolarmente cruento e potenzialmente pericoloso e quella canzone le era tornata in mente dopo anni, troppo simile a cosa stavano per affrontare e corrispondente più del dovuto al passato per poterla davvero dimenticare.
Andarono avanti così per giorni, poi la pianura lasciò il posto alle rocce aspre e loro presero un sentiero che li avrebbe portati su, sempre di più, in un cammino tortuoso e solitario; l'aria si fece gelida, il passaggio più stretto sul fianco della montagna: se avessero compiuto un passo falso, o fossero inciampati o scivolati su una pietra, sarebbero precipitati in un dirupo via via sempre più profondo e buio.
Proseguirono anche quando la notte scese su di loro, accompagnata da una potente e fastidiosa pioggia. Incerti su dove mettevano i piedi, rischiavano di cadere dal precipizio su cui si trovavano ad ogni minimo movimento. Dovevano proseguire in fila indiana a causa del sottile sentiero su cui posavano i piedi, spesso troppo stretto per poggiarli del tutto sulla pietra.
«Fermi! Aspettate!» urlò Thorin per farsi sentire sopra la tempesta.
Nel frattempo Bilbo aveva rischiato di cadere e Dwalin lo aveva bruscamente riportato al sicuro, attaccandolo alla parete alle loro spalle.
«Dobbiamo trovare riparo!» urlò ancora Thorin.
«Attenzione!» urlò Lumbar allarmando tutti.
Aveva sentito arrivare qualcosa, sotto ai fischi e agli ululati del vento, ma non riusciva a capire che cosa. Sapeva solo che era grande e che sarebbe arrivato dalla zona alla loro destra, o di fronte per chi procedeva con la schiena rasente alla parete di roccia.
Un gigantesco masso venne scagliato contro di loro e andò a colpire un punto imprecisato sopra le loro teste, finendo in frantumi che si riversarono su di loro. Furono costretti a schiacciarsi contro la parete della montagna per cercare di ripararsi da quella pioggia di sassi mentre la montagna tremava.
«Questo non è un temporale!» urlò Balin sconcertato fissando una montagna muoversi davanti a loro. «È una battaglia tra tuoni! Guardate!» disse, infatti, indicando nella direzione in cui era puntato il suo sguardo, dove notarono un gigante di pietra staccarsi dalla parete alle sue spalle, prendere la vetta e spezzarla.
«Che mi venga un colpo!» Bofur si avvicinò al burrone per vedere meglio, noncurante del pericolo. «Le leggende sono vere! Giganti! Giganti di Pietra!»
«Sì, e avrei preferito non incontrarli.» disse Lumbar facendoli voltare.
«E perchè?» chiese Bofur confuso.
Per lui erano una vera meraviglia.
«Tu che dici?» chiese sarcastica lei, alzando gli occhi al cielo per l’esasperazione – nonostante la pessima situazione in cui si trovavano – prima di riportare l’attenzione sul gigante che stava lanciando la vetta nella loro direzione. «Giù!» urlò a tutti.
La cima li superò di parecchio. Andò a colpire un secondo gigante che si stava avvicinando da dietro di loro e lo mandando contro un’altra montagna.
«Riparati stupido!» urlò Thorin a Bofur mentre altri due nani lo riportavano contro la parete di roccia.
Le pietre tremarono, sotto di loro, e in quel momento la compagnia si rese conto di trovarsi ancora più nei guai: erano su un gigante anche loro, e quello stava per prendere parte alla battaglia con loro addosso. Si ritrovarono sulle sue gambe, poco sotto le ginocchia. Quando il gigante si alzò, loro vennero irrimediabilmente divisi in due gruppi. Fili aveva cercato di tirare Kili dalla sua parte ma non ci era riuscito; Lumbar, accanto al moro, gli strinse un braccio cercando di rassicurarlo, ma anche per celare l’improvviso capogiro che l’aveva colpita. Ne stava avendo sempre più spesso, indice di ciò che stava accadendo in quelle terre, ma non poteva pensarci in quelle circostanze e non voleva farlo notare agli altri.
Il loro gigante, nel frattempo, venne raggiunto da un altro della sua razza. Quello gli diede una testata in faccia e lui ricadde pesantemente sulla montagna alle sue spalle. Il gruppo di Thorin, Kili, Balin, Bifur, Nori, Oin, Gloin e Dori ne approfittò per scendere dal suo ginocchio e si ripararono sulla montagna; purtroppo gli altri non furono così fortunati: non avevano possibilità di fuga a causa della distanza che li separava dalla montagna, quindi non poterono fare altro che tenersi stretti alla roccia dietro di loro e cercare di non cadere mentre i due giganti facevano a pugni sopra le loro teste, rischiando di farli precipitare nel vuoto sotto lo sguardo spaventato e preoccupato dei loro compagni. Il loro gigante riuscì a mandare al tappeto il suo avversario, ma non si accorse del masso grande quanto la sua testa che il terzo gli aveva lanciato contro e che lo colpì in pieno. Gli staccò la testa e quella precipitò sui nani al sicuro che, però, riuscirono a proteggersi mentre osservavano il corpo del gigante, con sopra ancora il resto della compagnia, schiantarsi contro la parete della montagna e poi finire al suolo. Urlarono di paura e orrore.
