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Autore: Valentyna90    26/05/2021    2 recensioni
Alya Merope Black è la sorella gemella di Sirius. Ha vissuto con lui e con il fratellino Regulus gli anni dell'infanzia a Grimmauld Place, sotto la severa educazione impartita da Orion e Walburga Black, i loro inflessibili e orgogliosi genitori.
Sotto l'influenza dei rigidi dettami della sua famiglia, Alya Merope cresce come degna erede della Casata dei Black, fiera e vanitosa delle sue origini; tutto il contrario di suo fratello gemello Sirius, che le rigetta con disprezzo. Insieme, i due gemelli entreranno a Hogwarts, ma vivranno vite separate. Sirius sarà un Grifondoro, Alya Merope una Serpeverde. Un perenne velo di sdegno e indifferenza li separa.
Ma nella vita della giovane Black c'è dell'altro. Un potere arcano e sconosciuto, che nemmeno lei sa comprendere. La sua mente funziona diversamente rispetto a quella dei suoi coetanei. Soprattutto nei sogni. Qui, in questa parte sospesa dell'esistenza, dove tempo e spazio, realtà e finzione si confondono, la coscienza di Alya Merope viaggia, apprende, conosce. Ma sempre inconsapevole.
Quale sarà il destino della giovane maga?
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Merope Gaunt, Nuovo personaggio, Orion Black, Regulus Black, Sirius Black
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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IL PATRONUS

 

16 luglio, 1976. Tenuta di Arcturus Black, Cornovaglia.

 

Il giorno seguente Alya si svegliò in preda all’agitazione. Sua madre l’aveva convocata nel suo boudoir personale e la ragazza aveva la tremenda sensazione che questo c’entrasse con la conversazione che aveva avuto con suo fratello Regulus nella cantina. Evidentemente, quello spione di Kreacher doveva averli sentiti ed era corso a spifferare tutto alla sua padrona. Chissà quanto era riuscito a origliare l’elfo domestico? Per quanto tempo se n’era stato acquattato, nascosto dietro l’ingresso della cantina? Se Walburga avesse scoperto che uno dei voti della figlia era stato il frutto di un inganno, sarebbero stati guai seri per Alya.

Mentre si vestiva, Alya rabbrividì al pensiero di ciò che l’aspettava: le punizioni di sua madre erano da considerarsi di gran lunga peggiori rispetto a qualsiasi altro castigo impartito dagli insegnanti di Hogwarts. Alya sapeva bene di che cosa era capace la madre, avendo assistito per anni alla crudeltà riversata su Sirius. Niente a che vedere con qualche serata passata a strofinare ampolle impolverate.

Quando Alya entrò nel boudoir, sua madre si trovava già lì ad attenderla, in piedi in mezzo alla stanza, altera, avvolta da un lungo vestito di stoffa nera. L’unico gioiello che indossava era il pesante medaglione d’argento, con la raffigurazione di un ramo intricato incisa sulla superficie, il solo monile che sfoggiava con fierezza.

“Ben svegliata, Alya Merope.” l’accolse la donna con tono freddo, ma educato. “Seguimi, desidero mostrarti una stanza.” aggiunse senza troppi preamboli, facendo segno ad Alya di seguirla. La figlia obbedì senza fiatare, ma senza capire che cosa mai avesse in mente sua madre. Che cosa voleva mostrarle? Una stanza per le torture, forse? Un secondo brivido di terrore scorse lungo la sua schiena.

Madre e figlia superarono un paio di stanze, che Alya non aveva mai visto - quanto poco conosceva della tenuta che era appartenuta al suo avo paterno? Giunsero infine ad una terza stanza, rettangolare e molto ampia, ben arredata, anche se dall’aria piuttosto sgombra. Era fornita di scarsa mobilia, fatta eccezione per la presenza di un tavolino in legno, stracolmo di oggetti magici di vario tipo, molti dei quali apparivano sconosciuti agli occhi di Alya; vi era, inoltre, un armadietto e un paio di sedie, anch’esse in legno, intagliate con motivi eleganti (assomigliavano in qualche modo alle sedie presenti nello studio di Lumacorno). Per il resto, non c’erano altri mobili nella stanza. Sulla parete alla destra dell’ingresso, saltava alla vista un maestoso camino in marmo, fiancheggiato da due ampie finestre che si affacciavano sul cortiletto esterno dell’edificio. Sopra al camino, si ergeva uno specchio d’argento che brillava sfarzoso – Kreacher doveva averlo lucidato da poco. Sul muro opposto, era stato affisso un dipinto dalle dimensioni considerevoli (occupava quasi tutto lo spazio della parete), attorniato da una possente cornice dorata, dalle decorazioni intricate. Si trattava di un gigantesco ritratto di Arcturus Black, nonno paterno di Alya, nonché il vecchio padrone della tenuta. La posizione del dipinto si rivelò strategicamente voluta; la nipote notò come lo specchio posto dirimpetto ad esso riflettesse nella sua interezza la figura del nonno. In questo modo, sembrava che sulle due pareti fossero stati appesi due ritratti speculari e identici. Alya studiò con ammirazione la figura del suo avo che sovrastava la stanza: Arcturus Black doveva essere stato un uomo vigoroso e imponente, a giudicare dal dipinto; i suoi occhi incutevano timore persino dalla tela imbrattata; sembravano essere pronti ad esaminare con sguardo ferreo e inquisitore tutti coloro che entravano nella stanza: non tutti avevano il diritto di presentarsi al suo cospetto. Alya non aveva ricordi del nonno paterno, ma era certa che dovesse essere stato un uomo molto duro e intransigente. Qualcuno che non conveniva contrariare.

