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Autore: Koa__    13/05/2021    1 recensioni
Dopo che gli angeli hanno cancellato la memoria di Clary, Jace si ritrova a camminare per un sentiero oscuro fatto di dolore. Questo, oltre alla rabbia che prova per il compatimento che legge sul volto degli altri, lo portano a gettarsi a capofitto nel lavoro. Alec, a un mese e mezzo dal matrimonio, vive invece una vita felice accanto a suo marito. Nonostante percepisca la sofferenza di Jace e si sia convinto di stargli vicino, dentro di sé sa di non star facendo abbastanza per il suo Parabatai. Una sera, prima di addormentarsi, entrambi esprimono un desiderio all’angelo. Jace vorrebbe avere una vita perfetta come quella di Alec mentre quest’ultimo vorrebbe stare più vicino a suo fratello e si sente in colpa per esser stato così lontano nelle ultime settimane. Il mattino successivo, Jace e Alec si risvegliano l’uno nel corpo dell’altro senza sapere come ci siano finiti. Inizia così un’indagine segreta alla ricerca di chi può aver mai fatto loro un simile tiro mancino, che li porterà a scavare dentro loro stessi.
Genere: Angst, Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Jace Wayland, Magnus Bane, Simon Lewis
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Passeggiare lungo i viali di Central Park




 

