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Autore: Signorina Granger    13/05/2021    12 recensioni
INTERATTIVA || Iscrizioni Chiuse
21 Dicembre 2019.
Due Auror, a seguito di una missione in Germania, salgono su un treno che da Berlino li porterà a Nizza, in Francia. I loro piani e quelli degli altri passeggeri vengono però sventati completamente quando sul lussuoso Riviera Express viene rinvenuto il cadavere di una donna. Fermato il treno in mezzo ad una bufera, il Ministero tedesco, d’accordo con quello britannico, assegna ai due il compito di rivolvere il caso trovando il colpevole che, di certo, viaggia sui loro stessi vagoni.
[Storia liberamente e umilmente ispirata a “Assassinio sull’Orient Express” di Agatha Christie]
Genere: Comico, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Maghi fanfiction interattive, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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Capitolo 9 – Buona vigilia!
 
 
“Allora, pensate di riuscire a tenere a freno il vostro… Emh… spirito natalizio giusto in tempo per questo interrogatorio? Vi prometto che dopo per oggi avremo finito, quindi potrete anche saltellare in giro vestiti da elfi, per quanto mi riguarda.”
Attorcigliandosi distrattamente una ciocca attorno al dito Clodagh asserì che di certo con i suoi capelli sarebbe stata la migliore elfa in circolazione, e James – che indossava il suo amato maglione coperto da omini di marzapane – sorrise e promise al collega che si sarebbero impegnati al massimo.
“Bene, allora faccio entrare Finn. Certo che mi sento un po’ ridicolo a fare il serio in questa stanza, adesso…”
Asriel si alzò e raggiunse l’ingresso del vagone guardandosi attorno con vivo scetticismo: i passeggeri – aiutati dai suoi colleghi, ovviamente – avevano letteralmente trasformato il vagone, che ora somigliava particolarmente al laboratorio di Babbo Natale ed era pieno di ghirlande e festoni. Clodagh si disse in disaccordo e asserì che ora il vagone aveva “molto più carattere” prima di darsi il cinque con James, e ad Asriel non restò che alzare gli occhi al cielo, scuotere la testa e aprire la porta.
Finn lo aspettava fuori, le braccia strette al petto, un’espressione torva sul volto e l’aria di chi preferirebbe trovarsi in qualsiasi altro posto.
“Ciao Finn. Vieni pure, non… non badare alle decorazioni.”
Finn seguì l’Auror all’interno del vagone – astenendosi dall’informarlo di essere stato costretto a dare una mano a decorare – e quando incrociò lo sguardo dell’ex compagno di scuola Asriel accennò appena percettibilmente ai colleghi prima di scuotere la testa.
“Siediti pure.”
Asriel gli fece cenno di sedersi davanti al tavolo che avevano occupato e Finn obbedì, spostando lentamente lo sguardo da Clodagh a James – che stava scegliendo quale penna usare tra quella con il pupazzo di neve, quella con la renna e quella col bastoncino di zucchero – mentre anche l’Auror tornava a sedersi.
“Posso parlare io o dici che nemmeno lui riuscirà a comprendermi?”
Clodagh si rivolse ad Asriel accennando ironicamente all’interrogato, che aggrottò la fronte e informò la strega di essere cresciuto in Irlanda a sua volta.
“Fantastico, allora se a te va bene parlo io.”
Clodagh sfoderò un sorriso allegro e Asriel annuì prima di mettersi comodo sulla sedia: si appoggiò allo schienale e incrociò le braccia al petto osservando il suo vecchio compagno di scuola con curiosità, chiedendosi che cosa lo avesse portato su quel treno. Conosceva le risposte di molte delle domande che Clodagh gli avrebbe fatto, ma era sinceramente curioso di sapere che cosa ci facesse lì Finn Murphy.
Nel mentre James aveva scelto di usare la penna con la renna, e rivolse un cenno a Clodagh prima che la strega, facendosi improvvisamente seria, intrecciasse le dita delle mani tra loro per rivolgersi a Finn.
“Allora… mi dice il suo nome completo, per favore?”
“Finn Amine Murphy.”

 
*

 
“Oscar, mi racconti qualcosa della mamma?”
Da quando Nolan Murphy era rimasto vedovo, quattro anni prima, il mago non aveva mai risposto a nessuna delle domande dei figli sulla defunta moglie. 

Finn, il piccolo di casa, non aveva nemmeno avuto modo di conoscerla: Hafsa era morta pochi giorni dopo averlo partorito, e al piccolo mago erano rimaste solo alcune foto di quella bellissima e sorridente strega dalla pelle color caffellatte a cui tanto somigliava e i ricordi sbiaditi dei suoi fratelli maggiori.
Tuttavia Roy, il primogenito, non rispondeva mai alle domande del fratellino: il padre non amava che si parlasse della moglie ed era solito scacciare Finn in malo modo quando il bambino gli si avvicinava chiedendo qualcosa sulla madre. Finn aveva allora iniziato a rivolgersi speranzoso ad Oscar, più grande di lui di cinque anni e di indole molto più dolce e mite rispetto al fratello maggiore.
Avvolto nell’oscurità della camera che condividevano, Finn cercò di sporgersi il più possibile verso il letto inferiore del letto a castello stringendo un orsetto di peluche al petto. Oscar, che dormiva sotto di lui, sospirò stancamente prima di mormorare qualcosa che il fratellino si sentiva ripetere di continuo da che aveva memoria:
“Non può mancarti qualcuno che non hai conosciuto, Finn.”
“Non è che mi manca, voglio solo sapere qualcosa! Tu e Roy ve la ricordate e io no, non è giusto!”
“Ero piccolo quando è morta, non mi ricordo tanto. Era gentile, ci dava sempre tanti abbracci e tanti baci… anche papà era più gentile quando c’era la mamma.”
Finn si rimise supino sul materasso e fissò il soffitto buio cercando di immaginare ciò che Oscar stava dicendo: suo padre era quasi sempre di cattivo umore e pronto a sgridarli, immaginarlo “gentile” era davvero difficile.
“Forse papà non parla della mamma perché manca anche a lui.”
“Forse sì. Roy dice che è morta perché sei nato tu, ma papà non dice mai niente.”
A quattro anni, Finn non capiva come potesse la sua nascita aver ucciso la sua mamma: sporgendosi nuovamente dal letto, il bambino sbraitò al fratello maggiore che non era stata colpa sua e poi si rimise disteso premendo il visino contro il cuscino per nascondere le lacrime, restando ostinatamente in silenzio finchè entrambi non si addormentarono.

 
*

 
Il gatto rosso sedeva tranquillo sul pavimento, leccandosi una zampa.
Poteva farcela, doveva solo mantenere la calma. Non fare movimenti bruschi.
Mordendosi il labbro inferiore, Delilah si chinò avvicinandosi lentamente al gatto, che alzò la testa e la osservò curioso con i grandi occhi chiari.
“D’accordo piccolo, voglio solo accarezzarti… ti prego, sii buono… sei tanto carino, fai il bravo…”
Scottish la osservò senza muovere un muscolo, ma quando la mano della strega stava per sfiorarlo – e Delilah si era appena permessa ingenuamente di sorridere per la riuscita del suo intento – il micio scattò, facendo un balzo di lato dopo averle graffiato la mano.
“AHI! Ma perché mi graffiate tutti, CHE COS’HO CHE NON VA?”
Insomma, chiedeva solo di poter accarezzare un tenero gattino. Era forse chiedere troppo dalla vita?
La strega si mise sconsolata a sedere sul pavimento mentre Scottish correva verso Lenox, appena rientrato dopo aver fumato una sigaretta. L’ex Corvonero guardò confuso il gatto, che si mise dietro di lui, e poi la strega seduta sul pavimento e il vistoso, lucido graffio che le adornava la mano destra.
“Ti ha graffiata?”
“Già…”  Delilah annuì sbuffando mentre Lenox, invece, spalancava stupito gli occhi chiari prima di tornare a guardare il gatto: Scottish non aveva mai graffiato nessuno, prima di quel giorno.
“Mi… mi dispiace moltissimo, non so cosa gli sia preso, non lo ha mai fatto prima. Cattivo, Scottish!”
Lenox si rivolse al micio col tono più severo di cui era capace, e Scottish lo guardò abbassando le orecchie mentre Delilah si rialzava in piedi rassettandosi i pantaloni neri:
“Tranquillo, non è il primo e di sicuro nemmeno l’ultimo. I gatti mi odiano!”
“Sono sicuro che non è possibile…”
“Sì invece, mi graffia ogni gatto che incontro! Qualcuno deve avermi fatto una maledizione quando ero piccola… e sì che dal Manzo Apocalittico si fanno tutti coccolare, questi infami…”
Delilah aggrottò la fronte, pensierosa, e si chiese se per essere amati dai gatti non si dovesse essere muscolosi e prestanti come l’Auror mentre Lenox, invece, la guardava aggrottando le sopracciglia:
Manzo Apocalittico… Ah, Asriel! Sì, lui ha sempre avuto un debole per i gatti.”
Ripensando agli anni ad Hogwarts, quando il compagno di scuola si fermava ad accarezzare ogni gatto che incontrava sulla sua strada, Lenox non riuscì a trattenere un sorrisetto mentre Delilah, invece, incrociava stizzita le braccia al petto:
“Anche io, ma io ricevo graffi invece di affetto. Brutti ruffiani. E non posso nemmeno bere un caffè per consolarmi… chi stanno interrogando adesso?”
“Credo Finn Murphy.”
“Praticamente l’unico non gattaro del treno, insomma.”

