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Autore: Bellamy    27/05/2021    1 recensioni
La battaglia tra i Cullen e i Volturi termina in maniera inaspettata: i Cullen perdono, Edward e Bella si uniscono alla Guardia di Aro e Renesmee perde la memoria. I pochi mesi di vita vissuta da Nessie vengono spazzati via.
Dopo quasi un secolo, Aro invita Renesmee a Volterra.
Genere: Malinconico, Suspence, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Nuovo personaggio, Renesmee Cullen, Volturi | Coppie: Bella/Edward
Note: What if? | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Breaking Dawn
Capitoli:
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Vi auguro una buona lettura!
Ci sentiamo alla prossima! : )
Bellamy.
 
 
 
 
 
Ecco cosa avevo custodito gelosamente e con riverenza per quasi un secolo della mia vita: una foto.
“Era ovvio, Renesmee” disse cinica la parte razionale di me che, in quel momento, predominava su tutte le altre emozioni, sia buone che cattive.
“Il medaglione poteva anche non contenere nulla”, mi risposi con lo stesso cinismo. Non era obbligatorio che tutti i medaglioni dovessero contenere delle piccole e rotonde foto.
Nella mano destra tenevo la faccia del pendente che conteneva l’immagine; nella sinistra quella dove vi era incisa la frase francese “Plus Que Ma Propre Vie”.
I due scomparti non erano più uniti dai piccolissimi bulloni, già danneggiati precedentemente, i quali si spezzarono definitivamente a causa della pressione che imposi per aprirli. Se le circostanze fossero state diverse mi sarei maledetta per aver rotto il mio medaglione: la mia più grande paura, seconda solo a perdere la mia famiglia.
Misi la piccola casella rotonda con la frase sotto quella con la foto e la fissai. Il tempo, intorno a me, pareva essersi fermato oppure il piccolo ritratto davanti ai miei occhi mi aveva prosciugata in un’altra dimensione distante anni luce.
La scrutai, analizzandone ogni suo singolo millimetro, con distaccata emozione, quasi indifferenza, intorpidita e incapace di provare nulla di concreto in quell’instante.
Nonostante questo mio approccio lontano, pensai che la foto, almeno, suscitasse amore e protezione, intrappolate nel tempo dal medaglione e ora libere di mostrare la loro forza inalterata. Mi sentii a disagio.
Era come guardare tre persone estranee, fittizie, inesistenti, le quali non avessero nulla a che fare con me e la mia vita che era stata fino a quel momento. Tutto sembrava troppo lontano e astratto per essere colto ed essere considerato reale.
Il passato, tramite una minuscola immagine, stava cercando di imporsi in un presente incerto e precario. Un passato di cui non avevo nessun ricordo né reminiscenza.
Non riuscii a comprendere dove era stata scattata la foto: la catena formata da mezzi busti, spalle e chiome coprivano lo sfondo ma credevo che la luce bianca a destra fosse artificiale e quindi, probabilmente, il ritratto era stato immortalato di sera.
A sinistra c’era Bella, incantevole, che guardava dritto verso la camera mostrando un timido sorriso il quale accentuava la forma a cuore del suo viso. I suoi capelli lunghi color mogano coprivano il suo petto e le sue braccia che sembravano stringere qualcosa. Gli occhi erano di un color rosso acceso, uguali a quelli di adesso.
Al centro del quadretto mi trovavo io. Mi riconoscevo: i lunghi ricci ancora color bronzo (nel corso del tempo erano diventati più scuri, castani, ma il rame era rimasto nelle loro punte); il viso avorio piccolo e rotondo; gli occhi, un po’ socchiusi, fissi verso l’obiettivo e, poi, un grandissimo sorriso che mostrava tanti piccoli dentini bianchi lucenti incorniciati da labbra piene e rosa come quelle di Bella.
Ero raggiante, totalmente a mio agio. Il ritratto della felicità.
I tratti che costituivano la mia faccia erano lo sconcertante risultato dell’unione di quei due volti ai miei lati, uno predominava di più sull’altro però.  
C’era qualcosa che non quadrava: quando mi svegliai, i Cullen mi dissero che non avevo ancora compiuto il mio primo anno di vita perciò nella foto dovevo avere solo pochi mesi. L’altra cosa che non quadrava era Bella stessa: tutti i mezzi vampiri non avevano le proprie madri, morte perché troppo deboli per riuscire a sopravvivere al parto di una creatura per meta sovrannaturale.
Come aveva fatto a sopravvivere? Come era riuscita a diventare una eccezione a quella che sembrava essere la regola?    
