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Autore: CedroContento    02/06/2021    4 recensioni
[Thilbo Bagginshield]
"Ricominceremo da capo, chiaro; siamo masochisti, quasi speriamo che la volta dopo le cose saranno diverse.
Potrebbero, perché no?
Allora, se siete pronti, riavvolgiamo tutto ancora una volta."
Sulla scia degli eventi del film "Lo Hobbit", questa fic racconta la storia d'amore che vorrei.
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bilbo, Gandalf, Thorin Scudodiquercia
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“Ok, ok… però ci saremo distratti sì e no due secondi! Avevamo trovato un nodo su un tronco che era un bersaglio perfetto e abbiamo fatto un po' di tiro a segno con l'arco. Il fatto che ci fossero i troll nei dintorni proprio in quel momento è stata pura sfortuna!”
 
Fili(1)
 
 


Bilbo si sentiva uno straccio.
Erano ormai diverse notti - praticamente da quando erano partiti - che non riusciva a dormire più di un’ora di fila.
Il problema era che non era abituato a dormire all'aperto, sotto le stelle, e in mezzo ad altre persone.
In più i nani erano rumorosi e molesti anche mentre dormivano: russavano, parlavano nel sonno, si agitavano e si alzavano a turno in ogni momento della notte. 
Perfino Gandalf era inquietante; Bilbo aveva scoperto che lo stregone dormiva con gli occhi aperti.
Quando anche quel giorno di viaggio volse al termine, lo hobbit non fece in tempo ad aspettare che la compagnia avesse finito di sistemare l'accampamento per la notte, che crollò sul suo giaciglio, in un sonno profondo.
Si svegliò di soprassalto, poco prima dell'alba, disturbato dal russare del suo ignaro nuovo acerrimo nemico: Bombur. Decise che in futuro avrebbe fatto attenzione a sistemarsi a distanza di sicurezza da lui. 
La luna era già tramontata e il cielo, ancora puntellato da qualche stella tenace, era di un azzurro scuro e intenso; cominciava a rischiararsi lentamente e man mano che si guardava verso la linea dell'orizzonte si tingeva di un violetto deciso, che sfumava a sua volta in un delicato lilla. Bilbo trovò le sfumature di quei colori stupende. 
Non era l'unico ad essere già sveglio. C'erano Fili e Kili, che bevevano qualcosa di caldo davanti al fuoco, e Balin, intento a fare un rapido inventario delle provviste.
Gandalf aspirava silenziosamente il fumo dalla sua pipa dal lungo cannello intagliato, per poi rilasciarlo sottoforma di cerchi perfetti; si teneva in disparte e sembrava vagare lontano con la mente.
Infine Thorin sonnecchiava non molto distante dal falò, appoggiato alla parete di roccia del promontorio su cui si erano accampati; una valle stretta e boscosa si estendeva ai loro piedi. Bilbo non riusciva a ricordare nemmeno una volta in cui avesse visto Thorin riposare steso accanto agli altri, in realtà non era tanto sicuro di averlo mai visto dormire veramente. 
Lo hobbit si stava avvicinando al fuoco che con il suo scoppiettio, assieme al cinguettare dei merli e dei pettirossi, rompeva il silenzio delle ore che precedono l'alba; pregustava già qualcosa di buono da mettere sotto i denti, quando un rumore sinistro che riecheggiò lontano nella valle lo fece trasalire. 
“Cos'era?” chiese piano ai due giovani fratelli. 
“Orchi” sussurrò Kili, sondando attento la foresta scura.
Bilbo avvertì anche Thorin sussultare nel dormiveglia, d'un tratto vigile e sull'attenti.
“Orchi?” ripeté Bilbo preoccupato.
I racconti sugli orchi lo terrorizzavano quando era piccolo, e quella sensazione di inquietudine associata a loro non era mai sparita del tutto, anche quando era cresciuto.
