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Autore: Koa__    19/05/2021    2 recensioni
Dopo che gli angeli hanno cancellato la memoria di Clary, Jace si ritrova a camminare per un sentiero oscuro fatto di dolore. Questo, oltre alla rabbia che prova per il compatimento che legge sul volto degli altri, lo portano a gettarsi a capofitto nel lavoro. Alec, a un mese e mezzo dal matrimonio, vive invece una vita felice accanto a suo marito. Nonostante percepisca la sofferenza di Jace e si sia convinto di stargli vicino, dentro di sé sa di non star facendo abbastanza per il suo Parabatai. Una sera, prima di addormentarsi, entrambi esprimono un desiderio all’angelo. Jace vorrebbe avere una vita perfetta come quella di Alec mentre quest’ultimo vorrebbe stare più vicino a suo fratello e si sente in colpa per esser stato così lontano nelle ultime settimane. Il mattino successivo, Jace e Alec si risvegliano l’uno nel corpo dell’altro senza sapere come ci siano finiti. Inizia così un’indagine segreta alla ricerca di chi può aver mai fatto loro un simile tiro mancino, che li porterà a scavare dentro loro stessi.
Genere: Angst, Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Jace Wayland, Magnus Bane, Simon Lewis
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Due cuori che battono all’unisono



 

Jace ricordava la vita prima di diventare il Parabatai di Alec Lightwood e se avesse dovuto usare una sola parola per descriverla, avrebbe detto che era incompleta. Contrariamente a quanto era stato convinto per una buona parte della sua vita accanto ad Alec, il loro rapporto non era mai stato davvero perfetto. Più di una volta era stato troppo cieco per notare quanto suo fratello stesse male e tanto che, dopo l’arrivo di Clary, riuscire a tener saldo il legame era stato difficile. Ora però non poteva immaginare la propria esistenza senza sentirselo là dentro, da qualche parte tra stomaco e cuore. Se Alec si feriva, Jace sentiva il suo dolore e quando era felice percepiva come un senso di beatitudine sfarfallare nella pancia. Saperlo in pericolo lo faceva stare in ansia e, le volte in cui era capitato di dover stare lontano da lui, era diventato intrattabile. Lottare al suo fianco, invece, lo faceva sentire ancora più potente. Spesso si erano ritrovati in combattimento da soli contro decine di demoni spietati e ogni volta si era sentito come se avessero potuto contrastare eserciti interi. Si proteggevano le spalle a vicenda, si davano coraggio e soltanto quando erano uniti riuscivano a dare il meglio di loro stessi. Ed era così intensa e profonda quell’unione che spesso faticava a ricordare chi fosse prima di entrare a far parte della famiglia Lightwood. Era come se, prima che un fratello Silente lo marchiasse con la runa, Jace non avesse vissuto per davvero, quasi ogni cosa avesse acquistato un proprio senso logico unicamente dopo aver formato il legame Parabatai. Per Alec sarebbe morto, Jace l'aveva sempre saputo e non si era mai vergognato di ciò che provava per lui. Eppure, quando quel mattino si era svegliato nel letto accanto a Magnus, era rimasto sconvolto. Aveva giurato di stare vicino a suo fratello finché avesse avuto vita, ma non aveva mai messo la firma per niente del genere. Ora, però, il problema non si limitava più soltanto a quello, era l’intera situazione a farlo sentire scomodo, come se fosse a disagio ad abitare un corpo che non percepiva come proprio. Conosceva Alec meglio di quanto probabilmente non riuscisse a fare con se stesso, ma camminare nelle sue scarpe era un qualcosa che non aveva ancora fatto sentire Jace pienamente padrone di sé. Parlava, certo e ragionava anche. Si muoveva con una certa velocità e in maniera fluida e roteava gli occhi quando Simon faceva una qualche stupida battuta, ma si sentiva come se fosse sospeso da qualche parte tra se stesso e il proprio Parabatai. Dover prendere decisioni per le vite degli altri, dover firmare rapporti, parlare di politica, pensare al bene della comunità e ancora affrontare l’espressione innamorata sul volto di Magnus, contornata da un velo di terrore che Jace aveva avuto il sentore sobbollisse dietro i suoi occhi nocciola, non soltanto non erano stati d’aiuto ma lo avevano profondamente turbato. Così come gli sguardi carichi di disapprovazione e spesso anche di disgusto, che altri Shadowhunters gli rivolgevano o che, peggio, rivolgevano a Magnus e che gli avevano fatto provare il desiderio di menare le mani a destra e a sinistra. Questa, poi, era la parte che lo aveva sconvolto perché era sempre stato così preso da se stesso da non essersi mai accorto di nulla. Sapeva che il Clave aveva applaudito al matrimonio e che molti a Idris si erano dichiarati felici del fatto che il membro di una onorabile famiglia come i Lightwood avesse ufficialmente sposato un Nascosto, ma sapeva anche che non tutti la pensavano allo stesso modo. D’altronde, quando Valentine aveva fondato il Circolo e aveva iniziato a proclamare i suoi ideali di supremazia sui Nascosti, in molti lo avevano seguito e parte di queste persone sedeva ancora al proprio posto di comando e, sebbene ora tacessero, non avevano mai realmente cambiato idea. Era simili pregiudizi che Alec e Magnus tentavano ogni giorno di abbattere e a Jace era stato sufficiente un solo mattino per rendersi conto che quella vita che aveva dichiarato di voler vivere al loro posto, poiché perfetta, perfetta non lo era affatto. Al contrario aveva sedato a fatica il desiderio di spaccare la faccia a quello che lo aveva guardato con aria di rimprovero, come se lo stesse giudicando per le sue scelte di vita. Non lo aveva appeso al muro solo perché Alec era stato categorico in merito ai pugni, dichiarando che gli Shadowhunters non si pestano per alcuna ragione. Probabilmente era anche per la consapevolezza d’essersi sbagliato su Alec e Magnus, oltre che per il disagio che sentiva ad avere le rune in posti differenti o a essere così dannatamente alto, che sino ad allora si era sentito come se portasse delle vecchie scarpe di Alec troppo larghe perché gli calzassero a pennello. Eppure era andato avanti, sebbene per una volta l’istinto gli suggerisse di non scendere in battaglia, ma di fare l’impossibile pur di tornare ai loro rispettivi corpi. Non lo aveva fatto, non si era fermato, ma unicamente per senso del dovere e perché il suo Parabatai aveva ragione, erano Shadowhunters e avevano un’unica importante missione: uccidere demoni. Era stato con quello spirito in corpo che Jace lo aveva seguito prima da Simon e poi lungo i viali di Central Park e ora si stava addentrando al suo fianco in uno dei covi di vampiri più nutriti che avesse mai visto. E non si era mai sentito meglio.