L’idea di usare un glamour per tamponare la situazione e apparire quelli di sempre non era certo stupida e avrebbe potuto essere attuabile con una certa facilità, se soltanto le loro rune avessero funzionato correttamente. Era infatti successo che, dopo aver passato lo stilo sulla pelle, Alec si era accorto che non succedeva niente. Per farla breve, questa non si era neppure attivata. E pensare che con le altre non aveva avuto nessun problema. Una delle prime cose che aveva fatto, intanto che in Istituto si era armato di una comunissima spada angelica, lasciando perdere l’arco almeno per una volta, era stato il verificare se la runa Iratze fosse in grado di guarire. Non che desiderasse andare incontro alla morte, era stata più che altro una precauzione per accertarsi che sarebbe stato eventualmente in grado di curare il corpo di Jace, nel caso in cui la situazione coi vampiri arrivasse a degenerare. E grazie all’angelo, sia quella runa che quella della forza, provata per curiosità, si erano attivate nella maniera più corretta. Eppure, mentre passava ripetutamente lo stilo sulla runa in un tentativo di apparire di nuovo se stesso, niente successe. Che fossero in quello stato per la volontà dell’angelo, Alec se ne rese conto soltanto dopo che l’aspetto di Jace mutò, diventando identico a quello di Simon. Non serviva che gli angeli mandassero loro ulteriori messaggi, ormai era più che chiaro quello che era successo.
«Allora è così!» esclamò, parlando più che altro fra sé, mettendo quindi via lo stilo. Vivere nei panni del proprio Parabatai per un tempo indefinito, nel tentativo di capire chissà quale verità, era ciò che dovevano fare e non ci sarebbe stato niente che potessero tentare ancora per aggirare la questione. La magia non era servita a nulla e neppure col potere delle rune avevano concluso una qualche cosa, avrebbero quindi dovuto conviverci e questo era quanto.
«Così come?» domandò invece uno stranito Simon, il quale fingeva malamente di non essere turbato da quella malriuscita copia di se stesso che ora gli stava facendo l’occhiolino, probabilmente in un non poi così scarso tentativo di prenderlo in giro. Gli era già successa una cosa del genere in passato, la volta in cui Jace aveva provato a insegnargli a rimorchiare all’Hunter’s Moon e anche allora l'aveva trovato piuttosto inquietante, oltre che irritante (Ma questo perché era la natura di Jace, quella di far innervosire la gente).
«Smettila!» disse infatti il vampiro, chiaramente infastidito, facendo però sorridere un Jace che si preoccupò comunque di spiegargli cosa stava succedendo.
«Avevamo il sospetto che fossero stati gli angeli a farci diventare così» esordì, appena dopo esser tornato quello di prima, intanto che anche lui riponeva lo stilo nella tasca dei pantaloni. «E il fatto che io riesca a diventare uguale a te e non ad apparire come sono di solito, conferma questa teoria. Ora dobbiamo soltanto capire il motivo che si nasconde dietro tutto questo; come se fosse facile indovinare per quale ragione gli angeli fanno ciò che fanno» concluse, abbassando lo sguardo a terra e lì tenendolo inchiodato. Non stava più parlando soltanto dello scambio, Simon non ebbe bisogno di grandi conferme per capire che si stava riferendo soprattutto a Clary. Era sicuro che Jace avesse sofferto molto e, da quanto raccontava Isabelle, non aveva vissuto granché bene quell’ultimo mese e mezzo. In fin dei conti, si ripeteva ogni giorno, Jace aveva perso la persona che amava e probabilmente per sempre. Simon aveva riflettuto molto riguardo al destino toccato a Clary, un destino che a quanto pareva lei non aveva rifuggito, ma al quale era andata incontro per salvare il mondo intero. Il che era così tipico di Frey che l’avrebbe stroz… Ma no, un momento, che stava dicendo? Se l’avesse avuta davanti l’avrebbe abbracciata e basta. Li aveva salvati a discapito di se stessa. Aveva pensato prima a coloro che ormai considerava come la propria famiglia, da Luke a Jace, sino agli Shadowhunters dell’Istituto e naturalmente anche a quei mondani che Jonathan avrebbe potuto uccidere, e non aveva cercato nessuna soluzione alternativa. Avrebbe potuto facilmente smettere di disegnare nuove rune e placare in quel modo l’ira degli angeli, eppure era andata sino in fondo di modo da sconfiggere il proprio demoniaco fratello. E, perciò, le era toccato quel fato assurdo. Era orribile a dirsi, ma probabilmente se fosse morta avrebbero accettato quanto accaduto con molta più facilità. E invece il pensiero che lei fosse lì a New York, a pochi passi da dove si trovavano e che non potessero parlarle o anche semplicemente vederla, perché non ricordava niente del mondo nascosto, era stato molto più difficile da sopportare di quanto non ci si sarebbe aspettati. Simon neanche contava più le volte in cui si era sentito un egoista bastardo, voltando lo sguardo per l’imbarazzo non appena Isabelle notava un’ombra di turbamento in lui. Saperla al sicuro a fare ciò che, in fin dei conti, Clary aveva sempre sognato di fare ovvero dipingere, era in un certo senso confortante. Allo stesso tempo, però, era a dir poco orribile perché Simon più volte si era fermato a pensare che l’avrebbe preferita nei panni della Shadowhunter che in quelli della mondana, ed era a quel punto che scattava il senso di colpa. Una parte di lui rivoleva così tanto indietro la propria migliore amica, da preferirla persino in mezzo al pericolo che l’essere un Nephilim comportava. che razza di amico era? Oh sì, Simon aveva sofferto moltissimo per quanto accaduto a Clary perché lei, per lui, c’era sempre stata e perché insieme avevano trascorso ogni giorno sin da quando si erano incontrati. Ora che però guardava Jace, capiva che la sua sofferenza era stata ben poca cosa se paragonata alla sua. Non avevano parlato affatto sin dal matrimonio di Alec e Magnus, e Simon si era detto più volte che lo Shadowhunter volesse starsene per conto proprio o che magari non desiderasse vederlo perché gli ricordava troppo Clary. In quel momento però comprese che Jace non doveva aver ancora accettato quello che era accaduto, probabilmente faticava a realizzarlo dentro la propria testa e altrettanto sicuramente il suo cuore si ribellava a quella triste sorte. E la sua sofferenza era così palpabile, che Simon dovette quasi forzare se stesso a non raggiungerlo e abbracciarlo. Non lo fece, ma soltanto perché quello Shadowhunter scorbutico lo aveva sempre fermato con un’occhiataccia le volte in cui ci aveva provato. Avanzò soltanto di un passettino e allo stesso tempo si sentì un verme per essersi arrabbiato con lui. Poteva sembrare assurdo, dato che non avevano mai mancato di stuzzicarsi e che di certo non si erano comportati come due grandi amici (era piuttosto probabile, inoltre, che Jace fosse stato geloso di lui nel periodo in cui Simon si era messo con Clary ed era anche certo che lo avesse odiato almeno all’inizio, e che neppure ora gli stesse granché simpatico), però doveva ammettere che quel biondino gli era mancato. Si guardò bene dal dirglielo e, invece che indugiare su simili pensieri, si ritrovò a domandarsi per quale ragione gli angeli avessero giocato a lui e ad Alec un simile scherzo. Magari, ipotizzò notando il modo in cui Jace rifiutava di accettare quanto accaduto, volevano fargli capire qualcosa che non era ancora riuscito a comprendere. Forse la verità stava nel guardare il mondo dallo sguardo di Alec, poteva essere anche se gli sembrava un’ipotesi alquanto stiracchiata. Già, ma qual era questa fantomatica verità? Ma soprattutto, per quanto sarebbero rimasti in quel modo? Aveva tentato di aiutarli, ma il suo suggerimento non era servito a niente. Il che lo aveva fatto sentire vagamente inutile, si domandò anche come dovesse sentirsi Magnus a riguardo, visto che anche lui non aveva fatto poi molto. Avrebbe tanto voluto dir loro qualcosa di concreto, oltre che restare immobile a fissarli, ma Alec decise che invece che quello era il momento di agire.