“Sgozzatori, ce ne sono a dozzine là fuori, soprattutto nelle Terre Solitarie” spiegò Fili in tono grave.
Raramente Bilbo aveva sentito i due nani parlare tanto seriamente, la minaccia doveva essere seria. 
“Colpiscono nella notte quando tutti dormono. Rapidi e silenziosi, niente grida, solo tanto sangue.” 
“Lo trovate divertente?” li rimproverò inaspettatamente Thorin, con la sua voce profonda dal tono, se possibile, ancora più severo del solito. 
Bilbo, sorpreso, per un momento si chiese cosa intendesse dire il nano. Si diede dello stupido un secondo dopo: Fili e Kili lo stavano prendendo in giro, ovviamente, e lui aveva ingenuamente abboccato come una carpa.
“Stavamo solo scherzando,” si giustificò Kili, assumendo l'aria di un bambino che viene sgridato dopo essere stato sorpreso a combinare una marachella. 
“Un'incursione notturna non è uno scherzo,” disse Thorin.
Forse, pensò Bilbo, in parte si sentiva punto nell'orgoglio perché anche lui era caduto nello scherzo quando Kili aveva nominato gli orchi. 
“Non sapete nulla del mondo,” disse, dando loro le spalle e allontanandosi.
Fili e Kili avevano un'aria così contrita che per un piccolo, piccolissimo, momento Bilbo si dispiacque per loro.
Provavano, se possibile, ancora più affetto e ammirazione degli altri per lo zio, dopotutto dovevano essere cresciuti con lui. Cercare di rendere fiero Thorin sembrava arduo, deluderlo era doveva essere mortificante. Bilbo aveva già imparato che Thorin poteva farti sentire molto piccolo quando le sue aspettative venivano disattese.
“Thorin ha più ragione degli altri di odiare gli orchi,” intervenne Balin, nel tono che usava quando stava per cominciare a raccontare una delle sue storie.
Bilbo, come anche Fili e Kili, si predispose ad ascoltarlo volentieri; gli ultimi due sicuramente contenti di venire distratti da quanto appena accaduto. 
“Mastro Scassinatore, avevo promesso che ti avrei raccontato di questa vicenda,” disse Balin ammiccando, e Bilbo capì che probabilmente distrarre i fratelli e distendere l'atmosfera era esattamente il suo intento. Bilbo, contento di essere entrato in confidenza con una persona così gentile e onesta, gli resse il gioco. 
“Allora: dopo che il drago si fu preso Erebor, re Thror cercò di riconquistare il regno di Khazad-dûm, le leggendarie miniere di Moria.
Ma il nostro nemico ci aveva anticipati.
Moria era caduta in mano alle legioni degli orchi, capeggiati dal più vile della loro razza: Azog il Profanatore, l'orco gigante di Gundabad, che aveva giurato di sterminare la stirpe dei Durin.
Azog cominciò quella missione decapitando il re dei nani, il nonno di Thorin.
Thrain, suo figlio - il padre di Thorin -, divenne pazzo per il dolore e scomparve; fu fatto prigioniero o ucciso, non scoprimmo mai la verità. 
Da quel momento fummo senza una guida, sconfitta e morte erano su di noi,” fece una pausa, per controllare l’emozione che portavano con sé quei ricordi dolorosi.
“E fu allora che io lo vidi,” proseguì Balin con un trasporto tangibile nella voce. “Un giovane principe dei nani che affrontava l'orco pallido, un nemico terribile, brandendo solamente un ramo di quercia spezzato come scudo. Azog, quel giorno, imparò a spese del suo braccio sinistro che la stirpe di Durin non sarebbe stata facile da troncare. 
Sotto la guida di Thorin le truppe si rianimarono, respingemmo gli orchi e vincemmo la battaglia. Non festeggiamo mai quella vittoria, l'avevamo pagata numero di morti troppo alto, eravamo sopravvissuti in così pochi.
Ma guardando Thorin pensai, tra me e me, che là c'era uno che avrei potuto seguire; là c'era uno che avrei potuto chiamare re.”