 

 

Quando si rese conto che alla fine di quel condotto buio ci sarebbe stata una battaglia da affrontare, Jace Herondale aveva sentito distintamente un brivido corrergli giù lungo la schiena. Le mani si erano strette saldamente attorno alla spada angelica mentre i sensi si tendevano al pari del suo corpo statuario. Il covo era ancora relativamente lontano, sebbene in un primo momento fosse sembrato a una distanza piuttosto breve, in realtà si trovava ad almeno un centinaio di metri. Grazie alle rune riuscivano non soltanto a muoversi in quella totale assenza di luce, ma anche ad ascoltare. E fu grazie a ciò che riuscirono a sentire che si resero conto che di vampiri dovevano essercene almeno venti, forse persino di più. E c’erano anche dei mondani, molti dei quali ancora vivi, almeno secondo il naso di Simon, il quale sosteneva che i vampiri se ne stessero cibando proprio in quel momento. Il primo istinto di Jace fu quello di arrivare là di soppiatto e sguainare la spada angelica, tagliando teste a destra e a sinistra, eppure più muoveva passi in avanti e più si rendeva conto che erano soltanto in tre. Per quanto avesse il proprio Parabatai accanto e fosse certo che potessero cavarsela alla grande, sapeva che avevano uno svantaggio tattico non indifferente e che non avrebbero dovuto sottovalutare. Avrebbero dovuto organizzarsi per bene, ma se volevano salvare delle vite non avrebbero potuto chiamare dei rinforzi dall’Istituto. Una squadra ci avrebbe impiegato del tempo prima di organizzarsi e poi avrebbero certamente fatto rumore per arrivare sin lì, troppo perché una ventina di vampiri non li sentissero.
«Chiamo Magnus» sussurrò Alec, quasi gli avesse letto nel pensiero e avesse intuito i suoi ragionamenti.