«Una cosa alla volta» intervenne, assumendo quel cipiglio che mostrava sempre in Istituto e che sarebbe stato in grado di intimorire chiunque. In un certo senso, quel suo fare militaresco e impettito, stonava vagamente con la consueta espressività del corpo che lo ospitava. Anche Jace era in grado di spaventare chi aveva davanti, in effetti qualunque Shadowhunters sarebbe stato in grado di far fare a Simon Lewis uno o due passi indietro e magari anche deglutire a fatica, ma la paura che incuteva Alec era diversa. Era autoritario, ecco, ma lo era in una maniera che in nessun altro Nephilim aveva mai visto prima. E Jace doveva avergli letto nel pensiero perché notando il fare con cui Simon si era irrigidito, aveva stirato in sua direzione un sorriso beffardo. In effetti, pensò Jace in un tentativo goffo di non ridere del timore nato negli occhi di quel vampiro, suo fratello era nato per essere un capo. Se lo disse annuendo fra sé, riflettendo allo stesso tempo su quanto ne fosse orgoglioso. Ormai ad Alec veniva naturale prevalere su chiunque, quando c’erano delle decisioni da prendere era il solo ad assumersi la reale e coscienziosa responsabilità di quanto diceva e lo faceva ogni volta con forza e determinazione, mettendo nel proprio lavoro ogni più piccola parte di se stesso, dalla razionalità al suo grande cuore. Le volte in cui lo vedeva prendere decisioni difficili o affrontare i propri superiori con determinazione e forza, Jace sentiva la fierezza invadergli il cuore. E più faceva caso alle espressioni che assumeva quando dava degli ordini, più si rendeva conto di quanto tempo avesse trascorso a cercare di nascondersi. Non lo aveva mai ritenuto un debole, al contrario tra tutti i fratelli, Alec era sempre stato la loro roccia. Colui che non li aveva mai lasciati soli, che si era preso cura di tutti, da Isabelle sino al piccolo Max. Lui c’era sempre stato per chiunque, in qualsiasi momento e quando il loro legame si era affievolito era stato soltanto perché si era sentito solo e tradito. Probabilmente Jace lo aveva dato un po’ per scontato o aveva creduto che Alec fosse felice senza nessuno accanto. Naturalmente non poteva sbagliarsi di più. Jace aveva notato sin da quando erano adolescenti che suo fratello rifiutava la vicinanza di qualsiasi essere di genere femminile, sapeva che non era mai andato a letto con nessuno prima e quando cercava dentro di sé i sentimenti di suo fratello, percepiva sempre come un fondo di nervosismo e frustrazione. Lo aveva creduto timido e impacciato, magari ritroso nei confronti di altri esseri umani, ma soltanto dopo l’arrivo di Clary e il successivo incontro con Magnus aveva capito come stessero realmente le cose. Se non avessero mai incontrato quello stregone, Alec sarebbe mai diventato tutto questo? Jace se lo domandava di tanto in tanto e se lo chiese anche quel giorno, mentre il suo Parabatai elencava quanto c’era da fare. Soltanto dopo che lo ebbe sentito riprendere a parlare, lasciò cadere quei ragionamenti. Magari, in futuro, gli avrebbe anche confessato quanto fosse fiero di ciò che aveva fatto sinora. Era riuscito a demolire secoli di pregiudizi, aveva fatto vivere uno stregone in Istituto e aveva sposato quello stesso Nascosto sotto lo sguardo diffidente del Clave e quello di tutti gli Shadowhunters che ancora dubitavano del loro capo e che ne disapprovavano le scelte di vita. Alec era sempre andato avanti a testa alta, incoraggiato dall’amore profondo che nutriva per Magnus e dal desiderio che altri Nephilim seguissero le loro orme e vivessero più liberamente la propria omosessualità o, ancora, il proprio amore per un Nascosto. Sì, si disse Jace sedando un moto di orgoglio, Alec era una persona straordinaria e un Parabatai davvero eccezionale. Aveva affrontato il loro stranissimo scambio premurandosi di confortare prima lui e poi anche il suo agitato marito e ora… ora andava a caccia di vampiri come se non fosse accaduto nulla di eccezionale.
«Se davvero dobbiamo vivere in questo modo, allora così sarà» lo sentì proseguire e a quel punto i ragionamenti di Jace si dissolsero. «Smettila di dare quell’espressione affranta alla mia faccia, Jace, non è la fine del mondo. Il mio matrimonio non finirà solo perché ora sono biondo e i nostri amici e la nostra famiglia non smetteranno di volerci bene soltanto per questo, quindi ora noi faremo ciò per cui siamo nati ovvero andare a caccia di demoni» concluse, portandosi le mani ai fianchi e assumendo quindi una postura rigida, militare quasi. Aveva un cipiglio autoritario in volto che Jace trovò quasi strano notare su di sé. O meglio, era certissimo di essere più autoritario di suo fratello, ma la reazione che scatenava nelle persone era sempre un po’ più simile alla paura. Alec riusciva invece a incutere timore e a rassicurare al tempo stesso, e questo era molto più che eccezionale.