 
*

 
“Sono cresciuto in Irlanda con mio padre e i miei fratelli. Mia madre è morta pochi giorni dopo la mia nascita, non l’ho mai conosciuta.”
Finn parlò senza guardare direttamente gli Auror, gli occhi chiari fissi con insistenza su una luccicante ghirlanda color argento e la gola annodata come accadeva sempre quando parlava della sua famiglia. Sopra ad ogni cosa, il mago non sopportava di parlare della madre: quando menzionava il non averla mai conosciuta c’era sempre un fugace cambiamento nel suo interlocutore, che almeno per un istante si mostrava sempre colpito per le sue parole e lo guardava quasi con compassione.
Odiava quello sguardo. Fin da quando era bambino.
“E prima di salire sul treno cosa faceva?”
“Ero a Berlino per lavoro.”
“Ovvero?”
“Un tour di conferenze. Non ero solo, viaggiavo con una mia amica e collega, potete scrivere a lei e chiederle una conferma.”
Finn parlò senza battere ciglio, restando impassibile e senza mostrare alcuna emozione particolare. Per quanto si sforzasse, non era mai riuscito a perdere quell’abitudine che suo padre gli aveva inculcato a forza fin da quando era piccolo.
Guardò Clodagh aggrottare leggermente la fronte, e chiedergli perché la sua collega non lo avesse seguito. A quella domanda Finn esitò, ma infine ripeté esattamente ciò che si era prefissato di dire:
“Lei si è spostata verso la Polonia per una conferenza a Cracovia, mentre io ho ovviamente preso il treno per la Francia.”
“E perché vi siete divisi?”
“Abbiamo convenuto fosse meglio così. Per risparmiare tempo.”
Finn ricambiò lo sguardo di Clodagh senza battere ciglio, impassibile. James scriveva e Asriel lo osservava a sua volta, ma il mago si stava concentrando solo sulla strega evitando di guardarlo.
“Signor Murphy, posso chiederle che lavoro fa?”
Questa volta l’ex Corvonero si permise di abbozzare un sorriso: quella era una domanda molto più semplice a cui rispondere.

“Scrivo.”
 

 
*

 
Finn Murphy aveva 8 anni quando decise che avrebbe odiato profondamente suo fratello maggiore Roy: il ragazzino non faceva altro che disturbarlo, picchiarlo e dargli fastidio, rubandogli e rompendogli i giocattoli e nascondendogli i vestiti.
La cosa peggiore era che suo padre non sgridava mai il primogenito, a detta di tutti il suo prediletto e l’unico dei tre figli a somigliargli caratterialmente. Quanto ad Oscar, lo stesso Finn – per quanto gli volesse bene – aveva iniziato a sgridarlo per il suo lasciarsi maltrattare e mettere costantemente i piedi in testa da Roy.
Lui non sarebbe stato come Oscar, non si sarebbe lasciato trattare in quel modo per sempre. Ma finchè restava un bambino, non poteva nulla contro il fratello di ben sette anni più grande.
“Finn, perché piangi?”
“Roy è uno stronzo, mi ha spinto dalla bici!”
Il bambino, seduto sull’asfalto con ginocchia e gomiti sbucciati e sanguinanti e occhi pieni di lacrime, tirò su col naso e indicò con risentimento il fratello maggiore, che dopo averlo spinto si era defilato ridendo a bordo del suo skateboard.
“Non devi dire stronzo a tuo fratello. E soprattutto non devi piangere per queste stupidaggini. Dai, alzati e soffiati il naso, non serve a nulla frignare.”
Nolan lo prese per le braccia e lo aiutò a rialzarsi prima di ordinargli di rimettere in piedi la bici. Finn obbedì tirando su col naso e cercando di ricacciare indietro le lacrime mentre rimontava sul sellino: non solo odiava dare soddisfazione al fratello maggiore, ma sapeva anche quanto il padre detestasse vedere i figli “fare le femminucce”. Di sicuro Nolan non era il tipo di padre con cui ci si poteva sfogare o parlare di sentimenti.
Spesso essendo il più piccolo Finn era anche il figlio meno considerato, ma assistendo alle sgridate che Oscar riceveva quasi quotidianamente aveva iniziato a considerarla una fortuna.
 

*
 
 
“Scrivo articoli, principalmente… non col mio vero nome.”
“Perché questa scelta?”
Alla domanda di Clodagh Finn abbassò lo sguardo sulle proprie mani, accorgendosi di starsi torturando le dita quasi senza rendersene conto. Il mago esitò, conscio che Asriel conoscesse la risposta e di non poter far altro che dire la verità, così si schiarì leggermente la voce prima di parlare:
“Sono… sono stato ad Azkaban per qualche anno. Immagino capisca che se usassi il mio vero nome sarebbe solo controproducente, per me.”
James smise di scrivere e sollevò la testa per guardare, esterrefatto, l’interrogato. Anche Clodagh sembrò spiazzata da quella rivelazione, e prima di fare un’altra domanda si rivolse ad Asriel, voltandosi verso di lui per parlare con un concitato filo di voce:
“Perché cavolo non mi hai detto che è un ex galeotto?!”
Che Asriel conoscesse bene Finn, Clodagh lo sapeva. Ciò che la strega non capiva era perché il collega non le avesse detto di avere un criminale nella lista dei sospettati: non solo era un’informazione molto rilevante, ma lei e il partner non si nascondevano mai nulla all’interno di un caso. Se non fossero stati nel bel mezzo di un interrogatorio probabilmente Clodagh gli avrebbe fatto la ramanzina e gli avrebbe fatto sapere quanto si sentisse offesa per quell’omissione.
“Chiedigli com’è andata.”  
Asriel non sembrò particolarmente toccato dalla sua domanda, né dal suo sguardo torvo, e la strega sbuffò piano prima di tornare a rivolgersi a Finn, che la guardava come se si fosse aspettato quella reazione: di certo essere reduce da Azkaban non lo aiutava a trovarsi in fondo alla lista dei sospettati, ma non avrebbe potuto negare la verità con Asriel a gestire il caso.
“Perchè è stato ad Azkaban, signor Murphy? E quando è uscito? Vorrei che fosse molto, molto dettagliato.”
“Allora dovreste mettervi comodi, signori. È una storia lunga.”

 
*
 
Finn fu felicissimo di andare ad Hogwarts, una volta compiuti undici anni: era stanco di sentire Roy pavoneggiarsi sbandierando tutto ciò che imparava, e da quando era diventato maggiorenne era diventato ancora più insopportabile, facendo magie davanti a lui solo per indispettirlo.
Roy e Oscar non erano andati ad Hogwarts, ma lui aveva sempre sognato di studiare nella famosa scuola di magia scozzese. Il ragazzino ancora si chiedeva come ci era riuscito, ma aveva finito col convincere Nolan a permettergli di andare, al contrario dei suoi fratelli maggiori. Aveva dovuto fare leva su come, andando a scuola, avrebbe imparato molte più cose. E se avesse imparato di più, sarebbe stato più utile: Finn sapeva come ragionava suo padre, e convincerlo non era stato poi così difficile.
La prospettiva di stare interi mesi lontano da casa non lo spaventava affatto: benchè avesse solo 11 anni Finn sapeva cavarsela da solo già da tempo – suo padre non era certo tipo da stare particolarmente appresso ad un bambino – e l’idea di stare lontano dalle angherie dell’insopportabile e violento fratello maggiore lo rendeva particolarmente entusiasta.
In piedi davanti al finestrino, Finn se ne stava con palmi e naso premuti contro il vetro, entusiasta e affascinato: era buio, ma il castello era illuminato e riusciva finalmente a vederlo. Era enorme, affascinante e bellissimo persino da lontano, e il giovane mago fremeva dalla voglia di vedere com’era all’interno. 
L’unica cosa che ancora non riusciva a capire era ciò che Oscar aveva cercato di dirgli la sera precedente, quando lo aveva preso da parte prima di dormire:
“A scuola non sarà come dice papà, Finn.”
“Che vuoi dire?”
Il ragazzino volse lo sguardo su Oscar con aria interrogativa, ma dal fratello ricevette solo un debole sorriso mesto:

“Lo capirai. Cerca di comportarti bene, d’accordo?”
Chiedendosi di che cosa stesse parlando il fratello Finn annuì, realizzando il significato delle parole di Oscar solo alcune settimane più tardi: dopo aver frequentato le prime lezioni e aver osservato studenti e insegnanti, non gli fu difficile notare quanto quella magia fosse diversa da quella usata dal padre e da quella che Nolan insegnava ai suoi fratelli. Tuttavia tenne i propri dubbi per sé, evitando di farne parola con chiunque: prima di partire Nolan lo aveva preso da parte e gli aveva fatto promettere di non parlare mai con nessuno delle persone che vedeva entrare in casa e di ciò che lui e Roy facevano, e Finn non aveva alcuna intenzione di mettersi nei guai.