 

Da Alec:
(Ore 14:21)

Abbiamo bisogno del tuo aiuto.
Ci saranno almeno venti vampiri in questo covo.

 

Da Magnus:
(Ore 14:22)

 

Vengo subito, Alexander.
(E per una volta non è un doppiosenso...)


Da Alec:
(Ore 14:22)

Riesci a rintracciarmi con la tua magia?


Da Magnus:
(Ore 14:23)

Già fatto, cucciolo mio.



 

Magnus non impiegò che qualche istante per raggiungerli. Aprì un portale una ventina di metri più indietro rispetto a dove si trovavano, sostenendo che fosse più sicuro, dato che i figli della notte erano famosi per avere un buon udito. Quando arrivò, Jace vide chiaramente lo sguardo di Alec allargarsi per la gioia e un moto di felicità e serenità, agitarsi dentro al proprio stomaco. Niente di diverso da quanto percepiva di solito da Alec, almeno negli ultimi tempi, ma vedere quel sentimento così totalizzante da vicino era decisamente un’altra cosa. Ne aveva avuto un piccolo saggio quella mattina, ma era stato così sconvolto dall’accaduto che non si era soffermato a notare la profonda reverenza che provavano l’uno per l’altro. Vederli, ora, era come se avesse reso la sua consapevolezza ancora più concreta. Aveva il sentore di poter toccare il loro amore da vicino, di sfiorarlo con le punte delle dita e quella sensazione gli agitò moti di malinconia dentro al petto. Ogni volta che pensava a Magnus e Alec, non poteva non ricordarsi di Clary e del modo in cui gli era stata strappata. Perché era questo ciò che pensava davvero, nonostante a livello razionale sapesse che lei aveva preso le proprie decisioni con coscienza, ben sapendo cosa le sarebbe accaduto se avesse usato di nuovo una delle sue rune, non poteva non dare agli angeli la colpa di tutto quello. Prima le concedevano un potere tanto straordinario e poi si permettevano anche di arrabbiarsi, quando questo veniva utilizzato? Non riusciva ad accettarlo perché, nella sua testa, non aveva alcun senso e più rimuginava su questo, più si rendeva conto che forse la situazione in cui lui e Alec si trovavano era colpa sua. Avevano stabilito che non potesse essere una punzione e forse non lo era, ma magari era un modo contorto che avevano di mostrargli un qualcosa. Gli angeli sapevano per certo cosa gli stesse passando per la mente, il suo non riuscire ad accettare la sorte toccata alla donna che amava, l’invidiare la vita di Alec pur sentendo buona parte del suo dolore e della frustrazione che provava, dovevano averli spinti ad ascoltare quel desiderio. Jace non aveva dimenticato di aver espresso la volontà di vivere la vita di suo fratello, almeno per un giorno. Ci aveva pensato sopra per un attimo da mezzo ubriaco prima di addormentarsi, ma non avrebbe mai pensato che la sua preghiera sarebbe stata ascoltata. E ora, notando il modo in cui Magnus tratteneva le dita, stringendole in un paio di pugni stretti così da non dover accarezzare Alec come chiaramente voleva fare, non poteva che sentirsi in colpa. Tutto quello era successo a causa sua. E sarebbe arrivato il momento in cui avrebbe dovuto dirglielo.