Impossibile… Ma la foto dimostrava il contrario… Eppure i mezzi vampiri erano cosi sicuri… Ma Bella era viva.
Avevo il mio braccio destro agganciato al collo della donna, nascosto dietro i suoi capelli e capii che ero tenuta stretta tra le sue braccia. Il braccio sinistro, invece, era steso più in alto, appoggiato sulla spalla di Edward, la manina dietro la sua nuca.
Edward si trovava alla destra della foto, immortalato quasi di profilo lasciando metà del volto in ombra. Indubbiamente bellissimo e giovanissimo, il colore dei suoi capelli era uguale al mio il quale risaltava grazie alla luce e alla camicia bianca che indossava. I suoi occhi non erano rosso acceso come quelli di Bella ma dorati come quelli dei Cullen.
Inoltre era l’unico che non aveva posato a favore di camera.
Il volto era inclinato verso me e Bella. Gli occhi erano posati su di lei, carichi di dolcezza. Il suo viso spigoloso e di ghiaccio, come lo avevo sempre visto, era ammorbidito qui da un sorriso sghembo. Il suo sguardo sembrava totalmente incatenato al volto di Bella. Non era indifferente.
Dovetti constatare la forte somiglianza tra me e lui, più di quanta ce ne fosse con Bella: la forma degli occhi, la forma del naso e della bocca, gli zigomi alti.  
Le sue braccia sembravano tendersi verso di noi, come per abbracciarci, ma il taglio della foto era troppo piccolo per dirlo con certezza.
Ero raggiante, totalmente a mio agio. Il ritratto della felicità.
Chiusi di nuovo il medaglione invano.
 
 
 
“Tu!” Una voce mi svegliò dallo stato di trance in cui ero caduta, riportandomi nel presente da un passato indefinito. Stavo dando ancora le spalle alla luce e al calore del fuoco, davanti a me solo l’oscurità.
A me si avvicinò un ragazzo che non avevo visto prima. Era alto e molto magro, esile e, nonostante si fosse messo in ginocchio sulla sabbia, la sua statura era sempre considerevole. La sua carnagione era pallida e i capelli lunghi neri. Nella mano destra stringeva un involucro.
Non dissi nulla. Lo guardai interrogativa aspettando che svelasse le sue intenzioni, cercando di porre tutta la mia attenzione su di lui.
Il ragazzo non fece contatto visivo, sembrava voler sfuggire al mio sguardo incuriosito. La sua testa era china verso le sue gambe e l’involucro che teneva ora tra le mani e le cosce.
“Stamattina” iniziò, il suo accento era strano, “durante l’esercitazione ho notato che hai una cicatrice.”
Con un lungo e affusolato dito indicò il mio busto e alzò lo sguardo verso di me schivo. Strinse le labbra in una linea attendendo che io parlassi.
“Sì.” Riuscii solo a farfugliare. Dove voleva andare a parare? Inconsapevolmente mi abbracciai. La catenina del medaglione tintinnò a causa dell’improvviso movimento.  
Non disse nulla e si voltò, alzò la sua fine maglia color panna mostrandomi una schiena protetta da una fasciatura nera. “Ho una serie di cicatrici lungo tutta la schiena, fino alle spalle.” Continuò. Ritornò alla posizione iniziale e alzò il jeans logoro fino al ginocchio destro. “E sulla gamba.” Terminò indicando il polpaccio anch’esso fasciato di nero. Vi avvicinò le mani e iniziò a sciogliere la benda scura velocemente.
Appena fu libero, mi mostrò una lungo taglio profondo e rossastro che partiva dal ginocchio e terminava fino alla caviglia, girandoci attorno. Nel giro di pochi secondi già il sangue minacciava di straripare. Era proprio come la cicatrice che squarciava in due tutta la parte superiore del mio corpo.
“So quanto dolore ti può provocare.” Disse alla fine.
Dolore? Di più! Annuii convenendo con lui. “Come è successo?” Sussurrai, osservando il profondo taglio.
Il ragazzo fece spallucce e abbassò di nuovo gli occhi: “Mio padre. Sono l’unico dei suoi figli a non essere velenoso.” Terminò brusco. “E non si sa perché.” Ricominciò dopo qualche secondo. Ci fu un’altra pausa, alzò gli occhi per studiare la mia espressione che, sicuramente, era sbigottita.