Alya scrutò le altre due pareti e vide altri due dipinti, molto più piccoli rispetto al ritratto di Arcturus. A quanto pareva, suo nonno doveva aver avuto una vera e propria passione per la mitologia greca: uno dei due quadri rappresentava il dio Apollo, intento a falcare le immensità del cielo con il suo carro, trainando il sole sopra il mondo. Lo stesso motivo era presente nel salone ottagonale. L’altro dipinto, invece, mostrava Zeus, il più importante delle divinità dell’Olimpo, padre di Apollo, nell’atto di scagliare uno dei suoi fulmini contro i nemici, i quali si prostravano disperati sotto i suoi piedi. Alya non poté fare a meno di notare con quanto narcisismo Arcturus avesse fatto disporre quei quadri, sia per quanto riguardava la posizione che la grandezza. In poche parole, il ritratto di Arcturus Black si presentava come il più maestoso di tutta la sala, mentre i dipinti raffiguranti le due divinità erano stati messi in secondo piano, quasi a voler farli apparire come due semplici e fedeli vassalli agli ordini di Arcturus.

Alya stava ancora contemplando il magnifico ritratto, quando la madre la riportò alla realtà.

“Ti starai chiedendo come mai ti abbia condotta qui, di primo mattino.” esordì con una certa solennità nella voce, mentre spalancava i lembi di una pesante tenda impolverata, che copriva i vetri delle finestre. La flebile luce dell’alba si posò timidamente sul ciondolo d’argento di Walburga, mettendo in risalto il motivo del ramo finemente inciso. Alya vide nuvole di polvere volteggiare negli scampoli di luce che inondavano ora la stanza.

“Ti trovi in una sala particolare del palazzo, come avrai intuito. Non viene utilizzata spesso, ma è di grande utilità e importanza.” spiegò Walburga. Alya la ascoltava, ma ancora non capiva perché si trovasse lì e che cosa avesse in programma la madre.

“Come vedi, ci troviamo esattamente al centro dell’edificio, circondate da altre stanze. L’unica parte scoperta è questa parete...” la donna indicò il muro dove si ergeva il camino con lo specchio. “...la quale si affaccia sul nostro giardino. In poche parole, questa stanza è racchiusa, come in uno scrigno, all’interno dell’edificio, protetta. Celata.” proseguì Walburga con tono grave. Alya si sentiva sempre più confusa. La madre pianificava, forse, di rinchiuderla lì dentro? Stentava a crederlo. Era troppo, persino per la gelida e spietata Walburga.

Notando l’espressione perplessa della figlia, la signora Black continuò il suo discorso che illustrava lo scopo della stanza in cui si trovavano.

“Vedi, Alya Merope, quando tuo padre era uno studente – esattamente come lo sei tu adesso – tuo nonno Arcturus ha deciso di adibire questa stanza in modo che potesse fungere come luogo di allenamento. Come tu ben sai, non è permesso ai maghi minorenni praticare la magia al di fuori dei confini di Hogwarts. Ai quei tempi le cose non erano diverse. I giovani che osavano cimentarsi negli incantesimi una volta terminato l’anno scolastico rischiavano l’espulsione, esattamente come voi adesso. Una vera ingiustizia. Impedire a ragazzi di talento di impratichirsi, di migliorarsi...e per cosa? Per tutelare la salvaguardia di persone prive di magia, prive di valore...incapaci di comprendere la grandezza.” era chiaro che Walburga si stava riferendo ai Babbani e alle norme di sicurezza che regolamentavano l’utilizzo opportuno della magia, in modo da proteggere lo stato di segretezza della comunità magica. Norme che la donna disprezzava in maniera più che evidente.

Di solito, i figli di famiglie di maghi purosangue godevano di maggiore libertà nell’utilizzo della magia al di fuori dei confini di Hogwarts. Questo perché per gli impiegati del Ministero della Magia era particolarmente difficoltoso tenere sotto controllo ogni singolo incantesimo avvenuto nelle case dei purosangue e provvedere alla verifica da chi fosse realmente partito, se da un mago maggiorenne o minorenne; perciò, vigeva un tacito accordo secondo il quale la responsabilità per tutelare la segretezza magica era a carico delle famiglie dello studente minorenne.

Tuttavia, in quel periodo di tumulti, in cui un potente Mago Oscuro stava emergendo, agitando gli animi dei più fanatici contro la comunità babbana, i controlli tenuti dal Ministero sull’uso improprio della magia da parte dei minorenni – e non – si erano intensificati e inaspriti; anche le potenti famiglie purosangue finivano spesso nel mirino. Walburga, ovviamente, rigettava senza pudore tali scelte politiche.