«Ci servirà un piano» disse Simon, interrompendo il flusso di pensieri di Jace che si riscosse con un brivido. Era ancora in un condotto buio sotto Central Park e c’era ancora un covo di vampiri a un centinaio di metri di distanza, non poteva dimenticarsi di una cosa del genere. Simon senz’altro non lo aveva fatto, considerato che, per tutto il tempo, aveva tenuto sotto controllo il fondo di quel tunnel. I vampiri non si erano mossi da lì e con ogni probabilità non l’avrebbero fatto sino a quando i mondani di cui si stavano nutrendo non sarebbero stati tutti morti.
«Ho trovato» aggiunse quindi, non permettendo agli altri di avanzare qualche teoria circa il da farsi. Jace aveva un paio di idee, in effetti, ma Simon sembrava desideroso di proporre le proprie. «Vado da solo» aggiunse il vampiro, scatenando nell’immediato la loro disapprovazione. Era fuori discussione che riuscisse a farcela da solo, era veloce e anche piuttosto capace, e Jace lo sapeva perché l'aveva visto più volte in azione, ma niente gli avrebbe mai fatto credere che ce l’avrebbe fatta davvero da solo contro un intero covo di succhiasangue.
«Credo tu abbia bevuto del sangue andato a male, Bob Dylan» lo rimproverò Magnus con una punta di sarcasmo che fece sorridere Jace. «Perché è chiaro che sei impazzito del tutto.»
«Andrò lì e dirò che ho sentito di un covo da queste parti e che avevo fame, il che non è poi così lontano dalla realtà. Sono come loro, giusto? Non potranno farmi niente.»
«E dov’è la parte in cui arriviamo noi a prenderli a calci nel culo?» sussurrò Jace, intanto che stringeva meglio tra le dita la spada angelica.
«Beh, quella è da perfezionare in effetti.»
«Basta» tuonò Alec con determinazione, zittendo nell’immediato Simon e Jace che avrebbero di certo ripreso a battibeccare e non avevano di sicuro il tempo per star lì a discutere. «Ecco cosa faremo.» Proseguì con quel cipiglio autoritario per il quale Magnus si ritrovava sempre ad avere un debole. Non lo vedeva da qualche ora e già gli era mancato terribilmente perché sì, anche coi capelli biondi suo marito riusciva a essere straordinariamente fantastico. E quando entrava in “modalità Shadowhunter” era in grado di fargli calare le mutande alla velocità della luce. Peccato che non fossero da soli e dietro l’angolo, una ventina di vampiri assetati stessero uccidendo dei poveri innocenti.
«L’idea di Simon non è male, andrai là e farai quello che hai detto. Che hai sentito parlare di questo posto e ci sei venuto, resta sul vago e assicurati che non facciano troppe domande. E non bere niente da quegli umani, oltre ad avere guai col Clave, hai detto che sentivi uno strano odore e può esserci di tutto in quel sangue. Non sappiamo quali reazioni potresti avere.»
«Non sarà un problema, so tenere a freno la sete di sangue» annuì Simon con convinzione. Era più che certo di farcela, perché più passava del tempo là sotto e più stava male. Non vedeva l’ora di togliersi di torno e tornare in superficie a respirare aria fresca. Sì, forse non a respirare dato che era morto, ma perlomeno ad annusare odori migliori ecco.
«Non capisco cosa ci sia di diverso rispetto quello che ha detto il nostro amico denti aguzzi poco fa» lo rimbrottò Magnus il quale, nonostante il suo cucciolo riuscisse essere dannatamente sexy persino in quel corpo, in quel momento non riusciva a distogliere lo sguardo dal punto in cui una luce si allargava. Quei figli della notte dovevano essersi costruiti una sorta di rifugio, là dentro, perché c’era della corrente elettrica e probabilmente anche uno spazio piuttosto ampio, sufficiente per starci in una ventina di persone.
«La differenza saremo io e Jace. Simon gli dirà che già che c’era ha portato del cibo in più. Magnus penserà alle corde, fingeremo di essere tuoi prigionieri e una volta dentro...»
«Non che non abbia mai pensato di legarti, pasticcino, ma sei forse impazzito?» gli chiese, visibilmente spaventato.
«Tu rimarrai a poca distanza e al momento giusto ci slegherai» gli rispose Alec, con decisione, dando prova di aver pensato a tutto. E aveva quell’espressione in viso di chi sa perfettamente quello che fa, alla quale nemmeno Magnus Bane, l’ex sommo stregone, eccetera, eccetera, avrebbe potuto dire di no.
«D’accordo» annuì con uno sbuffo «ma di questa cosa del legarti ne riparliamo, fiorellino, perché vanno rivisti i nostri accordi matrimoniali.»
«Per favore, potreste evitare?» domandò Simon, nauseato «mi state facendo venire da vomitare da quanto siete sdolcinati, come se l’odore che c’è qua sotto non ci pensasse già da solo.» Alec non fece in tempo a replicare a Magnus né a sottolineare che loro non erano affatto sdolcinati, perché Simon imboccò subito il corridoio in direzione del punto in cui una luce si allargava senza dare a nessuno alcuna possibilità di replica. Magnus fece apparire magicamente delle corde, grazie alle quali aveva unito assieme le mani sue e quelle di Jace, che si ritrovarono a camminare a stretto contato. Stava succedendo, per l’ennesima volta stavano andando contro alla morte e nonostante non fossero davvero soli, Alec sentiva che in quel momento esistevano soltanto loro. Lui e il suo Parabatai.