«Ci sono dieci cadaveri di mondani in obitorio, tutti rinvenuti Central Park ed è da lì che inizieremo con le nostre indagini. Isabelle ha già ispezionato la zona in cui è stato trovato il primo corpo, ma non quelle in cui sono stati trovati gli altri nove. Secondo quanto ha riportato Underhill, la polizia mondana non ha raccolto tracce rilevanti sui luoghi del delitto, ma può essere che sia sfuggito loro qualcosa. Anzi, è piuttosto probabile.»
«Quindi cos’è che sappiamo?» domandò Simon, in un tentativo di racimolare le poche idee che aveva. Non aveva sentito di vampiri ribelli sin dall’epoca in cui Heidi non aveva aizzato il clan di Brooklyn contro il branco di lupi mannari. Sapeva che i capi della città erano in pace con il Clave, dopo il massacro del Jade Wolf avevano messo una volta e per tutte la parola fine a eventi del genere e, alcuni di loro, avevano persino aiutato gli Shadowhunters a stanare tutti i covi illegali di New York e a eliminare le cosiddette “Zone grigie”. Perciò gli sembrava strano che fosse accaduta una cosa del genere e che questa fosse sotto il controllo dei capi clan. Doveva trattarsi di uno, magari più outsider. Probabile che fossero più d’uno, considerata la quantità di corpi rinvenuti.
«Le vittime erano completamente dissanguate e ognuna aveva dei segni di morsi su collo e polsi. Certamente vampiri, a giudicare dalla quantità di persone morte devono essercene parecchi. Isabelle sta svolgendo un esame del dna per le comparazioni, ma finora non abbiamo notizie su quel fronte, quindi dovremo andare a caccia.»
«Non lo so, Alec» osservò Jace incrociando le braccia al petto mentre tentava di farsi un’idea su quanto accaduto. Ci stava pensando sin da quando era arrivato in Istituto, qualche ora prima, qualcosa in tutta quella faccenda non gli tornava. Sperava solo che non fosse un altro seelie che incolpava vampiri, lupi mannari e stregoni, in un tentativo di scatenare una guerra perché dopo quanto avevano fatto per trovare un accordo, nuove tensioni proprio non ci volevano.
«Dieci cadaveri a Central Park» riprese Jace dopo un istante di esitazione, servitogli per grattarsi la fronte. «Immagino li abbiano rapiti di notte ed è vero che New York è la città che non dorme mai, con tutte le ronde notturne che facciamo sappiamo bene quante persone girano anche dopo il tramonto. Ma sappiamo anche che non è facile trovare poi così tanta gente che passeggia nel parco alle tre del mattino. Dove hanno trovato così tante persone senza dare nell’occhio? E soprattutto perché proprio al parco?»
«Probabilmente sono stati presi altrove e quindi ammaliati, così da essere portati sino a lì» osservò Simon dubitando però del proprio stesso ragionamento. Oltre a non avere granché senso, trovava quel piano un tantino complesso da attuare. Sapeva per esperienza che quando ci si vuole cibare di qualcuno serve calma e solitudine, spesso persino la presenza di altri vampiri può dare fastidio o comunque la si percepisce come una sorta di minaccia. Lui non l’avrebbe mai fatto in un parco dove chiunque e anche in piena notte avrebbe potuto vederlo, ma certo lui era un vampiro piuttosto atipico.
«Oppure li hanno in qualche modo rapiti di giorno e poi scaricati lì dopo aver finito» intervenne Alec.
«Se è così significa che il covo è lì vicino, non si scomoderebbero a trascinare cadaveri in giro per New York e soprattutto quale vampiro va caccia di giorno?» ribatté Simon, memore del ragionamento appena fatto intanto che, nei due Shadowhunters, si accendeva una terrificante consapevolezza.
«Se hai ragione significa che migliaia di persone potrebbero essere in serio pericolo, dieci mondani in una notte... Mi domando quanti ne troveremo domani mattina.»
«Dobbiamo agire, ora!» intervenne invece Alec, il quale però non permise loro di aggiungere altro, semplicemente uscì dalla porta con la stessa rapidità che avrebbe usato per uccidere un demone, Jace e Simon dal canto loro non poterono fare altro che seguirlo fuori da lì. In effetti la situazione era allarmante. Se davvero c’era un covo in pieno Central Park e se realmente le persone venivano rapite durante il giorno, allora quei vampiri avrebbero potuto fare una strage. Donne, anziani, bambini… Chiunque sarebbe stato alla loro mercé. Sì, dovevano assolutamente andare a caccia e dovevano farlo subito.