Quando Thorin raggiunse il punto in cui si erano schiantati, poco più avanti nel loro percorso, vide una tremolante luce bianca svanire mentre i nani si rialzavano. Lumbar era riuscita a proteggerli dallo schianto con un incantesimo scudo che le aveva prosciugato quasi tutte le energie rimaste. Tuttavia non ci fece molto caso, troppo impegnata ad assicurarsi che i suoi compagni stessero bene. Davanti a lei, infatti, Fili, Dwalin, Bofur, Ori e Bombur cercavano di rimettersi in piedi, un po’ ammaccati, con Thorin in mezzo a loro che cercava di rassicurarsi sulle condizioni in cui erano. Aggrottò le sopracciglia, perplessa, ma non fece in tempo a chiedere niente che Bofur la anticipò.
«Dov’è Bilbo?» domandò a nessuno in particolare, guardandosi freneticamente intorno. «Dov’è lo hobbit?»
Lumbar era sicura che fosse vicino, riusciva a sentirlo ora che i giganti non combattevano più. Infatti le bastò voltarsi, data la sua posizione sul bordo del precipizio, per notare il mezzuomo che si teneva aggrappato alla roccia con le mani mentre il suo corpo era a penzoloni sullo strapiombo.
«Qui!» urlò avvicinandosi a lui e tentando di tirarlo su mentre gli altri si avvicinavano per aiutarla.
«Prendetelo!» urlò Thorin nel momento in cui lo hobbit perse la presa scivolando più in basso e rimanendo aggrappato per una mano.
Bofur e Ori cercavano di tirarlo su ma non riuscivano ad arrivare alla sua mano, così la ragazza si abbassò su una sporgenza, tenendosi salda alla roccia con una mano mentre con l’altra tirava su Bilbo dai vestiti e lo faceva arrivare agli altri più sopra, che lo presero e lo portarono al sicuro. Stava per risalire anche lei quando il braccio con cui si teneva alla roccia le cedette, provocandole un gemito di dolore che gli altri non sentirono. Sarebbe scivolata nel vuoto se Thorin non l’avesse afferrata per il polso e tirata su di peso, aiutato da Dwalin che l’aveva afferrata per il retro del corsetto. La ragazza si ritrovò in mezzo ai due nani, con il polso ancora stretto nella mano di Thorin. Nè lei nè il nano dissero niente sul liquido che sentivano scorrere attraverso la manica e la ragazza si limitò a ringraziarlo con un cenno alla sua domanda silenziosa. Stava bene, gli fece capire; avrebbe controllato il braccio più tardi, al sicuro da sguardi indiscreti. Quei nani avevano già troppi problemi di cui preoccuparsi. Ignorarono entrambi il brivido che li aveva percorsi dalla testa ai piedi, toccandosi, e ripresero fiato.
«Credevo lo avessimo perso.» Dwalin, alle spalle della ragazza, aveva appena commentato l’accaduto attirando l’attenzione della compagnia.
Thorin si rimise in piedi, lasciando la presa sul polso di Lumbar e facendo svanire, di riflesso, la leggera tensione che li aveva avvolti.
«Lui si è perso fin da quando ha lasciato casa sua.» disse osservando lo hobbit con astio. «Non sarebbe mai dovuto venire. Non c’è posto per lui tra noi.» fece qualche passo poi si voltò. «Dwalin.» chiamò semplicemente. E gli fece cenno di andare avanti.
Il nano porse una mano a Lumbar e la rimise in piedi, cogliendola un po’ di sorpresa, poi seguì Thorin; Fili, a sua volta, aiutò Bombur a rialzarsi, prima di proseguire anche loro, e lei gli andò dietro seguita dagli altri, tentando di non muovere troppo il braccio ferito. Aveva l’impressione che avrebbe dovuto cambiare le bende una volta trovato un riparo.
Continuarono a camminare per qualche centinaio di metri, sotto la pioggia battente e stando sempre attenti a non scivolare, finchè non si infilarono in una grotta riparata dal temporale.
«Sembra abbastanza sicura.» disse Dwalin guardandosi intorno.
«Controlla fino in fondo.» rispose Thorin. «Le grotte delle montagne sono spesso abitate.»
«Qui non c’è niente.» confermò il nano dopo aver ispezionato la caverna con una lanterna.
«Non mi piace.» mormorò Lumbar tra sè.
«Cosa vuoi dire?» la voce di Thorin alle sue spalle la fece voltare di scatto.
Non si era accorta che le si fosse avvicinato mentre gli altri entravano; ora la stava fissando con i suoi penetranti occhi azzurri in attesa di una risposta, i volti a un palmo di distanza.
«Una sensazione.» mormorò osservandosi attorno per un attimo prima di ripuntare lo sguardo su di lui.
Continuarono a fissarsi in silenzio, studiandosi apertamente, fino a quando un rumore di legno che si scontrava con la pietra non li distrasse. E la tensione scomparve per la seconda volta.
Gloin aveva fatto cadere dei rami per terra. «Bene, accendiamo un bel fuocherello.»
«No, niente fuoco.» lo contraddisse Thorin dando retta alla ragazza. Cominciava a credere alle sue sensazioni. «Non in questo posto. Cercate di dormire. Partiamo come arriva l’alba.»