Mentre ricompattava la sua pelle, l’azione richiedeva sempre abbastanza forza, proseguì la sua spiegazione: “Per questo motivo voleva vedere come la mia pelle si sarebbe rimarginata senza il veleno, come fa con tutti gli altri mezzi vampiri maschi. E così mi ha tagliato in due con i suoi denti.”
Ero inorridita, le mie orecchie fischiavano. Strinsi le mani in pugno ed esclamai: “E’ crudele!”
Lui fece sempre spallucce, sembrava che quella frase l’avesse già sentita più e più volte. “E’ vero”, ammise, “ma almeno è riuscito a rimediare.” Indicò la fasciatura sulla gamba.
Lo guardai, allucinata, in silenzio poi avvicinai una mano: “Posso?”
Annuì ed io sfiorai la fasciatura con delicatezza. Aveva una consistenza strana: dura, viscosa, viscida e ruvida, compatta e slegata allo stesso tempo.
Ritirai la mano. “Di che materiali è fatta?” domandai. Era impossibile capirlo. Dovevo parlarne con Carlisle. Questa soluzione sembrava più semplice e meno intrusiva rispetto alla mia.
Il ragazzo sospirò: “Non lo so. Non l’ha detto mai a me né a nessun altro. I suoi segreti li tiene per sé. Lui è uno dei sostenitori della nuova razza superiore e roba del genere.”
Fece una pausa che non interruppi. Scrutai la sua espressione: riflessiva e un po’ triste, scura dalla notte. Entrambi continuavamo a dare le spalle al fuoco, dietro di noi sentivamo gli altri perdersi in vivaci conversazioni. Anche se avevamo scambiato poche frasi, sentii che, per certi aspetti, eravamo sulla stessa lunghezza d’onda.
“Tu come tieni ferma la tua cicatrice?” domandò interessato. Forse ero la prima persona che incontrava con la sua stessa deformazione.
“Oh. Così.” Feci alzando la mia maglietta fino sotto al seno, mostrandogli maggior parte dello stomaco. Il ferro e l’argento, i quali formavano una lunga trincea che partiva dalla spalla destra e terminava al fianco sinistro, brillavano alla luce della luna con fare minaccioso. La lunga cicatrice metallica tinta di sangue secco era seguita parallelamente da altre più piccole, rimarginate da sole e che non avevano bisogno di nessun sostegno.
Notai che, in alcune parti, alcuni frammenti si stavano alzando verso l’alto, allontanandosi dalla carne, la presa allentata. Oh no. Di nuovo.
Il mezzo vampiro, sorpreso, spalancò la bocca e disse: “E’ peggio di quanto pensassi.”
“Già.” Borbottai tenendo ancora gli occhi ancorati sul mio stomaco, terrorizzata. “Non so cosa mi sia successo.” Continuai anticipando la potenziale domanda che mi avrebbe potuto porre. “L’ho sempre avuta.”
Dalla sua gola scoppiò una risata febbrile la quale morì immediatamente come se si fosse pentito di aver reagito in quel modo. Scosse la testa come per scacciare un pensiero.
“Penso proprio che questa ti darà un aiuto in più per domani, allora.” Disse, il tono di voce più elettrico e vivace, aprendo il piccolo pacchetto di stoffa che conteneva la stessa fasciatura nera che aveva nel suo corpo.
“Non credo che il ferro e l’acciaio oppongano molto resistenza alla pelle di vampiro.” Tese la sua mano verso di me, porgendomi la spessa carta dai materiali ignoti.
Lo guardai, stordita da quel gesto di solidarietà. La proposta era troppo allettante per essere rifiutata e la paura che i fili di metallo potessero cedere durante gli scontri era costantemente presente nella mia testa. Aspettava in un angolo, in attesa del momento migliore per ricordarmi la situazione precaria del mio corpo.
“Sei…” farfugliai “Sei sicuro? Può servire anche a te domani. Non voglio privartene.”
Il giovane rise di nuovo, questa volta spensierato, e per un attimo il suo sorriso venne illuminato dal fuoco. Notai che aveva gli occhi verdi e somigliava a qualcun altro che avevo già visto.
“Prendi. Non mi servirà, la mia è ancora abbastanza resistente da poter affrontare la battaglia di domani. Penso che tu ne abbia più bisogno.”
Presi la protezione dalla sua calda mano. Arrossii e chinai la testa per nascondermi, destabilizzata da quell’azione gentile che mai mi sarei aspettata in quell’ambiente.
“Grazie.” Gli dissi in seguito. “Come ti chiami?”
“Erik. Piacere di conoscerti.” Si alzò ergendosi in tutta la sua statura. “Tu?”