 
*

 
“I miei fratelli non andarono ad Hogwarts, mio padre li educò a casa. Insegnò loro… cose che ad Hogwarts non si imparano, diciamo.”
“Intende magia oscura?”
“Sì. Io lo convinsi ad andare dicendogli che sarei stato molto più utile ai suoi affari se avessi avuto un’educazione più completa. Mio padre sfruttava i miei fratelli, e poi anche me, per i suoi traffici illegali. È per questo che sono stato ad Azkaban, mi hanno arrestato a 21 anni.”
Quando Clodagh gli chiese di parlarne più dettagliatamente Finn sospirò – aveva raccontato quella storia così tante volte, nei processi e a Jessa, da perdere il conto –, annuendo quando colse l’occhiata eloquente che Asriel gli rivolse da dietro il tavolo:
“Mi trovavo in Inghilterra, mio padre e i miei fratelli erano in Irlanda quando, ancora non so spiegare come, scoppiò un putiferio: immagino che qualcuno avesse parlato, ma i traffici di mio padre, e di una delle famiglie con cui lavorava, vennero a galla. Mio padre e mio fratello maggiore Roy sono fuggiti subito dal paese con una Passaporta, mentre mio fratello Oscar è stato arrestato. Il giorno dopo sono risaliti a me e ho avuto la stessa sorte. Sono stato ad Azkaban fino al processo, e mi hanno dato 12 anni. Mio padre se n’era andato con tutti i soldi, a me e mio fratello non era rimasto niente per la difesa.”
“E l’altra famiglia di cui parlava prima?”
“I Conrad sono pieni di soldi, se la sono cavata grazie a quelli, come sempre. Il sistema giudiziario fa schifo, se la cava solo chi ha i mezzi per farlo.”

 
*
 
 
“Papà, non posso usare la magia fuori da Hogwarts, mi espelleranno e mi toglieranno la bacchetta per sempre!”
“Lo so benissimo questo, ma è ora che ti renda utile anche tu, non sei più un bambino. Visto che non puoi usare la magia, per ora preparerai le pozioni che mi servono. Intesi?”
Trascinato in cantina dal padre, il ragazzo fece vagare lo sguardo sui tavoli pieni di calderoni arrugginiti, libri rilegati in cuoio dalle pagine ingiallite e gli scaffali pieni di barattoli, bottiglie e fialette. Sapendo di non poter rifiutare Finn annuì, mormorando che avrebbe fatto quello che voleva e ricevendo come gratifica un raro sorriso da parte di Nolan.
Sfogliandoli, a Finn non ci volle molto per realizzare che quei libri contenevano ricette di pozioni che mai avrebbe dovuto preparare ad Hogwarts, vista la loro evidente illegalità. Quando, tornato a scuola dopo le vacanze, il Professor Lumacorno gli fece i complimenti per i grandi progressi fatti rispetto all’anno precedente Finn si limitò a ringraziarlo chinando il capo, chiedendosi che cosa avrebbe detto il professore sapendo la verità.

 
*

 
“Prima ha detto che le hanno dato 12 anni, quindi è uscito prima. Come è successo?”
“Quando ero ad Azkaban ho conosciuto Jessa, è la donna con cui viaggiavo. Faceva la rieducatrice per alcuni detenuti meno pericolosi, e quando le ho raccontato la verità mi ha convinto a tornare a processo. Senza di lei non sarei mai uscito prima del tempo, e non so se avrei mai iniziato a scrivere.”
Citando la strega la voce di Finn si ammorbidì appena, e il mago sfoderò anche un piccolo sorriso che non sfuggì ad Asriel o a James, che accennò in direzione del collega il sorrisetto di chi la sa lunga mentre Clodagh, invece, aggrottava la fronte dopo aver riflettuto sul nome della strega:
“Lei parla di Jessa Freeman la scrittrice?”
“Sì. Prima faceva l’educatrice ad Azkaban.”
Finn si mosse sulla sedia, un po’ a disagio, prima che Asriel si schiarisse eloquentemente la voce. I due ex compagni di Casa si scambiarono un’occhiata e alla fine l’interrogato, cogliendo lo sguardo dell’Auror, sbuffò piano:
“Va bene. In realtà “Sotto la toga” è opera mia… sto scrivendo il seguito, al momento. Jessa si offrì di farlo pubblicare a suo nome per non farmi avere altri guai.”
“Ma i guai li ha avuti lei, con tutte le storie che sono venute a galla.”
La strega parlò inarcando un sopracciglio, scettica, e Finn annuì chinando lo sguardo e stringendo le braccia al petto: a volte avrebbe voluto tornare indietro e impedire a Jessa di mettere il suo nome sul libro, ma la sua amica aveva insistito a tal punto da essere riuscita a convincerlo, alla fine. Per qualche motivo – e con sua grande irritazione – Jessa non solo l’aveva sempre vinta, ma quasi sempre finiva anche col dimostrare di avere ragione.

“Lo so benissimo e mi sento molto in colpa per questo, ma lei dice che le sta bene, che non è un problema. Pensa che l’importante sia fare la cosa giusta, e scrivere una denuncia allo schifo di sistema giudiziario che ci ritroviamo lo è di certo. Gradirei che la cosa non uscisse da questa stanza, se è possibile.”
“Apparentemente non ha rilevanza con il caso, quindi per ora posso assicurarle che ce lo terremo per noi, anche se Asriel sembrava già saperlo…” Clodagh rivolse una seconda occhiata di sbieco ad Asriel, che però fece finta di nulla e la lasciò tornare a concentrarsi su Finn con lo stesso tono pacato:
“A questo punto, Signor Murphy, le chiederei di Alexandra Sutton. La conosceva?”
Finn guardò Asriel, che ricambiò il suo sguardo senza muovere un muscolo. Mai in quel momento lo scrittore maledisse la presenza dell’Auror sul treno: non poteva mentire spudoratamente, non con lui nella stessa stanza.
“… Sì, diciamo di sì.”

 
*

“Finn, devi ascoltarmi… lo dici sempre anche tu che non c’erano prove per arrestarti. Il caso può essere riaperto.”
“Da quando sei un’esperta di legge, Jessa?”
Seduto sulla branda della cella semibuia, Finn parlò tenendo il capo appoggiato contro la parete e gli occhi chiari fissi sull’unica finestra della cella, un piccolo quadrato sbarrato che permetteva ad una debole quantità di luce di illuminare l’interno della stanza.

Dicevano che un tempo, quando a sorvegliare Azkaban c’erano ancora i Dissennatori, l’isola fosse perennemente immersa in forti tempeste e avvolta da un’oscurità quasi perenne. Dopo la fine della guerra e la loro cacciata la vita nella prigione magica era diventata più sopportabile e i detenuti potevano essere inseriti in programmi di riabilitazione. Era così che Finn aveva conosciuto la sorridente Jessa Freeman, un’educatrice che sembrava aver visto qualcosa di buono in lui, dietro l’espressione cupa e i silenzi che caratterizzavano il mago.
“Non lo sono, simpaticone, ma mi sono informata perché ho a cuore il tuo futuro.”
“Commovente da parte tua.”
“Finn, puoi smetterla di fare lo stronzo e chiedere ad Amine se è disponibile per parlare con me?”
Malgrado tutto le parole della strega – che spesso sosteneva come il mago fosse dotato di due facce, il serio e acido Finn e il sensibile, curioso e gentile Amine – lo fecero sorridere, e Finn posò lo sguardo su Jessa prima di scuotere la testa:
“Jessie, mi fa piacere quello che fai per me. Davvero, nessuno si è mai preso così a cuore le mie sorti… ma è inutile. Mi hanno condannato una volta e lo rifarebbero. Solo chi è pieno di soldi riesci ad evitarsi la prigione. ”
“Tuo padre e tuo fratello sono scappati facendo ricadere tutta la responsabilità su di te e su Oscar, e i membri di quell’altra famiglia si sono evitati la prigione solo per l’eccellente difesa che TU non hai potuto permetterti. Come fai ad accettarlo?”
“Sono qui da un anno, non importa a nessuno di me o di Oscar, Jessie.”