Mentre i nani si preparavano a passare la notte in quella grotta, Balin si avvicinò ai due, rimasti vicini.
«Dovevamo aspettare tra le montagne fino all’arrivo di Gandalf.» disse a Thorin. «Questo era il piano.»
«I piani cambiano.» rispose Thorin.
«Se può rassicurarvi, è a un paio d’ore da qui.» disse la ragazza facendoli voltare nella sua direzione con una domanda inespressa sui volti. «L’ho contattato prima che ci inerpicassimo su per questo sentiero e in mezzo alla tempesta. Sa che non siamo andati molto lontano a causa dei giganti, ci raggiungerà presto.»
I due approvarono silenziosamente la sua mossa.
«Bofur.» chiamò Thorin, facendo voltare il nano. «Primo turno di guardia.»
Dopo quell’annuncio la compagnia si sparpagliò nella grotta e si stesero per dormire. Non era passata nemmeno mezz’ora quando Lumbar aprì gli occhi di scatto. Una visione improvvisa le aveva impedito di addormentarsi, mostrandole che gli orchi si stavano avvicinando, ma non era riuscita a vedere chi fossero nè quanti a causa della poca chiarezza delle immagini. Si mise a sedere lentamente, cercando di non fare rumore per non svegliare gli altri che russavano. Fortunatamente era un po’ in disparte rispetto a loro.
Si tirò su la manica e cominciò a srotolare la benda pregna di sangue rivelando che il morso del mannaro che finalmente aveva cominciato a guarire si era riaperto. Appoggiò la benda da una parte e ne tirò fuori una pulita dalla sua piccola borsa, insieme a una boccetta con un unguento a base di Athelas.
«Sapevo che mentivi.» sussurrò una voce poco distante da lei.
«Sto bene.» negò la ragazza appoggiando il tappo della boccetta sulla pietra, mentre un movimento si faceva largo nel suo campo visivo.
Thorin le si avvicinò in silenzio, osservando la ferita, e si sedette di fronte a lei. Mormoravano appena per non svegliare gli altri ma riuscivano perfettamente a sentirsi data la distanza inesistente che li separava.
«Non mi sembra.» disse lui, serio. «Quel mannaro ti ha morso e tu non hai detto una parola.»
Lei alzò le spalle, indifferente, e cominciò a ripulire la ferita dal sangue usando un po’ d’acqua. «Non era grave. Guarirà.»
«Hai rischiato di cadere, oggi.» la riprese lui.
«Avrei rischiato comunque.» lo corresse lei con lo stesso tono distaccato di prima.
«Perchè?» chiese il nano.
«Ho speso troppe energie.» disse semplicemente la ragazza.
Il nano la osservò in silenzio per qualche secondo prima di capire. «La luce bianca eri tu.» disse sorpreso. «Li hai salvati tu.»
«Un incantesimo scudo. Ci ha avvolti tutti in una specie di bolla protettiva. Non pensavo mi avrebbe risucchiato tanta energia, era da un po’ che non lo usavo.» spiegò la ragazza.
«E hai rischiato comunque per il mezzuomo.» osservò il nano.
«Lo avresti fatto anche tu.» lo sorprese lei.
«Non ne sarei così sicuro.» negò Thorin.
«Oh, ma io lo sono.» disse Lumbar convinta. Allungò la mano per prendere l’unguento e spalmarlo sulla ferita prima di bendarla ma il nano la anticipò. «Cosa fai?» si allarmò.
Thorin non rispose, limitandosi ad afferrarle delicatamente il braccio ferito e ad avvicinarlo a sè per spalmare l’unguento sul morso del mannaro, sotto il suo sguardo attento. Era estremamente leggero ed entrambi rabbrividirono a quel contatto, riuscendo a nasconderlo perfettamente. Thorin ogni tanto la osservava di sottecchi, trovandola intenta a fissare ogni sua singola mossa con quegli occhi particolari che sentiva di avere già visto e che gli trasmettevano una strana sensazione. Purtroppo non riusciva a vedere altro del suo volto a causa del cappuccio.
Una volta finito di spargere l’unguento, il nano prese la benda e cominciò ad avvolgerla lentamente attorno al braccio, cercando di non farle male. Una volta terminato la fissò con un nodo, poi chiuse la boccetta e gliela porse restando in silenzio. Lumbar la rimise dentro la borsa insieme alla benda sporca di sangue, l’avrebbe lavata al primo ruscello che avrebbero trovato sul cammino.
«Non eri obbligato a farlo.» gli disse, rilasciando lentamente il respiro che non si era accorta di aver trattenuto.
«Neanche tu.» rispose il nano.
Lei aprì la bocca per ribattere ma la richiuse, non capendo se si riferisse a quel giorno o all’attacco dei mannari. «Ti sbagli, invece.» disse alla fine ripensando agli anni passati. Lui la osservò aspettando una spiegazione che sapeva sarebbe arrivata, anche se non completa. «Te lo dovevo, Thorin, anche se tu non lo sapevi.»
«Perchè?» chiese lui tranquillo, nonostante la confusione. Aveva la netta impressione che gli sfuggisse qualcosa. Qualcosa che riguardava quella ragazza.
Lei sospirò.
«È una lunga storia. E non è il caso di raccontartela adesso, devi riposare.» disse soltanto.