“Renesmee. Grazie mille Erik, ti sono debitrice.”
Erik sorrise di nuovo e mi porse una mano. “Ti aiuto?”
“Sì, grazie.” Risposi alzandomi in piedi. Erik riprese la fasciatura tra le mani e l’aprì tutta. Era più o meno larga trenta centimetri e lunga sessanta.
Attirammo l’attenzione di tutti mentre io alzavo la maglia ed Erik iniziava a girarmi intorno coprendomi con lo strano materiale. Nessuno parlò, preferendo guardare. Noi non facemmo caso a loro.
La sensazione che provai quando Erik poggiò la fasciatura fu quella di tante ventose che diventavano un tutt’uno con la mia pelle. Una sensazione scomoda che irrigidì immediatamente tutto il mio busto.
“Aspetta!” Lo fermai dal suo giro. Avevo ancora il mio medaglione stretto nella mano e, avendolo rotto, non sapevo dove conservarlo al sicuro durante la battaglia. Non potevo permettermi di perderlo. Non ora.  
Di scatto, mi liberai dalla fasciatura e poggiai il pendente rotondo sul mio fianco destro, sotto le costole. Erik non commentò il mio gesto e ricominciò da lì.
“Fratello” Sentimmo dire da Noah, il ragazzo arrogante dagli occhi verdi, il quale ruppe il silenzio che era caduto pochi minuti prima: “Sei proprio un gentiluomo.”
 
 
 
Sarebbero arrivati di mattina. Così mi aveva confidato Andrew e la stessa cosa aveva annunciato Nahuel. I Figli della Luna erano più deboli di giorno e questo si sarebbe rivelato un grande vantaggio per noi.
La notte era calata da molto tempo ormai ma l’alba ancora tardava a mostrarsi. Le ore non sembravano trascorrere mai. Un minuto ne durava dieci.   
Tutti noi eravamo svegli, vicini intorno al fuoco, vigili. Nessuno si concedeva qualche momento di riposo. L’aria era pesante, carica di aspettativa, domande e dubbi. Questa atmosfera rallentava di più le lancette dell’orologio.  
Molti si domandavano quale sarebbe stato il momento specifico in cui i lupi avrebbero attaccato; altri si chiedevano quanto potessero essere in numeri; altri, più cruenti, si chiedevano se qualcuno di noi non sarebbe sopravvissuto alla battaglia. Altri ancora davano consigli su come meglio attaccare. Ognuno aveva le proprie opinioni e tattiche.  
Tutti erano in trepidante attesa, non vedevano l’ora. Gli assaggi che erano stati le varie esercitazioni non erano bastati per placare la loro voglia di violenza. Anzi, l’avevano aumentata. Volevano il piatto intero.
Avevo il mento appoggiato sulle ginocchia e guardavo le mie mani illuminate dalla pira. Una fresca brezza mi faceva rizzare i peli del collo. Sentivo il leggero peso del medaglione sotto le costole.
Non sentivo la benda intorno a me. Era come se non avessi nulla a coprirmi, a tenere compatto il corpo tagliato a metà. Molto meglio rispetto al crudo metallo infilato dentro la pelle.
Erik mi domandò come stessi con una timidezza che capii far parte del suo carattere. Gli risposi che andava alla grande e non mi lasciai sfuggire l’opportunità di ringraziarlo di nuovo.
Non ascoltavo i dialoghi instaurati intorno a me. Quello che credevo lo avevo già espletato.
L’unica cosa che mi importava ora era quello di sopravvivere, scampare all’inevitabile che molti ipotizzavano potesse accadere ad alcuni. Questo non aiutava la mia già presente e pesante paura di morire. Rabbrividii.
Non avevo fatto nessun piano nel caso in cui sarei riuscita ad uscire viva dalla battaglia. Era inutile, ancora di più senza sapere i progetti di Aro.
Aro che, insieme ai suoi fratelli, faceva fare il lavoro sporco agli altri prendendosi, dopo, tutti i meriti probabilmente.
Decisi di non illudermi. L’illusione era stata la causa di tutti i miei problemi e non volevo compiere lo stesso errore per l’ennesima volta. Mi ero totalmente abbandonata agli eventi futuri senza nessuna aspettativa.  
Mentre i miei occhi saltavano da un dito ad un altro, la mia testa vagava altrove. Pensavo alla mia famiglia, pensavo ad Andrew, pensavo che dovevo essere abbastanza forte e resistente da dover scansare dei mostruosi e anomali lupi.
Pensavo alla foto. Una immagine che aveva avuto in me un potere illimitato per troppo tempo.