L’ex Corvonero sospirò e tornò a guardare fuori dalla finestra con un nodo alla gola mentre Jessa, esasperata, si alzava dalla sedia per avvicinarsi al detenuto:
“Non posso credere che tu ti sia arreso. Non sei arrabbiato per quello che hai passato?”
“Sono arrabbiato da tutta la vita, Jessa. Sono pieno di odio per mio fratello per come mi ha trattato e per mio padre per ciò che ci costringeva a fare praticamente da sempre. Ma a volte penso che in fondo sia anche colpa mia. Potevo rifiutarmi, ma non l’ho fatto. Ho fatto ciò che voleva mio padre.”
“Eri un ragazzino ed era la tua famiglia, che altri potevi fare?”
Finn non rispose e la strega, dopo una breve esitazione, sedette sul bordo dell’estremità del letto. Per un paio di minuti nessuno dei due disse nulla, finchè Jessa non tornò a guardarlo parlando quasi con una punta di compassione:
 “Finn Amine Murphy, da quando faccio questo lavoro ho avuto a che fare con ogni genere di persona… ne ho visti tanti di criminali e posso assicurarti che tu non lo sei. Sei scontroso e antipatico per la maggior parte del tempo, ma un criminale no.”
“Oh, scusami tanto Jessa se stare ad Azkaban non ha incrementato la mia simpatia, scusa davvero.”
“Chiudi il becco e dammi retta: il caso può essere riaperto, lo so per certo. E la tua pena può essere ridotta di molti, molti anni. Forse per Oscar non c’è speranza, e mi dispiace davvero per tuo fratello, ma per te è diverso.”
Finn non rispose, limitandosi ad osservare la strega e a ripensare alla sua famiglia, ai commerci illeciti di suo padre e a tutto ciò che lui, Roy e Oscar erano stati costretti a fare fin da ragazzini. Nolan e Roy se l’erano cavata fuggendo in Brasile, e a pagare le conseguenze di tutte le scelte sbagliate del capofamiglia erano stati lui e Oscar, gli unici a non averci mai creduto. La prospettiva di uscire di prigione mentre Oscar, che non era mai riuscito a sottrarsi alle richieste del padre, avrebbe trascorso in cella tutta la sua giovinezza gli provocava una fastidiosa stretta allo stomaco. Ma era anche stanco di pagare per le azioni della sua famiglia.
“D’accordo. Ti ascolto. Tanto ormai non ho un cazzo da perdere.”
Un largo sorriso si fece strada sul volto di Jessa, che annuì con soddisfazione e si disse felice vederlo “sempre meno zuccone e indisponente”.

 
*

 
E poi le domandavano perché preferisse di gran lunga i cani ai gatti.
Semplice: i cani non rubavano gomitoli di morbidissima e costosissima lama alle povere ragazze innocenti che cercavano solo di fare una sciarpa alla propria nipotina di cinque anni!
“Torna subito qui, quello non è un gioco! Brutto ladro!”
Ailuros, il Maine Coon di Elaine, l’aveva vista fare la maglia, si era avvicinato furtivo al suo cestino e aveva preso un gomitolo color panna prima di darsi alla fuga. May aveva immediatamente abbandonato ferri e aspirante sciarpa e si era data all’inseguimento del grosso felino fino alla I classe.
La strega su fermò in mezzo al corridoio e si guardò attorno mettendosi le mani sui fianchi, chiedendosi sbuffando dove accidenti si fosse cacciato il ladro: ecco un altro punto a favore dei cani, il suo Brutus quando combinava una malefatta era impossibilitato a nascondersi grazie alla sua stazza e aveva l’agilità di una tartaruga.

 
Elaine si chiuse la porta alle spalle ravvivandosi i lunghi capelli rossicci: dopo tutte quelle ore passate chiusa all’interno del treno, aveva avuto proprio bisogno di una boccata d’aria.
La bella cantante sorrise istintivamente quando vide il suo amato micio avvicinarlesi muovendo allegro la lunghissima coda pelosa, e si inginocchiò per accarezzarlo quando Ailuros la raggiunse:
“Ciao tesoro mio… ma… Che cos’hai lì? Fammi vedere.”
Ailuros cercò di ritrarsi, ma Elaine gli prese quasi a forza il gomitolo, che il gatto stringeva mollemente tra i denti quasi fosse un trofeo.
“Ma dove lo hai trovato questo?!”
L’ex Tassorosso aggrottò la fronte prima di fare molto rapidamente due più due: c’era solo una persona su quel treno che poteva avere gomitoli di lana di quel genere. E di certo non era la padrona di uno dei tanti gatti.
“Porca Tosca Ailuros… May mi ammazzerà! Ma non ti ho cresciuto da gentilgatto, io?!”
La strega scosse la testa con disapprovazione mentre si rialzava in piedi, e scoccò un’occhiata severa al gatto nero prima di farle cenno di seguirla. Ailuros obbedì a testa bassa, offeso per aver perso il suo nuovo gioco: la sua umana era davvero noiosa, quel giorno. .
 
*
 
“Io e Alexandra avevamo la stessa età, ho qualche ricordo di lei ad Hogwarts… non mi piaceva molto, era una di quelle belle ragazze che si sentono superiori a chiunque per il loro aspetto. Insomma, non era proprio una persona alla mano.”
Finn parlò accennando una smorfia che Asriel condivise, e James all’improvviso si chiese se non dovesse ritenersi fortunato nel non aver mai avuto a che fare direttamente con la vittima: la conosceva di fama e l’aveva vista in tribunale in qualche occasione, ma da quando avevano iniziato ad interrogare i passeggeri ne aveva sentite di ogni sorta sul suo conto. E tutte storie poco lusinghiere.
“E l’ha più rivista dopo Hogwarts?”
“Beh, lei era un avvocato di successo, io sono stato due anni in cella e poi, prima di scrivere articoli e pubblicare il libro, ho lavorato al Serraglio Stregato. No, direi che non abbiamo frequentato gli stessi ambienti, Signorina Garvey. Ho avuto a che fare con lei solo quando… al processo.”
“Al processo? Ma lei all’epoca aveva 21 anni, non esercitava ancora. Giusto?”
Dubbiosa, Clodagh si rivolse ad Asriel, che annuì prima di parlare a Finn per la prima volta da quando avevano iniziato l’interrogatorio:
“Se non sbaglio stava ancora facendo praticantato. Ed era l’assistente dell’avvocato di quei tizi, giusto?”
“Sì, era l’assistente dell’avvocato dei Conrad, la vidi in tribunale. Era giovanissima, ma era… eccezionale. Non ho mai sentito nessuno parlare in quel modo.”
Era dura ammetterlo, ma Finn sapeva che sarebbe stato un ipocrita a negarlo: in qualche modo Alexandra Sutton la fama di avvocato infallibile se l’era meritata.
 
*


 
“Perché vuoi prendere quel treno per Nizza?”
“Perché la gente prende i treni? Per andare in dei posti, presumo.”
Finn fece per dare le spalle all’amica stringendo il manico del suo bagaglio e con Alfaar appollaiato sulla spalla come sempre, ma la mano di Jessa che gli strinse il braccio lo trattenne: il mago si voltò e rivolse una placida occhiata esasperata all’amica, chiedendole silenziosamente che cosa volesse mentre gli occhi castani di Jessa lo scrutavano attentamente.
“Falla finita. Ti conosco meglio di quanto pensi. So che non me lo dirai, ma so che non prenderesti mai un treno del genere senza motivo. Non fare cazzate, Murphy. Se combini altri casini dopo tutta la fatica fatta per tirarti fuori dai guai, ti prenderò personalmente a calci sul Mare del Nord fino ad Azkaban.”
“Perché sei così convinta che mi metterò nei guai? Non sono nemmeno libero di prendere un treno per andarmene in Francia? Puoi andare in Polonia da sola, Jessa. Oppure torna a casa, decidi tu. Ci vediamo presto in Inghilterra.”
Finn si liberò delicatamente della presa dell’amica, che per nulla convinta mosse comunque un passo verso di lui chiamandolo di nuovo quasi con tono implorante:
“Finn…”
“Non essere paranoica, Jessa. Andrà tutto bene.”
Il mago le concesse uno dei suoi rari sorrisi e la strega si rilassò un poco, ma lo guardò allontanarsi verso la stazione provando una fastidiosa sensazione alla bocca dello stomaco.
Considerava sinceramente Finn un amico e aveva fiducia in lui, ma aveva avuto la sensazione che ci fosse qualcosa di strano per tutto il viaggio. E ora che il mago decideva di punto in bianco di andare in Francia cambiando il loro itinerario senza darle chiare spiegazioni, Jessa non poteva fare a meno di sentirsi all’oscuro di qualcosa.
 
*
 
“Non ha altro da dirci?”
Finn esitò, tre paia di occhi chiari fissi su di lui e pronti a giudicarlo. Per un breve istante quasi si chiese se fosse la cosa giusta da fare, ma finì con l’annuire senza che nessuna emozione particolare gli trapelasse dal volto:
“No, direi di no.”
“Allora puoi andare Finn. Grazie.”
Lo scrittore rivolse un ultimo cenno ad Asriel  prima di alzarsi e uscire dal vagone sentendosi più sollevato rispetto a quando era ci aveva messo piede: per il momento era andato tutto bene.
 