 

Ogni volta che lottava al fianco di suo fratello, Jace provava una forte sensazione di unione. Il suo cuore e quello di Alec si allineavano, battendo allo stesso identico ritmo. I pensieri fluivano tutti nella medesima direzione, focalizzati sulla lotta alla stessa maniera dei suoi sensi. Ogni cellula di sé vibrava e si muoveva al medesimo respiro di quelle di Alec. Sapeva come suo fratello si sarebbe mosso di fronte a un attacco, perché conosceva a memoria il suo modo di combattere ed era certo che gli avrebbe protetto le spalle. Era sicuro che le sue frecce sarebbero arrivate dove la sua lama angelica non sarebbe riuscita a toccare. Erano soltanto vampiri, quelli alla fine del condotto buio che si snodava sotto ai viali di Central Park e Jace Herondale sapeva che in un passato anche molto recente avevano affrontato situazioni ben peggiori di quella. Eppure si sentì ugualmente vibrare dentro. La sua mano andò a sfiorare quella di Alec, che sollevò lo sguardo in sua direzione e prese a guardarlo intensamente negli occhi. Sapeva che stava provando le stesse sue sensazioni, che aveva il medesimo timore che quello scambio di corpi avrebbe impedito loro di muoversi come facevano di solito. Erano un meccanismo ben oliato, loro due, che scandiva con precisione i secondi allo stesso modo di un buon orologio. Lo erano sempre stati, ma lo sarebbero stati anche ora? Sarebbe stato capace di lottare in un corpo che non era il proprio e senza sentirsi pienamente vivo e padrone di sé? Aveva paura sì, anche se non l’avrebbe mai ammesso temeva di ferire il corpo di Alec in qualche modo. Temeva, in fin dei conti, di aver rovinato con i suoi stupidi desideri una delle poche cose belle che gli era rimasta, il legame col proprio Parabatai.

 