Nonostante la tragicità della situazione, riuscii a trovarvi l’ironia e a riderne.
Proprio nel momento più oscuro e incerto della mia vita avevo trovato la risposta alla domanda che l’aveva oppressa per un tempo che era apparso essere infinito. Avevo avuto tantissime opportunità per scoprire la soluzione all’enigma che costituiva la mia esistenza. Praticamente ogni giorno, ogni ora prima del mio arrivo a Volterra.
Era stato necessario lo stravolgimento della mia vita affinché scoprissi che entrambi i miei genitori erano vivi e vegeti in Italia.  
Le mie considerazioni, in quel momento, si fermavano là, all’ironia. Non riuscivo ad andare oltre, non volevo né avevo la forza mentale di metabolizzare, di ragionare, affrontare me stessa e gli altri. Non ora. Il luogo e il tempo erano sbagliati ed io avevo appena fatto esplodere una bomba.
Non era questione di irriconoscenza: la mia epifania richiedeva la mia totale attenzione e me tutta, libera. Libera da questo deserto, libera da Aro, libera da tutti quei mezzi vampiri intorno a me, libera dai lupi, libera dai Cullen.
Era una scoperta troppo grande per essere trattata in quel momento, sia mentalmente che sentimentalmente. E non ero l’unica e doverne fare i conti, non si trattava solo di me. I soggetti del ritratto all’interno del mio medaglione erano tre, non uno.  
Sapevo. Questo era l’importante. Sapevo e avevo un altro motivo che mi obbligava ad uscire incolume dal conflitto con i Figli della Luna.   
Le mani iniziarono a prudermi, muovendosi meccanicamente mentre la mia gola si faceva sempre più secca a causa della divorante sete e dall’impazienza. All’improvviso pure io non vedevo l’ora di scontrarmi al più presto.  
Appoggiai la guancia sinistra sulle ginocchia e mi abbracciai le gambe stringendomi. Scoprii Nahuel fissarmi e distogliere lo sguardo immediatamente dopo che i miei occhi si posarono su di lui.
 
 
 
Chiusi gli occhi, una mano copriva la gola, e mi concentrai sul suono assordante dei battiti dei centinaia di cuori che mi circondavano, compreso il mio.
Ero in piedi, il sole sopra di me era così forte che pensai che la temperatura stesse raggiungendo gradi così alti da essere capace di bruciarmi viva e polverizzarmi. Il vento soffiava molto forte facendo alzare la sabbia che colpiva la faccia ed entrava tra le labbra. Avevo sete, i miei polmoni respiravano sabbia, c’era caldo e la luce era accecante.  
Ebbi un déjà-vu: avevo fatto un sogno uguale a ciò che stavo vivendo. Era stato premonitore?
Le gambe mi tremavano ma non sapevo se era per l’adrenalina che sentivo scorrere nelle vene oppure per la paura. Forse tutte e due. Il cuore batteva impazzito e i polmoni si comprimevano ed espandevano velocissimi.
“Oh!” Sbottai tra me e me. “Quando arrivano? Perché non avanziamo noi?”
Ero impaziente. Volevo che tutto si risolvesse in fretta, nel tempo di uno schiocco di dita, istantaneo. Dondolavo tra le gambe mentre le braccia oscillavano nel vano tentativo di soddisfare la voglia di movimento.
I Figli della Luna erano davanti a noi all’orizzonte ma avanzavano lentamente. Correvano scoordinati, non in equilibrio, collidendo tra loro a destra e a sinistra. In lontananza sentivo i loro guaiti di dolore e i loro ruggiti d’ira.
Sembrava esserci una forza invisibile opporsi all’avanzare dei lupi. Qualcosa che non recava danno ai mezzi vampiri. Compresi il motivo per cui noi non avanzavamo verso di loro: più faticavano sotto il sole, più deboli sarebbero stati una volta sotto la nostra mira. La lentezza del loro andamento li rendeva delle prede facili da vincere.
Al mio fianco arrivò Nahuel che guardava dritto davanti a sé come tutti gli altri. L’ambra della pelle del suo petto nudo era diventata oro sotto la luce del sole. Mi fece un sorrisetto fiducioso che non riuscii a ricambiare.
Eccoli. Erano qui, a pochi metri di distanza da noi con la loro stazza imponente che occupava tutta la visuale a dava un forte senso di claustrofobia e oppressione.
“Ricorda Renesmee.” Disse Nahuel “Punta al collo e alla schiena!”