«Perchè?» domandò nuovamente lui, volendo delle spiegazioni.
«Perchè non capiresti.» rispose sincera. «Non sei pronto. E quando lo sarai mi odierai, come tutti gli altri. Sono tante le cose che non sai di me, Thorin Scudodiquercia, ma un giorno le conoscerai. E temo che quel giorno arrivi troppo presto per entrambi.»
Il nano era confuso ma non ribattè, limitandosi a stendersi sulla pietra rivolto verso il suo corpo. Lumbar assecondò il suo silenzio, appoggiandosi con la schiena alla parete di roccia dietro di lei e chiudendo gli occhi pensierosa. Troppe cose stavano cambiando, e troppo velocemente. Temeva che la Terra di Mezzo non fosse pronta a ciò che sarebbe venuto. Le sue visioni parlavano chiaro, dopotutto.
«Perchè non dormi?» la voce del nano la distrasse dalle sue riflessioni.
«Potrei farti la stessa domanda.» disse lei rimanendo con gli occhi chiusi.
Dopo un silenzio che le fece pensare che lui non avrebbe risposto, lo fece. «Sogni.»
«Incubi?» chiese.
«Non esattamente.» disse il nano con uno strano tono che le fece aprire gli occhi per osservarlo. Lui aveva già lo sguardo puntato su di lei, la studiava, e aveva la fronte aggrottata. «Sembrano ricordi di una vita che non è la mia. Versioni diverse di una storia che credevo di conoscere.»
Un lampo passò nella mente della ragazza, non credendo a quello che sentiva. Era impossibile una cosa del genere. Nascose il suo turbamento, non volendo mostrarlo al nano.
«Erano versioni belle o brutte?» chiese piano, temendo la risposta.
«Entrambe. Dipende dalla storia che rappresentano.»
Solo in quel momento si accorsero dei movimenti dello hobbit, che si stava avvicinando all’imboccatura della grotta con il suo zaino sulla schiena e la sua piccola spada legata al fianco. Ascoltarono il suo scambio con Bofur: Bilbo stava dicendo che sarebbe tornato a Gran Burrone, spinto anche dalle parole che Thorin gli aveva rivolto, e Bofur cercava di convincerlo a non andare.
«Hai esagerato.» mormorò la ragazza al nano al suo fianco, senza distogliere lo sguardo dai due.
«Tu credi?» disse scettico lui.
«Io penso solamente che quel piccolo hobbit avrà una parte più importante di quanto pensi in questa storia, ma sei libero di non credermi.»
Bilbo zittì Bofur con una frase pesante, secondo cui loro non avrebbero potuto capire cosa voleva dire avere nostalgia di casa perchè erano abituati a non appartenere a niente, attirando nuovamente il loro silenzio. Potevano sentire il suo rammarico per aver detto quelle parole e il suo debole tentativo di scusarsi. Bofur rispose al mezzuomo con voce sconsolata che aveva ragione, loro non appartenevano a niente, e Thorin le lanciò un’occhiata triste.
Lei gli strinse una mano con la sua, solidale. Sapeva come si sentivano. Lui ricambiò la stretta, aggrappandosi a lei come se da quello dipendesse la sua vita. Poi la ragazza venne distratta da qualcosa che aveva colpito il suo udito e si irrigidì. Thorin lo notò subito e si irrigidì a sua volta, mentre Bilbo estraeva di qualche centimetro la sua spada mostrando che la lama era diventata blu, segno di pericolo. Lumbar si alzò velocemente separandosi dal nano e rivolgendo gli occhi verso il basso; il suono, infatti, proveniva da sotto di loro. Una crepa si aprì vicino a lei e Thorin, per tutta la lunghezza della grotta, e la sabbia che ricopriva il pavimento cominciò a caderci dentro.
«Svegliatevi.» disse Thorin mettendosi in piedi di scatto. «Svegliatevi!»
Nel momento in cui i nani cominciarono a riprendere conoscenza le pietre sotto di loro si inclinarono, facendoli precipitare urlanti in un grande scivolo di pietra. Finirono uno sull’altro in una gabbia all’interno di un’ampia grotta illuminata da diverse torce, e si ritrovarono nuovamente sul bordo di un precipizio, con Bombur in cima a schiacciarli per bene. Non fecero in tempo a capire dove erano finiti che una moltitudine di goblin - piccoli, agili e disgustosi esseri dalla pelle grigiastra imparentati con gli orchi - arrivò correndo e prese a spintonarli, trascinarli, morderli e quant’altro attraverso un gran numero di ponticelli di legno e impalcature che creavano un passaggio sospeso nel vuoto che attraversava quell’enorme caverna umida e illuminata dalle torce. Li condussero fino a una vera e propria città brulicante all’interno della montagna, una città che Lumbar conosceva bene.
«Oh, maledizione!» sibilò attirando l’attenzione di Thorin. «Mai che ce ne vada bene una.»
«Sai dove siamo?» le chiese bisbigliando mentre i goblin continuavano a strattonarli verso un’impalcatura abbastanza grande al centro della città.
«Sì, e non mi piace per niente.» disse lei confermando i suoi dubbi. Avrebbero fatto fatica ad uscire da quel posto. «Qualunque cosa accada, tieni segreta la tua identità.» aggiunse sorprendendolo.