«Salve, ragazzi!» Simon trillò la voce con tono festoso, quasi si stesse trovando a una festa piena di persone simpatiche e non di fronte a una ventina o più di vampiri assetati. E lo fece sorridendo ampiamente, sedando a fatica l’ennesimo moto di nausea che gli aveva stretto la bocca dello stomaco. Più si avvicinava a quei mondani e più provava un senso di fastidio non ben definito dentro, che tuttavia andò pian piano schiarendosi. In superficie aveva sentito soltanto uno strano odore, anche piuttosto vago e che, proseguendo nelle fogne, si era intensificato. Ora però che era finalmente giunto nel covo e che vedeva siringhe e fiale contenenti una qualche tipo di sostanza, gli fu finalmente chiaro cosa stesse succedendo. Li avevano drogati, probabilmente per sballarsi perché il sangue di un individuo tendeva ad assorbire le sostanze come fosse una spugna. Era la cosa più stupida del mondo, si rese conto Simon ricordandosi di quanto era andato fuori di testa con del semplice plasma. Era stupido e ridicolo, oltretutto e lo odiava perché lui detestava la droga, non l’aveva mai sopportata e tanto che quando sua madre aveva avuto il sospetto che si stesse drogando, si era quasi indignato domandandosi se l’avesse mai conosciuto davvero. Prima ancora di essere un vampiro diciannovenne, Simon Lewis era stato un adolescente ipocondriaco. A quattordici anni si era studiato tutti gli effetti che l’uso di certe sostanze produce sull’organismo e ne era uscito così spaventato, d’aver giurato a se stesso di non arrivare mai ad assumere quella roba. Ora che sentiva il puzzo del sangue di quei mondani, tanto diverso dall’odore che aveva di solito, in un imperfetto controsenso si ritrovò a sorridere senza riuscire davvero a trattenersi. *
«Che hai da ridere, idiota?» gli domandò una vampira dai corti capelli biondi e che non conosceva e che aveva la sensazione fosse la capa di quel clan, dopo che si fu sollevata dal corpo di una ragazza che non doveva avere neppure quindici anni. Cavolo, non li sopportava quando si cibavano dei bambini! E avrebbe volentieri iniziato a pestarli tutti, se non avessero avuto un piano da seguire e la certezza che Alec e Jace le avrebbero fatto il culo a stelle e strisce.
«Scusate, sono un maleducato, mi chiamo Simon Lewis.»
«Chi?» domandò un altro vampiro, guardandolo con diffidenza. Era più anziano, nell’aspetto, forse sulla quarantina e aveva una chioma di capelli rossi, raccolti in una coda.
«Simon? Il diurno? No? Niente? Ad ogni modo sorridevo perché voi ragazzi mi avete fatto tornare in mente un episodio della mia vita e vorrei raccontarvelo, se avete un momento prima di tornare al vostro delizioso banchetto. Avevo un’amica che si chiamava Frey e una volta uscii di casa alle tre del mattino, scesi in strada per andare bussare alla sua finestra. Prima che ve lo chiediate: niente serenata romantica o cose del genere, ma è che avevo appena finito di fare una ricerca su internet e dovevo assolutamente dire a Frey quello che avevo trovato. Sapete, avevamo un compagno di classe che si chiamava Travis Grant e che era notoriamente un fattone, avevo bevuto per sbaglio la sua aranciata un venerdì e avevo passato un fine settimana orrendo, convinto di esser diventato un drogato. Sono sempre stato un po’ ipocondriaco, in effetti e paranoico anche. Beh, la domenica notte andai da Frey, passando per un vicolo che conoscevamo soltanto io e lei. Salii per le scalette e bussai alla sua finestra, le raccontai tutta la storia di Travis e del fatto che fossi convinto di essere anch’io un drogato, ma quando vide che ore fossero non soltanto mi mandò al diavolo, ma mi tirò un pugno in faccia spaccandomi gli occhiali. Manesca dite? Mh, sì, Frey non c’è mai andata troppo per il sottile. Il giorno dopo si giustificò dicendo che era sonnambula, ma io sapevo che era una balla perché Frey era fatta così, non aveva mezze misure. O le piacevi o ti pestava, in effetti non mi stupisco che si sia innamorata del biondo ossigenato, considerato che non sono troppo diversi. Ma ad ogni modo, Frey era una Shadowhunters e loro sono fatti così, sapete? Prima ti picchiano e poi ti chiedono come stai ed è molto difficile catturarli, ma si dà il caso che ne abbia presi un paio e che ve li abbia portati, quindi se mi date i vostri mondani pieni di droga io vi offro loro due. Che ne dite? Facciamo questo affare?»

 