 


 

Simon aveva sempre pensato che, quando si passeggia accanto a una persona che si conosce come le proprie tasche, fosse anche meraviglioso bearsi di quel silenzio condiviso che rende certi momenti ancora più magici. Era quel tipo di non parlare privo di alcun tipo d’imbarazzo che si ha unicamente con chi si conosce talmente intimamente, che non è necessario aprire la bocca, a meno che non si abbia qualcosa da dire. Sapeva che detta da lui una frase del genere sarebbe potuta sembrare un controsenso e in effetti i suoi “Momenti di silenzio” con Frey erano sempre durati sì e no qualche minuto, quindi riprendeva a blaterare di una qualsiasi cosa. Però non poteva negare di aver sempre amato quella meravigliosa sensazione di pace che è in grado di regalarti una passeggiata tranquilla. E amava anche il sole, altro controsenso per un vampiro. Simon però era un diurno, e aveva ringraziato Jace e il suo sangue angelico per avergli concesso un regalo del genere. Ma Simon amava anche il vento tra i capelli, il chiacchiericcio dei vecchietti sulle panchine, i gridolini dei bambini che giocavano… Eppure in quella soleggiata giornata a camminare per i viali di Central Park, il silenzio non era affatto un compagno piacevole. Simon si sentiva sempre istintivamente portato a riempirlo con chiacchiere più o meno sensate, soprattutto quando si sentiva a disagio. Specialmente se camminavano da quasi mezzora in cerca di indizi, ma senza ottenere nulla di rilevante. Avevano analizzato ogni singola scena del ritrovamento e non avevano scovato niente di anomalo né qualche piccola traccia che avrebbe potuto aiutarli a stanare il covo. Avrebbe volentieri riempito quel non parlare teso con una battuta, ma sapeva che Jace le odiava e Alec lo guardava sempre truce ogni volta che faceva dello spirito, di conseguenza preferì tacere (anche se a dirla tutta stava iniziando a diventare una sofferenza). Fu quasi grato al cielo quando sentì il trillo del telefono di Alec, o meglio quello di Jace, che vibrò dalla tasca dei suoi pantaloni.

 


Da: Magnus
(Ore 13:32)


Fiorellino, nella biblioteca dell’Istituto non ho trovato niente di rilevante...
Niente che non sapessi già, comunque.
Vado da tua madre e vedo se mi sa dire qualcosa di più!

 

Da Alec:
(Ore 13:33)

 

D’accordo!
Noi siamo a Central Park, crediamo che il covo sia qui vicino.
PS. Non dire a mia madre che siamo così per la volontà degli angeli, si spaventerebbe troppo.

 

Da Magnus:
(Ore 13:33)

Ma certo, cucciolo, le dirò che avete dei problemi col vostro legame, ma senza insospettirla.

State attenti con quei vampiri.
E se hai bisogno chiamami.


 