“E l'orco pallido, che fine ha fatto?” chiese Bilbo, tanto rapito dal racconto da
dimenticare dove fosse. Probabilmente per questo, quando Thorin parlò alle sue spalle, per poco non gli venne un colpo.
“Tornò strisciando nel sudicio buco da cui era venuto. Morto per le ferite tempo fa,” disse il nano. 
Gli occhi di ghiaccio di Thorin inchiodarono Bilbo sul posto, Bilbo che avvertì i battiti del proprio cuore accelerare furiosamente nel petto.
Aveva preso parte a quella spedizione pensando che fosse un'impresa lodevole quella di riconquistare un regno perduto, che i nani meritassero di tornare nella loro amata casa sotto la Montagna, quella che avevano costruito con duro lavoro e che gli era poi stata così ingiustamente strappata. Ma per Thorin quella missione voleva dire molto di più. Thorin non era solo stato derubato della propria casa, aveva visto sterminare la sua famiglia in quella vicenda. La riconquista della Montagna non era solo riprendersi ciò che era suo: rappresentava il suo personale riscatto. E Bilbo, che pensava di provare già una bella dose di stima e ammirazione nei confronti di quel principe dei nani, si rese conto che quell’ammirazione era appena cresciuta ancora.
Di sicuro non si sarebbe più stupito del fatto che gli altri nani lo venerassero e che lo avrebbero seguito ovunque. Thorin era un eroe, Bilbo stesso si sarebbe fatto condurre da lui in capo al mondo. 
Quando Thorin distolse lo sguardo, Bilbo riprese a respirare - non si era nemmeno accorto di aver smesso- e, bruscamente ripiombato nella realtà, si guardò attorno.
Si rese conto che ormai doveva essere giorno da un pezzo. Tutti i nani erano ormai svegli e tutti, come lui, avevano ascoltato in silenzio il racconto di Balin. 
Mentre consumavano la colazione i nani erano insolitamente taciturni, raccolsero quasi in silenzio le proprie cose e ripartirono. Sembrava che la malinconia fosse scesa su di loro e li avesse avvolti come un velo di foschia.
Quello di Balin non era stato il solito racconto di epoche lontane, i cui protagonisti e le loro gesta appartenevano ormai alla storia, quelle passate di bocca in bocca centinaia di volte, a cui era abituato Bilbo. Certo, anche nella Contea capitava di ascoltare di prima mano le disavventure di qualcuno, ma solitamente non si trattava di nulla di più di una ruota che si era staccata da un carro sotto un temporale, della pesca di un pesce enorme, di una quantità sorprendente di sidro ingerito; vicende lontanissime dagli scontri con i temibili orchi e le battaglie e i draghi. Chi aveva vissuto quei giorni invece era proprio lì - ad eccezione forse di Fili, Kili e Ori che sembravano fin troppo giovani, ma c'era chi come Bifur invece aveva ancora un'accetta incastrata in fronte! - a condividere una nuova avventura assieme a lui. Lui, che si sentiva più che mai nient'altro che un piccolo hobbit troppo lontano da casa. 
 
 
 
Erano in viaggio da quasi tre settimane (2) sulla Grande via Est. La Contea e Brea erano ormai alle loro spalle, lontane come non lo erano mai state per lo hobbit. 
Bilbo aveva scoperto che l'Eriador dell'est non era poi così spaventoso - per gli hobbit qualsiasi posto oltre Brea era spaventoso - e cavalcare per quelle colline, valli e boschi sconosciuti non era del tutto spiacevole. Gandalf e i nani avevano tanto da insegnare e raccontare, le giornate sembravano volare. Poi arrivò il brutto tempo e Bilbo scoprì anche che niente poteva intaccare lo spirito d'avventura come arrancare sotto la pioggia battente, con i vestiti di secondo in secondo più zuppi e dormire sul terreno umido.