Quegli esseri schifosi li raggrupparono davanti a quello che sembrava un trono su cui sedeva un grosso e grasso goblin, molto più grande degli altri, che aveva una cicatrice sul volto flaccido, in testa portava una corona di ossa e in mano teneva uno scettro con un teschio. Quegli esserini ammucchiarono le loro spade e asce a pochi passi di distanza e gli lasciarono spazio.
Il re dei goblin scese dal suo trono con un tonfo. «Chi è stato così sfrontato da entrare armato nel mio regno?» chiese osservandoli dall’alto della sua statura. «Spie? Ladri? Assassini?»
«Nani, vostra Malevolenza.» rispose un goblin. «E una donna.»
«Nani?» chiese sconcertato il re ignorando la seconda parte, probabilmente ritenendola poco importante.
A Lumbar andava più che bene. Più tempo la ignorava, meglio era per tutti.
«Trovati nel portico anteriore.» aggiunse lo stesso goblin.
«Ah, non statevene lì impalati!» ruggì il loro re. «Perquisiteli!» i goblin si misero subito all’opera, tastando ogni centimetro dei loro corpi e portando loro via ogni lama nascosta, ammucchiandole poi insieme alle altre. «Ogni fessura. Ogni crepa.» continuava il re dei goblin. Uno di loro appiattì persino l’apparecchio che usava Oin per sentire.
Una volta terminata la perquisizione il re chiese. «Che cosa ci fate da queste parti?»
Lumbar aveva fatto capire chiaramente a Thorin di mentire ed erano riusciti a passare la parola anche agli altri, facendo così in modo che nessuno di loro rispondesse al Grande Goblin.
L’essere si spazientì. «Parlate!»
Nessuno di loro emise un fiato.
«Molto bene.» disse, alla fine, il re dei goblin. «Se non vorranno parlare, saremo costretti a farli strillare!» esclamò facendo gioire tutti i suoi sudditi, che osservavano la scena da alcune impalcature rialzate sparse nella città. «Portate qui il maciullatore. Portate qui lo spezzaossa.» a ogni frase un coro di giubilo si alzava dai goblin. «Cominciate con i più giovani.» concluse indicando Ori, che era davanti a lui.
Thorin stava per farsi avanti ma Lumbar gli poggiò una mano sulla spalla con un sospiro, facendolo voltare. Non avrebbe mai permesso che quegli esseri facessero del male a lui o agli altri, anche a costo che quell’essere la vedesse.
Con ancora la mano sulla spalla di Thorin, gli sussurrò nuovamente le parole “qualunque cosa accada” toccandosi la tempia con la mano libera; gli strinse la spalla per un secondo poi si fece avanti, passando in mezzo ai suoi compagni e attirando l’attenzione del re dei goblin.
«Aspetta.» disse.
Fu sufficiente quella parola a far gelare la caverna. Il re dei goblin, ora, la osservava attentamente, come se le stesse prendendo le misure. Non ci mise molto a capire chi fosse, dopotutto conosceva bene quella voce.
«Tu?» disse incredulo. «Dovresti essere morta!» sbraitò contrariato.
«Ti sembro morta?» chiese lei, fingendosi tranquilla.
Doveva mantenere la calma e guadagnare tempo. Non aveva abbastanza energie per l’incantesimo che li avrebbe tirati fuori da quella situazione ma aveva lanciato un messaggio mentale a Gandalf dicendogli di sbrigarsi e fortunatamente lo stregone era abbastanza vicino da permetterle quella strategia.
«Come osi venire qui?» chiese il re dei Goblin disgustato e, allo stesso tempo, irritato dalla sua calma. «Come osi dopo tutto quello che hai fatto?»
«Ma come?» disse lei fintamente sorpresa. «Non mi ringrazi? Dopotutto ti ho reso più bello.» disse riferendosi alla cicatrice che gli deturpava il volto.
Era stata lei a fargliela qualche anno prima della morte di Thrain, dopo uno sfortunato incontro in quella stessa grotta che sperava avrebbe evitato di ripetere.
«Tu, ragazzina, hai tentato di uccidermi!» sibilò lui arrabbiato.
Lei alzò le spalle noncurante, ignorando con una smorfia l’appellativo che aveva usato. Era più vecchia di lui, accidenti.
«Tu no?» domandò annoiata. «La cosa è stata reciproca, se non ricordo male. E io non ricordo mai male.»
Il re dei goblin cominciò ad agitarsi. Quella donna lo stava mettendo in ridicolo davanti alla sua gente, non poteva lasciar passare un simile affronto.
«Che cosa ci fai con una banda di nani, Lumbar?» le chiese mellifluo cercando di farla parlare. Non aveva mai capito chi fosse in realtà, e questo era un bene.
Lei alzò nuovamente le spalle. «Una scampagnata. Sono simpatici, sai?»
La sua ironia pungente stava tenendo l’attenzione dei goblin solo su di lei ed era quello che voleva. Finchè non se la fossero presa con i nani potevano fare quello che volevano. Nessuno avrebbe toccato i suoi compagni.
«Tu…» ringhiò il Grande Goblin al limite della pazienza. «Prendetela.» ordinò ai suoi, che si avvicinarono al gruppo tentando di immobilizzarla e avvicinarla al loro capo.