«Magnus dice che non ha trovato nulla» mormorò Alec, riponendo il telefono in tasca, dopo aver ribadito a suo marito che lui stava sempre attento e di non preoccuparsi troppo. Nel caso lo avrebbe chiamato per farsi dare una mano, anche perché il suo aiuto sarebbe stato certamente più rapido che il far venire una squadra dall’Istituto.
«Sta andando dalla mamma, ci farà sapere se scopre qualcosa.»
«A proposito di Magnus» mormorò invece Simon, curioso di alcuni particolari che non gli erano ancora stati raccontati. «Come l’ha presa?» chiese, guardandosi attorno sempre in cerca di indizi che non riusciva a trovare. Se dovevano passare un’altra mezzora a guardarsi in faccia e a caricare i loro silenzi di tensione, preferiva sciogliere tutti i dubbi che aveva. E, tra i tanti, aveva il sospetto che l’ex sommo stregone di Brooklyn non l’avesse presa granché bene.
«Male» mormorò Jace mentre Alec si esprimeva in un pacifico: «Bene!» che ebbe il potere di mandare Simon ulteriore in confusione. Non conosceva Magnus così intimamente quanto suo marito, ma ne sapeva abbastanza da esser certo che non avesse preso alla leggera una situazione come quella. Oltre all’impotenza per non essere riuscito a scambiarli di nuovo, usando un incantesimo o una pozione, doveva aver avuto seri problemi quando si era conto che nel corpo di suo marito c’era niente meno che Jace Herondale. Inoltre, dato che il tutto era stato macchinato dagli angeli, nutriva di sicuro il timore che potessero rimanere così a lungo, altro pensiero che doveva averlo caricato di paranoie.
«Magnus se la caverà, non è lui che mi preoccupa al momento» si espresse Alec, in un tentativo di smorzare sul nascere ogni possibile tentativo di conversazione e focalizzare le attenzioni di Simon sull’indagine. Non gli andava di parlare di quello, anche perché a dirla tutta non c’era proprio niente da dire. Magnus non l’aveva presa benissimo, era vero, ma non ne aveva neppure fatto una tragedia. Era soltanto uno scambio di corpi, avevano passato ben di peggio tra Valentine e Jonathan. Il fatto che per tutto il tempo avesse sorriso o si fosse preoccupato di Underhill e della propria gelosia, non significava che stesse pacificamente, ma neppure che stesse sviando le attenzioni da se stesso perché soffriva troppo. Era semplicemente preoccupato, allo stesso modo di come lo erano sia Alec che Jace.
«Ho capito, ma voglio dire» insistette Simon, faticando quasi a star dietro al passo dei due Parabatai che andavano avanti senza sosta. Era sicuro che lo lasciassero indietro per far morire il discorso, ma non era da lui, l’arrendersi subito «e se rimaneste così per sempre? Non potete non averci pensato e non può non averci pensato anche Magnus.»
«Certo che ci abbiamo pensato» gli disse Jace, nervoso. Naturalmente lo avevano fatto, ma indugiare su quello non li avrebbe certamente aiutati. Non mentre erano a caccia di vampiri e avevano in sensi di Shadowhunters all’erta.
«Nel caso non potessimo risolvere la situazione, tra me e Magnus non cambierebbe niente.» Lui si era innamorato anzitutto della sua anima, il fatto che lo trovasse attraente era un fattore meramente secondario. Era più che sicuro che lo avrebbe amato comunque, anche nel corpo di Jace.
«Certo, ma pensa al pessimo affare che ha fatto» borbottò Simon, meditabondo «sposa te e a letto si ritrova Mr Simpatia!»
«Ehi!» lo rimproverò Jace, schiaffeggiandolo bonariamente su una spalla.
«Non ti piace? Meglio Mr Scontrosità? Mr Ehi tu, fuori dalla mia nuvola? Questa è una citazione, lo so, aspetta è meglio: “Mr Sono uno Shadowhunters tutto d’un pezzo e non sorrido mai e mi stai anche un po’ sui coglioni?”»
«Io non sono affatto così» piagnucolò Jace senza però dare a vedere di star sorridendo. Non che trovasse tutto quello realmente divertente, non era per niente simile a come lo aveva descritto Simon ed era anche un po’ offensivo. Eppure sorrise, nascondendosi dietro a un broncio malfatto e lo fece perché, sebbene stentasse ad ammetterlo, quel vampiro gli era mancato. Parlava sempre troppo e il più delle volte era fastidioso e inopportuno, era insicuro su tutto al punto che spesso Jace sentiva la voglia di picchiarlo da quanto lo innervosiva. Ma era anche coraggioso e leale, non si era mai tirato indietro dal seguire Clary per starle vicino in quella sua maniera stramba, neanche quando era soltanto un mondano e lui aveva fatto e detto di tutto pur di terrorizzarlo. E sì, forse gli era mancato davvero, pensò salvo poi borbottare: «Magnus avrebbe fatto un affare d’oro a sposarsi con me e comunque io sono...» Tuttavia, Jace non finì mai quella frase. Così come Simon non avrebbe mai davvero fatto presente a Jace che aveva notato un sorriso apparire sul suo volto, segno che almeno un pochino lo aveva fatto ridere. Ogni traccia di divertimento in loro scomparve quando il vampiro smise di camminare d’improvviso. Quindi i due Parabatai lo videro alzare lo sguardo al cielo e annusare l’aria. C’era un odore che gli era familiare, pensò Simon mentre chiudeva gli occhi di modo da potersi concentrare a dovere. Era molto intenso e lo aveva investito appieno al pari di una zaffata, che per un attimo gli aveva fatto venire un capogiro perché era intensa e piacevole, e anche… strana, in un certo senso. Quello del sangue, perché di tale si trattava, non era il solo odore che sentiva. Ce n’era un altro che Simon reputò strano e al quale sulle prime non diede granché peso, anche perché si era istintivamente concentrato sull’altro odore. Quello caldo e avvolgente, e che probabilmente lo avrebbe fatto andare molto presto fuori di testa. Era l’effetto che gli faceva sempre il sangue. Anche dopo aver ottenuto un certo controllo su se stesso e suoi propri istinti, anche se si era già nutrito quella mattina, il suo istinto era talmente primordiale e così difficile da sedare che non poteva mai sapere quello che sarebbe accaduto uscendo di casa . Ecco perché teneva sempre una fiala con del sangue fresco nella tasca della giacca, per ogni evenienza.
«Che c’è?» gli chiese Alec, assottigliando lo sguardo intanto che tornava indietro. Simon aveva un’espressione in viso seria e concentrata. Lo vide annusare ripetutamente l’aria frizzante di Central Park e, forse in un moto istintivo, estrarre le zanne intanto che irrigidiva il corpo.
«Sangue» disse, parlando mentre i denti spuntavano in un riflesso quasi condizionato. Anche quello era colpa dell’istinto. «Tanto, davvero tanto sangue.»
«In che direzione?» gli domandò Jace, guardandosi attorno con fare guardingo.
«Aspetta» lo fermò Simon, confuso da quello che stava sentendo. Era odore di sangue, indubbiamente umano. Lo avrebbe riconosciuto in mezzo ad altri mille tipi diversi, perché quello dei mondani aveva un profumo particolare, che attirava i vampiri come una calamita è attratta da un pezzo di ferro. Questo però aveva qualcosa di diverso, c’era un retrogusto che non conosceva e che non sapeva classificare con esattezza.
«Che c’è? Senti dell’altro?» 