“Ci fermiamo qui” decise Thorin quel giorno, quando arrivarono nei pressi dei ruderi di una casa abbandonata. Abbandonata non troppo tempo prima, sembrava, a giudicare dallo stato del legno. 
Bilbo che cavalca accanto a Gandalf udì lo stregone schioccare la lingua in segno di disappunto, ma lo udì solo lui e il mago non aggiunse nulla al momento. 
Mentre Thorin impartiva ordini e indicazioni ad ognuno affinché si preparassero in maniera più rapida ed efficiente possibile per la notte, lo stregone si distaccò dal gruppo per esaminare i resti dell'abitazione. 
“Sarebbe più saggio proseguire,” sembrò decidere ad un certo punto. “Potremmo raggiungere la Valle Nascosta, Gran Burrone non è così distante da qui (3) . Se partiamo ora e procediamo con un buon ritmo arriveremmo poco dopo il calare delle tenebre, e ad attenderci avremmo del buon cibo e un letto caldo,” disse lo stregone, rivolto a Thorin.
A Bilbo l'idea parve molto allettante. Sarebbe stato faticoso proseguire ancora, ma se in premio poteva esserci un letto all'asciutto e al coperto poteva valerne decisamente la pena.
Thorin però non fu dello stesso avviso: “Te l'ho già detto, non voglio avere niente a che fare con quel posto.”
“Ma gli elfi ci aiuteranno,” insistette Gandalf.
“Non voglio il loro aiuto,” lapidò la questione il nano.  
“Ti ricordo, mio caro Thorin, che abbiamo una mappa che non riusciamo a leggere, Elrond potrebbe aiutarci.” 
“Nessun aiuto venne dagli elfi quando il drago ci attaccò. Rimasero a guardare mentre la mia gente moriva, non parlarmi mai più dell'aiuto degli elfi!” si infervorò definitivamente Thorin. “Ci hanno traditi. Prima mio nonno e poi mio padre, non permetterò certo che si prendano gioco anche di me!” 
“Non potrai rimanere per sempre così testardamente ancorato al passato!” ribatté il mago. 
Bilbo trovò che quella fosse la cosa più sbagliata che Gandalf potesse dire in quel momento, a Thorin poi. Si ritrovò invece pienamente d'accordo con il principe dei nani: se gli elfi per qualche motivo in passato gli avevano voltato le spalle, quando più di ogni altra cosa avrebbe avuto bisogno di sostegno, era del tutto comprensibile che ora non volesse avere più nulla a che fare con loro. 
Thorin non disse più nulla, ma dalla caparbietà con cui fronteggiava lo stregone era evidente che aveva detto come la pensava e non avrebbe cambiato idea per niente al mondo.
Anche Gandalf parve rendersene conto, perché gli voltò le spalle, borbottando qualcosa riguardo alla cocciutaggine dei nani. 
Prima ancora che il resto della compagnia potesse accorgersi che c'era una discussione in corso, lo stregone montò a cavallo e sparì nella foresta senza rivolgere parola a nessuno, nemmeno a Bilbo. 
“Tornerà, vero?” chiese in apprensione lo hobbit a Balin, che però non avendo una risposta si limitò a sospirare ed alzare le spalle. 
“Lo sai come sono gli stregoni: vanno e vengono come piace a loro”. 
 
 
 
“È via da parecchio,” fece notare Bilbo diverse ore dopo, visto che nessuno pareva preoccuparsi dell'assenza dello stregone.  
Si sentiva ansioso ed impotente, si ritrovava spesso a guardare il punto in cui Gandalf era sparito nel fitto del bosco, sperando di veder ricomparire il suo alto cappello blu e il lungo bastone. 
Ma dello stregone non c'era traccia.
La verità era che senza il suo vecchio amico Bilbo si sentiva ancora più perso di quanto non fosse già. La sua presenza gli aveva dato una costante piccola dose di sicurezza, di cui fino a quel momento non si era nemmeno reso conto. 