“Tuo nonno, ovviamente, non poteva accettare che a suo figlio, discendente di una delle più nobili casate magiche esistenti, fosse imposto un uso limitato della magia, fuori da scuola. Il suo talento doveva essere nutrito, alimentato. Settimane e settimane di pausa avrebbero inibito il suo potere. Perciò, Arcturus ebbe un’idea. Creare un luogo dove il suo erede avrebbe potuto allenarsi indisturbato. E fu scelta proprio questa stanza. Come ti ho spiegato, gode di un’eccellente posizione strategica e, con i dovuti incantesimi di protezione, nessuno sarebbe in grado di verificare cosa accade al suo interno. Nemmeno il Ministero delle Magia.” spiegò la signora Black, con gli occhi glaciali che brillavano di furioso orgoglio. L’idea di riuscire a raggirare le regole imposte dal Ministero doveva suscitarle un piacere perverso; il tipico piacere legato alle smanie di potere.

“Immagino che gli incantesimi utilizzati per celare questa stanza siano gli stessi che ha usato papà per rendere invisibile la nostra casa in Grimmauld Place, agli occhi dei Babbani che ci abitano intorno.” intuì Alya, con mente sveglia.

“All’incirca sì, Alya Merope. Di base, si tratta della medesima magia, solo più potente. Si parla di ingannare il Ministero della Magia, dopotutto, e non un branco di ottusi Babbani. Perciò, non è stato possibile disporre tale protezione per un periodo troppo prolungato. Si tratta di poche ore, tre per la precisione. Al mattino, molto presto. Dalle sei alle nove. Non c’è molta attività lavorativa al Ministero in questo arco della giornata, quindi è più difficile che qualcuno noti qualcosa di anomalo in questo edificio. Sempre che si facciano gli opportuni controlli. È necessaria una soffiata per far partire un’indagine...ma questa tenuta si trova in un luogo assai remoto, circondato solo da Babbani. Inoltre, è già protetta da incantesimi che la rendono invisibile – su accordo del Ministero, ovviamente – in modo che quella plebaglia senza magia la veda come un semplice rudere abbandonato. Per la farla breve, è del tutto improbabile che a qualcuno sorga il sospetto che qui dentro ci sia una stanza dove maghi minorenni possano lanciare magie in tutta libertà.” concluse Walburga con maligna soddisfazione. Alya soppesava, ora, il perimetro della sala con rinnovata curiosità. Tuttavia, ancora non riusciva a comprendere il motivo per il quale sua madre l’avesse fatta svegliare così presto e condotta lì dentro.

“Questo ci porta alla ragione per cui siamo qui, oggi.” annunciò la signora Black, come se avesse letto nella mente curiosa della figlia. “Kreacher mi ha riferito la visita che tu e tuo fratello avete fatto di nascosto alla cantina. Ha ascoltato tutto ciò che vi siete detti – sì, Alya Merope, proprio tutto – ed è corso ad avvertirmi. Per questa volta, sorvolerò sul fatto che vi siete introdotti in un posto dove vi è proibito accedere.” sentenziò Walburga, con voce grave.

“Io, non capisco madre...quindi, non sono qui per essere punita?” replicò Alya incredula.

“No, Alya Merope. Non dopo quello che hai confidato a tuo fratello. Hai agito per il meglio. Per il meglio di questa famiglia. Hai lottato per ottenere ciò che ti spettava. E hai fatto abbassare la cresta a quell’insulsa ragazzina, una sanguemarcio. Che stupida...mettere gli occhi sull’erede di una stirpe di sangue puro. Chi si crede di essere? È solo un essere indegno. Ma tu le hai fatto capire qual è il suo posto. Brava! E, così facendo, hai difeso la posizione di tuo fratello Sirius. Il suo continuo comportamento da scellerato rischia di gettare fango su di noi. Quella che tu hai scambiato per una bravata, in realtà, si è rivelata la giusta azione per difenderci da un rischio che non possiamo permetterci. Mescolarci con certa immondizia! Che schifezza!” il viso di Walburga si era deformato in una smorfia raccapricciante, che rivelava tutto il disgusto che serbava nei confronti dei maghi nati in famiglie Babbane. Alya, in una parte molto celata del suo cuore, non condivideva quel disprezzo acido che la sua famiglia serbava per tutti coloro che non avevano sangue puro nelle loro vene, ma si guardò ben dall’esprimere la sua reale opinione al riguardo. In quel momento, provava solo un gran sollievo per aver evitato un castigo senz’altro tremendo. Poco le importava di come sua madre giudicasse quella saputella insopportabile di Lily Evans (sebbene i motivi per cui Alya non la sopportava non avessero niente a che fare con le sue origine babbane).

“Il tuo agire, inoltre, mi dimostra la tua natura, Alya Merope, e non potrei esserne più orgogliosa.” continuò Walburga, con voce imperiosa “Caparbia, fiera, leale alla nostra casata, al nostro sangue. Una vera Black! E per questo, credo, tu meriti un premio che valga più di un bel vestito.”

Con queste parole, la signora Black catturò definitivamente l’attenzione di Alya. Di che cosa stava parlando? La paura che l’aveva accompagnata fino a quando era entrata in quella stanza sconosciuta l’aveva ormai completamente abbandonata, lasciando il posto ad una nuova eccitazione.

“Voglio insegnarti un incantesimo. Un incantesimo in grado di manifestare la tua vera forza. La tua vera natura. Che sia la rappresentazione magica di ciò che sei.”

“Di che si tratta?” chiese Alya, che non riusciva più a contenere la curiosità.