“Asriel, mi dici perché non ci hai detto subito che abbiamo a che fare con un ex galeotto?!”
Finn aveva appena lasciato il vagone quando Clodagh si rivolse al collega con tono di rimprovero, guardandolo torva stringersi nelle spalle:
“Perché so come è andato il processo, so che faceva solo ciò che suo padre gli ordinava. Non per niente quando tornò a giudizio gli accorciarono notevolmente la pena, dandogli solo un altro paio d’anni.”
“Sì, beh… cerca solo di non farti influenzare perché conosci alcune di queste persone.”
Leggermente offesa nel profondo per essere stata lasciata all’oscuro di un’informazione importante dal suo partner – situazione che tra lei e Asriel non si verificava mai – Clodagh riservò al collega un’occhiata eloquente che lo indispettì non poco, portandolo a spalancare gli occhi chiari con lieve indignazione:
“Ma per favore, sai che non lo farei mai.”
Punto sul vivo, Asriel ricambiò lo sguardo dell’amica con un’occhiata piuttosto torva che mise James leggermente a disagio: il modo migliore per indispettire il collega era criticare Zorba o mettere in dubbio la sua professionalità, lo sapeva bene, ma non aveva mai visto lui e Clodagh discutere e la prospettiva di dover fare da paciere tra quei due non lo allettava per niente, così il più giovane del trio si affrettò a sorridere allegro e a prendere la parola:
“Dovremmo proprio andare, dovranno iniziare a preparare la cena e a rimettere a posto i tavoli. Possiamo riflettere su quello che abbiamo raccolto fino ad ora in cabina usando Geraldine.”
“D’accordo, non voglio far tardare la cena.”
Asriel si alzò scostando rumorosamente la sedia sul pavimento e sistemandosi i polsini della camicia bianca sotto lo sguardo divertito di Clodagh, che lo imitò alzandosi prima di mettere da parte lo sdegno e lanciargli un’occhiata eloquente:
“Lo dici perché non vuoi vedere lo chef infuriato o perché hai fame?”
“Entrambe le cose.”
 
*
 
Aveva acquistato il biglietto ed era salito sul treno appena in tempo, ma sulla banchina c’era ancora qualche ritardatario.
Appoggiato contro il finestrino con Alfaar sulle ginocchia e il bagaglio accanto, Finn osservò l’alta strega dai lunghi capelli biondi che le ricadevano in morbide onde sulle spalle in piedi davanti al treno. La valigia di pelle con inserti color oro – che probabilmente costava quanto un biglietto in I classe – accanto, Alexandra fumava quasi con aria annoiata stringendo la sigaretta con il guanto di pelle rossa che le fasciava la mano. Sembrava non rendersi conto dell’imminente partenza del treno, o più probabilmente poco le importava: si limitava ad osservarlo pensierosa tra una boccata e l’altra.
Probabilmente, concluse Finn scrutandola con la fronte aggrottata e le mani strette a pugno, si riteneva troppo importante perché il treno potesse partire senza di lei. Poteva permettersi di farsi attendere.
Quando aveva comprato il biglietto sapeva che l’avrebbe vista a bordo del treno, ma trovarsela davanti faceva tutto un altro effetto.
 
*
 
“May? Penso che questo sia tuo.”
Quando la bionda vide Elaine raggiungerla tenendo un gomitolo di lana in mano e un sorriso colpevole sulle labbra, May sospirò di sollievo e si avvicinò alla cantante per riprenderlo:
“Sì, grazie… il tuo gatto me lo ha preso dal cestino.”
La strega rivolse un’occhiata torva al grosso gatto nero, che ricambiò stizzito – non era abituato ad essere rimproverato dalla sua padrona – da dietro le gambe di Elaine.
“Spero che non la lana non sia troppo rovinata, prometto che Ailuros non lo farà più. Vero piccolo?”
L’ex Tassorosso scoccò un’occhiata ammonitrice al gatto, che ricambiò torvo – no, essere rimproverato non faceva proprio per lui – prima di allontanarsi pieno di sdegno.
“Ecco perché preferisco i cani. Mordono le pantofole, ma almeno la mia lana è sempre sana e salva.”
“Mi dispiace, temo che tu qui sia una dei pochi a pensarla così. Andiamo a prepararci per cena? Sono curiosa di vedere il tuo outfit natalizio.”
Le labbra carnose di Elaine si distesero in un sorriso, e la strega prese May sottobraccio per condurla nella propria cabina mentre l’altra, il gomitolo ancora in mano, sorrideva allegra di rimando:
“Ho in serbo un maglione meraviglioso! Ma sono davvero curiosa di vedere che cosa indosserà James… sono sicura che ci stupirà.”
“Considerando che indossa maglioni natalizi da quando siamo partiti… lo penso anche io.”
 
*
 
Ascolta Ro, non cominciamo a discutere, perché sarebbe inutile. Il MIO maglione è molto più bello del tuo, fine del discorso.”
Delilah, in piedi nel corridoio del vagone della II classe, aspettava fuori dalla sua cabina che anche Ro si cambiasse: la strega aveva deciso di abbondare momentaneamente il total black e per la sera della Vigilia, che ormai si avvicinava, aveva sfoggiato un maglione rosso acceso con trama invernale e un enorme gatto al centro.
“Credi davvero che il tuo maglione col gatto sia migliore del mio splendido ed unico lama natalizio? Sei un’illusa, Fogliolina.”
La strega, che stava mangiucchiando della liquirizia, alzò gli occhi al cielo e esalò un verso di scherno mentre aspettava l’amico stringendo le braccia al petto.
Un paio di istanti dopo la porta della cabina finalmente si aprì, e Ro fece la sua uscita sorridendo allegro e indicando il maglione rosso – con un lama al centro – che aveva indossato per l’occasione:
“Vedi? Hai mai visto forse un lama natalizio? No, e sai perché? Perché è unico ed inimitabile, proprio come me!”
“Oppure perché sei l’unico sciroccato che mette qualcosa con un lama a Natale…”
Delilah sfoderò un sorrisino, ma le sue parole non sembrarono scalfire nemmeno lontanamente Ro, che fece spallucce e la prese sottobraccio senza badarci troppo:
“Tsz, sei solo invidiosa… un gatto natalizio è molto meno originale di un lama!”
“Ma i gatti sono carini, e non sputano in faccia alla gente!”
“In compenso graffiano, però.”
Questa volta il turno di sorridere fu di Prospero, che però cercò in tutti modi di mostrarsi serio e dispiaciuto quando l’amica si portò una mano sul cuore e lo accusò drammaticamente di rivangare quella che per lei era “una ferita aperta”. In tutti i sensi, visti i numerosi graffi che la fotografa sfoggiava sulle mani e sui polsi.
Scusa Fogliolina, hai ragione… non ci pensare, su.”
Il mago la circondò affettuosamente con un braccio cercando di consolarla con il tono più gentile di cui era capace, ma mentre si dirigevano insieme verso il vagone ristorante Delilah scosse comunque la testa e sospirò rassegnata:
“Non è affatto giusto, i gatti del treno si fanno coccolare da tutti tranne che da me!”
“Lo so, lo so tesoro, la vita è proprio ingiusta… Quando torniamo ti regalo un peluche molto realistico, potrai coccolare quello.”
“Beh, meglio di niente…”
 