Qualcuno nelle prime file, all’improvviso, iniziò a contro attaccare seguito poi da tutti gli altri. Si levarono delle urla.
Non mi feci trovare impreparata quella volta e scattai quando trovai la strada davanti a me libera. Puntai verso sinistra, Nahuel dietro di me, e mirai verso un lupo disorientato che ringhiava. Vedendomi con i suoi grandi occhi gialli ringhiò ancora più forte e alzò la grande zampa anteriore destra verso l’alto per puntarla, subito dopo, giù su di me.
Riuscii a scansarla ma sentii la ruvidità di un lungo artiglio accarezzarmi la mandibola. Salii nelle spalle, larghe almeno tre metri, e feci pressione con i piedi verso il robusto collo servendolo a Nahuel il quale lo spezzò mentre io spezzavo la schiena.
Scesi dal lupo, mi toccai il viso e notai che la mia mano era sporca di sangue. L’animale era riuscito a graffiarmi. Tolsi il sangue con il dorso della mano sperando che la ferita si rimarginasse immediatamente.
Io e Nahuel ci scambiammo una occhiata veloce e notammo che due dei nostri erano contro tre lupi, in svantaggio. Andammo in loro soccorso. 
“Su Renesmee, ce la puoi fare.”
Corsi e scivolai sotto un lupo scansando il mezzo vampiro il quale era incastrato tra le sue zampe. Mi allacciai al collo e venni issata in aria mentre l’animale si dimenava dalla mia morsa. Sentivo le sue fauci nello stomaco mentre io gli spezzavo le ossa del collo e del muso. La maggior parte della maglietta che indossavo finì a brandelli. La fasciatura regalatami da Erik era rimasta intatta. Strinsi i denti mentre facevo forza nella braccia e, nel frattempo, l’ibrido che avevo aiutato stava spezzando le zampe. Il lupo cadde a terra senza vita. Nahuel ed altri ragazzi riuscirono a far fuori gli altri due lupi.
“Attenta Renesmee!” Mi avvertì puntando un dito dietro le mie spalle. Non mi girai per controllare e mi avventai a terra, faccia in giù. Il lupo saltò superandomi, alzai immediatamente la testa e tesi la mano in avanti riuscendo ad agguantare la coda grigia e spinosa. Tirai, il lupo guaì e sentii uno stridore provenire dagli artigli che cercavano di aggrapparsi profondi nella superficie solida al di sotto la sabbia.
Salii nella schiena e diedi un pugno al centro e un altro tra le scapole. Sentii le costole e altre ossa frantumarsi fragili sotto le mie nocche. Il lupo ululò disperato e Nahuel gli ruppe il collo.
Feci un respiro profondo e mi accorsi che stavo trattenendo il respiro. Per quanto tempo lo stavo facendo? I polmoni mi bruciavano.
Mi guardai un attimo intorno: la visibilità era compromessa da un spesso velo di sabbia, cadaveri dei Figli della Luna a terra e altri ancora che si muovevano come mossi da convulsioni per difendersi dagli ibridi i quali si spostavano fluidi e veloci. Il sole illuminava il palco che era il deserto. Notai Erik battersi da solo contro un lupo: non ebbe nessun problema e passò presto ad un altro.
Schiena, collo, schiena, collo, schiena, collo. Continuò così per ore. La battaglia non dava nessun segno di voler terminare. Gli unici suoni che si udivano erano le nostre urla e i latrati dei lupi. Il loro numero sembrava aumentare anziché diminuire – non avevamo nessuna idea di quanto erano - ma noi ibridi rispondevamo bene agli attacchi. Nessuno sembrava dimostrare segni di stanchezza o, perlomeno, non lo davamo a vedere. Era estenuante e il primitivo istinto di sopravvivere causava stress nei nostri corpi, mescolato con l’altrettanta adrenalina che già circolava nelle vene. Potevamo mascherare il nostro sfiancamento ma i nostri corpi non tradivano che eravamo molto provati dalla battaglia: tutti rappresi di sangue e coperti di tagli causati dagli artigli e dalle fauci.
E noi, comunque, avevamo un asso nella manica. Grazie a Nao avevamo gli elementi della natura dalla nostra parte: creava fuochi e terremoti oppure rendeva i Figli della Luna delle statue di ghiaccio pronte per essere spezzate.
Pensai che lei aveva già un posto d’onore nella Guardia di Aro.
Nahuel divenne il mio compagno d’armi. Non mi lasciò mai. Era sempre al mio fianco. In due riuscivamo e mettere KO quattro o cinque lupi contemporaneamente e ciò era possibile grazie alla loro repentina fragilità.