“Hai mai sentito parlare di un incanto chiamato Patronus?” domandò Walburga, perforando il viso di Alya con il suo sguardo imperscrutabile.

“Certo, ce ne hanno parlato a lezione…ma non l’abbiamo ancora eseguito...credo faccia parte del programma del settimo anno…” mormorò Alya.

“Come immaginavo. Hogwarts sta perdendo il suo prestigio.” la signora Black schioccò la lingua in segno di disapprovazione.

“Il Patronus è un incantesimo molto difficile, solo maghi esperti riescono ad evocarlo nella sua forma completa. Immagino che il Preside della tua scuola non si arrischi a inserirlo nei programmi degli anni precedenti per non rischiare una figuraccia. Dubito che la gentaglia indegna che si ostina a far entrare a Hogwarts sia in grado di maneggiare una magia di tale potenza.”

“Ma tu, figlia mia, sei di sangue puro, una maga piena di talento, brillante e acuta. Sono certa che riuscirai ad apprenderlo senza problemi. Te lo insegnerò io personalmente. Utilizzeremo questa stanza. Ogni mattina, ti presenterai qui alle sei e ti allenerai fino a quando non lo padroneggerai a dovere.”

“Ma il suo scopo non è quello di difenderci dai Dissennatori...ti aspetti un attacco da parte loro, per caso?” replicò Alya perplessa, mal celando una nota di sarcasmo.

“No, Alya Merope, nessun attacco.” rispose la madre, con voce calma. “Può anche apparire come un semplice incantesimo di difesa, ma in realtà è molto di più. Rivela l’essenza più profonda di un mago, a mio avviso. La somma dei valori realmente importanti per noi, dai quali possiamo attingere la forza necessaria per affrontare le strade impervie della vita. Ci aspettano tempi duri, temo. Tempi in cui la purezza del nostro sangue magico rischia di essere corrotta e contaminata. È bene comprendere da che parte stare. Come ho detto in precedenza, hai dimostrato di essere leale alla tua famiglia. È giunto il momento di nutrire questa tua inclinazione. Farla ancorare a fondo nel tuo cuore.”

“Non indugiamo oltre in sciocche chiacchiere. Cominciamo!” disse, infine, Walburga con voce autoritaria.

Alya si mise in posizione, con la bacchetta sollevata. Era ansiosa e impaziente di mettersi alla prova. Non era da tutti avere la possibilità di imparare un incantesimo di quel calibro alla sua età. A scuola l’avrebbero ammirata – e invidiata – tutti.

“Bene. Per evocare un Patronus - un vero Patronus - è necessario focalizzare la propria mente su un ricordo. Un unico ricordo, che ti trasmetta sensazioni piacevoli, felici. Qualcosa di profondo, che abbia una certa rilevanza nella tua memoria. Mente e corpo devono essere inondati da una totale sensazione di pienezza e di gioia, affinché l’incanto risulti ben riuscito. Più intensa sarà l’emozione di felicità provata, più facile sarà per il tuo Patronus assumere una forma definita e completa.” spiegò la signora Black. Alya pendeva dalle sue labbra, decisa a non perdersi nemmeno una sillaba.

“Una volta individuato e visualizzato il ricordo, dovrai cercare di incanalare la magia da esso evocata attraverso la tua bacchetta. La formula che dovrai pronunciare è la seguente: Expecto Patronum.” Walburga scandì con precisione la frase magica, in modo che Alya potesse comprenderla e impararla nel modo giusto. La ragazza impresse quelle parole nella sua mente, come scolpite sulla pietra. Le sussurrò sottovoce diverse volte, in modo da non dimenticarle.

“Ora, concentrati e trova dentro di te il ricordo, il pensiero che ti rende più felice. Focalizzati esclusivamente su di esso.” ordinò la madre, severa.

Alya aggrottò la fronte, sforzandosi di rammentare un episodio della sua vita che fosse all’altezza di quella richiesta. Quale ricordo avrebbe potuto utilizzare? Qualche momento della sua infanzia, magari...Alya scartabellò nella sua memoria, come se dovesse scegliere un libro in biblioteca, alla ricerca di un ricordo adatto: i giocattoli che aveva ricevuto per Natale o per i suoi compleanni, la prima volta che aveva compiuto, senza volerlo, una magia, le lodi che aveva ricevuto nel corso degli anni dai suoi esigenti genitori, il suo primo giorno a Hogwarts...erano tutti momenti significativi, ma Alya li percepiva deboli, di scarsa intensità. Non sapeva proprio quale scegliere. Alla fine, sollecitata dallo sguardo incalzante della madre, Alya optò per il ricordo dove si vedeva a Hogwarts, durante la Cerimonia dello Smistamento, quando il Cappello Parlante l’aveva eletta come nuova Serpeverde. Si era sentita orgogliosa nel mantenere invariata la tradizione di famiglia e anche estremamente sollevata di non essere stata causa di delusione per Orion e Walburga, i quali non avrebbero accettato di buon grado una sentenza differente.

Concentrò la sua mente su quel pensiero, tentando di fa riemergere tutte le sensazioni piacevoli che l’evento dello Smistamento le aveva suscitato. Dopodiché, incanalò il potere magico nella bacchetta tesa davanti a lei, impugnata come se fosse un prolungamento del braccio. Le labbra di Alya si mossero decise, pronunciando a gran voce:

Expecto Patronum!