*

 
“Si può sapere quando arrivano le informazioni che abbiamo chiesto? Senza di quelle non possiamo sapere che ciò che abbiamo appreso dai passeggeri corrisponde al vero oppure no. Che cosa fanno al Ministero, dormono?!”
“Magari stanno avendo difficoltà a reperirle… O magari si tratta di un sacco di informazioni!”
“Fantastico, così avremo fascicoli enormi da leggere… scommetto che a quest’ora Potter, Weasley  e tutto il Dipartimento si sta abbuffando, mentre noi ce ne stiamo qui in mezzo al nulla.”
Asriel, seduto sul proprio letto con Zorba tra le braccia, fissò torvo un punto di Geraldine immaginando la sgradevolissima scena mentre Clodagh, che stava giocando all’impiccato insieme a James su un punto bianco della lavagna, sospirava chiedendosi che cosa stesse facendo la sua famiglia in quel momento:
“Scommetto che mia madre e mia nonna hanno cucinato per un esercito… che invidia. JJ, tu che cosa avresti fatto questa sera?”
Una volta completata la parola misteriosa scelta da Clodagh – assurdo, stava per perdere con il cognome di Asriel, che per quanto strano fosse sentiva pronunciare quasi ogni giorno da anni – James rimise a posto il pennarello blu e si passò una mano tra i capelli chiari mormorando cupo che avrebbe cenato con la sua famiglia.
“Assurdo, sarebbe stata la prima volta… e mi ritrovo bloccato su un treno.”
“Come mai la prima volta?”
“Non credo di aver mai trascorso un Natale con i miei genitori e le mie sorelle tutti insieme… loro sono tutte molto più grandi di me, mia madre le ha avute quando era molto giovane dal suo primo marito, e ormai hanno tutte la loro vita e la loro famiglia. Mia madre quando ero piccolo pensava più alla sua carriera al Ministero che ad occuparsi di un figlio che non aveva pianificato e non era spesso a casa.”
“Mi dispiace JJ.”
Dispiaciuta – e impossibilitata ad immaginare un Natale senza la sua enorme e caotica famiglia – Clodagh sedette sul bracciolo della poltrona che James aveva occupato e lo circondò affettuosamente con un braccio, accennando un sorriso quando il collega più giovane alzò lo sguardo su di lei. Dopo una breve esitazione James la imitò, determinato a non farsi rovinare la sua festa preferita per quanto gli era possibile:
“Beh, quest’anno mi avevano convinto a provarci e a stare tutti insieme, ma evidentemente non era destino. E tu Asriel?”
“Da una parte non posso dire di potermi lamentare: dovevo tornare a Berlino subito dopo la missione per vedere la famiglia di mio padre. Se non altro ho avuto la scusa ideale per evitare di vedere mio cugino Amadeus. L’ho sempre detestato.”
L’Auror parlò sfoggiando una sincera smorfia – realizzando di essersi evitato una riunione di famiglia doveva ammettere di aver quasi gioito, anche se dopo qualche giorno su quel treno iniziava a dubitare dell’euforia iniziale – e continuando a coccolare Zorba, che si godeva felice le attenzioni del padrone lanciando occhiate di sfida ad un’Alpine particolarmente imbronciata e acciambellata vicino a Geraldine.
“Come si fa a detestare un parente stretto?”
“Credimi James, è possibile. Specie quando tuo cugino è solo un borioso idiota senza cervello.”
Imbronciato, Asriel si alzò e iniziò a girovagare per la stanza continuando ad accarezzare distrattamente Zorba e fissando torvo davanti a sé, la sgradevole immagine del cugino impressa nella mente. Mentre ripercorreva mentalmente aneddoti della sua infanzia, James si rivolse a Clodagh in un sussurro appena percettibile:
“Non sapevo avesse un cugino, non parla mai della sua famiglia.”
“Fino alla primavera scorsa non lo sapevo nemmeno io, non gli piace parlarne… ma credimi, ha ragione, l’ho visto al funerale del padre di Asriel. Davvero orribile. In tutti i sensi, credo sia invidioso perché tutta la bellezza e l’eleganza della famiglia è spettata ad Asriel, ma quello zuccone non se ne rende conto.”
Clodagh scosse la testa con aria comprensiva – ricordava benissimo di essersi dovuta trattenere dall’affatturare o dal dare un pugno sul naso al suddetto cugino quando aveva iniziato a dare il tormento ad Asriel quando suo padre era appena stato seppellito – e James udendo le sue parole spalancò inorridito i grandi occhi chiari. Il suo sguardo rimbalzò rapidamente su Asriel (impegnato ad osservare pensieroso le scritte e i disegni che affollavano Geraldine, compreso il suo cognome scritto sotto ad un omino stilizzato e quasi impiccato) e poi tornò sulla collega prima di mormorare qualcosa con tono allarmato:
“Stai dicendo che questo è il suo primo Natale senza suo padre?! Ma è orribile! Dev’essere molto triste!”
“Non ci avevo pensato… hai ragione.”
Deglutendo, Clodagh riportò a sua volta lo sguardo su Asriel sentendosi improvvisamente la gola secca e una fastidiosa sensazione alla bocca della stomaco. Nella frenesia delle indagini e dell’omicidio, non aveva minimamente collegato le due cose. Benchè sapesse bene quanto il suo partner preferisse evitare di parlare di sentimenti o della sua famiglia, all’improvviso si sentì quasi in colpa per non avergli chiesto come si sentisse.
Quando, poco dopo, Asriel distolse la sua attenzione dalla lavagna per rivolgersi ai colleghi trovò entrambi a fissarlo quasi con vaga compassione. Perplesso, l’Auror ricambiò i loro sguardi aggrottando le sopracciglia e chiedendosi se non avesse qualcosa di strano tra i capelli:
“Beh? Perché mi fissate? È ora di cena, andiamo.”
Clodagh e James lo seguirono senza obbiettare e con un tono persino più gentile del solito. All’improvviso, mentre lo prendevano ciascuno per un braccio, Asriel si sentì in dovere di preoccuparsi: di sicuro quei due gli avevano organizzato un pessimo scherzo Natalizio, non c’erano dubbi.
 

*
 

 
“Forza Coco, sono proprio curiosa di vedere la tua mise di Natale.”
In piedi davanti alla porta della cabina dell’amica e tenendo in braccio Loki – che indossava un cappellino da Babbo Natale e sembrava tutto fuorché allegro della cosa(1) – , Clara bussò per la seconda volta invitando Corinne ad uscire con il sorriso sulle labbra: i look natalizi di Corinne erano sempre meglio ogni anno che passava.
Quando finalmente la bionda fece la sua uscita dalla cabina, i grandi occhi scuri di Clara indugiarono sul suo rossetto rosso acceso e sulla parte superiore del vestito dell’amica, nero e piuttosto semplice, con scollo a barchetta e maniche a tre quarti. Fu la gonna a farla scoppiare a ridere, mentre invece l’ex fantina si mise le mani sui fianchi e le rivolse un’occhiata di rimprovero:
“Clara Odette Picard, stai forse sminuendo il mio vestito?”
“No, no, non mi permetterei mai mon amie… trovo che sia fenomenale.”
Sorridendo, Clara accennò alla gonna nera del vestito coperta da immagini di renne, fiocchi di neve e pupazzi, e Corinne lisciò il tessuto con aria sostenuta prima di stringersi nelle spalle:
“Io e la mia famiglia a Natale ci vestiamo sempre coordinati, mia sorella ne ha uno uguale con i disegni sulla parte superiore e mio fratello la giacca. Peccato, saremmo stati davvero carini.”
“Vorrà dire che sarà per il prossimo anno. Ti piace il mio maglione?”
Clara accennò al suo maglione blu, pieno di fiocchi di neve e con al centro un gatto con tanto di fiocco e berretto da Babbo Natale. Corinne guardò prima l’indumento e poi Loki, che sembrava molto contrariato, e domandò all’amica perché avesse conciato il gatto in quel modo:
“Che domande, per essere coordinati! Tu ti coordini con i tuoi fratelli, io con Loki.”
“Ah, certo, perché è esattamente la stessa cosa… comunque, no avevo mai visto un maglione natalizio con un gatto. Solo tu avresti potuto scovarlo.”
Non sapendo se ridere o scuotere la testa con rassegnazione Corinne si limitò a sorridere divertita e a prendere l’amica sottobraccio, che la informò più seria che mai che – Natale o meno – un gatto era come il nero: stava sempre bene con tutto.
 

*

 
Viaggiando e lavorando nel mondo della ristorazione da quando era giovanissimo, Ruven era ormai avvezzo a trascorrere il Natale lontano da casa, soprattutto da quando lavorava su un treno che percorreva lunghe tratte come il Riviera Express.
Ciononostante, ogni anno non poteva fare a meno di sentire comunque la mancanza di sua madre, dei suoi due fratelli minori… e ovviamente di suo padre.
Il servizio era finalmente terminato, e dopo aver cucinato per un esercito e fatto tirare a lucido la cucina Ruven si stava riposando: seduto sul pavimento pulito con ancora la casacca addosso e la bandana arrotolata e legata sulla testa, lo chef si stava finalmente permettendo di cenare.
Neko aveva fatto la sua comparsa alla fine del servizio per cercare di scroccare qualche avanzo, e ora si era accoccolato sul pavimento accanto al padrone godendosi carezze e, di tanto in tanto, un bocconcino.
“Sembra che anche questo Natale saremo solo io e te, vero? Anche se ormai ci siamo abituati.”
Il mago accennò un debole sorriso mentre grattava dolcemente le orecchie del micio, che chiuse gli occhi e miagolò soddisfatto mentre Ruven pensava alla madre e alla sua ultima lettera: quando l’aveva informata di un “contrattempo” e di come il treno sarebbe rimasto fermo per qualche giorno – soprassedendo accuratamente sulla faccenda omicidio – Gela non si era dimostrata particolarmente entusiasta, gli aveva intimato di farle visita una volta tornato a Berlino e soprattutto di smetterla di mandarle ogni mese parte del suo stipendio. Era una filastrocca che Ruven udiva da anni, ma aveva smesso di farci caso e continuava imperterrito a fare di testa propria.
 
“Chef?”
“Sì Adrian?”

Sentendosi chiare Ruven sollevò lo sguardo e lo puntò sul cameriere in piedi sulla foglia della cucina. Il ragazzo indugiò, a disagio, e infine parlò schiarendosi rumorosamente la voce:
“Emh, sa quando ci ha detto di pulire il vagone ristorante quando i passeggeri se ne fossero andati? Beh, non possiamo.”
“Come sarebbe a dire?!”