I nani cercarono di impedirlo ma lei non si oppose anzi, si voltò nella loro direzione, gli fece l'occhiolino sorridendo rassicurante e lasciò che i goblin la immobilizzassero per le braccia e la facessero avanzare.
Il re dei goblin era un essere particolarmente alto, oltre che particolarmente brutto. Torreggiava su di lei mentre la studiava con quei suoi piccoli occhi maligni. Lei non cedeva di un millimetro, per niente intimorita da lui. Anzi, aveva un sorrisetto sfrontato sulle labbra.
«Potresti allontanarti un po’?» chiese con tono innocente e una smorfia disgustata sul volto. «Sai, il tuo odore non è dei migliori. Se proprio devo morire non vorrei farlo soffocata.»
Il re dei goblin sbattè furioso lo scettro sul legno della piattaforma, quella ragazza lo aveva stancato, e si rivolse a suoi sottoposti.
«Frustatela!» ringhiò. «Voglio sentire le sue urla.»
I nani cominciarono a gridare tentando di ribellarsi, ma non potevano fare niente. Thorin era combattuto: non sapeva se fare quello che Lumbar gli aveva detto o intromettersi e impedire che la ferissero. Non fece in tempo a decidersi che nella caverna calò nuovamente il silenzio. Osservò la scena, cercando di capire cosa fosse successo, e solo quando rivolse la sua attenzione sulla ragazza si accorse che i goblin le avevano tolto il cappuccio,  abbassato la camicia e allentato il corsetto per liberarle la schiena.
Fu in quel momento che capì cosa li avesse paralizzati: lunghi e lisci capelli neri e bianchi facevano mostra di sè, quasi illuminando lo spazio intorno a lei; il nero sembrava assorbire tutta la luce mentre il bianco, seppur in quantità minore, l’opposto. Le ciocche di quella inusuale chioma incorniciavano un paio di orecchie a punta riconducibili agli elfi. Tuttavia non era quello ciò che aveva paralizzato tutti e, stranamente, non paralizzò nemmeno lui, che accantonò la cosa deciso a parlarne in un altro momento. Si concentrò invece sull’oggetto dell’attenzione dei presenti, la schiena: aveva delle grosse e lunghe cicatrici che la percorrevano completamente, sparendo sotto i vestiti; erano dei segni irregolari e il nano non riusciva a capire come potesse esserseli procurati. Si poteva notare anche quello che sembrava il segno di un morso, o almeno una parte. Si chiese, con una certa macabra curiosità, dove fosse finita l’altra fila di denti. Ancora non lo sapeva ma fu proprio quel mezzo morso ad aver paralizzato i loro nemici.
Lumbar voltò la testa di lato, osservando prima i suoi compagni, poi il Grande Goblin.
«Beh? Cosa c’è?» chiese innocente.
Sapeva cosa avevano visto, ma il peggio era nascosto ai loro occhi da un incantesimo.
«Come ti sei fatta quella cicatrice?» chiese inorridito il re dei goblin.
«Quale delle tante?» ribattè lei fingendo di non capire.
«Quella sulla spina dorsale!» ruggì lui, facendo un paio di passi indietro orripilato e riferendosi al segno di denti, l’unica cicatrice che aveva proprio su quella fila di ossa.
Lei si strinse nelle spalle.
«Mi annoiavo.» mentì.
Non avrebbe mai detto la verità. Non lì. Non così. E sicuramente non a lui.
Il re dei goblin cominciò a borbottare tra sè, camminando avanti e indietro a passi pesanti. «Non è possibile.» lo sentivano dire. «Lei è morta. Non può essere sopravvissuta. Lui l’ha uccisa.» e continuava ignorandoli.
«Lei chi?» chiese Lumbar, nonostante sapesse bene a chi si riferisse.
Il Grande Goblin smise di fare avanti e indietro e si zittì, squadrandola. «Uccidetela.» disse alla fine. «Non voglio correre rischi.»
La ragazza non fece una piega, mentre i goblin esultavano e i nani ricominciavano a lottare per liberarsi.
«Aspetta!» tuonò la voce di Thorin, facendola irrigidire.
Si voltò verso di lui pregandolo con lo sguardo di non intervenire, ma il nano si fece largo tra i suoi compagni fino ad arrivare davanti al re dei goblin. Era calato nuovamente il silenzio nella caverna.
«Bene bene bene.» disse il Grande Goblin, mentre il nano sosteneva il suo sguardo senza sforzo. «Guarda chi c’è. Thorin, figlio di Thrain, figlio di Thror. Re sotto la Montagna.» simulò un inchino, sbeffeggiandolo. «Oh, ma mi dimenticavo: non ce l’hai una Montagna, e non sei un re. Il che fa di te un nessuno, in realtà.» concluse facendo sghignazzare i suoi sudditi.
«Non hai idea di quanto ti sbagli.» mormorò Lumbar, ancora voltata di schiena ma che li osservava con la testa girata di lato, facendosi udire perfettamente. «Lui è molto più re adesso di quanto tu non sarai mai.» nonostante la sua voce fosse appena un sussurro sembrava lo avesse urlato e i goblin smisero di sghignazzare osservando la reazione del loro re.