Dopo che ebbe finito di parlare, Simon Lewis si guardò attorno colto da un leggero imbarazzo, ancora sorrideva ma quei vampiri lo guardavano come se fosse impazzito. Ovviamente non avevano risposto, lo fissavano attoniti senza dire nulla e tanto che neppure avevano ripreso a cibarsi dei mondani. Se non avesse saputo per certo che non si possono ammaliare altri vampiri, Simon si sarebbe convinto di aver fatto loro una malia perché fissavano il vuoto come se fossero stati incantati. Era probabile che non avessero capito un bel niente di tutto quel discorso, ma non gli importava davvero perché si era ricordato di quella volta con Frey e poi, beh, il piano sarebbe andato a finire in un modo soltanto.
«D’accordo, questi non ne vogliono sapere. Magnus, sciogli le briglie.»
«Chi sarebbe ora questo Mag…» Ma la tizia bionda dai capelli corti non avrebbe mai finito quella frase, a Magnus fu sufficiente un istante per piombare fuori dal buio e un successivo schiocco di dita per far sì che le corde che tenevano legati Alec e Jace, scomparissero. Fu allora che i due Shadowhunters si scatenarono in quella che Simon avrebbe definito pura poesia, se fosse stato quel genere di persona che rende poetici certi momenti, ma lui non lo era e di conseguenza si limitò a notare il modo armonioso in cui si muovevano e a farlo con una certa ammirazione. Era come se si fossero messi d’accordo in precedenza su che cosa fare e come muoversi, tanto pareva un balletto per studiato. Un passo a due, ma con lame angeliche, teste di vampiro che volavano e corpi che si volatilizzavano finendo in cenere. E in polvere ne finirono parecchi, dato che in quel covo in un secondo momento avrebbero stabilito che ce n'erano più di trenta. Ma sulle prime, Jace e Alec si limitarono ad afferrare le spade e a muoversi con quel perfetto coordinamento che li rendeva due Parabatai affiatati ed eccezionali. Alec riusciva a sentire in maniera molto chiara Jace muoversi al proprio fianco. Quando era certo che si sarebbe esposto verso destra, lui gli proteggeva il fianco sinistro, affondando la lama nel cuore di uno di quei vampiri. Quando, al contrario, si diceva sicuro che avrebbe attaccato frontalmente dal basso, Alec lo guardava dall’alto come un angelo protettore. Lottavano dandosi le spalle, schiena contro schiena e con Jace che sorrideva beffardo perché infuocato dello spirito della battaglia che gli bruciava nel petto, agitando il volto pallido di colui che di solito non aveva una simile espressione addosso.
«Io sono a dodici e tu, fratello?» gli chiese Jace, sorridendo appena intanto che faceva roteare la lama angelica.
«Undici, ma mio marito ne ha uccisi una decina quindi vinciamo noi.»
«Lascia fuori lo stregone, questa è una gara tra me e te» ribatté Jace, tagliando un’altra testa a uno di quei vampiri e aggiungere quindi un’altra tacca «tredici.»
«Non sapevo stessimo facendo una gara anche su questo» mormorò Alec, allungando la lama angelica in direzione di un paio di vampiri che erano corsi in sua direzione e che aveva ucciso contemporaneamente «dodici e tredici, fratello. Ora siamo pari.»
«Ah, sono finiti!» si lamentò Jace, notando che non era rimasto più nessuno se non quella stessa bionda dai capelli corti che aveva dato loro l’impressione di essere il capo di quel clan e che Magnus teneva inchiodata al muro con la sua magia.
«Pari, fratello» annuì Alec, avvicinandosi a quella donna dai denti sguainati e grondante di sangue che ringhiava prepotentemente in loro direzione, lanciando loro più di un improperio a un Jace che la stava arrestando con tutte le formalità del caso.
«Ti dichiaro in arresto per ordine del Clave per l’omicidio di dieci mondai e per il tentato omicidio di altri cinque» dichiarò Jace, dopo che si fu avvicinato intanto che Alec comunicava a Underhill il successo della missione. Da quel momento in avanti tutto sarebbe stato di routine, avrebbero trasportato quei mondani in ospedale e fatto in modo che nessuno sapesse cosa fosse successo loro. Avrebbero stilato dei rapporti e condotto quella vampira fino a Idris, dove sarebbe stata processata per omicidio. Ma nel frattempo, intanto che Alec accorreva accanto ai corpi di quei mondani, di modo da accertarsi che fossero ancora in vita, si disse che non era andata affatto male nonostante tutto. Lui e Jace se l’erano cavata, come facevano sempre. Ora avrebbero dovuto soltanto mettere a posto le cose e tornare ognuno nel proprio corpo.





Continua





 

*Nonostante io conosca piuttosto bene il mondo letterario dei vampiri, non ho mai letto niente del genere (anche se ovviamente potrei sbagliarmi), ma prendendo ispirazione da Buffy l’ammazzavampiri e da una scena in cui dei vampiri uccidono un signore anziano con il diabete, sostenendo che sapesse di rancido, ho pensato che se il sangue contiene della droga, li facesse in un certo senso sballare. Simon sostiene che sia un modo stupido per farlo, e io sono pienamente d’accordo con lui.


Note: La storia che Simon racconta su lui e Frey è inventata da me, non so se esista un riferimento simile nei libri (ho appena iniziato Città di Ossa), ma l'ho trovato verosimile. Ringrazio tutte le persone che stanno seguendo questa storia. Col prossimo capitolo penso che la chiuderò, forse metterò giù un breve epilogo, ma sarà un “in più”, intanto grazie per essere arrivati sin qui.
Koa
   
 
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