«Non so cosa sia, è indubbiamente sangue umano, ma c’è qualcosa nell’aria che non mi convince e che non riesco a identificare.»
«Sicuro sia sangue mondano e non di Shadowhunter?» gli chiese Alec, vagliando l’ipotesi che magari i vampiri potessero aver cambiato obiettivo, anche se non erano giunte segnalazioni dall’Istituto di Nephilim scomparsi.
«No» negò Simon, vibratamente «conosco bene il vostro sangue, ti manda fuori di testa, è paradisiaco. Funziona come una droga, ne vuoi sempre di più e se mordi uno Shadowhunter difficilmente riuscirai a fermarti, o a dimenticare che sapore ha. Questo invece mi dà strane sensazioni e non propriamente positive. Dobbiamo andare, da questa parte.» E quindi prese a correre, senza usare la velocità da vampiro, perché altrimenti Jace e Alec non sarebbero riusciti a stargli dietro. A chiunque appartenesse quel sangue, Simon sapeva che non si trovava troppo lontano. Dovevano sbrigarsi, ovunque fosse c’era un mondano in pericolo di vita.

 

Central Park era il parco più grande di New York, quando era piccolo per Simon era addirittura il più grande del mondo intero e glielo diceva sempre, a sua madre che per lui Central Park era il più grande parco dell’universo. Affermazione che la faceva ogni volta sorridere e pizzicare il cuore di felicità. Gli piaceva tantissimo andarci la domenica mattina e, dopo che aveva conosciuto Frey, la portava con sé ogni volta che aveva voglia di rilassarsi al sole intanto che studiavano. Ma attraversarlo andando a caccia di vampiri affamati non era certo la stessa identica cosa, farlo seguendo un odore tanto particolare, poi, era una di quelle cose che Simon Lewis non avrebbe mai pensato di fare nella vita. Dal viale che avevano percorso sino ad allora, spade alla mano e sensi all’erta, raggiunsero un ponte in muratura sotto al quale, a differenza di altri che invece valicavano un fiumiciattolo, passava un’altra strada. * Simon si sporse dal parapetto in mattoni e guardò giù di sotto così da assicurarsi che non ci fosse nessuno nelle vicinanze, prima di scendere con un balzo agile. Jace e Alec lo seguirono, ma soltanto dopo aver attivato una delle loro rune. Il salto non era poi così alto, appena qualche metro (forse una decina), ma sufficiente a farsi del male. Probabilmente avrebbero fatto meglio ad aggirarlo, ma ci avrebbero messo davvero troppo e l’odore del sangue s’intensificava proprio lì. Quando arrivarono giù di sotto, però, non trovarono niente di rilevante. Non c’era traccia di corpi né di sangue, né tantomeno di vampiri. Simon provò ad allontanarsi in più direzioni, ma l’odore ogni volta si disperdeva. Ovunque fossero quei vampiri era nei pressi del ponte, anche se non capiva proprio dove si nascondessero.
«Viene da qui e prosegue da quella parte» disse, indicando proprio l’interno del muro di pietra che faceva da basamento e che si era ritrovato ad annusare poco prima, magari alla ricerca di qualche passaggio segreto. Sì, aveva visto troppe volte i film di Indiana Jones, ma che poteva farci se gli veniva istintivo pensare a cosa avrebbe fatto Indy in una situazione del genere? Alec e Jace avevano preso a rovistare lì attorno, ma quando Simon indicò loro le pietre del muro di mattoni, lo raggiunsero iniziando a cercare. Fu Jace a notarla, una grata posta sul terreno, una sorta di tombino aperto, dal quale ci sarebbe potuto passare comodamente un uomo adulto, che conduceva probabilmente alle fogne. Simon si diede dello stupido, certo, l’odore non arrivava dal muro, ma dal terreno. Erano nei bassifondi del parco e da dove altro avrebbero potuto rapire quelle persone anche di giorno, se non da un antro buio? Senza nessuna esitazione, Simon tolse la grata lasciandola da parte e si calò giù di sotto.
«Seguitemi!» disse, atterrando in un condotto umido che tanto assomigliava a quelle fognature di New York che ben conosceva e nelle quali aveva trovato Caino. Questo non era granché diverso, era buio e umido e faceva abbastanza schifo, l’acqua sul fondo gli bagnava scarpe e pantaloni e questa volta invece di Isabelle c’erano i suoi fratelli, ma non poteva davvero lamentarsi. Se non fosse stato per quel forte profumo che iniziava francamente a nausearlo, si sarebbe goduto quella situazione magari facendo una qualche battuta. E poi avere le zanne costantemente sguainate non gli piaceva, lo faceva sentire in imbarazzo come una bestia che non ne ha mai abbastanza e che non riesce a controllarsi.