“Io non mi preoccuperei, Gandalf sa badare benissimo a sé stesso,” minimizzò Bofur, rimestando con un mestolo lo stufato che era riuscito a mettere insieme con le scorte sempre più esigue di cibo che avevano. “Fammi un favore porta questo a Fili e Kili,” aggiunse porgendo a Bilbo due ciotole fumanti.
Lo hobbit accettò volentieri il compito di portare la cena ai due fratelli, che avevano il compito di badare ai pony pochi metri più a valle rispetto dove si erano sistemati.
Avere qualcosa da fare era un modo utile per distrarre la mente, se fosse rimasto ancora lì con le mani in mano i suoi pensieri avrebbero finito per torturarlo.
 
 
 
Quando raggiunse Fili e Kili, li trovò in piedi imbambolati, a diversi metri dallo steccato improvvisato che avevano messo assieme con corde e tronchi. Precauzione inutile visto che i pony erano tranquillissimi, oltre che già abbastanza affaticati dopo la giornata di marcia. I due stavano osservando i cavallini con aria perplessa.  
“Beh, cosa succede?” chiese, sospettando già un altro scherzo. 
“Il fatto è che noi dovremmo badare ai pony,” cominciò a spiegare Kili.
E quello Bilbo lo sapeva già.
“Bene,” disse, aspettando qualche informazione in più. 
“Solo che abbiamo un piccolo problema: dovrebbero essercene sedici, invece sono solo quattordici. Abbiamo ricontato quattro volte, Daisy e Bungo sono spariti,” concluse Fili. 
Bilbo si chiese come avevano fatto quei due a distrarsi al punto da perdersi due mansuetissimi pony.
“Questo non va bene. Però è strano, come hanno fatto a slegarsi?” 
Quei pony erano in gamba, Bilbo glielo doveva, ma anche alla loro destrezza c'era un limite. 
Avvicinandosi allo steccato videro che sembrava essere stato travolto con forza da qualcosa, forse i pony erano usciti da lì, ma come avevano fatto a superare i tronchi spezzati senza inciampare o incastrarsi?
“Non va bene affatto, dovremmo avvisare gli altri,” decise Bilbo, mentre notava che anche gli alberi e i cespugli attorno erano piegati e spezzati. 
“Nah, non facciamoli preoccupare,” disse Fili, che forse sperava ancora di risolvere la faccenda prima che gli altri lo scoprissero ed evitarsi così una bella, e più che meritata, ramanzina. 
“Guardate, qualcosa di grosso ha sradicato questi alberi,” portò Bilbo alla loro attenzione. “Qualcosa di grosso e pericoloso, meglio avvisare gli altri.” insistette, pensando che quella faccenda non prometteva nulla di buono.
Per di più non si fidava per niente dei due fratelli, erano troppo incoscienti ed irresponsabili.
“Fermi, state giù!” disse d'un tratto Fili. “Vedo una luce.”
Bilbo, ormai decisamente allarmato, si acquattò. Procedendo chino si appostò tra Fili e Kili, dietro un grosso albero crollato. Allora li vide: due pallidi mostri, enormi, completamente glabri e svestiti. Erano seduti attorno ad un grosso calderone, che ribolliva sul fuoco mandando un puzzo disgustoso, o forse erano i mostri a puzzare in quel modo terribile, Bilbo non riuscì a capirlo. 
“Troll,” sussurrò Kili. 
D'un tratto nella foresta, preoccupantemente vicino a loro, udirono i rumori di qualcosa di grande che si faceva strada tra la vegetazione.
“Sssht!” fece Fili, mentre un terzo troll passava a pochi metri di distanza dal punto in cui erano nascosti, facendo vibrare il terreno sotto i loro piedi.
Sotto le braccia teneva sollevati, senza troppo sforzo, altri due dei loro sventurati pony. Erano Mirtle e Minty.