Altri, però, avevano in serbo ancora un po’ di titanica forza.
Ero in groppa ad un lupo intenta a spezzargli il collo facendolo ruotare con un colpo secco delle mani. Il gesto, ormai, era diventato meccanico ed involontario quasi. Nahuel, dietro di me, stava spezzandogli la schiena.
Improvvisamente sentimmo un forte e potente ruggito provenire dietro le nostre spalle. Vedevo l’ombra sulla sabbia diventare sempre più larga e lunga davanti ai miei occhi. Non c’era tempo per reagire.
Sentii le mani di Nahuel spingermi in avanti facendomi scivolare dal lupo. Caddi a terra battendo la testa così come Nahuel cadde sopra di me e il suo peso mi fece sprofondare ulteriormente nella sabbia rovente.
Spinsi le mani contro la superficie morbida per alzarmi ma Nahuel mi riportò di nuovo giù a terra con un colpo sordo. Cosa?
Lo sentivo respirare pesantemente dietro di me. “Scusa.” Iniziò. “Non porto nessun rancore nei tuoi confronti. Non ti conosco nemmeno. Voglio che tu sappia che mi hanno incaricato di farlo, di ucciderti.”
Uccidermi.
Inizia a dimenarmi, il respiro si smorzò in gola mentre Nahuel serrava le mie braccia dietro la schiena. Tenevo le mani in pugno e riuscii ad agganciarle ai suoi avambracci e a tirare cogliendolo alla sprovvista. Feci pressione nelle gambe cercando di alzarmi in piedi e spinsi Nahuel qualche metro avanti.
Cercai di rimanere in piedi ma sentivo le gambe troppo deboli. Cedetti in ginocchio.
“Perché non lo lasci fare ai lupi? Perché dovresti sporcare le mani?” gli domandai senza abbassare la guardia. Strinsi i pugni e i denti. Per questo motivo Nahuel era diventato la mia ombra.
Fu come vedere la luce per la prima volta: Aro voleva farmi fuori così. La battaglia contro i Figli della Luna si era rivelata l’occasione perfetta. Tutti quei mesi passati a Volterra erano solo un pretesto per mantenermi viva e avere, poi, una buona giustificazione per la mia… morte. Perché?
Portai una mano nel mio fianco destro, dove il mio medaglione era ancorato. Era questo ciò che Bella voleva evitare mandandomi via da Volterra? Lo sapeva? Oppure lo temeva? 
Nahuel non sembrò scomporsi e, in silenzio, avanzò verso di me. Mi alzai, allargai le braccia, pronta a riceverlo. Riuscii a scansarlo e dargli un calcio nel petto che lo fece nuovamente cadere. Feci la stessa cosa che fece lui: serrare le braccia dietro la sua schiena mentre facevo pressione con un ginocchio.
“Sai… non sei costretto.” Gli dissi mentre Nahuel opponeva resistenza e ringhiava. Gli ringhiai in risposta. Con quanta felicità discutevo della sorte della mia vita! Sarà lo shock. “Possiamo trovare un compromesso.” Conclusi. Quale compromesso? Non lo sapevo ma volevo temporeggiare.  
Nahuel si issò con forza portandomi con sé ed entrambi librammo in aria. Mi aggrappai alle sue braccia e feci pressione per cercare di riportarlo a terra ma non ci riuscii. Mi diede un calcio nello stomaco, la forza impiegata si propagò su tutto il corpo facendomi tremare, e fui io quella a cadere.
Sferrò un pugno in faccia e mi voltai seguendo il movimento. Annaspai in cerca d’aria, il naso e lo zigomo bruciavano mandando segnali d’allarme al cervello. Sentivo il sangue in bocca.
Afferrò il mio collo con entrambe le mani, mi alzò e strinse le mie spalle contro il suo petto. Avevo il viso costretto tra le sua braccia ora. Cominciò a stringere. Forte e stretto. Mi mancava l’aria e mi pulsavano le tempie. Iniziai a dimenarmi e, nel frattempo, Nahuel stringeva ancora più forte. Il suo respiro si fece accelerato dallo sforzo.
“No…No…” Riuscii a far scivolare le mie braccia sotto le sue e a portare le mani sul suo viso. Affondai le unghia sulla sua pelle e tirai verso il basso. Nahuel urlò e strinse di più la sua presa. Misi il polpaccio dietro il suo ginocchio destro e con un sforzo estenuante lo feci cadere in entrambe le ginocchia insieme a me.