Dall’estremità della bacchetta fluì un guizzo argentato, timido ed esiguo, che si dissolse nell’aria dopo pochi istanti, come vapore. Un risultato decisamente scarso, per nulla confacente alle aspettative della ragazza. Alya si sentì profondamente delusa.

“Ancora!” la incalzò la madre.

Alya tornò a concentrarsi sul ricordo scelto, aggrottando la fronte per lo sforzo. Ripeté il gesto di mano e la formula magica. Nulla. Deboli sospiri bianchi sbuffarono dalla punta della bacchetta. Gli occhi di Walburga si strinsero, freddi e inflessibili.

“Ritenta!” insistette. Alya eseguì nuovamente l’incanto, ma il risultato rimase invariato.

Nelle due ore successive, si susseguirono numerosi tentativi – Alya perse presto il conto – senza che apparisse alcun Patronus degno di quel nome. La giovane Black cambiò un paio di volte il ricordo sul quale concentrarsi. Tuttavia, dalla sua bacchetta non uscì altro che fioco vapore argenteo, della stessa consistenza di una leggera nebbia mattutina. Il sole, adesso, filtrava prepotente attraverso i vetri delle due grandi finestre della stanza ed Alya si sentiva sempre più scoraggiata, esausta ed affamata. Era sveglia da un pezzo e non aveva ancora fatto colazione. Anche l’intensità della sua magia cominciò presto a risentire della stanchezza. I già fievoli guizzi di luce argentata divennero sempre più scarni.

“Basta così. Per oggi abbiamo finito.” annunciò perentoria Walburga, guardando con biasimo l’ennesimo tentativo fallito della figlia. Alya non poteva ritenersi più affranta.

“In tutta onestà, mi aspettavo risultati migliori da te. È evidente che i ricordi che hai scelto non hanno abbastanza intensità. Devi guardare dentro te stessa, Alya Merope.

Riproveremo domani. Sempre qui, stessa ora. Cerca di trovare un ricordo più appropriato.” concluse la signora Black, in tono spiccio, ma severo.

“Ora va’ a fare colazione. Kreacher deve aver terminato con i preparativi.” la congedò, infine, con un imperioso gesto di mano. Alya rispose con educazione, senza però celare un’espressione contrita. Non era stata all’altezza delle aspettative di sua madre e questo, per lei, era da considerarsi peggio di un brutto voto a scuola.

 

***

 

Il mattino seguente, Alya si presentò nuovamente nella sala con il maestoso dipinto di Arcturus Black. Sua madre, algida ed immancabilmente austera, si ergeva in un angolo della sala, accanto ad una delle due finestre. Accolse la figlia con sguardo severo, dando subito inizio ad una nuova lezione. Il secondo giorno di allenamento non si dimostrò migliore del primo, il Patronus di Alya era ancora molto lontano dal rivelarsi. I giorni si susseguirono, così come le esercitazioni nell’incantesimo imposto da Walburga, ma Alya non dava cenni di miglioramento: tutto ciò che la sua bacchetta sembrava essere in grado di produrre erano fiochi sbuffi d’argento. Alla fine della settimana, l’umore di Alya era a terra. La ragazza era allo stremo, schiacciata dall’intollerabile peso della frustrazione. Dopo l’ennesimo tentativo andato a vuoto, Alya si accasciò sul pavimento, stremata.

“Non ce la faccio.” mormorò a denti stretti. Lacrime di rabbia incombevano minacciose ai lati delle palpebre, già pericolosamente inumidite, mentre Alya lottava con tutta se stessa per ricacciarle indietro. Non si sarebbe mai permessa di piangere di fronte a sua madre. Mai le avrebbe mostrato una simile debolezza. Era già abbastanza umiliante fallire miseramente con quel complicato incantesimo.

“Non ti stai impegnando abbastanza.” replicò inflessibile Walburga, con tono freddo e intransigente.

“Ci sto provando, invece! Ma è troppo difficile!” brontolò Alya. Gli occhi della signora Black divennero fessure.

“Difficile.” ripeté, con la voce che era diventata un sibilo. “Non esiste situazione difficile che un Black degno del suo nome non possa affrontare. Non tollero che mia figlia, discendente della mia nobile casata, si crogioli nell’inutilità dell’autocommiserazione. Se non riesci ed eseguire l’incantesimo è perché non ti stai applicando a dovere. Devi scavare dentro te stessa.” la rimproverò duramente la madre, mettendo particolare enfasi alle ultime parole.

Alya tentò e ritentò per un’altra ora. Nulla cambiò. Nessun Patronus. Solo frustrazione, con l’aggiunta degli sguardi implacabilmente delusi della madre. Terminata la lezione, Alya passò il resto della giornata ad arrovellarsi sul perché quell’incantesimo le risultasse così terribilmente difficile. Aveva scavato dentro se stessa, come le aveva ordinato Walburga, ma non era riuscita a trovare un ricordo o un pensiero che le donasse quella sensazione di totale gioia così tanto agognata e allo stesso tempo necessaria. Quando giunse il momento di andare a letto, Alya era esausta per il troppo lambiccarsi e cadde presto in un sonno profondo, rassegnato.

Quella notte, Alya sognò Merope.