I nani, invece si erano rizzati ancora di più e guardavano Thorin con orgoglio, come per confermare le sue parole. Il re dei goblin spostava lo sguardo silenziosamente da Lumbar a Thorin, studiandoli. Nessuno dei due muoveva un muscolo e continuavano a fissarlo con la stessa espressione fiera e determinata.
«Sei davvero lei!» esclamò alla fine il Grande Goblin continuando a spostare lo sguardo da uno all’altra senza sosta, sempre più sorpreso. «Girano tante storie su di te. Su di voi.» disse disgustato e, allo stesso tempo, con un sorrisetto. «Nessuno sa quale sia la verità. Si pensava fosse morta con te. Non credevo ti avrei mai vista, e certamente non con lui.» continuò riferito a Thorin e confondendo il nano, che non capiva cosa mai potesse legarli. La ragazza sapeva che il re dei goblin avrebbe capito chi fosse con quelle parole, ma non se ne curò fino a quando non sentì le successive. «Conosco qualcuno che pagherebbe un bel prezzo per le vostre teste. Solo la testa.» rise, sprezzante. «Nient’altro attaccato.»
Lumbar gelò.
Se prima non era sicura di cosa fosse successo dopo il loro ultimo incontro, ora lo sapeva: erano entrambi sopravvissuti.
«Forse, voi due, sapete di chi sto parlando.» continuò il re rimettendosi dritto mentre i goblin ridevano. «Lumbar dovrebbe. Un vecchio nemico vostro. Un orco pallido a cavallo di un bianco mannaro.»
Lo sguardo di Thorin si riempì  di puro odio. «Azog il Profanatore è stato distrutto.» disse con una furia cieca, ma controllata. «Trucidato in battaglia molto tempo fa.»
«Così credi che i suoi giorni da profanatore siano finiti, vero?» chiese il re dei goblin ridendo. «Lei sa che non è così.» indicò Lumbar che non aveva più detto una parola, poi si rivolse a uno dei suoi. «Invia un messaggio all’Orco Pallido. Digli che ho trovato il suo premio.» quel piccolo schifoso si allontanò su una carrucola ridendo.
La ragazza aveva notato altre ciocche dei suoi capelli diventare nere e uno strano ma familiare malessere l’aveva fatta estraniare dal contesto. Le girava nuovamente la testa, ma si concentrò. C’era qualcosa, nella profondità delle gallerie di quella caverna, di oscuro e potente. Qualcosa di molto familiare.
Nessuno fece molto caso al suo essere assente, troppo concentrati sul Grande Goblin che si era messo a cantare un’orribile canzone in attesa dell’arrivo dell’orco pallido. «Con le ossa distrutte, i colli strizzati, voi pesti e sbattuti sarete impiccati!» gridava mentre dei goblin si avvicinavano con un grande macchinario per le torture. «Quaggiù morirete, nell’oscurità, mai lascerete la nostra città.»
Il terribile canto venne interrotto dal grido terrorizzato di un goblin che aveva estratto la lama di Thorin, e che fece cadere a terra spaventato.
«Conosco quella spada!» disse il re dei goblin saltando sul suo scranno dalla paura. «È la Fendiorchi!» urlò spaventato mentre i goblin si accanivano sui membri della compagnia con bastonate e botte. «Il coltello. La lama che ha tagliato mille colli. Squarciateli! Picchiateli! Uccideteli! Uccideteli tutti!» gridò ai suoi seguaci. «Tagliategli la testa!»
I nani cercavano di difendersi ma i goblin erano troppi. Lumbar, inoltre, era ancora persa in quell’oscurità e i goblin si accanirono contro di lei notando che non reagiva. Un’immensa luce bianca, però, la riportò al presente, allontanando allo stesso tempo i goblin.
Gandalf era finalmente arrivato.
«Imbracciate le armi.» disse ai suoi compagni mentre si riprendevano. «Combattete. Combattete!»
E loro lo fecero. Con un grido si rialzarono e iniziarono a destreggiarsi in mezzo ai goblin.
«Brandisce la Battinemici!» la voce terrorizzata e lamentosa del Grande Goblin superò la confusione. «Il Martello splendente come il sole.»
I nani si passarono le armi e cominciarono a combattere davvero, coprendosi a vicenda. Anche Lumbar aveva ripreso spada, arco, faretra e pugnali e si dava da fare per liberarsi di quanti più goblin possibili.
Con un fendente Thorin fece cadere il re degli goblin dalla piattaforma, mentre Lumbar si avvicinava a Gandalf e gli faceva un cenno con la testa per confermare la direzione che dovevano prendere per uscire da lì il prima possibile.
«Seguitemi.» disse lo Stregone ai nani. «Svelti!» poi si voltò e cominciò a correre.
Gli altri gli andarono dietro, tallonati a loro volta dai goblin che li stavano raggiungendo. Avevano tutta la città alle calcagna.
«Palo!» gridò Dwalin a un certo punto.
Tagliò delle corde e prese una trave di legno, usandola come ariete di sfondamento. Altri nani lo aiutarono e liberarono una passatoia mentre i goblin cadevano nel vuoto: ogni volta che un gruppo di quegli esseri si avvicinava, Dwalin spostava il palo da un lato o dall'altro, quelli venivano spinti nel nulla e loro ne approfittavano per avanzare. Allo stesso tempo un gruppo guidato da Gandalf procedeva su una passatoia sopra le loro teste e lo stregone si faceva spazio a colpi di spada e bastone, imitato dagli altri. Si riunirono al momento di attraversare un lungo e stretto ponticello sospeso nel vuoto, con lo stregone in testa. Una volta dall’altra parte vennero un po’ divisi, ma ognuno di loro si dava da fare per riunirsi con i compagni.