Ero stremata e lui era più forte di me. Mi sentivo debole come i Figli della Luna sotto il sole. Non ti fermare, Renesmee. Non ora.
Tirai il viso di Nahuel verso di me tentando di scansarlo dalle mie spalle ma più tiravo, più lui si agganciava al mio collo stringendolo e portandolo verso di sé. Vedevo tutto offuscato. Buchi neri si erano formati nella mia visuale. Il mio cuore rischiava di esplodermi dentro il petto.
Affondò la sua gamba libera sinistra sulla mia e spinse giù. Scendemmo per qualche centimetro nella sabbia.
Nahuel affondò il suo viso sul mio collo intrecciato dalle nostre mani. I nostri corpi erano scossi da due forze che andavano in due direzioni diverse: la mia avanti, la sua indietro.
Sentii la sua bocca aprirsi vicino la mia pelle.
No.  
Cercai di coprirmi il volto e tirare in avanti per spingerlo via da me ma eravamo entrambi incatenati dai nostri stessi arti, la tensione dei nostri corpi stava esplodendo.
No. No. No. No!
I suoi denti accarezzarono rudi il mio polso che tentava di salire su per coprire il collo e il volto. Morse ed io urlai.
Lasciò la presa ed io caddi a terra battendo la testa, il polso destro ancora agganciato tra le sue labbra. Gridai di nuovo e un oceano di lava invase le mie vene.
Nahuel alzò il volto e si liberò della mia mano. Sentii i suoi canini fuoriuscire dalla mia carne. La bocca sporca di sangue. Si chinò e tirò un altro pugno dritto nella mia faccia. Arrancai in cerca d’aria mentre il fuoco stava bruciandomi le ossa. 
Gli diedi un calcio negli stinchi che lo fece cadere di nuovo giù a terra. Urlai perché questa era l’unica cosa che mi importava fare in quel momento: denunciare il mio dolore. Il male mi stava inondando improvviso senza pietà ed io non avevo nessun mezzo per fermarlo.
“Arrenditi Renesmee. E’ finita.” Disse la mia parte logica.
No!
Mi appoggiai con tutte le ginocchia sulla sua schiena. Lui iniziò a divincolarsi furioso e animalesco. Il fuoco stava spezzando ogni singolo osso dentro di me. No, dovevo resistere. Costrinsi Nahuel ad aprire la sua gola con tutte e due le mani, mentre premevo le ginocchia sulle sue costole, e gli gettai di nuovo il viso sulla sabbia una, due, tre, quattro volte. Il suo sangue stava sporcando la sabbia sotto di lui.  
“Fa…rò cc…cco…me… mi…hai inse…gn…ato N…Nahu…el: punta alla schiena e al collo.” Gli dissi.  
Con un ginocchio gli ruppi la schiena, le ossa scrosciarono, e, allo stesso tempo, il collo con il gesto secco delle mani appreso da lui.
Lo lasciai andare, troppo presa dai pugni che stavo ricevendo sul petto però non c’era nessuno davanti a me a colpirmi.
Era troppo, troppo da sostenere.
Fiotti di sangue caldo iniziarono ad uscire dal mia bocca come un rubinetto rotto. Crollai sopra il cadavere di Nahuel.
 
 
 
Il fuoco… Il fuoco… Il fuoco mi sta bruciando… Qualcuno sta strappando i miei polmoni… Qualcuno sta maciullandomi il cuore… Fa male… Qualcuno spenga le fiamme… Il fuoco… nelle vene… Brucia… Non respiro…
“Renesmee!”
…Qualcuno mi sta strappando gli occhi…
“Renesmee! Sono Erik!”
…Spegnete il fuoco…
“Noah! Raoul! Ramin!”
…Il petto è diventato una fiamma…
Noah! Alexander! Adrian! Venite! ORA!”
…Le gambe… qualcuno sta spezzando le mie gambe…
“Erik! Che succede!”
…Fa male… quando finisce? Fa tanto male...
“L’hanno avvelenata! Tieni! Il morso è qui! LEVALE IL VELENO!”
…Qualcuno mi sta strappando la pelle… Sto affogando…
“Erik, credo sia troppo tardi ormai!”
…Quando spengono l’incendio?…Non respiro… Dov’è l’aria?...
“Sento solo il veleno, Erik!”
Brucia… Brucia… Incandescente…
“CONTINUA! Raoul! Ramin! Alexander! Adrian! Joseph!”
…Qualcuno mi dica che sta finendo… No… Non sta finendo…

 
  
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