Sebbene fosse profondamente addormentata, la ragazza percepì con chiarezza l’ambiente attorno a lei cambiare forma. L’oscurità che l’avvolgeva cominciò a muoversi vorticosamente e dopo alcuni istanti Alya si ritrovò completamente sveglia, all’interno del piccolo cimitero babbano, dove l’aveva condotta Merope molti sogni prima. La notte gravava su di lei come un pesante mantello nero, costellata di poche timide stelle che faticavano a palesare la loro lucentezza. Pian piano, le sagome sinistre delle lapidi apparvero alla vista, diventando sempre più nitide man mano che gli occhi di Alya si abituavano al buio. Era una notte particolarmente umida, la giovane Black sentì le proprie ossa intirizzirsi al semplice contatto con l’aria. Dal terreno, coperto da uno strato erboso lasciato all’incuria, evaporavano fiotti di foschia leggera, simili a vacui fantasmi assopiti.

Quando la nebbia si levò come tende di un inquietante sipario, Alya scorse la mesta e ossuta figura di Merope, che danzava con passi malfermi in mezzo alle lapidi. I suoi piedi sembravano restii a seguire il lento ritmo, canzonato sottovoce dalle labbra sottili e pallide della esile ragazza.

Stai migliorando.” sibilò Alya in serpentese, annunciando così la sua presenza. Merope si voltò di scatto verso di lei, colta di sorpresa. Sul suo viso si aprì immediatamente un ampio sorriso.

Alya!” esclamò felicemente Merope, correndo goffa incontro all’amica. Le sue mani tozze cinsero con forza quelle affusolate di Alya. Quest’ultima ricambiò il sorriso con sincera commozione.

Vedo che non hai perso l’abitudine di sgattaiolare fino a qui per spiare la villa dei Riddle di nascosto!” la punzecchiò Alya, con affetto.

Io non spio. La ammiro.” si giustificò Merope, mettendo il broncio.

E ci sono stati progressi con il bel rampollo babbano? Vi siete parlati? Ti ha notata?” chiese Alya, con una certa curiosità. Il volto di Merope si incupì.

In un certo senso, sì...mi ha notata...ma non nel modo che speravo. I suoi pensieri su di me – e sulla mia famiglia – non sono diversi da quelli condivisi dall’intero villaggio. Ci disprezza…” disse, con tono lugubre.

Allora è un idiota!” esclamò Alya seria. Merope scosse la testa, afflitta.

Preferisco cambiare argomento...tu piuttosto, che mi racconti?” domandò Merope, simulando un sorriso. Alya si dispiacque un poco nel vederla così triste, ma decise di rispettare la sua volontà di sorvolare sull’argomento. La ragazza prese, quindi, a raccontare febbrilmente gli ultimi avvenimenti che erano accaduti nella sua realtà. Da ciò che era successo a Hogwarts, la punizione ricevuta ingiustamente, Lily Evans e la loro chiacchierata nel bagno dei prefetti, fino alle disperate lezioni con la madre intransigente per imparare l’incantesimo del Patronus. La conversazione iniziata come un semplice pretesto per distrarre l’amica dai cupi pensieri sulla famiglia Riddle, divenne, alla fine, un vero e proprio sfogo. Alya scoprì il suo recondito bisogno di confidare a qualcuno ciò che celava dentro il suo animo, e Merope non poteva che essere la persona migliore: dopotutto, era l’unica vera amica che aveva, sebbene appartenesse al mondo remoto dei sogni. Non tralasciò nessun dettaglio e, alla fine del racconto, Merope era a conoscenza di tutti i fatti che avevano interessato la vita di Alya negli ultimi mesi.

Così tua madre insiste affinché tu apprenda correttamente l’incanto Patronus...so che si tratta di un incantesimo molto complicato.” commentò infine Merope, con aria comprensiva.

Decisamente complicato. E, a quanto pare, impossibile. Per me.” replicò Alya, cupa.

Non sono d’accordo. Sei una maga eccezionale, Alya. Hai tutte le carte in regola per riuscirci.” ribatté Merope spiccia.

Non così eccezionale...il mio Patronus è un vero disastro!

Io credo che tua madre abbia ragione. Non guardi abbastanza dentro te stessa.

Ti ci metti anche tu adesso? Magari, il mio problema sta nel semplice fatto che non possiedo ricordi abbastanza felici!” brontolò Alya, aggrottando la fronte.

No, non credo proprio che sia questo il problema. Io penso che tu ti stia fermando alla superficie, senza andare veramente a fondo nel tuo cuore.” rispose Merope saggia, per nulla turbata dalle occhiate minacciose che Alya le stava lanciando.

E perché dovrei restarmene sulla superficie?” la rimbeccò Alya, con tono di sfida.

Perché hai paura.” disse Merope con semplicità.

Paura? Io sono Alya Merope Black. Io non ho paura!” sbraitò Alya, offesa.

Invece ne hai. E tanta. Hai paura di scoprire ciò che è veramente importante per te.” sibilò Merope, implacabile.

E immagino che tu lo sappia!” sbottò Alya, stizzita.

Me ne sono fatta un’idea. Ma credo che tu non sia in grado di ammetterlo. Vedi, tua madre ci ha visto giusto: come in lei, in te vive il forte senso d’onore e d’appartenenza alla famiglia. Per questo, io penso, insista tanto affinché tu impari ad eseguire un Patronus. Ma non ci riuscirai. Non finché ti ostini a concentrarti sulla maschera che ti sei costruita.