«Tagliamo le corde!» sentirono dire a Thorin.
Lumbar era già pronta dall'altra parte dell'impalcatura che il nano voleva far crollare, così gli fece un cenno e procedettero all'operazione nello stesso momento. L'intelaiatura precipitò sui goblin che tentavano di superare lo strapiombo che li divideva lanciandosi con delle funi e li trascinò nel vuoto. Altri goblin cominciarono a lanciare delle frecce contro Kili, così il ragazzo prese una scala e la usò per imprigionare le loro teste nei buchi tra un piolo e l'altro. Poi li spinse fino a una voragine del pavimento e utilizzò la scala come ponte per ricompattarsi con il gruppo, seguito da alcuni nani. Gandalf era in testa, Thorin dietro di lui e tutti gli altri a seguire. Si muovevano veloci attraverso le impalcature di quella mostruosa città e abbattevano ogni goblin che osava avvicinarsi.
«Via via via!» gridò lo stregone mentre camminavano su un altro ponticello.
Tuttavia questo era senza via d’uscita a causa di una parte considerevole che aveva ceduto. Lumbar, allora, tagliò le funi che reggevano il loro pezzo del ponticello alla base.
«Attenzione!» disse per metterli in guardia.
Il ponticello ai avvicinò all'altra sponda e alcuni di loro riuscirono a saltare giù. Purtroppo il ponticello tornò indietro e dei goblin riuscirono a salire costringendo gli altri a riprendere il combattimento. Fortunatamente al secondo tentativo scesero tutti e tagliarono le corde rimaste. Le assi del ponte caddero insieme ai goblin e loro guadagnarono qualche secondo, riprendendo la corsa inseguiti come non mai. I goblin spuntavano da ogni parte e a un certo punto Gandalf staccò un enorme masso e lo usò per liberare la strada, schiacciando diversi goblin sul sentiero davanti a loro. Continuarono a correre senza fermarsi, fino a quando il re dei goblin non spuntò al centro di un ponte che stavano attraversando, bloccando loro la strada.
«Pensavi di potermi sfuggire.» disse a Gandalf tentando di colpirlo con il suo scettro.
Il Grigio schivò, mentre gli altri si voltarono per tenere d’occhio i goblin che li avevano circondati.
«Che intendi fare, ora, Stregone?» lo provocò il Grande Goblin.
Mentre i suoi compagni si difendevano dai goblin, Gandalf affrontò il re: lo colpì a un occhio con il bastone facendolo indietreggiare e lamentare, poi gli tagliò la pancia con un fendente della spada e il re dei goblin si inginocchiò.
«Sarò sconfitto.» osservò.
Gandalf gli tagliò la gola.
Il peso del suo corpo distrusse il ponte, e la compagnia precipitò in uno dei tanti baratri di quelle caverne. Si tennero stretti a vicenda e al legno del ponte per non cadere, molti di loro urlando, e distrussero altre intelaiature nella scivolata verso il fondo. A un certo punto la gola si restrinse fino a far rallentare quel che restava dell'impalcatura, che si schiantò al suolo senza produrre ulteriori danni sul gruppo.
«Beh, poteva andare peggio.» disse Bofur, che si beccò un pezzo di legno in testa da parte di Lumbar. «Che ho detto?» chiese sconcertato.
La ragazza non fece in tempo a rispondere che il corpo del Grande Goblin atterrò su di loro, schiacciandoli sotto le proteste e le imprecazioni dei nani.
«Vorrai scherzare?» disse Dwalin mentre cercava di liberarsi dalle macerie.
«Mai dire che potrebbe andare peggio!» disse Lumbar, distesa ancora immobile sulla schiena. «Perchè andrà sicuramente peggio.»
«Abbiamo notato.» mormorò Kili, tentando di riprendersi.
«Colpa di Bofur.» finì candidamente la ragazza voltandosi su un fianco prima di cominciare a tossire. La sua mano si sporcò di rosso.
«Gandalf!» l’urlo di Kili li mise in allarme.
I goblin stavano arrivando. A migliaia.
«Sono troppi, non possiamo combatterli.» disse Dwalin sorreggendo Nori.
«Una sola cosa ci salverà.» disse Lumbar pulendosi dal sangue che aveva appena tossito e rimettendosi in piedi a fatica. «La luce del giorno.»
«Muovetevi!» li spronò Gandalf aiutando gli ultimi ad alzarsi mentre la ragazza faceva strada.
Lumbar li condusse attraverso dei cunicoli. Sentiva l'aria pura avvicinarsi. Erano a pochi metri dall'uscita, con Gandalf che li incitava, quando un mancamento più forte dei precedenti la fece quasi scontrare contro una parete della montagna, a causa dell'improvvisa oscurità che le calò sugli occhi. La respinse con decisione, affidandosi agli altri sensi per condurre fuori i suoi compagni. Riusciva, infatti, a sentire il profumo degli alberi e della notte.

 
   
 
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