Bilbo avvertì un tuffo al cuore. Quei ronzini gli causavano ancora una tremenda allergia, ma questo non gli aveva impedito di affezionarsi molto a loro; quando nessuno lo vedeva allungava loro sempre qualche piccola mela extra, se la meritavano dopo aver camminato faticosamente per tutto il giorno, carichi e senza mai una singola lamentela. Bilbo era molto orgoglioso di loro, gli voleva bene. 
“Li mangeranno, dobbiamo fare qualcosa!” decise. 
“Sì!” Fili lo spinse fuori dal loro nascondiglio senza troppe cerimonie. “Tu dovresti. I troll di montagna sono lenti e stupidi, tu sei così piccolo e gli hobbit sono famosi per il loro passo felpato, non ti vedranno mai!”
“Cosa?! Io-io-” Bilbo cercò le parole per spiegare come mai quella fosse un'idea terribile, ma non gli venne in mente nulla, nessun buon motivo per cui non dovesse almeno provare a salvare i suoi amici. 
Effettivamente, i troll davano le spalle ai pony. Se fosse riuscito ad arrivare furtivamente a loro, slegarli e farsi seguire, avrebbero potuto scappare alla svelta. 
“Noi saremo dietro di te, se ti ritrovi nei guai facci un segno e verremo ad aiutarti,” incalzò Kili, facendo leva sull’esitazione de lo hobbit per convincerlo definitivamente. 
Ormai senza molta scelta, Bilbo avanzò più silenziosamente possibile verso i prigionieri. In ogni caso aveva deciso che non poteva permettere che diventassero la cena di qualcuno senza che lui cercasse di fare quanto in suo potere per impedirlo, non se lo meritavano. 
“Bleah, non ne posso più di mangiare montone,” sentì uno dei troll lamentarsi. 
“Sempre meglio di quel fattore stopposo,” ribatté secco l'altro, quello che stava rimestando il disgustoso contenuto del pentolone.
Ecco che fine aveva fatto il proprietario della fattoria abbandonata, l'intuito di Gandalf aveva avuto ragione. Bilbo pregò che l'uomo non avesse famiglia, o che in caso fossero riusciti a fuggire.
“Questo non è montone, questi sono cavallini freschissimi,” cinguettò il troll che li aveva superati poco prima nel bosco, deponendo accanto agli altri i due poveri animali impauriti.  
Bilbo continuò ad avanzare nell'oscurità, non visto, finché un forte versaccio lo fece saltar su. 
“Guarda, il muco galleggia!” notò ammirato il troll che aveva appena starnutito nel pentolone, perché quel rumoraccio non era nient'altro che uno starnuto. 
L'affermazione fece storcere il naso de lo hobbit, quelle creature erano davvero ripugnanti. 
“Come mai cucini sempre tu? Tutto sa sempre di pollo. Tranne il pollo, quello sa sempre di pesce,” si lamentò il troll che aveva portato i pony.
Pony che intanto Bilbo era riuscito a raggiungere, e che esultarono sollevati quando lo riconobbero. Cercò di zittirli, mentre con sgomento si rendeva conto che i troll non erano completamente idioti: avevano assicurato bene, con spesse corde, le loro prede, e Bilbo non aveva nulla con cui tagliarle. 
“Perché sono l'unico capace! Voi due non capite un bel niente di buona cucina,” stava dicendo intanto il cuoco-troll. 
Bilbo gettò uno sguardo veloce ai tre, per assicurarsi che non lo avessero visto, e allora la notò: una lunga lama, dal manico improvvisato, penzolava dalla cintura di uno dei troll, quello che poco prima aveva starnutito nella loro cena. Era esattamente quello che gli sarebbe servito, ma non sapeva se avrebbe avuto il coraggio di avvicinarsi tanto per cercare di sottrargliela. 
Quando Bilbo avrebbe ripensato a quel momento, negli anni successivi, si sarebbe sempre dato dello stupido per non essere semplicemente tornato da Fili - ora sapeva che il nano girava sempre armato fino ai denti -, avrebbe evitato di combinare tutto quel pasticcio. 