Che diamine vuoi dire?” chiese Alya con tono incalzante e gli occhi stretti in fessure.

Parliamo di Sirius, tuo fratello…

Cosa c’entra Sirius, adesso?” Alya fissò Merope perplessa e accigliata.

C’entra eccome. Sai, a me non la dai a bere, Alya. Ti conosco. Potrai aver convinto Regulus, e persino tua madre, con la storiella Non voglio che mio fratello macchi l’onore dei Black interessandosi ad una Nata-Babbana. A te non hanno mai dato fastidio i babbani, né tanto meno i maghi non purosangue. Non hai aggredito quella Lily Evans per via delle sue origini. C’è qualcos’altro sotto.

Merope parlava con voce severa e l’aria di chi avesse fatto centro. Alya la scrutò sottecchi, in silenzio.

Coraggio...con me puoi confidarti, lo sai.” la tallonò l’amica dei sogni, con tono più comprensivo, esortandola ad aprire il suo cuore alla realtà dei fatti. Alya sospirò, arresa.

E va bene, hai vinto. Non ti si può nascondere nulla! È vero, Lily Evans non mi dà sui nervi perché la sua famiglia è di origine babbana. Però, la sua presenza non mi va comunque a genio. Sono preoccupata. Non voglio che ronzi attorno a Sirius, lo rovinerebbe…” Alya si interruppe, esitando a continuare. Ma lo sguardo di Merope si era fatto insistente.

Ti ho raccontato della situazione della mia famiglia...di Sirius, intendo.

Merope annuì.

Ecco, i rapporti tra i miei genitori e mio fratello gemello peggiorano ogni anno che passa. Lui non fa altro che comportarsi da sfrontato, ogni scusa è buona per gettare cattiva luce su di noi, su mia madre in particolar modo...sembra si diverta un mucchio a farla infuriare...Se continua così, me lo sento, non ci mancherà molto, si allontanerà del tutto. Temo il giorno in cui Sirius deciderà di non fare più parte della nostra famiglia. In fondo, non si è mai sentito davvero uno di noi.” le parole che prima Alya faticava a pronunciare persino a se stessa, si sciolsero come ghiaccio al sole, trasformandosi in un fiume in piena.

Ma senza l’appoggio della sua famiglia, che cosa gli resterà? I tempi in cui viviamo non sono dei più rosei. Qualcuno insinua che ci sarà una guerra nel mondo magico...non mi interessa granché la politica, ma sono preoccupata per Sirius. Quando lo guardo mi sembra di vedere una foglia che vola alla deriva, in balia del vento. Sballottato e privo di radici. Basterebbe una corrente sbagliata per spazzarlo via, definitivamente.

Tuttavia, a Hogwarts sembra aver trovato una sua dimensione. Ha degli amici. O almeno, così pare. Persone che per lui sono importanti, in cui ripone tutta la sua fiducia, cosa che non hai mai fatto finora, né con me o con Regulus. In particolare, c’è questo ragazzo...si chiama James Potter...Sirius lo tratta come se fosse suo fratello. Sono sempre insieme, inseparabili. Ma Potter è un arrogante, un presuntuoso e un pallone gonfiato. Per lui tutto è una competizione, sembra vivere ogni cosa come una partita a Quidditch. Regulus lo detesta. E come biasimarlo! È come se gli avesse portato via suo fratello maggiore!” la voce di Alya si era riempita di astio, senza celare una punta di rassegnazione.

E a questo Potter piace Lily Evans, ho capito bene?” osservò Merope.

Esatto. Capisci...non posso permettere che si venga a sapere cosa prova quella insulsa Grifondoro per mio fratello. Non posso rischiare che James Potter lo venga a sapere...non so come reagirebbe. Certo, per lui conquistare l’interesse di Lily Evans sembra essere nient’altro che una sfida, come se dovesse acchiappare un boccino. Dimostrare che può prendersi tutto ciò che vuole. Tuttavia, a quello lì non piace perdere. Per quel che ne so, potrebbe persino smettere di frequentare Sirius, anche solo per ripicca, per avergli soffiato la ragazza. Quel Potter è un superficiale, non mi dà l’idea di essere una gran persona. Pensa solo a se stesso. E per Sirius sarebbe una tragedia. Perderebbe la sua àncora di salvezza. Non voglio che mio fratello perda il suo migliore amico per colpa di una ragazza, una come Lily Evans, per giunta, che per la mia famiglia non è altro che un essere indegno.” Alya parlò con il cuore in mano, rivelando così i suoi reali timori. Timori che non avrebbe potuto rivelare a nessuno, nemmeno a Regulus. Non avrebbe capito, tanto era accecato dai sentimenti di rivalsa e vendetta che provava nei confronti di James Potter.

Alya si zittì e cominciò a fissare con aria assente il manto erboso, nero come la notte.

In poche parole, non vuoi che tu fratello rimanga da solo, nel vostro mondo difficile e sull’orlo di una guerra.” concluse Merope, con tono grave. Alya fece di sì con la testa, senza dire nulla. Emise soltanto un lungo sospiro, rassegnato.

Sei sua sorella e gli vuoi bene, nonostante tutto. Sirius è importante per te. Dovresti concentrarti su questo, credo, per evocare il tuo Patronus.” constatò Merope, con praticità.