“Non accennano a volersene andare. Pare che vogliano, emh, fare…”
Il cameriere indugiò, quasi terrorizzato all’idea di pronunciare quella parola davanti al capo, che ridusse gli occhi a due fessure e gli intimò di parlare già immaginando quegli inglesi da strapazzo a mettere a soqquadro il vagone:
“Emh… fare il karaoke.”
“… Beh, se pensano di cantare Jingle Bell nella mia cucina prima dovranno passare sul mio cadavere. Appena finisco qui chiudo a chiave.”
Già immaginava i passeggeri fare razzia nella sua dispensa. Se ci avessero provato, ci sarebbe stato sicuramente un altro cadavere.
 

*
 

 
“Suppongo che tu non prenderai parte al karaoke.”
“No, in effetti la Signorina Garvey mi ha chiesto di fare da giudice. Beh, sarà divertente!”
Seduta sul divanetto a forma di ferro di cavallo che circondava un tavolo, un elegante vestito rosso addosso e un bicchiere di champagne in mano, Elaine sorrise divertita mentre May, seduta accanto a lei, osservava dubbiosa il microfono che Clodagh aveva fatto allegramente apparire dal nulla.
Non sapeva se l’idea di cantare canzoni di Natale davanti a tutti la divertiva o la imbarazzava a morte.
“Tu canti, Prospero?”
Elaine si rivolse con un piccolo sorrisetto a Prospero, che sedeva sull’altro lato del divanetto, e lo guardò rigirarsi il bicchiere tra le dita prima di accennare un debole sorriso a sua volta:
“Sono pieno di doti e di talenti, ma il canto non è tra queste, quindi credo che mi limiterò ad osservare.”
“Oh, no, tu canti eccome. Ho appena segnato entrambi per fare un duetto.”
Delilah – dopo aver incrociato Clara ed essersi scambiate entusiasti complimenti per i loro maglioni natalizi gattari – apparve accanto all’amico con il maglione rosso addosso e una ciotola di popcorn in mano. La strega costrinse con un cenno Ro a farle spazio per sederglisi accanto e l’amico, rassegnato, le lanciò un’occhiata di sbieco:
“E che cosa dovremmo cantare, Fogliolina?”
“Che domande, ovviamente Feliz Navidad.”
L’ex Serpeverde si portò alle labbra una manciata di popcorn sotto gli sguardi perplessi degli altri tre: evidentemente la scelta della canzone era ovvia solo per lei, e Delilah se ne rese conto spostando i grandi occhi nocciola da uno all’altro, chiedendosi sinceramente come potessero non arrivarci.
“Beh, che c’è? È ovvio perché in quella canzone c’è la parola “prospero”! È  perfetta!”
“Ah, certo… perdonaci Fogliolina, non siamo tutti arguti come te.”
“Lo so, lo so, lo posso comprendere. È naturale.”
 
“May, tu che canti?”
“Beh… la canzone di Natale preferita di Pearl è Jingle Bell, credo che canterei quella. Vorrei telefonarle, ma prende da schifo e Asriel ha detto che non possiamo uscire!”
“In che senso?!”
Elaine spalancò interdetta gli occhi verdi e spostò lo sguardo sull’ingresso del vagone pensando ad Ailuros, che aveva lasciato nella sua cabina prima di andare a cena: se fosse rimasto solo lì dentro a lungo di sicuro il suo amato gatto l’avrebbe accolta molto poco felicemente.
May spiegò che Asriel li aveva praticamente chiusi dentro al vagone fino alla fine della serata, e Delilah aggrottò leggermente la fronte mentre spostava lo sguardo sul suddetto Auror, che stava parlando con Lenox dall’altra parte della sala mentre James e Clodagh si godevano i complimenti per i loro sfolgoranti look natalizi.
Rinchiusa in una stanza con Asriel Morgenstern… non so dire se sia una punizione o meno…”
Delilah aveva creduto di averlo solo pensato, ma dovette ricredersi quando Prospero, trattenendo una risata, le si rivolse con aria divertita:
“Come dici Fogliolina?”
“Nulla, nulla, commentavo le decorazioni. Scalda le corde vocali Ro-Ro, dobbiamo assolutamente vincere!”
“Ma se siamo entrambi stonati?!”
“Fa nulla, conta l’impegno!”
 
*
 
“Carino il tuo maglione, Asriel.”
Lenox si portò il bicchiere alle labbra per celare un sorrisetto mentre osservava il maglione azzurro, bianco e rosso che indossava l’Auror: Asriel, sedutogli di fronte, gli lanciò un’occhiata torva e sibilò di non fare commenti mentre si chiedeva cosa avesse fatto di male per meritarsi quel maglione.
“No, sul serio, quando ti ho visto entrare con quello mi è preso un colpo. Dove lo hai preso?!”
“Me lo ha regalato James stasera. Volevo non metterlo, ma Clodagh mi ha costretto per non ferire i suoi sentimenti.”
“La A sta per Asriel immagino.”
Accigliato, Lenox osservò il maglione celeste dell’ex compagno di scuola – mai in vita sua avrebbe pensato di vederlo indossare un colore così chiaro – dotato di una vistosa A, una stella al centro e tanti fiocchi di neve attorno e alberelli attorno. Sulle maniche c’erano anche due scudi rossi, bianchi e blu di dubbia origine.
“In realtà pare che stia per un certo “Captain America” fittizio… James dice che gli assomiglio.”
Dubbioso, Asriel chinò il capo sul maglione che indossava: quando lo aveva visto gli era quasi venuto un colpo, ma Clodagh gli aveva dato un calcio sotto al tavolo ed era stato costretto a sorridere per celare il dolore allo stinco. Per lo meno, non aveva mai visto James così allegro.
“Non posso confermarlo, ma ti sta proprio bene.”
Lenox ridacchiò mentre si portava il bicchiere di whiskey alle labbra e Asriel, irritato, accennò sbuffando alla maglietta rossa e grigia con gatto al centro che l’avvocato indossava:
Pensa alla tua maglietta col gatto!”
“Ehy, la mia maglietta è splendida!
Mai quanto la gatta di James, però.”
L’ex Tassorosso accennò ad Alpine, che trotterellava in giro in cerca di attenzioni e complimenti con un paio di mini corna in testa e una specie di cappottino rosso e bianco addosso: James l’aveva vestita da renna per l’occasione, mentre a Zorba era spettato un sorta di mini cerchietto in tartan con tanto di fiocco.
Quando aveva visto il suo gattino ridotto in quello stato da Clodagh Asriel aveva ricevuto l’ennesimo colpo della giornata – cominciava a chiedersi se sarebbe arrivato illeso alla fine del viaggio –, ma alla fine aveva dovuto arrendersi ed ammettere che il micio fosse terribilmente adorabile. Con grande disappunto di Delilah che cercava invano di accarezzare lui e Alpine, imprecando quando i mici di davano alla fuga.
“Ma se non ti piace il maglione perché non lo togli?”
Non posso, ho chiuso tutti dentro per non perdere di vista nessuno e da bravo imbecille ho dato la chiave a Clodagh, ora quella sadica irlandese non me la vuole dare per non farmelo togliere.”
L’Auror lanciò un’occhiata torva in direzione della collega e Lenox, sempre più divertito, decise di dargli il colpo di grazia con una delle sue celeberrime quanto orrende battute che, lo sapeva, Asriel aveva sempre mal sopportato.
“Asriel, visto che ami i gatti, sai qual è il cane più cattivo?”
Il tono cantilenante di Lenox fece immediatamente inorridire l’Auror, che intuendo la risposta gemette e lo pregò di non dirglielo senza venire minimamente ascoltato:
“La can-aglia.”
“Dopo aver sentito questa ho seriamente bisogno di alcol.”
 

*

 
“James, ma dove lo hai trovato questo completo?”
Mentre Corinne tornava al suo posto dopo aver cantato, raggiungendo una Clara quasi piegata in due dalle risate dopo averle fatto un video col telefono, May si rivolse a James osservando curiosa il suo vistoso abbigliamento: il ragazzo indossava un completo verde coperto da tanti Babbi Natale.
L’ex Tassorosso sorrise, più allegro che mai, e lo indicò pieno di orgoglio prima di asserire di averlo tenuto da parte per la vigilia un anno intero.
“Per fortuna l’ho messo in valigia prima di partire!”
Il giovane sorrise, probabilmente non udendo il verso di scherno appena soffocato che Asriel emise quando passò alle sue spalle per raggiungere Clodagh e convincerla a farlo uscire: la strega era appena sgattaiolata nella sua cabina per prendere la chitarra, e si era appena chiusa la porta alle spalle quando scorse il collega, sorridendogli amabilmente:
“Oh, ciao Asriel. Ci delizierai anche tu con la tua voce soave?”
Piuttosto mi getto nella neve in mutande. No, voglio uscire e cambiarmi.”
“No, non credo proprio. Che peccato, tocca a me e devo proprio andare!”
La strega si allontanò in tutta fretta senza dargli il tempo di protestare, e l’Auror imprecò a mezza voce mentre la collega raggiungeva il microfono e sedeva su uno sgabello imbracciando la chitarra.
Alla lista delle persone di cui diffidare dopo i francesi doveva aggiungere assolutamente le irlandesi con i capelli rossi.
 