Ma, forse perché temeva che se si fosse fermato troppo a pensare a cosa stava facendo la paura avrebbe preso il sopravvento, convincendolo a darsela a gambe; o forse colpa di Mirtle, che gli diede un buffetto con il muso, ricordandogli cosa c'era in ballo. Comunque, Bilbo decise che avrebbe tentato di recuperare quell'arma.
Sempre in seguito, Kili gli raccontò di aver cercato in ogni modo di fargli cenno di non farlo, che era un'idea terribile. Se solo lo avesse udito, un orrendo troll non si sarebbe mai soffiato il naso con lui, scambiandolo per il proprio fazzoletto, quello che stava vicino alla spada e che Bilbo proprio non aveva notato. 
“Waaah! Guardate che mi è uscito dal naso!” esclamò il troll, stupefatto. 
Lo sgomento bloccò ogni singola fibra de lo hobbit. Un secondo prima saltava, per cercare di raggiungere e afferrare la spada - da lontano non gli era sembrato fosse così in alto -, e quello dopo si era sentito sollevare da terra. E ora era nel palmo di un troll, a un centimetro dal suo gigantesco faccione bruttissimo. Era così spaventato che realizzò appena di essere ricoperto di disgustoso muco verde, viscido e appiccicoso. 
“Ma cos'è? Uno scoiattolo?” chiese uno degli altri due, mentre il troll che lo reggeva lo sollevava un po' per osservarlo meglio. 
“Io sono uno Scass- ehm uno hobbit” si sentì rispondere Bilbo, mentre quel mostro lo deponeva a terra. 
“Uno Scassobbit? Mai sentito.” 
“Sentiamo se è buono che dici?” disse il cuoco-troll, facendo per afferrare di nuovo Bilbo.
Lo hobbit cercò di darsi alla fuga, ma non fu abbastanza svelto. Si sentì sollevare, ancora, ma questa volta per le caviglie. Era finita. Nella migliore delle ipotesi sarebbe stato divorato in un solo boccone da uno di quei mostri orrendi.
I nani avevano avuto ragione, Bilbo non era durato molto. Solo su una cosa si erano sbagliati: avevano decretato che Bilbo non sarebbe sopravvissuto alle Terre Selvagge, però, alla fine, non era nemmeno riuscito a raggiungerle.
 
 
 
  1. Il nostro “intervistatore” ha un’identità che verrà svelata alla fine della storia, ammesso che non capiate prima chi è. (su)
  2. Per questa stima mi sono basata sulle info che abbiamo da “La Compagnia dell'anello”, o ancora meglio sulle date riportate nell' “Appendice B”. Frodo lì ci mette quasi un mese per raggiungere Gran Burrone da casa Baggins (23 settembre - 20 ottobre). È anche vero che Frodo si ferma e si perde più di una volta, va avanti un po' a piedi un po' in pony, ed è anche costretto ad usare vie meno comode perché è inseguito, così ho deciso di ridurre notevolmente questo tempo, considerando che la Compagnia di Scudodiquercia avanzi invece con più costanza, rimanendo bene o male sulla Via Est e senza smarrire la strada (quindi probabilmente non è Thorin a guidare :D). (su)
  3. Sempre basandomi su “La Compagnia dell'anello” nemmeno questo sarebbe vero. Come riportato sempre nelle Appendici Frodo attraversa il fiume il 13 ottobre e arriva al guado appena il 20, ben una settimana dopo e andando di gran fretta, quindi Gran Burrone disterebbe ancora minimo sette giorni di cammino. È anche vero che nel film invece Thorin e i suoi sembrano raggiungerlo quasi in giornata, e a piedi, attraverso le grotte (sarà stata una scorciatoia magica che conosceva Gandalf? Nel film danno ad intendere che si, ma questa è faccenda del capitolo 5), quindi mi sono adeguata. (su)
   
 
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