E come? I ricordi che ho su Sirius non sono certo felici. Gli unici momenti che condividiamo sono litigi e manifestazioni di disprezzo reciproco.” mormorò Alya, con aria triste.

Guarda dentro te stessa.” ripeté Merope, con un sorriso. Alya la guardò supplichevole. Voleva chiederle in che modo. Ma il mondo attorno a lei cominciò nuovamente a deformarsi vorticosamente. I contorni sbiadirono, l’oscurità divenne densa e impenetrabile e attorno ad Alya ora non c’era altro che buio. Un buio privo di lapidi. Privo di stelle. Il nulla.

Alya si svegliò, trovandosi stesa nel proprio letto, nella sua stanza. La testa le sembrava galleggiare, intorpidita ancora dal sogno intenso appena svanito. Era ancora notte fonda e dalla finestra filtrava solo un timido raggio lunare. Alya lo osservò ipnotizzata, la mente che ripeteva remote raccomandazioni. Guarda dentro te stessa. Pian piano, il sonno tornò a farsi sentire, le palpebre si trasformarono in macigni. Gli occhi grigi di Alya si richiusero. E sognò ancora. Ma non fu Merope ad apparire. Adesso, Alya era una bambina. Di cinque anni o poco più. Si trovava nella sua amata sala da ballo. Era triste. Una delle interminabili lezioni di danza che, ai tempi dell’infanzia, Walburga aveva impartito ai figli, era appena terminata e gli esercizi di Alya erano stati un fiasco. Sua madre l’aveva messa in punizione, seduta in un angolo, da sola in quella sala che allora le pareva così immensa, con il compito di rimuginare su ogni suo sbaglio. Alya si sentiva umiliata, affranta e delusa. Esattamente come si era sentita dopo l’ultimo allenamento con l’incantesimo del Patronus. Alya bambina si sforzava di ricacciare indietro grosse lacrime che ormai scendevano inesorabili lungo le sue guance rosse e paffute. Ma poi Alya si accorse di non essere più sola: c’era Sirius di fronte a lei. Le tendeva una mano. A quei tempi ancora si parlavano, come fratello e sorella. Come gemello e gemella. Dietro di lui, Regulus zampettava incerto. Era ancora molto piccolo e aveva l’abitudine di seguire il fratello maggiore ovunque andasse, come un’ombra fedele. Da bambino Regulus considerava Sirius come un eroe, lo adorava.

“Coraggio, ti insegno io i passi di oggi.” disse Sirius spiccio, con la mano protesa verso Alya.

“Se mamma ti scopre qui, metterà anche te in punizione.” rispose Alya, preoccupata.

“Correrò il rischio. La mamma non mi fa paura. È solo una megera.” replicò Sirius, con un’alzata di spalle. Poi, deformò bocca e viso in una smorfia grottesca per imitare la madre. Alya rise. Afferrò la mano del fratello, accettando di buon grado l’aiuto offerto. Insieme ripassarono i passi di danza che per Alya si erano rivelati difficili. Sirius si muoveva sicuro e, nel giro di poco tempo, anche la sorella migliorò notevolmente.

“Grazie per avermi aiutata!” disse, infine, la bambina con il morale galvanizzato.

“È il mio dovere di fratello gemello. Toujours uni, ricordi?” rispose Sirius, con semplice e naturale gentilezza.

Nuove lacrime solcarono le guance di Alya. Ma non erano più le guance di quando era bambina. Nel sonno, immersa in quel sogno dal sapore di un’infanzia ormai lontana, Alya piangeva silenziosa, ricordandosi di ciò che aveva perduto e che, nel profondo del suo cuore, anelava di avere ancora.

 

***

 

Il mattino seguente, Alya si recò puntuale all’appuntamento quotidiano con sua madre. Era pronta a mettersi alla prova, di nuovo. Ancora una volta, Alya levò la sua bacchetta, le labbra socchiuse, in attesa di pronunciare la formula dell’incanto.

“Concentrati.” la esortò Walburga, con voce fredda, ma vagamente incoraggiante. Il suo sguardo glaciale e attento aveva colto la luce di determinazione che saettava negli occhi della figlia.

L’animo di Alya era ancora impregnato della nostalgia che il ricordo, affiorato nella memoria durante la notte, le aveva risvegliato. Una sorta di gioia agrodolce, che le aveva donato una speranza ormai dimenticata. E con questa emozione in corpo, Alya fece vibrare con potenza la propria bacchetta, recitando con rinnovata sicurezza le parole Expecto Patronum. Un fascio di luce argentata sgorgò copiosa dall’estremità, condensandosi lesta in quella che appariva come la figura di un possente animale. Un cervo. Un imponete cervo maschio, con intricati palchi di corna che gli adornavano il capo, come una corona. L’animale si stagliava fiero ed elegante in mezzo alla stanza, rendendo insignificante persino il maestoso ritratto di Arcturus Black. Alya, incredula, ammirava il frutto della sua magia con occhi incantati. Era un cervo davvero bellissimo.

Walburga si avvicinò a passi lenti alla creatura d’argento, ne studiò le fattezze con una fierezza che Alya non le aveva mai visto.

“Alya Merope, tu sei davvero degna di essere mia figlia.” sussurrò solenne la donna, guardando Alya con orgoglioso furore.

 

   
 
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