“Non vale, lei è maledettamente brava!”
Delilah sbuffò mentre – stravaccata sul divano con le gambe appoggiate sulle ginocchia di Prospero – si portava una manciata di popcorn alle labbra ascoltando Clodagh cantare First Noel. L’amico le sorrise, giurandole che avrebbero fatto faville in ogni caso mentre Finn, seduto al tavolo accanto, si massaggiava le tempie con le dita: a saperlo prima, che sarebbe finita così, avrebbe seguito Jessa in Polonia senza fare storie e mandando la Sutton al diavolo.
“Ciao Finn! Com’è andato l’interrogatorio?”
“Ciao… quello bene, questo show canoro un po’ meno. Per lo meno lei non mi sta uccidendo l’udito.”
Finn rivolse una rapida quanto cupa occhiata a Clodagh, rifiutando il bicchiere di whiskey che Lenox gli offrì e facendo cenno, invece, alla tazza fumante che aveva davanti:
“No, grazie, non bevo più da anni. Ormai sono consacrato al thè verde. Pensi che Asriel ci farà uscire da qui tra molto?”
Lenox gli sedette accanto e sfoggiò un debole sorriso prima di stringersi nelle spalle e accennare a Clodagh, che Asriel stava fissando torvo con le braccia strette al petto e il maglione celeste ancora addosso:
“Al momento è prigioniero a sua volta, credo che la situazione gli sia sfuggita di mano. Ciao Scottish, eccoti qui!”
Il sorriso del mago si allargò a vista d’occhio quando il suo gatto gli si avvicinò, strusciandoglisi sulla gamba e miagolando mentre il padrone lo accarezzava con affetto. Finn, invece, lo osservò sospettoso portandosi la tazza di thè alle labbra e sperando vivamente che Alfaar restasse nella sua cabina: con tutti quei gatti in giro non ci si poteva fidare proprio di nessuno.
A saperlo prima, di ritrovarsi a viaggiare con tutti quei gattari, lo avrebbe affidato alle cure di Jessa.

 
*

 
Ruven, appoggiato alla parete, lanciò un’occhiata torva al grande orologio appeso al muro senza smettere di tamburellare il piede sul pavimento: ovviamente l’onere di sistemare tutto quel casino sarebbe spettato allo staff, e lo chef moriva dalla voglia di levarsi i passeggeri canterini dai piedi per poter pulire e, alla fine, andarsene a dormire. Si era tolto la casacca poco prima e si era infilato un maglione con un tenero orsetto ricamato al centro, intimando ai subordinati che il primo che avrebbe riso avrebbe pulito da solo tutto il vagone.
Persino Neko lo aveva tradito e abbandonato, e ora il gatto stava giocando contendendosi un festone con un altro micio dal pelo maculato che lo chef aveva adocchiato spesso.
Stava osservando – scettico – il proprietario del suddetto gatto e la sua stramba amica cantare (vestiti degli stessi colori, nemmeno si fossero messi d’accordo) Feliz Navidad quando un tenue miagolio attirò la sua attenzione: lo chef chinò lo sguardo e si ritrovò a sorridere alla vista di una gatta bianca dai grandi occhi blu che, vestita da renna, lo fissava come in attesa di qualcosa.
“Oh, ma che graziosa renna, ciao piccola.”
Ruven si inginocchiò per accarezzare Alpine, che sembrò soddisfatta delle ritrovate attenzioni dedicatale – aveva accettato di farsi conciare in quel modo solo per gli elogi – mentre lo chef sorrideva: da quando lavorava sul treno non aveva mai visto tanti gatti sul Riviera Express, il che costituiva praticamente l’unico lato positivo di quell’assurdo viaggio.
 
“Hai visto Loki per caso? Qui è pieno di chats, ma non trovo mai il mio!”
Sarà in un angolo a cercare di distruggere il cappellino che gli avevi rifilato, povero piccolo…”
Corinne si portò un salatino alle labbra dipinte di rosso guadagnandosi un’occhiata torva da parte dell’amica, che la informò di come “i gatti vestiti a tema natalizio” fossero ritenuti adorabili da chiunque.
Ancora non riuscendo a comprendere la smania degli altri passeggeri per i piccoli felini Corinne si limitò a roteare gli occhi chiari mentre si sfilava le scarpe, mormorando di odiare i tacchi mentre Clara si guardava attorno pensierosa:
“Non trovi che sia strano? Stare qui quando… beh, quando una persona è morta. Senza contare che ad ucciderla è stato, molto probabilmente, qualcuno che si trova in questa stanza.”
“Stavo giusto cercando di non pensare al fatto che mi trovo nelle vicinanze dell’assassino della mia ex Clara, grazie per avermelo ricordato. Sono due giorni che non dormo, me ne voglio tornare a Nizza.”
Reggendosi il capo con una mano, Corinne prese a giocherellare distrattamente con una ciocca di capelli biondi mentre si guardava distrattamente attorno, osservando le persone che la circondavano. Dopo averla osservata brevemente Clara la imitò e quando Clodagh, terminata la canzone, si allontanò dal microfono con la chitarra in mano e un sorriso sulle labbra, Delilah afferrò Prospero, lo costrinse ad alzarsi e quasi lo spinse verso il centro della stanza.
La francese li osservò curiosa, chiedendosi quali storie celassero tutte quelle persone e soprattutto che cosa li legasse ad Alexandra: aveva l’inspiegabile sensazione di non essere l’unica passeggera ad averci avuto a che fare, oltre a Corinne.
 

*

 
Era mezzanotte passata quando, finalmente, Asriel era riuscito a mettere piede fuori dal vagone ristorante con James appresso: il più giovane stava facendo allegramente gli auguri a tutti quando il collega lo aveva trascinato con sé verso l’uscita intimandogli di “non fare amicizia con potenziali assassini”.
“Hai ragione, a volte quasi mi scorso che uno di loro è l’assassino della Sutton… sembrano tutte persone normali.”
Aggrottate vistosamente le sopracciglia, Asriel avrebbe voluto dissentire, ma decise di non perdersi in ulteriori chiacchiere mentre camminava con Zorba al seguito e una mano stretta sulla spalla di James:
“Lo sembrano quasi sempre. Buonanotte James, domani ci si alza presto, voglio finire di parlare con tutti il prima possibile.”
“D’accordo. Buon Natale Asriel!”
Fermatosi davanti alla sua porta, James accennò un sorriso in direzione del collega, che ricambiò debolmente mentre, alle loro spalle, Delilah li superava tenendo le alte decolleté rosse in mano e Prospero – che stringeva a sua volta un ultimo bicchiere di vino – al braccio, lamentandosi di “sentire la mancanza della sua amata pianta Bolo”.
Asriel si gettò una rapida occhiata alle spalle, confermando che no, quei passeggeri non sembravano affatto normali, prima di tornare a rivolgersi al collega:
“Già… Buon Natale. Vieni Zorba.”
Il gatto lo seguì all’interno della cabina e James, una volta rimasto solo nel corridoio con Alpine in braccio, sorrise mentre apriva con la magia la porta della propria: poteva dire ciò che voleva, ma era sicuro che alla fine di quel caso sarebbe riuscito a conquistarsi la simpatia di Asriel.
 
 
 
 
 
 
 
 
(1): Com’è che un Loki contrariato perché viene conciato a tema natalizio da una strega mi suona familiare? 
 
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Angolo di un’Autrice piena di vergogna:
Ve lo giuro, non è un miraggio, sono proprio qui con questo capitolo.
Mi scuso profondamente, non so di preciso quanto tempo sia passato – e non ho il coraggio di andare a controllare – ma spero che nessuno abbia dubitato sulle mie intenzioni di continuare la storia. Figuriamoci se mollo i gattari, ormai sono parte di me. (Al massimo per farmi perdonare vi intaso IG con foto di Asriel, poi vediamo)
Vorrei dire che non è colpa mia ma pur avendo una vita, impegni, esami ed imprevisti lo è, quindi dirò solo che mi dispiace e prometto che non vi farò aspettare tanto tempo una seconda volta.
Detto ciò, spero che il capitolo tanto atteso vi sia quantomeno piaciuto – in caso siete autorizzati a prendermi a trote in faccia –.
Ringrazio tutte le persone che hanno sempre votato e sono state super puntuali e partecipi, ma visto che i personaggi da indagare sono ormai pochissimi da questo momento non vi chiederò più di farlo e deciderò io.
A presto (promesso) con il seguito e ancor prima con il Camp a chi partecipa anche lì <3
Signorina Granger
   
 
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