«Tuttobene?» gli domandò Jace, dopo che lo ebbe raggiunto intanto che Alec controllava le retrovie. Avevano attivato quella runa grazie alla quale potevano vedere anche al buio, ma in effetti non c’era nulla da vedere là sotto. Una debole luce filtrava dal buco dal quale erano entrati e nessun altra luce si vedeva in lontananza. Inoltre, là sotto non c’era nessuno se non ratti.
«Mi sta venendo da vomitare e non riesco a ritrarre le zanne perché il sangue mi manda su di giri, ma a parte questo tutto bene e tu?»
«Sono nel corpo di mio fratello, appena sveglio Magnus mi ha chiesto di fare sesso con lui e ora sono qui con te. Come credi che stia?»
«Una giornata noiosa insomma» rise Simon, svoltando in un condotto verso destra. Aveva scelto quella direzione e non di andare a sinistra, più che altro per istinto. Laggiù era tutto confuso, non poteva più affidarsi alla direzione del vento. Gli odori erano mischiati e l’acqua lo confondeva. Non era sicuro di star prendendo la strada giusta, ma era sicuramente meglio che restare fermo e poi Jace pareva dell’umore di parlare, almeno non si sarebbe annoiato.
«E così hai avuto un bel risveglio, eh?»
«Diciamo solo che Magnus è molto attivo la mattina!»
«Vi sto ascoltando, lo sapete?» borbottò Alec che stava qualche passo indietro rispetto a loro e che aveva alzato appena un poco la voce «vedete di concentrarvi sulla missione, invece che chiacchierare di sciocchezze.»
«Non so se sono sciocchezze, fratello, ma tuo marito che mi chiede se voglio un pomp...»
«Sssh» lo zittì nuovamente Alec, ma questa volta spinto non tanto dall’imbarazzo, quanto invece attirato da un rumore che proveniva da circa una cinquantina di metri avanti a loro. Anche Simon si era zittito, in quel punto l’odore di quel sangue così particolare diventava molto più forte, ma c’erano anche delle voci poco lontane, arrivavano dal fondo di quel canale. Erano parecchie e sembravano concitate, inoltre c'erano anche odori diversi, se c’erano dei vampiri dovevano essere più di uno. E loro erano soltanto tre. Era un miracolo se non li avevano già sentiti. Istintivamente Simon guardò alle proprie spalle, Alec e Jace non avevano indietreggiato, al contrario avevano attivato la runa dell’ascolto e, in silenzio e armi in mano, si erano zittiti. Era così diversa ora l’atmosfera rispetto a poco prima, che Simon ebbe quasi un brivido che gli percorse la schiena. Era paura ed eccitazione, quel brivido che mai in vita sua aveva provato, ma che da quando era diventato un vampiro sentiva spesso le volte in cui l’adrenalina gli accendeva un qualcosa dentro. Ci sarebbe stata una lotta e sangue, sangue ovunque. Era ora di combattere.




 

Continua




 

*Ci sono tipo duecento milioni di ponti del genere a Central Park, per curiosità ho guardato varie fotografie e molti di questi passano sopra al fiume, altri invece sopra ad altri viali. Non ne voglio indicare nessuno in particolare, una libertà narrativa, fingiamo che uno abbia un passaggio che conduce in dei famigerati sotterranei. Tutto inventato da me, ovviamente.



Note: Un grazie a chi sta ancora seguendo la storia, non manca molto al finale (due, forse tre capitoli), lo giuro e poi mi dedicherò a un altro progetto, sempre qui in Shadowhunters, a cui sto già lavorando e al quale tengo tantissimo. Nel frattempo ringrazio chi ha letto sino a qui, chi ha recensito e a chi sta seguendo la storia.
Koa
   
 
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